Trecentotrentacinque milioni di volte
trecentotrentacinque eternità trecento-
trentacinque milioni virgola trecento-
trentacinque periodico
11 ottobre 2013
L.L. 11/10/2013 - 15:20
Duro il presidente dell'Anpi Roma ( Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) Francesco Polcaro: «Non posso dire che piangerò. È morto un assassino che ha ucciso più persone di un serial killer, che non si è mai pentito di quello che ha fatto e che peraltro ha vissuto una vita lunghissima in parte anche felice. Per moltissimi anni infatti dopo la seconda Guerra Mondiale Priebke è stato padrone di se stesso, ha vissuto una vita normale, in Sud America, arrivando anche a diventare presidente di un'associazione culturale a Bariloche, in Argentina. Ha iniziato a scontare la sua pena da non moltissimo, dopo essere stato estradato in Italia. È naturale che una persona di cento anni muoia e non ho altri commenti da fare. Mi auguro solo che le autorità non permettano che i funerali di questa persona si trasformino in una manifestazione di apologia del nazismo. Per i partigiani resterà sempre un feroce assassino e un nazista».
Non mi pare che su questa pagina ci fosse una sola immagine del Erich Priebke, finalmente andato al Diavolo un paio di giorni fa... Meglio ricordarsi sempre la faccia dei boia...
perché attribuire questa canzone a Gaber, visto che è di Herbert Pagani?
mauro 11/10/2013 - 11:04
Ha ragione Mauro, la canzone è di Herbert Pagani.
Strano che sul sito ufficiale di Giorgio Gaber non si faccia alcun cenno alla cosa.
Fra l'altro, sempre sulla pagina della Fondazione Gaber, la canzone viene datata al 1965, mentre l'album "L'asse di equilibrio" di cui fa parte fu pubblicato nel 1968.
Quindi, siccome Pagani la incise come singolo nel 1967, la canzone è sicuramente da attribuire a lui, anzi, testo di Herbert Pagani e musica di Tony De Vita (1932-1998), pianista, compositore e direttore d'orchestra, celebre per le sue conduzioni musicali di programmi RAI e Mediaset dagli anni 60 fino agli 80.
Altri versi sull'eccidio di piazzale Loreto del 1944, questi di Alfonso Gatto (1909-1976), dalla raccolta intitolata "Il capo sulla neve", 1947.
PER I COMPAGNI FUCILATI IN PIAZZALE LORETO
Ed era l’alba, poi tutto fu fermo
La città, il cielo, il fiato del giorno.
Restarono i carnefici soltanto
Vivi davanti ai morti.
Era silenzio l’urlo del mattino,
silenzio il cielo ferito,
un silenzio di case, di Milano.
Restarono bruttati anche di sole,
sporchi di luce e l’uno e l’altro odiosi,
gli assassini venduti alla paura.
Era l’alba, e dove fu lavoro,
ove il piazzale era la gioia accesa
della città migrante alle sue luci
da sera a sera. Ove lo stesso strido
dei tram era saluto al giorno, al fresco
viso dei vivi, vollero il massacro
perché Milano avesse alla sua soglia
confusi tutti in uno stesso sangue
i suoi figli promessi e il vecchio cuore... (continuer)