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Chico Mendes

Gang
Language: Italian


Gang

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Related Songs

Eurialo e Niso
(Gang)
Chico Mendes
(Brita Brazil)
Lacrime del sole
(Gang)


[1991]
Dall'album "Le radici e le ali"
Testo e musica di Sandro e Marino Severini e David Riondino
le radici e le ali

Riproposta (con nuovo arrangiamento) in "Il seme e la speranza" [2006]

Il padre di Chico, Francisco Mendes, arrivò nel 1926 nel remoto Stato di Acre nella selvatica e isolata Amazzonia occidentale al confine con la Bolivia e il Perù, per lavorare nell’estrazione della gomma ottenuta dagli alberi del caucciù (Hevea brasiliensis). Arrivò fuggendo dalla estrema povertà del desertizzato Stato del Ceará nell’altra parte del Brasile. È interessante notare che i Mendes erano stati impegnati nella lotta contro il tracciato di una strada, da quella strada poi passò un’esercito di disperati, rendendo la loro vita ancora più misera. Uno dei motivi che li hanno costretti ad emigrare.
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Francisco Mendes andò ad abitare nel seringal (1) Santa Fe, vicino alla città di Xapurí e divenne seringueiro (vedi riquadro-cliccando sopra per ingrandire). Ha avuto cinque settimane di tempo per navigare i fiumi Purus e Acre, affluenti del Rio delle Amazzoni per arrivare da Manaus a Xapurí. La sua vita non era facile, un seringueiro doveva “sangrar”(2) tra i 100 e i 200 alberi della gomma al giorno per avere un guadagno che gli permettesse di vivere. A sette ore di pagaia dal suo seringal c’era l’abitazione di Iraci Lopes Filho, figlia e nipote di seringueiros, futura madre di Chico.
Francisco (Chico) Alves Mendes Filho è nato la notte del 15 dicembre 1944 nel sito di Pote Seco nel seringal Porto Rico. E' cresciuto in un ambiente, dove predominava l’analfabetismo, l'abbandono, l'isolamento, la povertà estrema, la mancanza di tutto e lo sfruttamento più feroce.
Nel 1945 finì la grande richiesta di gomma causata dal consumo per l’industria bellica della seconda guerra mondiale e la situazione in Amazzonia peggiorò. Gli americani abbandonarono i porti e gli aeroporti e i raccoglitori di gomma erano costretti a svendere la gomma ai mercanti ambulanti improvvisati arrischiandosi a violare l'obbligo di vendere solo ai seringalistas (3). Il quotidiano “El diario A Provincia do Pará” stimò che dei “soldati della gomma” su 50.000 censiti, 23.000 erano morti “senza pane e senza assistenza medica”.
Seringueros
Chico ebbe la fortuna di incontrare Euclides Fernández Távora, un rifugiato politico in Amazzonia, un comunista che nel 1935 aveva partecipato alla “rivolta rossa” che gli costò anni di carcere e dopo, l’esilio in Bolivia. All'età di 14 anni grazie a lui Chico imparò a leggere e a scrivere utilizzando vecchie riviste e giornali. Si interessò a quello che succedeva nel mondo grazie ad una radio ad onde corte che Euclide aveva portato dalla Bolivia. Nel 1970, il Presidente brasiliano Medici decise di costruire una strada Transamazzonica di 5.000 Km per offrire “una terra senza uomini agli uomini senza terra”. Ma la terra offerta, non era né fertile, né vuota: c'erano già gli indios, c'erano già gli abitanti delle rive del fiume e c'erano i seringueiros. Tutte persone che vivevano nella foresta e se ne prendevano cura. Le strade sconvolsero la vita di circa 96 tribù di indios. Solo i nambiqwara, conosciuti e ammirati dall'antropologo Levi-Strauss, dopo che il tracciato della strada BR-364 passò nelle loro terre, si ridussero da 20.000 a 650. Padre Turrini, missionario a Rio Branco, ha rivelato che su mille bambini nati nello Stato di Acre, 838 morivano entro il primo anno di vita.
seringuero

La deforestazione intensiva e gli incendi dolosi si intensificarono durante le due decadi seguenti alimentati dai fazendeiros (4) e dai garimpeiros (5). I boschi millenari venivano sostituiti da aziende agricole e allevamenti di dubbia e discutibile durata e redditività. In Amazzonia l’espansione agricola è insostenibile, il bestiame, zebù (Bos taurus indicus), è importato dall'India ed è macellato per essere utilizzato (ad esempio) negli hamburger di McDonald's. Quando piove il terreno fragile, indifeso, si erode rápidamente. In pochi anni le fattorie abbandonate dell'Amazzonia come i giacimenti esauriti del Mato Grosso, assomigliano ad un semi-deserto. Così gli indios e i seringueiros sono costretti ad emigrare e a stabilirsi nei ghetti delle baraccopoli e nelle favelas, senza radici e senza lavoro.
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Negli anni '70 si falsificavano e si adulteravano i titoli di proprietà e si concedevano titoli senza guardare se i terreni interessati erano territori indigeni o abitati da decenni dalle famiglie dei seringueiros. I fazendeiros bruciavano la foresta per “farla rendere”, ottenevano la proprietà di centinaia di migliaia di ettari e reclamavano sovvenzioni statali. Gli incendi passarono da sporadici a massicci, gli Stati di Rondonia e Acre bruciavano da tutte le parti approffittando delle condizioni date dalla stagione secca.

Sindicato
"Non firmate niente!" diceva Chico ai seringueiros. "Questa terra è vostra. Quando la si trasforma in denaro, si perde la capacità di sopravvivere. La terra è la vita". Ma quelli che non firmavano venivano minacciati, sfrattati con la forza e spesso uccisi da assassini inviati dai fazendeiros. La nuova autostrada BR-317 che collega Rio Branco con Xapurí aumentò come in un incubo il numero degli incendi, i latifondisti di San Paolo, per bruciare pù velocemente la foresta, non esitarono nemmeno ad usare il napalm. Bruciati gli alberi il suolo si erodeva e dalle pozzanghere salivano nuvole di zanzare, trasmettendo la malaria. In quegli anni i missionari cattolici pubblicano il "Catechismo della Terra", che spiega i diritti fondamentali dei seringueiros. Il primo sindacato dei raccoglitori di caucciù si costituì nel 1975. Tra i suoi capi c’erano Wilson Pinheiro e Chico Mendes. Pinheiro venne ucciso da assassini prezzolati nel luglio 1980.
Alla fine degli anni '70 il prezzo dell'oro è salito e la "corsa all'oro" ha colpito l’Amazzonia. Nel marzo 1980 c’erano cinquemila persone che lavorano nel garimpo (6) di Serra Pelada, nel 1983 erano 100.000 e continuavano ad arrivare e a vivere in condizioni disumane. Si costruivano piste di atterraggio dove si intrecciavano i traffici illegali dell’oro, degli animali selvatici, della droga e la prostituzione. Parte dell'oro veniva raffinato con il mercurio. Per ogni tonnellata di oro, veniva versata una tonnellata di mercurio nell'ecosistema. Le analisi del sangue degli indios kayapó che abitavano vicini ai garimpos rivelarono che oltre il 25% della popolazione aveva un eccesso di mercurio e lo stesso eccesso fù rilevato nella totalità dei pesci.
Di fronte all’invasione della foresta da parte di avventurieri senza scrupoli, i seringueiros e i piccoli produttori capiscono che se non difendono la foresta perdono il lavoro e le loro condizioni di vita. Così iniziarono a mobilitarsi con gli “empates”(vedi riquadro-cliccando sopra per ingrandire). Chico è appoggiato dal sindacato, ma quando si avventura nella contesa elettorale non ottiene i voti e il sostegno previsto. Lo scrittore Javier Moro su questo dice “è che Chico non era dogmatico, si è sempre scontrato con i limiti imposti dalle diverse ideologie, la sua era più un’autorità morale che politica”. Chico Mendes tuttavia, sfrutta i comizi elettorali per denunciare il disboscamento illegale, gli sfratti violenti e gli arresti arbitrari. Nell'aprile del 1983 sposa
Ilzamar Moacyr, in luna di miele vanno a un congresso della C.U.T. a San Paolo. Poi vanno a vivere in una casa in affitto.
Nei primi anni '80 il governo del Brasile di fatto, spinge il progetto Polonoroeste che ha lo scopo di "messa in produzione" di 25 milioni di ettari di terreni quasi tutti forestati al confine con la Bolivia. Per consentire questo doveva essere ampliata estendendola di 1200 chilometri, l’autostrada BR-364 unendo Cuiabá, capitale del Mato Grosso, con Porto Velho, capitale della Rondonia. La Banca Mondiale (BM) e la Banca Interamericana di Sviluppo (BIS), ignorando le indicazioni dei propri esperti in materia ambientale, finanziarono il progetto. Le previsioni già da allora erano chiare, dopo la BR-364 sarebberero arrivati: l'annientamento degli indios, la devastazione della foresta, l'estinzione delle specie animali della foresta pluviale, l'erosione del suolo, il disastro sociale ed economico. Poco dopo la strada, toccò al fiume Tocantins, un affluente del Rio delle Amazzoni, le sue acque vennero invasate da Tucuruì, in quel momento la quarta più grande diga idroelettrica del mondo, oggi considerata un disastro ambientale, sanitario e sociale. Ancora non molto tempo dopo arrivò un altra sventura: la mega-diga di Balbina, costruita per fornire elettricità alla zona industriale di Manaus. Questi atti provocarono negli Stati Uniti la presentazione di progetti di diritto ambientale, venne chiesto che prima di finanziare questi tipi di lavori venissero presentati gli studi di impatto ambientale: "facili da manipolare, ma almeno un buon inizio", disse allora Barbara Bramble, della National Wildlife Federation che conosceva e sosteneva la lotta di Chico. Assieme a Bruce Rich, Blackwelder, Steve Schwartzman e altri ambientalisti americani, iniziarono un lavoro d lobbying al Congresso, mettendo in discussione la Banca Mondiale. Il Dipartimento del Tesoro chiese per la prima volta spiegazioni alla BM, Goodland e Price consiglieri della BM esibirono rapporti completi sulle catastrofi ambientali e sociali finanziate dalla Banca.
Nel frattempo, Adrian Cowell, un regista britannico, ha scioccato il mondo con una serie intitolata "The Decade of Destruction", girato in Amazzonia, che comprende "Betting on Disaster", un documentario con le immagini agghiaccianti degli incendi e le tragiche conseguenze dopo la costruzione della strada BR-364. In quel periodo in tutto il mondo iniziò una raccolta di firme per una lettera alla BM. Se ne raccolsero tantissime tra le organizzazioni più disparate, dalle Organizzazioni Non Governative (O.N.G.) al Bundestag (Parlamento) tedesco. Poco dopo si riuscì a bloccare temporaneamente i fondi della BM fino a quando nel 1985 il governo brasiliano ha finalmente demarcato un territorio per gli indigeni. La BR-364 continuò ad andare avanti.
Tony Gross e Mary Allegretti un’antropologa di Brasilia che aveva conosciuto Chico e lavorato nella foresta, rafforzano il movimento internazionale per attirare l'attenzione sull’Amazzonia. A quel tempo, Chico elaborò negli incontri con i seringueiros l'idea di creare "riserve estrattive", zone della foresta pluviale dove poter raccogliere non solo il caucciù ma
anche frutti selvatici e medicinali naturali. Si dimostrò che un ettaro di foresta produce (solo in gomma, noci, resine e frutta) molto di più di un ettaro dedicato al bestiame. Inoltre queste riserve garantiscono la conservazione delle foreste e delle popolazioni indigene.
Nel 1987 Chico, incoraggiato dai suoi amici antropologi e ambientalisti, si reca negli Stati Uniti. Parla con i manager della BM e della BIS e spiega l'idea delle riserve estrattive pur criticando le strade transamazzoniche. Poco dopo, a Washington, si sottopone ad una serie di interviste e partecipa ad una riunione del Senato degli U.S.A.. Immediatamente dopo, il senatore Kasten chiese spiegazioni alle due Banche sui disastri in Rondonia e Acre. Il viaggio di Chico negli U.S.A. è stato un successo, ma ha anche scatenato reazioni avverse, soprattutto tra i proprietari terrieri Brasiliani.
Nel frattempo, a metà del 1987, il satellite NOAA-9 rileva grandi incendi in Amazzonia. Quella stagione, ai lati della BR-364, ci sono stati più di 200.000 incendi. Il doppio della superficie della Svizzera bruciava. Setzer, il ricercatore brasiliano, che aveva seguito le immagini satellitari sul suo computer, stimò che gli incendi avevano immesso nell’atmosfera oltre 500 milioni di tonnellate di carbonio; pari al 10% dell’apporto mondiale dei gas serra che influenzano il clima ogni anno.
Nel giugno del 1987, Chico ricevette il premio Global 500 delle Nazioni Unite, che lo catapultò nel palcoscenico internazionale anche se il governo brasiliano e i media del suo paese lo ignorano. Chico andò a Londra per ritirare il premio, alla cerimonia partecipò la stampa internazionale. Poco dopo a New York ricevette un premio dalla Better World Society, creata da Ted Turner, proprietario della CNN. Chico ha stimato che col costo di una colazione al Waldorf Astoria, una famiglia seringueiros poteva vivere per quattro mesi.

