Da quando ho ascoltato la prima volta questa canzone, mi ha sempre affascinato questo chiedere scusa per qualcosa successo prima della nostra nascita. Qualcosa di completamente diverso dalla Chiesa che chiede scusa per la persecuzione di Galileo, tanto per fare un esempio....
La traduzione sarà sicuramente piena di inesattezze, in realtà non so neanche come mi sia venuto in mente di provarci, aiutatemi pure a migliorarla...
I BEG YOUR PARDON (continuer)
3/6/2005 - 15:40
Non ti dico neppure se sia o meno "piena di errori" come dici tu (non lo è, ma non è importante), e la lascio così com'è. Sicuramente capirai perché.
Quando Hirsh Glik scrisse questa canzone aveva appena 16 anni. Rimase molto impressionato dalle notizie della rivolta nel ghetto di Varsavia, giunte a Vilnius proprio quando 15 partigiani ebrei, suoi amici, persero la vita nel primo scontro con i nazisti.
se il cielo fosse carta e tutti i mari del mondo inchiostro, non potrei descrivervi le mie sofferenze e tutto ciò che vedo intorno a me. Il campo si trova in una radura. Sin dal mattino ci cacciano al lavoro nella foresta. I miei piedi sanguinano perché ci hanno portato via le scarpe. Tutto il giorno lavoriamo quasi senza mangiare e la notte dormiamo sulla terra - ci hanno portato via anche i nostri mantelli.
Ogni notte soldati ubriachi vengono a picchiarci con bastoni di legno, e il mio corpo è nero di lividi come un pezzo di legno bruciacchiato. Alle volte ci gettano qualche carota cruda, una barbabietola, ed è una vergogna: ci si batte per averne un pezzetto e persino qualche foglia. L’altro giorno due ragazzi sono scappati, allora ci hanno messo in fila e ogni quinto della fila veniva fucilato. Io non ero il quinto, ma so che non uscirò vivo di qui.
A qualcuno questa canzone potrà forse sembrare eccessivamente fanciullesca (infatti, ricorda canzoncine infantili come quella dei dieci elefanti che si dondolavano sopra un filo di ragnatela, o la nursery song "Ten Little Niggers [o Indians]" resa celebre da Agatha Christie).
Liberi di pensarla come volete ma io, fin dalla più tenera età, ho sempre trovato terribilmente drammatico questo sparire uno a uno dei soldati, e anche quel ritornello in quasi-italiano che a me pare un ritratto vivissimo dei soldati della prima guerra mondiale: poveri contadini semianalfabeti stanchi morti di marciare e di veder morire i compagni.
Sia come sia, io è da questa canzone che ho imparato a odiare la guerra. (E anche a contare in milanese, che è sempre utile, coi tempi che corrono. :-))
A proposito: della seconda seconda parte ho ovviamente tradotto solo le ultime due strofe, perché il senso del resto... (continuer)
Siamo "in uno", siamo in due, (continuer)
envoyé par Cingar Scampasoga (Marco Cimarosti) 1/6/2005 - 19:54
Someone might think that this song is too childish and naïve to be considered an antimilitarist song (and indeed it reminds of nursery songs such as the famous "Ten Little Niggers [or Indians]" made famous by novelist Agatha Christie).
However, since my childhood I always felt that the progressive "disappearing" of the ten soldiers was terribly dramatic, albeit accompanied by these childish and naïve rhymes. Even the mixed language in the refrain (which is a sort of hybrid, half way between Milanese and Italian) seems like a lively portrait of Italian soldiers in First World War: semi-illiterate peasants tired of marching to no-where and of seeing their fellow soldiers die.
Whatever you may think of it, it is from this very song that I learned to hate war (and, at the same time, I also learned to count in Milanese, which is a really useful skill to have. :-))
The spelling of Milanese (the... (continuer)
There was "one of us", now there is two of us, (continuer)
È un tipico esempio di "canzone a catena" o "missing song", di cui potete leggere in questo lungo post di Riccardo Venturi, costruito a partire dalle "Cinque Anatre" di Guccini.