Raccomando anche l'ascolto della bella versione di Rhiannon Giddens
B.B. 26/5/2020 - 22:37
Trovo alle pp. 60-61 della tesi di AnneMarie Cordeiro citata all'inizio dell'introduzione questa efficace spiegazione della vicenda raccontata da Geeshie Wiley nella sua “The Last Kind Words Blues”:
Wiley embodied her songster-folk singer identity in this song’s lyrics. While this piece is an original work, in her composition she drew from the collective memory of her peers and ancestors for some words and images. “The Last Kind Words Blues” is obviously a war song from World War I, given its reference to “the German War.” Wiley began by recounting the final requests of her lover before he leaves for the front. He morbidly describes his instructions for her following his imminent death: send his pay to my mother-in-law, and leave his body for the scavenger birds. If by chance he avoids that fate and comes home, she should look for him to come across the field, he will bring a gift back to... (continuer)
Caro Riccardo, prima ancora di mettermi a tradurre questa canzone mi permetterai una precisazione. Ci andrei molto cauto con l'attribuzione del turco (e delle lingue turciche) alla “famiglia altaica” (e ancor di più alla “famiglia uralo-altaica” nella quale alcuni volevano includere anche le lingue ugrofinniche per certe concordanze strutturali). L'ipotesi dell'esistenza di una “famiglia altaica” è tuttora molto dibattuta, e, detto in estremi soldoni, si tende oggi a considerare certe concordanze come dovute a vicinanza e prestiti tra le varie lingue, e non all'appartenenza ad una vera e propria famiglia linguistica. C'è stato un periodo in cui la “famiglia altaica” (o “uralo-altaica”) era stata spinta talmente in là da comprendere non solo l'ungherese e il finlandese, ma anche il giapponese, l'ainu e il coreano (e persino il tamil, le lingue paleosiberiane e alcune... (continuer)
E' curioso che questa dei Tri Yann non sia stata inserita nell'orribile "Canzoniere del Coronavirus". Comunque nel "Barzhaz Breizh" de La Villemarqué se ne trova un'altra altrettanto importante scritta nel dialetto della Cornovaglia e dal titolo "Bosenn Elliant" ovvero "La peste d'Elliant". Narra della devastante pandemia che rase al suolo appunto la cittadina di Elliant, uccidendo 7100 persone. Si salvarono una anziana donna di 60 anni e il suo figliolo. Nel cimitero i morti ammassati superavano l'altezza delle mura di cinta e anche la chiesa ne era colma, si dovettero benedire i campi per sotterrarli tutti. Era la stessa peste descritta dal Manzoni ne "I promessi sposi", la seconda delle quattro pandemie (questa compresa) che nei secoli hanno colpito l'umanità. Una leggenda aleggia su questa canzone secondo la quale il giorno del pardon nel borgo di Elliant un giovane mugnaio mentre passava... (continuer)
E poi c'è anche Mollica Vincenzo, inventore del "mollichismo", estrema frontiera del glande - pardon - grande giornalismo... E anche lì, mica pangrattato!
B.B. 25/5/2020 - 18:48
...e ricordo anche che, tra gli autori del sito, abbiamo anche il siciliano Mimmo Mòllica, che però ha opportunamente accentato il suo cognome per una pronuncia corretta. L'altrettanto siciliano Pippo Pollina, invece, non ha mai accentato il suo cognome e, ancora adesso, oscilla tra "Pòllina" e "Pollìna". E' un po' quel che è storicamente successo all'antica famiglia latifondista sarda dei Còssiga (che, in sassarese, significa "Corsica"), che, dai dai, è diventata Cossìga. Il suo parente Berlinguer (cognome catalano) sarebbe stato "Berlinguèr", però per tanti era "Bèrlinguer". Seguendo l'origine catalana, si sarebbe dovuto dire però "Berlinghè". Per non parlare della vexata quaestio: rùbrica o rubrìca...?
PS. Comunque sappi che l'immagine del pangrattato ottenuto da Vincenzo Mollica mi provocherà, stanotte, incubi di non facile dissoluzione. In senso lato, la cosa mi ricorda una delle scene finali di "Fargo" dei fratelli Cohen, dove il peraltro magerrimo Steve Buscemi viene tritato in una cippatrice...