Dom Moacyr Grechi vescovo di Porto Velho capitale di Rondonia, uno dei più conosciuti ed ascoltati vescovi del Sud America, sostiene sia le proposte di Chico che la sua opposizione al modello "di sviluppo" che pretendono di imporre all’Amazzonia. Nel novembre del 1987 Chico tiene un discorso nell'Assemblea legislativa dello Stato di Acre. Si inizia una resistenza e uno storico “empate” nel seringal di Cachoeira contro i tentativi di registrazione e di colonizzazione agricola. Chico spinge per l’espropriazione e per la trasformazione in riserva estrattiva. Nel giugno 1988 il Comune di Rio gli consegna le chiavi della città, è il primo riconoscimento pubblico del suo paese. Ma arriva tardi, la violenza dei latifondisti ad Acre cresce. Dopo un nuovo omicidio di un leader seringueiro, il governo federale ha stabilito che i seringales Cachoeira, Sao Luis do Remanso, e altri due, si convertano nelle prime riserve estrattive del Brasile. Ma il clima di ritorsioni creato dai fazendeiros non si ferma.
Il 6 dicembre 1988, a San Paolo, Chico partecipa a un seminario sull’Amazzonia organizzato dall’Università. Lì pronuncia il famoso discorso che conclude con queste frasi: “Non voglio fiori sulla mia tomba, perché io so che andranno a estirparli nella selva. Voglio solo che la mia morte serva per porre fine all'impunità degli assassini che contano sulla protezione della polizia di Acre e che dal 1975 hanno ucciso nella zona rurale più di 50 persone come me, leader seringueiros impegnati a salvare la foresta amazzonica e a dimostrare che il progresso senza distruzione è possibile”. Il 22 Dicembre del 1988, nella sua casa di Xapurí, Chico riceve nel petto l'impatto di un proiettile proveniente da un colpo sparato a distanza ravvicinata dal buio.


Note:

1. Seringal : aree o proprietà con i seringas (gli alberi del caucciù), hanno un disegno particolare con sentieri che si inoltrano nelle foresta.

2 . Sangrado: azione di incisione della corteccia dell’hevea, non troppo in profondità per evitare di danneggiare l'albero. La linfa che scorre dal taglio viene raccolta in un contenitore chiamato tigelinha . Dopo il lattice è affumicato dal seringueiro, che gli dà la forma di una palla.

3. Seringalista : proprietario di seringal , i seringalistas punivano violentemente la vendita di gomma ad altri collettori.

4. Fazendeiro: proprietario di piantagioni, allevatore, proprietario terriero.

5. Garimpeiro: cercatore d'oro.

6. Garimpo : luogo o giacimento dove si cerca l’oro, di solito prima i cercatori distruggono la foresta .


da francosotgiu1.blogspot.it






Chico Mendes: l'uomo e la foresta
Un amico, morto per gli indios e l'Amazzonia


Francisco “Chico” Mendes. 1944-1988.
Francisco “Chico” Mendes. 1944-1988.


Chico Mendes. Una foresta grande che di più non se ne può. Un polmone necessario all'umanità, un gigantesco valore commerciale per i capitalisti, per i padroni delle fazendas (fattorie) che sono pronti a tutto pur di poter espandere il loro profitto. I tronchi degli alberi dell'Amazzonia sono alti e ben robusti, ma nulla possono sotto i colpi delle asce del capitale.

È il 10 Marzo 1976: gli alberi trovano degli alleati irriducibili. Sono i lavoratori, i proletari brasiliani che organizzano quello che in portoghese si chiama "empates" ossia (dal verbo empatar: impedire), una azione tesa ad evitare a tutti i costi il disboscamento delle foreste. La notizia prende corpo su tutti i giornali del Brasile: è nelle colonne delle prime pagine. A Xapuri c'è un giovane parroco, si chiama Luigi Ceppi e ha fatto sua la causa dei raccoglitori di caucciù (i seringueiros). Don Luigi racconta che i seringueiros hanno pacificamente occupato le terre, si sono riuniti in assemblee popolari per decidere come meglio agire contro la speculazione e la classe padronale che avanza a suon di dollari contro il verde della foresta. Sono mesi di lotte durissime. Chico Mendes le racconta con passione e getta la sua anima in questa battaglia di civiltà e di rispetto della natura e dell'uomo. I seringueiros vincono: il governo di Brasília cede e decreta l'intangibilità della foresta. L'empates è riuscito!

Chico Mendes è figlio della foresta, è figlio proprio di un raccoglitore di caucciù e sin da piccolo aiuta il padre nel suo lavoro. Si sposta con lui nell'Amazzonia fino a conoscerla nelle più profonde problematiche e nel suo splendore al tempo stesso. Mentre nel 1968 in Europa divampa la presunta "rivoluzione" sociale, in Brasile si acuisce lo scontro tra i sindacalisti marxisti ed ambientalisti come Chico e i mercanti di gomma. Lo sfruttamento del lavoro è ai massimi livelli. Gli empates aumentano sempre più e dal 1977 al 1987 purtroppo le sconfitte sono parecchie, tanto che portano alla carcerazione di centinaia di seringueiros. Il movimento sindacale di Chico evita sempre ogni anche minimo spargimento di sangue nonostante già dal 1978 la repressione governativa e borghese contro gli impedimenti asssuma proporzioni incontenibili. La polizia picchia i lavoratori, li arresta e nega loro ogni diritto costituzionale.

Ma Chico ed i suoi compagni non si arrendono e organizzano la resistenza a queste offensive. Racconta lo stesso Mendes: «Realizzavamo un cordone e circondavamo l'area che stava per essere disboscata, non lasciavamo entrare nessuno e cominciavamo a smontare gli accampamenti. Nessuno di noi era armato, per meglio dire avevamo due o tre persone armate ma con la ferma raccomandazione di agire solo nel caso che si minacciasse la vita di qualcuno. Il nostro obiettivo era quello di convincere i tagliatori di alberi a mettersi dalla nostra parte. Sempre riuscivamo a conseguire l'adesione. Ma quando la polizia arrivava questi erano obbligati a mettersi contro di noi. Ricordo che per quattro volte la polizia picchiò la gente e poi, tutti insanguinati, ci chiudevano in una camionetta e, tutti insieme, cominciavamo a cantare gli inni religiosi. Arrivavamo al commissariato, in più di cento, e non c'era posto per collocarci, se non nei corridoi. Alla fine la polizia ci liberava». Il Sindacato dei lavoratori rurali di Mendes prende sempre più corpo e queste lotte si diffondono in tutta l'Amazzonia, in particolare nella sua regione, l'Acre, che confina con Perù e Bolivia.

