Stazioni ferroviarie illuminate,
rose rosse a noi mai destinate,
saluti che a noi non son rivolti,
donne belle che baciano altri volti,
non i nostri che tradiscon l’amarezza
di chi porta una valigia di tristezza.
Corre il treno sulle terre non più nostre...
Luci al neon che dal treno sembran giostre
d’ un mostruoso luna-park edificato
sulle terre che un giorno abbiamo arato.
Sbuffa il treno come un drago nella notte
e divora il paesaggio e se lo inghiotte.
Una foto di famiglia abbiamo in tasca
e la chiave d’una casa abbandonata,
non abbiam più l’illusione che rinasca
quella patria che c’è stata derubata.
Dove ferma il treno non c’è un domicilio
che ci aspetta, ma una tappa per l’esilio.
Noi viaggiamo verso un nulla, eternamente,
fra persone per le quali siamo niente.
All’arrivo c’è nessuno ad aspettarci,
non c’è donna che sia là per abbracciarci.
C’ è nessuno che saluta dal balcone
chi è cacciato dalla propria nazione.
Dove sono i cavalli scalpitanti?
Gli inni alla natura, i nostri canti?
Gli indirizzi delle vergini sognate?
I narghilè e le spezie profumate?
I caffè in cui finire le giornate
con gli amici in discussioni appassionate?
Non ci sono mantelli di tenerezza
per scaldare cuori in preda all’incertezza.
Siam farfalle sballottate in preda al vento,
siamo un eco perso ormai nel firmamento,
fuochi spenti, un lamento inascoltato
un ricordo moribondo d’un passato.
Per noi non c’è mai stato su quel treno,
un sedile riservato e tantomeno
la fermata in cui ci sia chi ci attende,
dove gente come noi infine scende
su una terra ch’è protetta da un confine.
Corre il treno nella notte senza fine.
rose rosse a noi mai destinate,
saluti che a noi non son rivolti,
donne belle che baciano altri volti,
non i nostri che tradiscon l’amarezza
di chi porta una valigia di tristezza.
Corre il treno sulle terre non più nostre...
Luci al neon che dal treno sembran giostre
d’ un mostruoso luna-park edificato
sulle terre che un giorno abbiamo arato.
Sbuffa il treno come un drago nella notte
e divora il paesaggio e se lo inghiotte.
Una foto di famiglia abbiamo in tasca
e la chiave d’una casa abbandonata,
non abbiam più l’illusione che rinasca
quella patria che c’è stata derubata.
Dove ferma il treno non c’è un domicilio
che ci aspetta, ma una tappa per l’esilio.
Noi viaggiamo verso un nulla, eternamente,
fra persone per le quali siamo niente.
All’arrivo c’è nessuno ad aspettarci,
non c’è donna che sia là per abbracciarci.
C’ è nessuno che saluta dal balcone
chi è cacciato dalla propria nazione.
Dove sono i cavalli scalpitanti?
Gli inni alla natura, i nostri canti?
Gli indirizzi delle vergini sognate?
I narghilè e le spezie profumate?
I caffè in cui finire le giornate
con gli amici in discussioni appassionate?
Non ci sono mantelli di tenerezza
per scaldare cuori in preda all’incertezza.
Siam farfalle sballottate in preda al vento,
siamo un eco perso ormai nel firmamento,
fuochi spenti, un lamento inascoltato
un ricordo moribondo d’un passato.
Per noi non c’è mai stato su quel treno,
un sedile riservato e tantomeno
la fermata in cui ci sia chi ci attende,
dove gente come noi infine scende
su una terra ch’è protetta da un confine.
Corre il treno nella notte senza fine.
Contributed by Dq82 - 2020/12/1 - 17:15
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[2020]
Nuovo Cantacronache 6. Esilio, Esodo, Eccidio, Erranza…
Testi/ lyrics: Beppe Chierici
Musica / Music / Musique / Sävel: Giuseppe Mereu (Doc Pippus)
Questo disco richiede un esercizio di immaginazione. Proiettatevi in una qualunque cittadina mediterranea, meglio se lambita da questo mare, che a guardarlo da est sembra poi più un golfo che un mare. Ci siete? Bene. Ora date aria alle vostre gambe, vagabondate in qualche vicolo fuori dalle rotte turistiche. Vi chiedo di prediligere, potendo scegliere, quelli in cui scorgete panni stesi ad asciugare, tra muro e muro, casa e casa, famiglia e famiglia. Panni che sono già un trattato non scritto, ma ben più saldo, di amicizia. Ecco, ora fermatevi un attimo: vi siete accorti che da una delle finestre esce una voce di donna, una voce fuori dal tempo, una voce che fluisce con naturale noncuranza, così come di chi canti facendo altro. Non potete che restare ancora un poco e tendere voi stessi, non dico l’orecchio, dico proprio voi stessi, tutto quello che siete, verso quella finestra. Quelle canzoni, quelle note, quelle parole sono lì per voi. Sono melodie che vi sembra di aver sempre sentito, eppure ve le siete scordate, persi in altri traffici, in altre frettolose incombenze, tutte le volte che avete cercato disperatamente di sentirvi contemporanei. Per questo siete ancora lì, a seguire con il pensiero queste canzoni che invece non hanno né fretta di finire presto nei 3 minuti a cui vi hanno abituato le vostre radio, né paura di non essere alla moda. Talvolta riconoscete un’altra voce, vi sembra che abbia una certa aria di familiarità con la prima, potrebbe essere la figlia, azzardate. Intanto le parole vi stanno raccontando storie antiche, ma che a voi sembrano così nitidamente chiare, vive. Vi dicono di Gerusalemme e del suo strazio, di lampioni in lutto per una città che va in fiamme, di un mondo che rotola giù verso il suo oscuro precipizio, ma anche di padri e di madri, di amori difficili, di religioni in guerra che, prima ancora degli altri, uccidono sé stesse. Soprattutto vi parlano di esilio, quello che da secoli, ovunque, i vincitori impongono ai perdenti, quello che diventa un destino da trascinarsi dietro, sempre, ovunque. Voi non siete esiliati, i vostri bimbi a scuola devono temere solo brutti voti, non una bomba che in un attimo spazzi via tutto, eppure quelle canzoni, lo sentite bene, vi stanno dicendo qualcosa di voi, di chi eravate, e di chi siete. Forse, chissà, anche di chi sarete. Perché quelle di Mireille Safa e di sua figlia Chloé sono voci di rabdomanti: attraverso l’intensa poesia di Mahmoud Darwish, poeta palestinese amorevolmente volto in italiano dal grande vecchio Beppe Chierici, esse sembrano risvegliare qualcosa in voi, sono venute a cercarvi. Lasciatevi trovare.
cenacolodiares