Когда умирают кони…
Когда умирают кони - дышат,
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Contributed by Bartleby 2011/11/15 - 08:26
E a proposito del dibattito sul se sia meglio attribuire la canzone o la poesia all’autore del testo o al compositore della musica, nel caso specifico non ho di certo attribuito la poesia di Chlebnikov a Luigi Nono per il semplice fatto che Nono e Cacciari la utilizzarono insieme ad altri testi per una loro composizione originale.
Per il resto, mi pare che su questo sito viga per fortuna una certa libertà (soltanto appena limitata di quando in quando dalla perfidia degli Admins!), tant’è che sulle CCG non ci sono solo canzoni contro la guerra tout court ma molto, molto altro (e ci mancherebbe pure!).
E così non trovo strano che nell’inserimento dei testi, a seconda della sensibilità del contributore, che può liberamente ritenere prevalente (per autorevolezza, per riconoscibilità, per originalità,…) di volta in volta l’autore del testo o il compositore della musica, il brano venga... (Continues)
Per il resto, mi pare che su questo sito viga per fortuna una certa libertà (soltanto appena limitata di quando in quando dalla perfidia degli Admins!), tant’è che sulle CCG non ci sono solo canzoni contro la guerra tout court ma molto, molto altro (e ci mancherebbe pure!).
E così non trovo strano che nell’inserimento dei testi, a seconda della sensibilità del contributore, che può liberamente ritenere prevalente (per autorevolezza, per riconoscibilità, per originalità,…) di volta in volta l’autore del testo o il compositore della musica, il brano venga... (Continues)
Bartleby 2011/11/15 - 08:50
Intanto chiunque, quando inserisce il nome di un autore in un qualsiasi alfabeto diverso da quello latino, dovrebbe separarlo con una barra e non metterlo fra parentesi. Così: Vladimir Chlebnikov / Бладимир Хлебников e non *Vladimir Chlebnikov (Бладимир Хлебников). Perdonatemi, ma non crediate che i miei malanni mi abbiano fatto diventare meno pignuolo; del resto, avrei fatto queste osservazioni anche a Satana e la prima cosa che avrei fatto nel varcare la soglia dell'inferno sarebbe stata controllare se il famoso "Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate" era stato tradotto ammodino in tutte le lingue. E non avrebbero potuto mandarmi neanche all'inferno, perché all'inferno ci sarei stato già. Tiè.
Per quanto riguarda la vexata quæstio dell'attribuzione dei testi presenti in questo sito, debbo comunque dare ragione a Bartleby. E' necessario comunque vedere caso per caso. I criteri devono... (Continues)
Per quanto riguarda la vexata quæstio dell'attribuzione dei testi presenti in questo sito, debbo comunque dare ragione a Bartleby. E' necessario comunque vedere caso per caso. I criteri devono... (Continues)
Riccardo Venturi 2011/11/15 - 18:50
Sei veramente tornato in splendida forma, Riccardo. Non dire di no. Hasta la victoria siempre !
giorgio 2011/11/16 - 09:35
In forma sí, ma mi accorgo sempre di più che tale miglioramento non è dovuto soltanto alla vita più "regolata" che devo fare e alle cure, ma anche (e forse soprattutto) al fatto che non vado a lavorare, e non ci andrò ancora per un pezzetto. Negli ultimi tempi mi ero ridotto davvero a uno straccio, anche perché non potevo più dedicarmi alle cose cui veramente tengo. L'influenza del lavoro sulla vita umana è assolutamente nefasta, tanto più in frangenti come questo. Triste che, per liberarsene almeno per un po', si debba farsi prendere un colpo...
Riccardo Venturi 2011/11/16 - 11:02
No no no, Riccardo: il lavoro fa benissimo, anche alla salute. Ma deve coincidere con quello che amiamo fare. Nel mio mondo ideale ciascuno lavora secondo le proprie inclinazioni, negli orari che desidera - i quali saranno sempre infinitamente più ampi e pesanti di quelli sindacali. O che tu non lavori, quando passi giorni e notti nelle tue ricerche poetiche, musicali, iconografiche, storiche e filologiche? E' lavoro - e ti fa bene - ma non puoi chiamarlo così perché nessuno ti paga e nessuno ti comanda. La tragedia umana si concentra qui: ed ecco allora che il nostro fare lo chiamiamo "travaglio", "fatica", o, come i Greci, "schiavitù", perché da loro il lavoro si chiama "doulià", e il "doulos" altri non è che lo schiavo.
