Rutebeuf: Ci Encoumence li Diz de la Griesche d'Yver
Contre le tenz qu'aubres deffuelle, (Continues)
Contributed by Riccardo Venturi 2010/1/28 - 23:35
Rutebeuf: Ci encoumence la complainte Rutebuef de son oeul [1249]
I manoscritti antichi che ci tramandano le opere di Rutebeuf sono quattordici: di questi, tre ci presentano raccolte più o meno complete, mentre gli altri riportano poemi isolati, in tutto tredici, e già presenti nei codici principali. Quasi tutti sono conservati a Parigi; altri due in Francia (Reims e Chantilly), uno in Belgio e uno a Manchester; disponiamo della riproduzione anche di un altro codice, conservato a Torino e distrutto in un incendio nel 1904. Il codice più importante è C (Parigi, Bibliothèque nationale de France 1635), trascritto nell'est della Francia alla fine del XIII secolo, e che contiene 49 poemi certi di Rutebeuf. Su esso si basa l'edizione di Zink. L'edizione Faral-Bastin, invece, si basa su A (Parigi, Bibliothèque nationale de France 837), piccardo e pure del XIII secolo, che contiene 33 poemi ed è l'unico a riportare per intero Il miracolo di Teofilo.
Per chi, giustamente impressionato dalle orecchie in salamoia spedite alla Porta dai vincitori di Missolungi, sia tentato da qualche generalizzazione sui Turchi (o sugli Albanesi, o sugli Egiziani, o magari sui Musulmani), riporto e traduco le parole che Alexis Zorbàs dice al suo padrone, quando, giunti a Creta, questi vuole sapere se anche Alexis vi sia già stato e che avventure vi abbia avuto. Certo che Zorbàs vi è stato – dove mai non è stato ? - e a dare una mano ai Cretesi durante la rivolta del 1896 , lui che in Macedonia era un Komitagis, cioè un combattente delle pulizie etniche: ma Zorbàs non ne vuole più sapere di quelle imprese macedoni e cretesi. E, per non raccontare, racconta sommariamente le nefandezze cui ha prestato anche la sua mano. Dalle quali si rileva che quella fiera prodezza delle orecchie era anche cristiana e che non era stata abbandonata neppure settanta anni... (Continues)
Gian Piero Testa 2010/1/28 - 21:15
Nel ringraziarti, Gian Piero, per questo tuo ennesimo importante commento (direi quanto mai opportuno in questa pagina, e nell'intero sito), vorrei però pregarti di una cortesia.
Quella di non scrivere più "Kazandjakis" o "Hadjidakis". Traslittera semplicemente: Kazantzakis, Hatzidakis. Avrai notato che ti correggo sistematicamente queste tue grafie, che trovo inutilmente "francesizzanti": al limite, se proprio vuoi, scrivi "Kazangiakis" o "Hagidakis". Ma nelle sue traduzioni italiane (in primis quella dello Zorba), il nome del gran cretese appare costantemente come "Kazantzakis". Il tuo è probabilmente un retaggio (forse inconscio?) di quando la letteratura greca moderna era quasi interamente "mediata" attraverso il francese: e così Kavafis diventava, anche nelle traduzioni italiane, "Cavafy" (ovviamente letto "cavafì"). A me ciò ha sempre ricordato il Cavafìx, un terribile agone di 30... (Continues)
Ma certo, carissimo Riccardo, mi adeguo e d'ora in poi e per sempre traslitterò τζ in tz. E' anche molto più semplice. E probabilmente hai ragione circa il meccanismo inconscio che conduce a questa traslitterazione. E' un fatto che i Francesi sono stati più svelti a cogliere che in Grecia c'era del buono e, soprattutto, a farlo sapere in giro. Noi, probabilmente, ancora non lo sappiamo: certe cose le sanno - e se le tengono - nelle sfere accademiche, dove evidentemente si crede che la conoscenza dell'alfabeto greco sia ancora una grande distinzione. Ma dimmi, perché quando traslitteri in greco il mio, di nome, scrivi Δζαν invece di Τζαν ?
Trovo questa canzone priva di attribuzione, come se fosse sua quindi, nel disco di Frank Schildt “Songs of Love, Play and Protest”, Folkways Records (1960).
Siccome però non mi pare che Schildt fosse un songwriter, credo che il brano debba continuare ad essere attribuito ad anonimo.