In questi tribolatissimi anni '70 è lo sviluppo della rete stradale brasiliana a condurre un grande numero di allevatori contro la foresta. Si riaffilano le asce e si riprende ad uccidere il verde polmone dell'America Latina. C'è bisogno di pascoli per questi borghesi disboscatori: c'è bisogno di terra pianeggiante, comunque libera da quell'"ingombro" che per loro sono le piante, gli alberi e gli indios... Alla fine del 1979 Luís Inácio da Silva, detto "Lula" (attuale Presidente del Brasile), fonda insieme a José Ibrahim il Partito dei Lavoratori (PT, Partido dos Trabalhadores). Si viene così a creare una forte consonanza, una simbiosi tra la Centrale Unica dei Lavoratori (CUT) e il nuovo soggetto politico. Lula, come Chico, è di origine nordestina e assimila nella sua lotta politica culture ed esperienze profondamente diverse fra loro: si va dalla chiesa alla lotta dei seringueiros. Questo esperimento politico induce Chico ad abbandonare il Partito Comunista del Brasile (PCdoB) e si schiera con il Partito dei Lavoratori. I comunisti del PCdoB lo etichetteranno come un "traditore", un grave errore dettato da una sciocca eccessiva sensibilità verso l'orgoglio. Mendes si adopera per la crescita del PT nello Stato dell'Acre. Insieme a Lula combatte contro il fazendeiro De Oliveira che resterà poi vittima di un attentato. L'accusa dell'omicidio verrà, ovviamente, gettata sui due sindacalisti e Lula scriverà: «Penso che Chico ha avuto la capacità di unire la lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e per migliori salari alla lotta in difesa dell'ecosistema. Chico Mendes, per tutto quello che è riuscito a fare, rimarrà per molto tempo nella storia del popolo brasiliano, soprattutto in quella delle popolazioni amazzoniche», una dichiarazione fatta dall'odierno Presidente del Brasile poco tempo dopo l'assassinio di Mendes.

Infatti Chico non si ferma un attimo nella sua lotta per la difesa degli indios, dei lavoratori e della foresta bagnata dal Rio delle Amazzoni. Molti fazendeiros nell'Acre lo avrebbero visto volentieri sotto due metri di terra da anni ed anni. Insomma, avrebbero pagato moneta sonante per liberarsi di quell'agitatore del proletarito... Uno più di tutti nutriva verso di lui un odio cieco: si trattava di Darly Alves da Silva, un potentissimo allevatore che a tutti i costi stava cercando di impossessarsi della tenuta di Cachoeira, tanto cara a Mendes. Fino ad allora, e siamo nel 1988, i seringueiros erano riusciti insieme a Chico a strapparlo sempre dalla voracità padronale. Aveva assunto dunque, quel luogo, anche un grande valore simbolico. Era una specie di roccaforte ambientale inespugnata. Per questo attirava anche altrettanto gli appetiti dei faccendieri brasiliani.

Darly Alves era riuscito in un primo tempo ad ottenere la fazenda per pochi soldi da altri proprietari, ma Chico era a sua volta riuscito a strappargliela di mano ed a consegnarla al popolo dei raccoglitori di caucciù con una petizione che dichiarava illegittima la proprietà di Alves su quella terra. Le autorità giudiziarie riconobbero giuste le rimostranze di Mendes, e la terra con la libertà di possederla a titolo popolare e non singolare, fu dei seringueiros. In quel periodo l'Acre pareva essere divenuto un territorio svantaggioso per i disboscatori, a causa della forte opposizione presente del PT, della lotta sociale e sindacale. Molti proprietari pensavano di trasferirsi altrove. Altri titubavano, altri preparavano la vendetta e la riscossa di morte.

Una calma apparente prima della tempesta... Chico era divenuto anche oltre frontiera un personaggio conosciuto e rispettato per le sue lotte sociali ed ambientali. Ma nell'Acre la sua sicurezza era precaria, tanto che in una intervista che rilasciò al "Jornal do Brasil" del 9 Dicembre 1988 disse: «Ultimamente la mia sicurezza è stata rafforzata grazie alla decisione del governatore dello stato dell'Acre, Flaviano Melo. Egli sa che il mio assassinio complicherebbe la situazione nell'Acre. Non credo che la morte di un seringueiro nell'Acre sia una novità. Adesso il nostro movimento è riconosciuto a livello internazionale, in particolare dalla Banca Mondiale, dal Bid e dal Congresso americano». Ma Chico sa che questo rafforzamento sulla protezione della sua persona è un puro palliativo: una situazione dai contorni mafiosi, incarnati da Alves e da altri padroni, è pronta a calargli addosso e ad annientarlo. Lui e il "mito" di Chico Mendes, che al di là dell'uomo spaventa più di tutto.

Affermerà poche ore prima di essere assassinato: «Con la presente esprimo la nostra preoccupazione per gli ultimi avvenimenti relativi ai pistoleros Darly e Alvarino Alves, entrambi proprietari della fazenda Paraná a Xapuri. Un mandato di arresto per i citati pistoleros fu spedito nel mese di settembre dall'Eccellentissimo signor giudice del Distretto di Umuarama, ma non ha trovato ancora esecuzione. Lei sa che ora sono obbligato a muovermi con due guardie del corpo perchè Darly e Alvarino dicono che si consegneranno alla giustizia solo dopo avermi visto morto. I loro sicari si muovono in tutta Xapuri minacciando costantemente chiunque. E quando la polizia militare ne arresta qualcuno, la polizia civile si adopera per liberarli. Non possiamo continuare con questa situazione di ingiustizia. Che concetto hanno della sicurezza la Polizia Federale e la Segreteria di Sicurezza?».

Chico viene barbaramente assassinato il 22 Dicembre 1988 sulla porta della sua casa a Xapuri. Per i suoi assassini, Darly e Alvarino Alves (che affermarono di essere gli autori del delitto), era un sindacalista da uccidere, una pedina scomoda da eliminare. Non avrebbero mai pensato che la sua morte sarebbe divenuta un boomerang sociale contro la smania profittuale che desiderava niente altro se non veder cadere sempre altri alberi al suolo.

Gli studi odierni sulla deforestazione ci dicono che nel 2011 in tutto il pianeta arriveremo ad un impoverimento irreversibile e insostenibile per l'aumento demografico mondiale. Tutto questo a meno che non si inverta la rotta e si proteggano i grandi centri di ossigeno del pianeta dalla distruzione voluta dal capitalismo affaristico. Eliminando così anche la perversa condizione di sfruttamento dei lavoratori di tutta l'America Latina e degli altri continenti.

Una bella canzone dei "Nomadi" a tal proposito dice: "...se quel giorno arriverà, ricordati di un amico, morto per gli indios e la foresta, ricordati di Chico!".

Marco Sferini
Marzo/Aprile 2004
Partito della Rifondazione Comunista - Federazione Provinciale di Savona
Chico ha un dente di topo
un coltello di pioggia
un occhio di legno
quando ride sbadiglia
e sua madre era la luna
notte smeraldo tamburi di festa
lingue di fuoco nella foresta
Ooooohhh Chico Mendes

Sole diamante sole guerriero
uomo di fango seringueiro
Chico lottava per il sindacato
Chico Mendes lo hanno ammazzato

Quando finirà questa sporca guerra
chi li salverà i custodi della terra

Son venuti dal fiume
non c'era la luna
hanno tutti un dollaro portafortuna
hanno tutti un fucile e una croce

Notte di fuoco danza di guerra
rossa di sangue sarà questa terra
Ooooohhh Chico Mendes

Come tre lampi sulle nostre vite
come una croce come tre ferite
Chico lottava per il sindacato
Chico Mendes lo hanno ammazzato

Quando finirà questa sporca guerra
chi li salverà i custodi della terra

Contributed by Riccardo Venturi - 2005/4/8 - 19:05




Language: German

Versione tedesca di Riccardo Venturi
Deutsche Fassung von Riccardo Venturi
27 luglio 2005
CHICO MENDES

Chico hat einen Rattenzahn
ein Messer aus Regen
und ein Holzauge
Wenn er lacht, gähnt er,
seine Mutter war der Mond.
Smaragdgrüne Nacht, Festtrommeln,
und Feuerzungen in dem Wald.
Oooooooh Chico Mendes.
Diamantsonne, Kriegersonne,
Schlamm-Mann, Seringueiro
Chico kämpfte für die Gewerkschaft,
Chico hat man denn ermordet.

WENN DIESER SCHWEINKRIEG ENDET
WER WIRD DIE ERDBESCHÜTZER RETTEN.

Sie sind durch den Fluß gekommen
es gab keinen Mondschein
sie alle haben einen Glücksbringer-Dollar
sie alle haben ein Gewehr und ein Kreuz.
Feuernacht, Kriegstanz
blutrot wird diese Erde.
Oooohhh Chico Mendes
wie drei Blitze auf unser Leben
wie ein Kreuz wie drei Wunden
Chico kämpfte für die Gewerkschaft,
Chico hat man denn ermordet.

WENN DIESER SCHWEINKRIEG ENDET
WER WIRD DIE ERDBESCHÜTZER RETTEN.

Diamantsonne, Kriegersonne,
Schlamm-Mann, Seringueiro
Chico kämpfte für die Gewerkschaft,
Chico hat man denn ermordet.

WENN DIESER SCHWEINKRIEG ENDET
WER WIRD DIE ERDBESCHÜTZER RETTEN.
WENN DIESER SCHWEINKRIEG ENDET
WER WIRD DIE ERDBESCHÜTZER RETTEN.