Gian Piero Testa 2011/11/16 - 11:38
Forse, Gian Piero, quel che tu chiami "lavoro" io lo chiamo "otium" nel senso più classico del termine. Non lo considero un "lavoro", e me me guardo bene; se un giorno dovessi considerarlo tale, smetterei di farlo (ma non accadrà). Certo, nell'antichità classica è pur vero che l' "otium" era riservato a chi poteva permetterselo, e che poteva demandare lo sgobbo di tutti i giorni agli schiavi o comunque ad altri; parli della "doulià" e del "doulos", ma il nostro "lavoro" deriva dal verbo "labor" ("vacillo sotto un peso gravoso") e "travaglio, travail, trabajo" eccetera derivano da "tripalium", una forma crudele di tortura che consisteva nell'attaccare il condannato a tre pali disposti a stella. Potrei essere d'accordo con te, ma la realtà dei fatti è che quasi mai possiamo fare quel che più ci piace e nella quantità desiderata e opportuna. La tragedia umana si concentra nel prevalere di forme sociali, ideologie e religioni che hanno santificato lo sgobbo per servire in realtà gli interessi di pochi e l'accumulo delle ricchezze.
Riccardo Venturi 2011/11/16 - 12:33
Come darti torto? Il mio era il pensiero ozioso di un ozioso... Nel senso classico e aristocratico del termine.
Gian Piero Testa 2011/11/16 - 14:03
"Il lavoro come tale costituisce la migliore polizia e tiene ciascuno a freno… Esso logora straordinariamente una gran quantità d'energia nervosa e la sottrae al riflettere, allo scervellarsi, al sognare, al preoccuparsi, all'amare, all'odiare."
Friedrich Nietzsche - Aurora (Morgenröthe), Pensieri sui pregiudizi morali, Libro III, §173. Gli apologeti del lavoro
Anche stavolta mi pare che sia la semantica che l'etimologia dabbiano ragione a Riccardo. Magari, caro Gian Piero, si potesse "lavorare" sempre con e su quello che ci è più congeniale!
Eppure, Riccardo, in origine (tempi precedenti l'inizio dello sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo?) la parola pare abbia avuto un significato positivo. La radice LABH sembra infatti avere il significato base di afferrare, prendere (figur. volgere il desiderio, la volontà, l'intento), quindi anche intraprendere, agognare, impossessarsi. Radice... (Continues)
Friedrich Nietzsche - Aurora (Morgenröthe), Pensieri sui pregiudizi morali, Libro III, §173. Gli apologeti del lavoro
Anche stavolta mi pare che sia la semantica che l'etimologia dabbiano ragione a Riccardo. Magari, caro Gian Piero, si potesse "lavorare" sempre con e su quello che ci è più congeniale!
Eppure, Riccardo, in origine (tempi precedenti l'inizio dello sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo?) la parola pare abbia avuto un significato positivo. La radice LABH sembra infatti avere il significato base di afferrare, prendere (figur. volgere il desiderio, la volontà, l'intento), quindi anche intraprendere, agognare, impossessarsi. Radice... (Continues)
giorgio 2011/11/17 - 08:20
Puoi immaginare, Giorgio, come io abbia preso la tua dissertazione di linguistica storica: queste sono le cose più "mie" che possano esistere, e anche se poi nella vita ho fatto (o non ho fatto) tutt'altre cose, davanti alla storia delle lingue e delle loro parole provo ancora meraviglia e desiderio di conoscenza. Il lavoro, già; ci uccide poco a poco. Oppure anche assai rapidamente. Soltanto l'altro ieri si sono avute quattro morti sul lavoro in Italia. E non dico altro.
Riccardo Venturi 2011/11/17 - 10:50
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Alla fine dell’introduzione al Buchenwald-Lied, scritto da Fritz Böda-Löhner all’inizio del suo calvario nei campi di concentramento hitleriani, Mario M. citava questi versi del grande poeta futurista russo Velimir Chlebnikov.
Nel 1982 Massimo Cacciari e Luigi Nono utilizzarono la poesia di Chlebnikov nella composizione per quattro voci femminili, flauto basso, violoncello e live electronics intitolata Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, dedicata “agli amici e compagni polacchi che nell’esilio, nella clandestinità, in prigione, sul lavoro, resistono – sperano anche se disperati, credono anche se increduli.”. Erano infatti gli anni dei grandi scioperi a Danzica, di Solidarność e della lotta non-violenta contro il regime comunista che sarebbe terminata soltanto nel fatidico 1989.