Caro Riccardo, prima ancora di mettermi a tradurre questa canzone mi permetterai una precisazione. Ci andrei molto cauto con l'attribuzione del turco (e delle lingue turciche) alla “famiglia altaica” (e ancor di più alla “famiglia uralo-altaica” nella quale alcuni volevano includere anche le lingue ugrofinniche per certe concordanze strutturali). L'ipotesi dell'esistenza di una “famiglia altaica” è tuttora molto dibattuta, e, detto in estremi soldoni, si tende oggi a considerare certe concordanze come dovute a vicinanza e prestiti tra le varie lingue, e non all'appartenenza ad una vera e propria famiglia linguistica. C'è stato un periodo in cui la “famiglia altaica” (o “uralo-altaica”) era stata spinta talmente in là da comprendere non solo l'ungherese e il finlandese, ma anche il giapponese, l'ainu e il coreano (e persino il tamil, le lingue paleosiberiane e alcune... (Continues)
Riccardo Venturi 2020/5/26 - 21:18
Caro Riccardo, Ο Πρώτος dei linguisti,
le tue osservazioni sono sempre centrate ed interessanti, d’altronde quando si tratta di linguistica e glottologia la tua competenza è ben nota e si può solo apprendere.
Da profano avevo percepito che c’era qualcosa di non ben definito nella famiglia “altaica”. Ora so che mentre sono assodate la consistenza delle famiglia di lingue turciche, mongoliche e tunguse, rimane aperto il dibattito se tali famiglie fanno parte di un ceppo comune, cioè di un gruppo altaico. Da una lettura frettolosa ho appreso che tale tesi fu sostenuta da Poppe e Sergei Starostin e , tra i viventi, da Ramer ; tra i contestatori figurano il finlandese Janhunen e Stefan George. Ciò che mi è sembrato curioso (sempre da profano) è che il prof. George è coautore con altri studiosi, compreso il citato Ramer, di una memoria per il Journal of Linguistic in cui si sostiene invece... (Continues)
"L'anno, il posto, l'ora" dei Pooh non è affatto una canzone contro la guerra. E' la storia di un aereo in avaria che - nel '73, come da testo - è destinato a schiantarsi al suolo, con il pilota che ripensa alla sua famiglia e 'rivede' davanti a sè la sua vita prima di morire.
Splendida canzone, splendido testo, ma non di guerra si tratta.
Due parole del traduttore. Traduttore peraltro incompleto, perché c'è una parola (çahan, v. nota 5) che ha resistito ad ogni ricerca e interpretazione e sulla quale chiedo lumi a chi possa. Nella traduzione mi sono attenuto all'interpretazione di vurmak (“colpire”) proposta da Riccardo Gullotta, ma avrei comunque qualcosa da dire. Il verbo vurmak ha delle accezioni piuttosto vaste, è assolutamente vero, e ha persino una doppia rezione: può reggere l'accusativo e il dativo. In questa canzone regge regolarmente il dativo (katillere, cellatlara, çetelere) e, col dativo, il significato di “sparare” (o “colpire per uccidere”) non è per niente secondario. All'inizio della canzone, del resto, si sentono chiaramente colpi di arma da fuoco; d'accordo la difesa, ma non ho mai sentito parlare di una barricata dalla quale non si spari. Secondo me è bene precisare che... (Continues)
Raccomando anche l'ascolto della bella versione di Rhiannon Giddens
B.B. 2020/5/26 - 22:37
Trovo alle pp. 60-61 della tesi di AnneMarie Cordeiro citata all'inizio dell'introduzione questa efficace spiegazione della vicenda raccontata da Geeshie Wiley nella sua “The Last Kind Words Blues”:
Wiley embodied her songster-folk singer identity in this song’s lyrics. While this piece is an original work, in her composition she drew from the collective memory of her peers and ancestors for some words and images. “The Last Kind Words Blues” is obviously a war song from World War I, given its reference to “the German War.” Wiley began by recounting the final requests of her lover before he leaves for the front. He morbidly describes his instructions for her following his imminent death: send his pay to my mother-in-law, and leave his body for the scavenger birds. If by chance he avoids that fate and comes home, she should look for him to come across the field, he will bring a gift back to... (Continues)