2005/7/27 - 23:54




Language: French

Version française – CHICO MENDES – Marco Valdo M.I. – 2012
Chanson italienne – Chico Mendes – Gang - 2006


Francisco Mendès Alves Filho dit Chico Mendes (né le 15 décembre 1944 à Xapurí au Brésil, assassiné le 22 décembre 1988 dans cette même ville) était le leader militant syndicaliste brésilien le plus connu parmi ceux qui ont défendu les droits des seringueiros, ouvriers chargés de recueillir le latex dans les plantations d’hévéa d’Amazonie. Après de nombreux combats syndicaux et personnels pour la défense de la forêt amazonienne et de ceux qui en vivent, il fut assassiné pour ses idéaux sur ordre d'un riche propriétaire terrien.
CHICO MENDES

Chico a une dent de rat
Un couteau de pluie
Un œil de bois
Quand il rit il bâille
Sa mère était la lune
Nuit émeraude tambours de fête
Langues de feu dans la forêt
Ooooohhh Chico Mendes

Soleil diamant soleil guérillero
Homme de boue seringueiro
Chico luttait pour le syndicat
Chico Mendes assassinat

Quand donc finira cette sale guerre
Qui donc sauvera les gardiens de la terre

Ils sont venus du fleuve
La Lune n'était pas là
Ils ont tous un dollar fétiche
Ils ont tout un fusil et une croix

Nuit de feu danse de guerre
Rouge de sang sera cette terre
Ooooohhh Chico Mendes

Comme trois éclairs sur nos vies
Comme une croix comme trois blessures
Chico luttait pour le syndicat
Chico Mendes assassinat

Quand donc finira cette sale guerre
Qui donc sauvera les gardiens de la terre

Contributed by Marco Valdo M.I. - 2012/11/23 - 19:59




Language: Esperanto

Tradukado: La Pupo
Chico havas musan denton
tranĉilo de pluvo
lignan okulon
Kiam li ridas, li oscedas
kaj lia patrino estis la luno
Smeraldan nokton, tamburoj de festo
langoj de la fajro en l' arbaro
Ooooohhh Chico Mendes

Suna diamanto suna batalanto
viro de koto seringueiro
Chico batalis por la kuniĝo
Chico Mendes, ili mortigis lin

Kiam ĉesus la malpuran milito
Kiu savos ilin, la caseros de la tero

Ili venis el la rivero
ne estis la luno
ĉiuj havas bonŝancan dolaron
ĉiuj havas fusilon kaj krucon

Fajran nokton kaj danco de milito
ruĝan sangon estos ĉi tiu lando
Ooooohhh Chico Mendes

Kiel tri ekbriloj sur niaj vivoj
kiel kruco kiel tri vundoj
Chico batalis por la kuniĝo
Chico Mendes, ili mortigis lin

Kiam ĉesus la malpuran milito
Kiu savos ilin, la caseros de la tero

Contributed by La Pupo - 2014/10/14 - 11:41




Language: English

Oggi stavo ascoltando un po' di musica e mi è capitata questa versione live in Palestrina di Chico Mendes Gang/Ned Ludd, e ho deciso di provare a tradurla in inglese (curioso che non ne esista una traduzione inglese, né portoghese)

CHICO MENDES

Chico has a mouse tooth
a rain knife
a wood eye
when he laughts yawns
and the moon war his mother
emerald night, party drums
fire tongues in the forest
Ooooohhh Chico Mendes

Diamond sun, warrior sun
mud man, seringueiro
Chico struggled for the Union
Chico was killed

When will finish this dirty war?
Who will save Earth guardians?

They came by the river
there was no moon
thay have all a lucky dollar
thay have all a rifle and a cross

Fire night, war dance
this land will be red of blood
Ooooohhh Chico Mendes

like three kightnings on our lives
like a cross, like three wounds
Chico struggled for the Union
Chico was killed

When will finish this dirty war?
Who will save Earth guardians?

Contributed by dq82 - 2016/6/23 - 15:04


“DIFENDERE LA TERRA NON E’ REATO!”. Invio questo contributo di qualche anno fa per ricordare un altro “guerriero della Terra”, il compagno cileno Pablo Vazquez Carrero, fatto assassinare in Africa dai soliti predatori capitalisti
ciao
GS

DEFORESTAZIONE NEL CONGO: UNA APOCALISSE AMBIENTALE
(Gianni Sartori – 2007)
Un recente reportage di Giampaolo Visetti (2207 ndr), inviato di “la Repubblica” a Mbandaka, Repubblica Democratica del Congo (RDC), sembrava la descrizione di una vera e propria apocalisse africana annunciata. La distruzione della foresta pluviale, l’esodo forzato delle popolazioni, lo sterminio degli animali, gorilla compresi, trasformati in viande de brousse, le bambine ridotte a schiave sessuali per miliziani e boscaioli…Mancavano soltanto i “safari dei pigmei”, variante africana della “caccia all’indio” che alcune agenzie (non più di quindici, venti anni fa) offrivano sottobanco a turisti in cerca di “emozioni forti”. Del caso si occupò il Parlamento Europeo e la nostra Procura della Repubblica, dato che il “pacchetto con safari incluso” veniva proposto anche da agenzie milanesi.
Lo scenario presentato da Visetti appariva identico a quello denunciato nel 1987 da un ambientalista cileno, il rifugiato politico Pablo Vazquez Carrero, davanti allo stand del Brasile al padiglione 17 della Borsa internazionale del Turismo a Milano. Allora si trattava dell’Amazzonia e poco dopo lo stand venne ricoperto di sabbia (per ricordare la desertificazione provocata dal taglio degli alberi) e di vernice rossa come il sangue degli indios sterminati. Prima di essere portato via di peso dalle forze dell’ordine Pablo Vazquez ebbe il tempo di protestare contro i mega-allevamenti per i fast-food americani, contro le orde di boscaioli, cercatori d’oro e garimpeiros che abusavano delle bambine indigene, contro gli eserciti privati che terrorizzavano la popolazione. Vazquez conosceva bene l’Amazzonia, in particolare la città-miniera di Carajas con i suoi gironi infernali.
Oggi cambiano luoghi e nomi, ma la sostanza rimane la stessa. Le foreste del fiume Congo vengono sistematicamente svendute alle compagnie del legname insieme agli esseri viventi che le popolano da sempre. Qui crescono gli alberi secolari di okumé, teak, wenge e della pregiata afrormosia, venduta poi a mille euro al metro cubo in Europa.
In cambio della foresta pluviale, la foresta primaria più grande dell’Africa, gli indigeni di Irebue avrebbero ricevuto “tre sacchi di sale, due di zucchero, quattro casse di birra e 200 barre di sapone”. Mancava solo il sacchetto di perline.
In realtà per costringerli a firmare, accettando di abbandonare la foresta, sono intervenuti funzionari governativi.
Poi sono entrati in azione caterpillar e motoseghe.
La paga per gli indigeni è di un dollaro al giorno. Per chi abbatte più tronchi è previsto anche un concorso a premi: una casa in lamiera (3° premio), un’automobile (2° premio) e, visto il coinvolgimento della Cina, un viaggio a Shangai (1° premio).
Con l’ingresso delle compagnie cinesi sarebbero arrivati anche galeotti che scontano la pena abbattendo la foresta per aprire piste. Non si contano gli abusi nei confronti di ragazze e bambine dei villaggi. In un suo reportage da Kisangani Federica Bianchi (“L’Espresso” 2007) riportava i nomi di alcune delle principali società di deforestazione che operano nella zona orientale della RDC: Safbois, Siforco, Soforma, Sodefor, CFT.
LEGNO, ORO E COLTAN
Dove il fiume Lomani si getta nel Congo (il “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad), a quasi 50 anni dalla fine della colonizzazione e nonostante le elezioni del 2007, continua la guerra delle milizie per impadronirsi delle preziose risorse: legname, diamanti, oro …ma soprattutto coltan, indispensabile per la moderna telefonia. Dopo la fine della guerra civile (era iniziata nel 1996) la situazione sarebbe addirittura peggiorata. Con i suoi 172 milioni di ettari, la foresta dell’ex Zaire era una delle più vaste aree tropicali al mondo, seconda solo all’Amazzonia.
Almeno quaranta milioni di congolesi starebbero per perdere la loro unica speranza di vita. Dagli alberi ricavano cibo, medicine naturali, mezzi di trasporto come le canoe.
Inoltre, prevede Greenpeace, la deforestazione nella RDC provocherà nei prossimi quaranta anni l’immissione nell’atmosfera di altri 34,4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica.
Edoardo Mambili, vescovo vicario di Kijangani, ha voluto sottolineare che “tagliando la foresta si taglia l’esistenza”.
Forse l’ambientalista Stefano Apuzzo non aveva tutti i torti quando chiedeva una “Norimberga per i crimini ambientali”.
ANCHE L’ITALIA IMPORTA LEGNAME DALLA RDC
Nonostante la moratoria su nuove concessioni alle compagnie, imposta dalla Banca mondiale nel 2002 in cambio di crediti e donazioni alla RDC per un totale di almeno 4 miliardi di dollari (dati agosto 2006) , le attività sono riprese a pochi giorni dall’accordo, grazie alla corruzione del governo di Kinshasa.
Le prime a muoversi sono state la CFT e Soforma, seguite da Safbois, la società forestale dei fratelli David e Daniel Blattner. Recentemente la CFT ha iniziato a operare anche nella riserva naturale di Yoko, risalente al 1959. Avrebbe però incontrato una maggiore resistenza da parte delle popolazioni locali.
Nel 2005 anche Parcafrique, società forestale italiana, ha ottenuto la sua concessione. Secondo Greenpeace nel nostro Paese il legno proveniente dalle foreste africane verrebbe utilizzato soprattutto per confezionare parquet e bare di lusso. L’anno scorso l’Italia ha importato dalla RDC 6.740 metri cubi di tronchi e 2.303 di segati. Quantità ancora maggiori vengono importate dal Camerun (dove è scomparso il 60% delle foreste), dal Gabon e dalla Costa d’Avorio. Su 39 produttori italiani di parquet, 36 utilizzano l’iroko, 36 il wenge e 18 l’afrormosia che in genere provengono dalla RDC.
Inutili, se non addirittura controproducenti, sono stati finora i tentativi di alcune organizzazioni ambientaliste come il WWF di operare in partnership con le compagnie.
LA FINE DI UN “GUERRIERO VERDE”
Alla fine degli anni novanta Pablo Vazquez Carrero (soprannominato nel frattempo “Cico” in ricordo del leader dei seringueiros assassinato nel 1988) si era fatto trasportare dal suo impegno ambientalista proprio nell’ex Zaire.
Insieme a Stefano Apuzzo (allora deputato dei Verdi e fondatore di “Gaia”) e alcuni militanti ecologisti africani voleva “esportare” nel continente nero i metodi di “Earth First!”.
Il gruppo ecologista radicale, nato negli Usa nel 1979, si era opposto alla distruzione delle foreste di sequoie piantando chiodi nei tronchi degli alberi destinati ad essere abbattuti. Dato che i chiodi potevano danneggiare i costosi impianti delle segherie, alcune compagnie avevano desistito.
“ Un deterrente per la cupidigia delle compagnie” scriveva Apuzzo.
Naturalmente le iniziative più incisive sul lungo periodo sono quelle basate sul boicottaggio. La divulgazione di informazioni precise sulle reali attività delle compagnie e sui prodotti offerti ai consumatori possono influire significativamente sulle vendite e sui fatturati dei distruttori dell’ambiente.
Si potrebbe cominciare “rinunciando a seppellire i propri morti nel legno pregiato d’Africa”, suggeriva Federica Bianchi
E magari, pensando ai disastri umani e ambientali provocati dal coltan, fare a meno del telefonino.
Dopo una serie di rischiose azioni dirette “Cico, questo idealista fuori dagli schemi” (come lo definisce Apuzzo nel suo libro “Corsari Verdi, storie di ecologismo estremo”) era ritornato da solo in Africa per cooperare con un gruppo indigeno, convinto che “senza di loro l’Africa è perduta, non possiamo essere “noi bianchi” a guidare le azioni in difesa delle foreste”.
Nessuno ha mai potuto scoprire con precisione cosa sia accaduto. La versione ufficiale dell’ambasciata italiana parlò di un “conflitto a fuoco tra opposte bande politiche in un villaggio a nord del fiume Congo”. Pablo Vazquez rimase a terra insieme a due ambientalisti africani, tutti e tre assassinati da pistoleri al servizio dei deforestatori.
Gianni Sartori (2007)

Gianni Sartori - 2014/10/8 - 17:12


Visto che le Alpi sono a ben guardare "l'Amazzonia d'Europa" mi attacco qui...ciao
GS

“Sono passati quasi 26 anni da questa intervista e qualcosa è cambiato sul fronte dell'ambientalismo montano. C'è meno fiducia nelle associazioni (almeno in quelle nazionali) e c'è qualche risultato in più per ciò che riguarda i rifiuti. Almeno questo l'abbiamo ottenuto: cambiare la coscienza nella gestione di ciò che rifiutiamo. Con il rischio di avere un mondo asettico. Sono cambiato pure io, perché ora ritengo che a un certo punto della nostra vita, dobbiamo tutti domandarci: -Quanta spazzatura è in me? Inabissarsi nella voragine nostra interiore alla ricerca dei propri rifiuti profondi è l'unico antidoto alla malattia di un pensiero raziocinante e sociale che vuole un mondo asettico. Il pensiero, dove ha appena spazzato e disinfettato, sporca già solo con il proprio passaggio. Che sia orizzontale o verticale”.

(Alessandro Gogna – febbraio 2016)

Per la serie “un altro alpinismo era possibile?”

Un incontro con SANDRO GOGNA di MOUNTAIN WILDERNESS (Predazzo, 1990)

Gianni Sartori

Ho ripescato questa antica intervista a Sandro Gogna risalente ad un incontro pubblico di Mountain Wilderness (a Predazzo, all'inizio degli anni novanta del secolo scorso). Naturalmente lo conoscevo di fama e per aver letto il suo “Un Alpinismo di Ricerca”, ma fu entusiasmante conoscere la sua solida coscienza ambientalista (e, da quanto mi disse in seguito, non solo in Montagna: mi raccontava che andava regolarmente a lavorare, nella sua casa editrice milanese– Edizioni Melograno -, in bicicletta). Non so se nel frattempo abbia cambiato qualche idea, se sia arrivato a qualche compromesso con il sistema di sfruttamento delle montagne che le sta trasformando da un lato in parco-giochi dall'altra in discarica (anche, o soprattutto, esistenziale...).
In ogni caso il valore di questa testimonianza rimane, a mio avviso, esemplare per coerenza e radicalità.

Sandro Gogna ha recentemente partecipato (ricordo che siamo nel 1990 nda) all'operazione “Free K2”, la prima spedizione internazionale, voluta e organizzata da Mountain Wilderness, per liberare il K2 dalle tonnellate di rifiuti e dai chilometri di corde fisse che ne umiliano il fascino terribile.
Nonostante i molteplici impegni, il grande alpinista si rivela disponibile, gentile. Data l'ora piuttosto tarda, premette soltanto che avrebbe intenzione di cercar di dormire almeno un paio d'ore.
Lo aspetta infatti una levataccia. Domani alle quattro (del mattino) parte per le tre cime di Lavaredo dove Mountain Wilderness ha in programma l'ennesima azione dimostrativa contro la strada a pedaggio. E precisa: “Contro la strada in quanto tale, indipendentemente dal pedaggio”.
Che fare contro questo degrado galoppante? In che modo i sinceri amanti della Montagna si possono opporre alla distruzione dell'ambiente alpino?
Sandro Gogna insiste su un concetto che poi riprenderà varie volte nel corso della chiaccherata: occorre innanzitutto “dare una svolta, invertire l'attuale tendenza sperando di arrivare a toccare la mente e il cuore di quanti dicono di amare la Montagna e la Natura”.
Mountain Wilderness è un'associazione internazionale che riunisce alcune migliaia di alpinisti ed escursionisti di Grecia, Francia, Italia, Catalunya...in difesa delle Alpi, dell'Olimpo, dei Pirenei.
Sandro racconta di aver trovato un alto grado di coscienza ambientalista tra i catalani*. Del resto ve ne sono molti anche tra i militanti di Green Peace (di cui Mountain Wilderness sembrerebbe essere un po' l'omologo montano), proprio tra quelli impegnati negli arrembaggi dimostrativi contro i navigli intenti a scaricare in mare rifiuti tossici o contro le baleniere attrezzate per massacrare inermi cetacei in via di estinzione.

LE ALPI: UN MONDO DA SALVARE
Suscita preoccupazione in particolare la rapidità con cui stiamo distruggendo, violentando le Alpi, dove è quanto mai urgente “difendere tutto quello che c'è ancora da difendere”. Le minacce per l'ambiente alpino sono molteplici. Vanno dal degrado ambientale genericamente inteso alle piste da sci; dalle nuove strade al dilagare del cemento; dall'uso indiscriminato di mezzi meccanici (auto, elicotteri, moto...) alle tonnellate di rifiuti abbandonati dagli escursionisti, fino alle vere e proprie discariche in prossimità di rifugi, bivacchi, stazioni delle seggiovie.
Gli chiedo in che cosa consista l'iniziativa programmata per il giorno successivo, alle Drei Zinnen.

“Quella prevista per domani – mi spiega - è per noi una scadenza molto importante. Assieme all'organizzazione degli ambientalisti ladini, S.O.S. Dolomiten, abbiamo indetto una manifestazione contro la strada che dal Lago di Misurina va al soidisant “Rifugio” Auronzo. Attualmente si calcola che in soli due mesi, quelli di maggior afflusso, venga percorsa da 80.000 (ottantamila!) auto. Cercheremo di occupare la sede stradale dalle sette in poi e cercheremo, discutendo e volantinando, di spiegare alla gente le ragioni della nostra iniziativa”.

Per la cronaca: il giorno dopo Sandro e compagni sono stati presi in contropiede dalle autorità che, astutamente, hanno provveduto a chiudere (solo temporaneamente, chiaro) la strada.
Domando quali siano state le iniziative precedenti di questa dimostrazione contro “l'autostrada di Lavaredo”.
“Tra quelle che hanno suscitato maggior scalpore vanno ricordate senz'altro l'iniziativa per ripulire la Marmolada e la spettacolare azione diretta sul Monte Bianco contro la Funivia dei Ghiacciai”.
Inoltre, sempre in collaborazione con S.O.S. Dolomiten, Mountain Wilderness ha caldamente contestato il cosiddetto 200° anniversario della “scoperta” delle Dolomiti.
Per Gogna il 200° anniversario è stato un significativo esempio di come la provincia di trento consideri iniziative culturali quelle che in realtà contribuiscono a ridurre l'ambiente dolomitico alla stregua di un Luna-Park, ad un immenso e grottesco “divertimentificio. I finanziamenti potevano venir usati molto più intellingentemente per arginare il degrado, per recuperare testimonianza delle autentiche tradizioni culturali dell'area dolomitica.
Della stessa opinione sono i Ladini, l'antico popolo di queste montagne. Ecco quanto scrivevano in un manifesto firmato Ambientalis Ladinus de la Dolomites:

“A 200 anni dalla scoperta di Dolomieu, le amministrazioni provinciali e locali di trento, Bolzano e Belluno festeggiano le dolomiti a parole mentre, anno dopo anno, le distruggono coi fatti.
Le Province Autonome di trento e Bolzano permettono e spesso finanziano la continua costruzione di nuovi impianti di risalita, di piste da sci e strade con forte impatto ambientale, di ampi parcheggi in quota ecc. La regione Veneto addirittura li realizza in proprio mediante la Canal Grande S.p.A.”**

“Anche da parte degli alpinisti -precisa Gogna- esistono comunque delle colpe ben precise”.
In sostanza la “comunità degli alpinisti” dovrebbe considerarsi responsabile di quanto sta avvenendo tra le nostra montagne. Dovrebbe riconoscere i problemi che magari involontariamente ha provocato all'ambienta alpino, “pubblicizzando” (spettacolarizzando? Nda) e facendo conoscere la montagna.

IL SUDORE NON INQUINA
E continua:
“E' anche “merito” degli alpinisti se interi gruppi montuosi hanno perso la loro aureola di fascino, di mistero...”.
Ma almeno, si spera e si presume, alpinisti ed escursionisti si arrampicano, camminano, sudano insomma. Ed il sudore come è noto, diversamente dal gasolio e dalla benzina, non inquina.***
Per quelli di Mountain Wilderness bisognerebbe imparare a saper distinguere tra una esperienza vera e una esperienza falsa, mercificata, che si può comprare preconfezionata. Sempre sul Monte Bianco, Gogna ricorda il via vai continuo ed ossessivo degli elicotteri impegnati a girare spot pubblicitari riprendendo questo superbo archetipo di freschezza, candore, vacanze invernali ecc. Immagini di sicuro rendimento dal momento che si prestano a pubblicizzare le mentine come i pannolini, l'acqua minerale come gli assorbenti, i detersivi come la D.C. (l'intervista risale al 1990, ricordo, e c'era ancora l'odiosa Democrazia Cristiana nda).

UNA REGINA INFANGATA
La Marmolada, vetta più alta dell'area dolomitica, venne chiamata “La Regina”. Al ghiacciaio del versante settentrionale fa da contraltare la vertiginosa parete calcarea del lato meridionale; un bastione roccioso lungo alcuni chilometri e alto fino a 900 metri. Oltre che di fondamentali imprese alpinistiche fu teatro di aspre battaglie nel 15-18. Oggi è diventato lo scenario di un indecente degrado ambientale che sembra non volersi più arrestare. Lungo i percorsi si potrebbero raccogliere barattoli a quintali ma questo in fondo è un male minore se pensiamo a cosa scorre nelle viscere del non più incontaminato ghiacciaio. Chi ha fatto la sconsigliabile esperienza di cadere in un crepaccio nel periodo estivo (quando può passare parecchio tempo senza che una provvidenziale nevicata intervenga a imbiancare) può confermarlo.
Magari ne sarà uscito indenne grazie alla prontezza di spirito dei compagni di cordata, ma sicuramente “onto” da far schifo; ricoperto da smog, catrame e robaccia del genere. Se l'emozione del momento gli avrà consentito di dare un'occhiata disincantata sul fondo avrà avuto modo di scorgervi inequivocabili chiazze di idrocarburi. Provare per credere!
L'operazione “Marmolada Pulita” (tra luglio e settembre 1988) non era senza precedenti. Già negli anni settanta un gruppo di volontari si era “fatto carico” (in tutti i sensi) di riportare a valle decine e decine di sacchi di spazzatura. Tutta roba raccolta nei pressi del Bivacco Dal Bianco. A tale proposito ci sarebbe da segnalare un fatto che la dice lunga sul livello di coscienza dell'alpinista medio. Nei pressi del bivacco c'era un avviso che invitava i “signori alpinisti” a gettare i rifiuti nel canalone est (dove erano meno visibili) invece che in quello ovest, come avveniva regolarmente.
Intervento personale: osservo che l'indicazione “RIFIUTI” con relativa freccia per indicare il crepaccio, l'inghiottitoio o la dolina dove lasciare impunemente i propri rifiuti è ancora assai diffusa; dai Bivacchi delle Pale di San Martino al Becco di Filadonna, dai rifugi del Sella alle pendici dei colli di Lumignano. Esempio macroscopico, quest'ultimo, di quali conseguenze deleterie può comportare per un ambiente naturale particolare la sua “valorizzazione” alpinistica****
Torniamo alla Marmolada.
Quella dell'88 venne definita “una faticaccia, ma per fortuna siamo stati assistiti dal tempo”. Ci sono voluti una quindicina di voli con l'elicottero (“con il senno di poi - commenta Gogna – si sarebbero potuti utilizzare i muli”)
per portare a valle l'ingente quantità di “scoasse” raccolta dai volontari. Oltre a quello del trasporto resta aperto il problema dello smaltimento dei rifiuti. “Sarebbe una buona cosa poter adottare in futuro la raccolta differenziata” afferma l'eco-alpinista. Infatti i militanti di Mountain Wilderness sono consapevoli che questo è solo un aspetto del problema ben più vasto e complesso; che non basta certo ripulire qualche canalone per dire di aver risolto la questione dell'inquinamento. “D'altra parte bisogna pur cominciare, in un modo o nell'altro. Noi cominciamo da ciò che ci è più congeniale, da quello a cui ci sentiamo più legati, dalle montagne. Cominciamo dall'alto...”.

LA MARMOLADA E LE SUE DISCARICHE
(“dove lo schifo del consumismo si mostra in tutto il suo splendore”)

Sulla Marmolada Gigna e compagni verificarono come dagli scarichi della terza stazione della funivia fuoriuscissero mediamente 300 (trecento) litri giornalieri di una broda liquida costituita da acqua, scarichi di fogna, oli esausti, materiali petroliferi vari...pensate a cosa devono aver prodotto e scaricato vent'anni di ininterrotta attività della funivia.
C'è, ben visibile, una striscia marrone larga 15 metri che solca tutta la parete sotto la terza stazione. In fondo poi si trova la discarica vera e propria.
“L'anno prima la discarica era già stata in parte ripulita da un gruppo di veneziani che si erano portati via qualcosa come 150 carichi. La quantità dei rifiuti comunque restava ancora enorme”.
Per una ulteriore indagine gli “aspiranti spazzini” hanno utilizzato la Via dell'Ideale che risale lungo la parete e viene attraversata varie volte dal colatoio di liquame. Per “scrostare” dalla parete i rifiuti incastrati è intervenuta anche la Guardia di finanza, le “Fiamme Gialle”. Naturalmente restano ancora appiccicati il petrolio, gli oli esausti minerali ecc.
“Devo dire che in questa circostanza, in questa battaglia ci siamo sentiti particolarmente soli. Abbiamo volantinato, cercato di coinvolgere la gente, gli utenti della funivia...ma quasi tutti se ne fregavano. Forse è proprio vero che in fondo amano di più la montagna quelli che non ci vanno”.
Naturalmente non bisogna dimenticare che anche il lago artificiale (il Fedaia) e la relativa strada carrozzabile hanno alterato il microclima della Marmolada. Ma questo è ancora niente: un po' dovunque il terreno roccioso è stato spianato per aprire piste da sci. Se il fondo della pista è piatto la neve dura di più e quindi le ruspe sono entrate in azione per eliminare le cunette e le asperità tipiche di un terreno calcareo carsico. Quello che ora si può “ammirare” è una specie di omogeneo deserto. Invece del caratteristico carsismo di superficie abbiamo delle vere e proprie ferite, strazianti da vedere e impossibili da rimarginare. Oltre alle ferite inferte all'estetica bisognerà considerare anche quelle di natura strettamente geologica. Su questo problema stanno indagando alcuni geologi di “Aquila Verde” legati a Mountain Wilderness. Come se non bastasse, per garantire ai turisti la pratica dello sci estivo, si sprecano risorse preziose.
E' incalcolabile la quantità d'acqua che viene sprecata con lo scioglimento della neve provocato dall'uso indiscriminato di sostanze sparse sulla superficie per renderla più “sciabile”. Anche questo, insieme all'azione dei gatti delle nevi, contribuisce a degradare ulteriormente il ghiacciaio.

MONTAGNE DI RIFIUTI
Naturalmente Gogna e gli altri ambientalisti non hanno trascurato di occuparsi del famoso polistirolo immesso nei crepacci. Come è stato accertato, fino a qualche anno fa c'era l'abitudine di riempire qualche crepaccio terminale con enormi quantità di polistirolo e poi far saltare con una piccola carica di esplosivo i bordi, così da coprire tutto e “far spessore”.
Adesso il polistirolo percorre gli oscuri meandri sotterranei del ghiacciaio. Prima o poi tutto verrà risputato fuori, ma intanto, si rammarica quel sentimentale di Sandro Gogna “niente è più come prima, l'incantesimo è rotto”.
Un'altra spiacevole sorpresa li attendeva nel Vallone d'Antermoia. Anche questo era stato trasformato in discarica abusiva. Dalla stazione della funivia Serauta scende un lungo tubo nero che riversa la solita brodaglia immonda. Nel canalone sottostante l'Amministrazione della funivia aveva evidentemente ritenuto di poter gettare di tutto, impunemente.
Il canalone per tutta la sua lunghezza di circa duecento metri era completamente intasato da materiali eterogenei. Per una profondità che varia dai cinque ai dieci metri. La discarica vera e propria, costituita da materiali precipitati fino in fondo, si estende per circa 2-3 cento metri ed è profonda un paio. Uno spettacolo apocalittico, circondato da pareti di roccia. Per altri 2-3 cento metri si continua a rinvenire materiale sparso; fino al limitare del b osco, dove è stato fermato dagli abeti; almeno per ora.
“Qui finalmente abbiamo rinvenuto ingenti quantità del famigerato polistirolo. Evidentemente, dopo che la notizia del suo impiego come “riempitivo” ha cominciato a circolare, hanno ritenuto opportuno sbarazzarsene per la via più spiccia”.
Gogna ha personalmente esplorato il canalone intasato di immondizie e rottami insieme a Reinhold Messner: “Abbiamo risalito e fotografato per un lungo tratto, finchè non ci siamo resi conto del precario equilibrio del materiale incastrato e sospeso. Se cominciava a franare sarebbe venuto giù tutto; e noi con lui”.
A questo punto comunque cominciavano a convincersi che quello di cui c'era maggiormente bisogno “non era un'azione di pulizia, ma piuttosto un'azione di polizia”: In effetti, grazie alle iniziative di Mountain Wilderness, c'è stata un'indagine della Pretura di Agordo in merito alle discariche della Marmolada e sulla faccenda del polistirolo. “Ma - commenta amaramente Gogna - è stata un'indagine pilotata”.
Sandro & C. si sono quindi premuniti. Lo schifo è ben documentato da centinaia di fotografie. Ironizza pure: “Tra l'altro ho scoperto che fotografare discariche è una cosa difficilissima, ma sto facendo pratica”.
Ci tiene comunque a precisare che in fondo i rifiuti non sono nemmeno la cosa più grave. Si possono raccogliere, eliminare, riciclare...anche se poi tutto ritorna come prima. Prima di tutto bisogna opporsi all'idea che la Montagna sia qualcosa che si può comprare come al supermercato; opporsi anche all'idea di chi “la divide in due, per cui la parte bassa sarebbe meno interessante, da “tagliare” con la funivia così da arrivare subito e senza sforzo in alto. E' un inganno di chi vende una immagine fasulla della montagna. Senza la parte bassa non ci sarebbe nemmeno quella alta”.
Non si giudichi frettolosamente quest'ultima affermazione come banale o scontata. Fatta da uno come Gogna che la “parte alta” può dire di conoscerla come pochi è senz'altro degna di considerazione. Meditate.
Del resto basta stare ad osservare il comportamento di chi è arrivato sulla cima con le proprie gambe rispetto a quelli saliti in funivia (o in auto, quando c'è la strada). Con ogni probabilità troverete tra questi ultimi gli esuberanti raccoglitori di fiori e arbusti, i lanciatori di richiami e i portatori di apparecchi radio. Se l'eccesso di energie lo avessero impiegato per salire forse sarebbero più discreti e contemplativi. E più consapevoli.*****

IN DIFESA DEI MONTI, QUI E ORA

Gogna non perder l'occasione per un ulteriore richiamo alla responsabilità e all'impegno personale: “A volte, almeno in teoria, esiste già una precisa legislazione in merito. Vedi la legge Galasso sulle discariche. Che poi venga regolarmente applicata è un altro paio di maniche. Molte cose si potrebbero già impedire ma resta il problema della mancanza di una diffusa cultura ambientalista. La gente vede ma non si scompone. Non c'è quindi da meravigliarsi se poi l'autorità non interviene. In fondo abbiamo l'Amministrazione che ci meritiamo”.
E insiste: “E' importante che cambino le coscienze”. Come esempio piccolo ma significativo di un indispensabile cambio di mentalità cita la scritta (ben diversa da quella del bivacco Dal Bianco) che si può leggere presso un rifugio degno di questo nome nelle Apuane, verso castelnuovo di Garfagnana: “Questo rifugio non ha cestino della spazzatura”: Edificante, direi. Si dichiara senza equivoci che “i rifiuti ognuno se li porta a valle, da dove sono venuti”.
“Dobbiamo smetterla di considerare i rifugi come servizi”. Infatti la natura dei servizi è tale per cui tendono costantemente a svilupparsi, a migliorare in efficienza, volume, comodità...(“a parte quelli pubblici urbani – osserva Gogna polemicamente e acutamente – che sembrano invece peggiorare...”). Le richieste di un certo tipo “da parte di chi non sa rinunciare alle sue comodità ed abitudini nemmeno per qualche giorno, quasi “costringono” chi gestisce i rifugi a “migliorare la qualità delle prestazioni” (ma è sostanzialmente un malinteso). E' il caso dell'attuale tendenza generale al raddoppio che, automaticamente, comporta il raddoppio dell'impatto ambientale.
Con l'aumento della capacità di ricezione, delle “comodità”, i rifugi stanno diventando alberghi, ristoranti. Stanno snaturando la loro funzione e stravolgono, violentano ulteriormente l'ambienta alpino.
Può capitare che perfino da un onesto bivacco si decida, dalla mattina alla sera, di ricavare un albergo d'alta quota. Qualcosa del genere è accaduto qualche anno fa anche sulle Pale di San Martino. Con la stessa logica, la mulattiera diventa strada asfaltata, la baita casa per le vacanze e il “punto panoramico” dove si giungeva stanchi, sudati, magari sfatti oggi è a portata di mano con la seggiovia. Una logica perversa che, mentre apparentemente va incontro alle esigenze della gente, non fa altro che snaturare il rapporto con la montagna. E permette agli operatori del settore di realizzare congrui profitti. Incalcolabili sono invece i costi, sia ambientali che culturali.
Il profeta della “wilderness” incalza: “Ecco perché sostenevo che in fondo quello dei rifiuti è solo l'aspetto esteriore della questione. Magari si potrebbe anche risolvere utilizzando appositi furgoncini per le immondizie. Ma anche lo smaltimento non risolverebbe il vero problema, quello di una sempre maggiore antropizzazione, di una vera e propria urbanizzazione sistematica dell'ambiente montano. In particolare di quello dolomitico. Pensiamo all'incremento costante dell'indotto che gira intorno ai rifugi. Vedi il caso del Vaiolet, se di rifugio si può ancora parlare...”.
“Il problema è ancora quello di riuscire a cambiare la mentalità di chi va in montagna. Per questo sostengo che quando riusciremo a chiudere una sola funivia quello sarà un segno di cambiamento radicale, di inversione di tendenza. Perché sarà cambiata la coscienza della gente”.
A questo punto, inevitabilmente, pongo una questione: “Ma come potranno allora andare in montagna le persone con una qualche disabilità?”.
Per Sandro Gogna si tratterebbe di un “alibi ipocrita”, posto in genere da chi difende altri interessi (e degli handicappati sostanzialmente se ne frega e pensa ai suoi profitti), di chi si ricorda di loro soltanto quando fanno comodo: “In città non li mettono nemmeno in condizione di poter prendere la metropolitana, di poter entrare in un negozio...l'ambiente urbano è saturo di barriere architettoniche, discriminanti e nessuno, o quasi, si preoccupa di abolirle”.
La chiusura di una funivia alla fine danneggerà soltanto chi sfrutta la montagna. In compenso sarà una testimonianza tangibile dell'auspicabile “rivoluzione culturale”.

“La gente avrà compreso che oggi come oggi in montagna si vende qualcosa che non esiste. Un prodotto ben confezionato, un'idea di montagna completamente fasulla, una invenzione pubblicitaria falsa e artificiosa che allontana sia dall'esperienza alpinistica autentica che da quella, non meno vera e profonda, contemplativa”.

Un concetto quello espresso da Gogna immediatamente comprensibile da tutti coloro che hanno avuto l'esperienza di un contatto vero (come dire:organico, strutturale...?) con la Natura e con la Montagna.

AZIONE DIRETTA SUL MONTE BIANCO
(dove sudore fa rima con valore...)

Altra recente impresa di Mountain Wilderness, quella sul Monte Bianco contro la “funivia dei ghiacciai”. L'azione si svolse sul cosiddetto “pilone aereo”, famoso per essere sostenuto non dal solito pilone, ma lateralmente, da funi d'acciaio ancorate a due cime.
Gogna, Messner e Giampiero di Federico erano saliti nottetempo su una di queste (il Petit Flambeau) e da qui Reinhold era disceso lungo i cavi. Raggiunto il pilone aereo calò le corde su cui Sandro e Giampiero risalirono, con la stessa tecnica che si usa in speleologia. Quindi cominciarono a tirar su lo striscione di Mountain Wilderness (“pesantissimo”). Venne poi issato in modo tale che gli addetti alla funivia (che al pilone arrivano con i vagoncini) non potessero rimuoverlo. Infatti venne tolto soltanto il giorno dopo, dal Soccorso Alpino. Gogna ci tiene a precisare che tutta l'operazione si era svolta nella più assoluta legalità. “Nemmeno per un attimo è stato interrotto il funzionamento; non c'è mai stata interruzione di pubblico servizio...”.
Non vuole correre il rischi che l'attività di Mountain Wilderness venga fraintesa, che la gente si ritragga. Soprattutto non vogliono inimicarsi le popolazioni locali, i valligiani. Non intendono scontrarsi con chi in montagna ci vive. Per questo il valore dell'azione sul pilone aereo è stato esclusivamente simbolico. Nessun blocco, nessun sabotaggio, nessuna violenza. “Non abbiamo attentato in alcun modo all'economia montanara. Tra l'altro, oltre che completamente inutile, la funivia in questione è anche in passivo”.
Con il loro gesto volevano agire sulle coscienze, dare un messaggio “forte”, di svolta all'immaginario, al gusto e allo stile di chi va in montagna. Riabilitare “l'esperienza autentica, il valore del sudore...”. Chiunque vada in montagna da qualche decina di anni (e può quindi fare confronti) ha potuto rendersi conto di come ai nostri giorni l'immaginario alpinistico e montano sia per lo più colonizzato da ideologie e concezioni del mondo che con l'alpinismo storico non hanno molto a che fare (anche se vi attingono a piene mani e si alimentano della sua storia, del suo prestigio …), ma forse questa è ormai “un'altra storia”.....

Per la cronaca: l'anno dopo Mountain Wilderness è tornata sul Bianco per un'altra azione dimostrativa ; stavolta meno “elitaria”. Circa duecentocinquanta alpinisti hanno composto in mezzo al ghiacciaio una grandiosa scritta umana:

POUR LE PARC
“Per quanto riguarda la funivia -conclude Gogna- sembra proprio che l'unica soluzione praticabile consista nel comprarla. Per poi disattivarla, naturalmente. Come Mountain Wilderness ci stiamo muovendo in questa direzione...”.

NOTA FINALE: CHI AMA LA MONTAGNA LE LASCIA I SUOI FUNGHI...

Parlandogli, osservandolo si ha la sensazione che anche Sandro Gogna (come altri andati “alla Montagna”, magari per caso ma comunque predisposti se non proprio predestinati) sia “inciampato”
in quelle che tra culture meno materialiste (e meno consumiste), in altri tempi, luoghi e situazioni, sarebbe stata identificata come “esperienza del Sacro”. Del resto “lo Spirito soffia dove vuole”, ma predilige, notoriamente, le vette, gli anfratti, i dirupi, le creste affilate delle Montagne.
Sembrano confermare questa impressione le sue ultime considerazioni e ricordi personali 8con cui si conclude la lunga ciacolada):
“E' incredibile come, pur non avendo più necessità di cacciare, di raccogliere cibo per sopravvivere, noi continuiamo a saccheggiare la natura. Basta vedere come si riduce il sottobosco dopo il passaggio delle orde dei raccoglitori di funghi. Ricordo che quando avevo otto anni mi sono ribellato a mio padre che mi costringeva a raccogliere funghi. Sia chiaro: anche a me piacciono e quello che rifiutavo era l'idea che si andasse in montagna solo per raccogliere funghi; avevo già intuito che c'era dell'altro. Figurati che un giorno avevo trovato un porcino enorme e ho preferito lasciarlo dov'era. Forse sarà stato poi trovato da qualcun altro, ma comunque gli ho regalato qualche ora di vita”.Fin troppo facile fare dell'ironia su questa mancanza di spirito utilitaristico. A chi scrive fa venire in mente una concezione dell'alpinismo (e magari della vita) similare a quella espressa da Lionel Terray : “Conquistatori dell'Inutile”.
Per il futuro non si fa troppe illusioni: “Per noi si tratta di seminare delle idee, sperando di incontrare terreni, coscienze fertili, disponibili...Allora forse vedremo dei risultati, magari tra anni. Certo che comunque così non si può continuare. Sarebbe il degrado definitivo degli ultimi spazi naturali rimasti tali”.
Gianni Sartori

* Confermo pienamente. Nei Paisos Catalans ho incontrato un livello di coscienza ambientale diffusa che, nella penisola iberica, è secondo soltanto a quello dei baschi (pensiamo, in Euskal Herria, alle battaglie contro la centrale nucleare di Lemoiz e contro la diga di Itoiz...). Non per niente nei PP. CC. anche uno dei movimenti indipendentisti di sinistra più radicali si chiamava Moviment de Defensa de la Terra (suo lo slogan “Defensar la Terra non és cap delicte”: difendere la Terra non è reato).

** Inevitabile per chi scrive pensare ad alcuni scempi ambientali e paesaggistici che, da allora, sono stati realizzati in zone che ben conosco: Costa d'Agra (nei pressi di Folgaria), sul Monte Fior (Altopiano di Asiago) o sul Civetta lungo le cui devastanti piste da sci sorgono ora, al posto delle migliaia di abeti abbattuti, squallidi lampioni per le discese in notturna degli “amanti della montagna di plastica” (oltretutto dei privilegiati in questi tempi di crisi).
D'altra parte...l'avete voluto il capitalismo?

***Ovviamente bisogna pensare che si inquina anche raggiungendo i luoghi della montagna. Personalmente, da anni uso il più possibile la bicicletta (se possibile) o i mezzi pubblici (per quanto scarsi e malridotti, in Veneto). Un aspetto positivo è quello di non dover necessariamente ripercorrere al ritorno lo stesso itinerario dell'andata. Per es. se da Velo d'Astico salgo al Pria Forà posso poi scendere ad Arsiero per prendere la corriera. In ogni caso portatevi il telo di sopravvivenza, dopo una certa ora non fanno più servizio. E' l'avventura.

**** Questo lo scrivevo un quarto di secolo fa. Magari nel frattempo saranno scomparsi i cartelli con l'indicazione “rifiuti” ma nel complesso la situazione è soltanto peggiorata.

***** Naturalmente potevo scrivere questo circa 25 anni fa. Oggi con i telefonini (siano stramaledetti; mai posseduto uno) ci tocca ascoltare conversazioni private urlate (e descrizioni delle “vedute mozzafiato” come recitano i depliant) su quasi ogni vetta, modesta o meno.

Gianni Sartori - 2016/2/3 - 10:47


Lamento per il platano secolare abbattuto - poco cristianamente - in quel di Chiampo (21 febbraio 2024)
Gianni Sartori

Di questi tempi, mi dicono, meglio il “profilo basso”. Soprattutto sulle questioni ambientali. Sembra che non fosse uno scherzo, una battuta di cattivo gusto la proposta del TSO per gli ambientalisti considerati “troppo” attivi.

Forse Oltre Atlantico sta già accadendo.

Pare che alcune ecologiste native (“indiane”) siano stati forzatamente ospedalizzate in quanto la loro “eccessiva sensibilità per le sofferenze di animali e piante “, causate dal sistema economico dominante (indovinate quale), andava curata farmacologicamente.

Se necessario anche con ricovero coatto.

Tant’è. Del resto c’era da aspettarselo. Ma - mi azzardo a chiedere - se l’empatia nei confronti di altri esseri viventi viene classificata come una patologia psichiatrica, cosa dire dell’assoluta indifferenza con cui cacciatori, allevatori, macellai, vivisettori…sfruttano e ammazzano, a volte torturano, povere creature indifese?

Fatemi sapere, grazie.

Nel frattempo vengo informato che il prossimo 18 maggio a Verona si svolgerà l’iniziativa eco-pacifista di “Arena di Pace 2024”.

Per ammissione degli organizzatori, ispirata dalla Lettera Enciclica “LAUDATO SI’ “ di Papa Francesco sulla “Cura della Casa Comune”.



Ottimo, naturalmente.

Nel secolo scorso - e anche agli inizi di questo - ho preso parte a numerose iniziative di tal genere nella storica Arena veronese. La prima volta nel 1986, se non ricordo male.

In genere promosse dal movimento “Beati i Costruttori di Pace” (don Mario Costalunga, padre Turoldo, la pastora valdese Febe Cavazzuti, i comboniani Alex Zanotelli, Eferem Tresoldi…) all’epoca dell’apartheid sudafricano (contro, ovviamente), per il disarmo e per protestare contro il susseguirsi di tante guerre più o meno “umanitarie” (Iraq, Afganistan, Libia…) a cui l’Italia prendeva parte, per i diritti dei popoli nativi…

E anche stavolta non mancherò.


Intanto -se non ho capito male - osservo che Papa Francesco nell’Enciclica “LAUDATO SI’ “ promuoveva un’idea di “ecologia integrale” affermando che “non si può essere sani in un mondo malato”.



In quanto siamo tutti “parte di relazioni inseparabili, al centro di reti di vite interconnesse. La giustizia sociale dipende da quella ambientale, che a sua volta discende da quella ecologica”.



Da qui a riconoscere i diritti di ogni entità vivente (non oggetto del nostro uso e consumo ma soggetto con fini propri, autorefenziale) il passo è breve.

Ma purtroppo le gerarchie ecclesiastiche (e anche buona parte dei fedeli) non sempre si mostrano aggiornate e in sintonia. Per restare nel vicentino, risale a qualche anno fa l’abbattimento - con dispensa ecclesiastica presumo - di alcuni alberi maestosi sia nei pressi della Chiesa di Castegnero che di quella di Villaganzerla (stessa parrocchia). Più recentemente, quella decina di cedri tirati giù alla chiesa di Villabalzana (in questo caso pare su precisa richiesta del Consiglio pastorale).

E infine, l’ultimo (solo per ora temo) episodio increscioso.

L’abbattimento di un gigantesco (quasi due metri di diametro) platano secolare all’interno di un altro sito pervaso di sacralità e religiosità. Nei pressi di un Santuario, di un convento francescano e della locale versione della “Grotta di Lourdes”, opera del Beato Claudio Granzotto (1900-1947), familiarmente chiamato da mia madre “ Padre Claudio”. Oltre al Museo Missionario e alla maestosa Via Crucis (con personaggi in bronzo a grandezza naturale), comunque meritevoli di una visita.

Qui il 21 febbraio 2024 il patriarca arboreo è stato letteralmente “raso la suolo”. Nonostante fosse in ottima salute, svettante nel cielo, rifugio di uccelli, insetti, piccole creature arboricole. Un mondo a sé. Se mi consentite la metafora, l’ultimo uro vagante nella foresta di Jaktorów.



GLI ALBERI SONO LA MEMORIA DELLA TERRA



E quanta storia, quanti ricordi tra gli incorrotti, nitidi, precisi anelli di accrescimento. Perfetti come quelli di una pianta ancora giovane.

Un testo arcaico, una pergamena mirabilmente scampata a guerre e incendi, tarli e catastrofi.

Testimone di oltre un secolo di Storia locale.

Dal rombo delle cannonate della Prima Guerra Mondiale sulle cime circostanti ai colpi fatali dei fucilatori nazisti che il 30 marzo del 1944 stroncarono le vite di quattro operai delle Officine Pellizzari. “Colpevoli” di aver partecipato allo sciopero contro il trasferimento dei macchinari e la deportazione dei lavoratori in Germania.*

Intravide forse - o comunque percepì - il fumo denso delle barricate nel 1971 (quando la stessa fabbrica storica di Arzignano rischiava di chiudere arbitrariamente lasciando sul lastrico decine, centinaia di famiglie).

E magari, tre anni prima, anche il fragore dei lacrimogeni, degli spari, le grida di rabbia e di dolore di quel 19 aprile 1968 indimenticabile.**



Per ora lo si può ancora intravedere - enorme - su google map e mi chiedo se proprio non era possibile trovare una qualche alternativa umanitaria. Che so? Magari una discreta e rispettosa riduzione della chioma. Al limite la realizzazione della copertura a protezione di un breve tratto stradale (con tutto quello che si costruisce a vanvera …). O forse un sottopasso…

Oppure - perché no ? - un piccolo spostamento della strada (lo spazio c’era, mi pare).


E infine, visto che risultava sanissimo, si sarebbe potuto lasciarlo semplicemente com’era limitandosi a periodici controlli.

Insomma, tutto tranne che quell’abbattimento impietoso, definitivo e irreparabile.

Invocare, nel caso di caduta improvvisa dell’albero, la tutela della vita umana - o piuttosto di eventuali danni alle auto, feticcio moderno - in una località prossima alle zone infestate per decenni dai miasmi (e peggio) delle concerie suona francamente pretestuoso.***

Mi pongo una domanda. Se effettivamente- come sostiene Stefano Mancuso - gli alberi (oltre ad applicare il principio del mutuo appoggio - e soccorso - alla Kropotkin) sanno comunicare con i loro simili (e forse anche con altri esseri sensibili) anche a centinaia di metri di distanza: quale possente grido, urlo, lamento di dolore avrà lanciato, quale inascoltata richiesta di aiuto…mentre le lame impietose lo squartavano?



D’altra parte di che stupirsi? Siamo o non siamo nella fabbrica diffusa del Nord-Est? Nei territori della metastasi cementizia incontrollata, della “poltiglia urbana” straripante, del degrado ambientale generalizzato e della riduzione a merce spettacolare (per chi se lo può ancora permettere) della Natura in generale e della Montagna in particolare?

Dove si abbatte un orso solo perché è stato visto “seguire” (stando alle loro dichiarazioni almeno) alcuni escursionisti forse troppo impressionabili (e magari il plantigrado se ne andava soltanto per i fatti suoi sul medesimo sentiero). Dove - è di questi giorni - vengono assassinati col veleno centinaia di uccelli (dalle parti di Caldogno, nel Vicentino), senza parlare della strage successiva di altri volatili (civette, cornacchie…) che si sono nutriti dei cadaveri.

Potrei continuare all’infinito, ma mi fermo qui, per carità cristiana.

Come scriveva Bobby Sands: “Adesso lo sai. Pensaci, ma non limitarti a questo”.



Gianni Sartori

Note

1) Cocco Luigi, Carlotto Umberto, Erminelli Cesare e Marzotto Aldo. i quattro operai fucilati il 30 marzo 1944- presumibilmente con un colpo alla nuca - presso il Castello di Montecchio Maggiore, furono sepolti in una fossa comune avvolti in un sacco di tela. Solo nell’aprile 1945 fu possibile conoscere il luogo della sommaria inumazione. I cadaveri vennero identificati dagli abiti che le quattro vittime indossavano al momento della cattura. Nella medesima circostanza venivano arrestati anche altri 23 operai della “Pellizzari”. Imprigionati prima a Vicenza e poi a Fossoli per essere infine inviati in Germania. Due dei deportati,Rampazzo Giuseppe e Salvato Giovanni, morirono prima del termine della guerra.



2) https://bresciaanticapitalista.com/202...



3) Senza dimenticare che appena oltre il crinale, nella vallata parallela dell'Agno, sorge la famosa fabbrica produttrice di perfluorinated alkylated substances…

Gianni Sartori - 2024/2/27 - 17:11




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