Il barone Fanfulla da Lodi
condottiero di gran rinomanza
fu condotto una sera in istanza
da una donna di facile amor.
Era nuova ai certami d'amore
di Fanfulla la casta alabarda
ma alla vista di tanta bernarda
prese il brando e si mise a pugnar
E cavalca, cavalca, cavalca
alla fine Fanfulla si accascia
al risveglio la turpe bagascia
"Cento scudi mi devi tu dar"
Vaffancul, vaffancul, vaffanculo
le risponde Fanfulla incazzato
venti scudi già ieri ti ho dato
ed il resto lo prendi nel cul
Passa un giorno, due giorni, tre giorni
e a Fanfulla gli prude l'uccello
cos'è mai questo male novello
che natura ci vuole donar?
Fu chiamato un famoso dottore
quello venne e poi disse: "Fanfulla
qui bisogna amputare una palla
se di scolo non vuoi tu morir"
Di Fanfulla l'uccello reciso
fu deposto in un'orrida bara
mille vergin facevano a gara
per cantargli codesta canzon:
«Facesti il fol, facesti il fol
chiavasti senza guanto, il guanto, il guanto
facesti il fol, facesti il fol,
chiavasti senza guanto e beccasti lo scol!»
La morale di questa vicenda
si riduce alla legge del menga:
chi l'ha preso nel cul se lo tenga
ed impari ad usare il goldon!
Però oltre alla legge del menga
ci sta pure la legge del Volga:
chi l'ha preso nel cul se lo tolga
e lo metta nel cul del vicin!
condottiero di gran rinomanza
fu condotto una sera in istanza
da una donna di facile amor.
Era nuova ai certami d'amore
di Fanfulla la casta alabarda
ma alla vista di tanta bernarda
prese il brando e si mise a pugnar
E cavalca, cavalca, cavalca
alla fine Fanfulla si accascia
al risveglio la turpe bagascia
"Cento scudi mi devi tu dar"
Vaffancul, vaffancul, vaffanculo
le risponde Fanfulla incazzato
venti scudi già ieri ti ho dato
ed il resto lo prendi nel cul
Passa un giorno, due giorni, tre giorni
e a Fanfulla gli prude l'uccello
cos'è mai questo male novello
che natura ci vuole donar?
Fu chiamato un famoso dottore
quello venne e poi disse: "Fanfulla
qui bisogna amputare una palla
se di scolo non vuoi tu morir"
Di Fanfulla l'uccello reciso
fu deposto in un'orrida bara
mille vergin facevano a gara
per cantargli codesta canzon:
«Facesti il fol, facesti il fol
chiavasti senza guanto, il guanto, il guanto
facesti il fol, facesti il fol,
chiavasti senza guanto e beccasti lo scol!»
La morale di questa vicenda
si riduce alla legge del menga:
chi l'ha preso nel cul se lo tenga
ed impari ad usare il goldon!
Però oltre alla legge del menga
ci sta pure la legge del Volga:
chi l'ha preso nel cul se lo tolga
e lo metta nel cul del vicin!
envoyé par Riccardo Venturi - 19/5/2009 - 18:56
Langue: italien
Una versione più moderna (vi si nominano persino gli ombrelli Pirelli...) più decisamente "contro la guerra":
IL FANFULLA DA LODI
Evviva gli ombrelli Pirelli
che paran gli uccelli, che paran gli uccelli,
Evviva gli ombrelli Pirelli
che paran gli uccelli, dall'umidità.
Il barone Fanfulla da Lodi,
condottiero di gran rinomanza,
fu condotto un bel giorno in istanza
da una donna dai facili amor.
Era vergine il prode Fanfulla,
ma alla vista di tanta maliarda
tirò fuori la casta alabarda
e con zelo si mise a giostrar.
Gran condottier, gran cavalier,
cessa di far la guerra, la guerra, la guerra;
gran condottier, gran cavalier,
cessa di far la guerra e vieni a goder!
E cavalca, cavalca, cavalca,
alla fine Fanfulla s'accascia;
lo risveglia la turpe bagascia:
"100 scudi mi devi donar!"
"Vaffancul, vaffancul, vaffanculo!"
le risponde Fanfulla incazzato:
"20 scudi io gia t'ho donato,
gli altri 80 li prendi nel cul!"
Evviva l'amor, evviva l'amor:
quando si fa la cacca, la cacca, la cacca,
Evviva l'amor, evviva l'amor:
quando si fa la cacca si sente l'odor.
Passa un giorno, due giorni, tre giorni,
a Fanfulla fa male l'uccello:
"Cos'è mai questo male novello
che natura mi vuole donar?"
Fu chiamato un dottore di grido
che gli disse: "mio caro Fanfulla,
qui bisogna amputare una palla
se di scolo non vuoi tu morir!"
Di Fanfulla l'orrido membro
fu deposto in una gelida bara;
cento vergin facevano a gara,
intonando codesta canzon:
"Facesti il fol, facesti il fol:
chiavasti senza guanto, senza guanto, senza guanto;
facesti il fol, facesti il fol:
chiavasti senza guanto e beccasti lo scol."
La morale di questa vicenda
assomiglia alla legge del Menga:
"chi l'ha preso nel cul se lo tenga,
se lo tenga fin dove gli sta!"
Di rimando alla legge del Menga,
contrapposta è la legge del Volga:
"chi l'ha preso nel cul se lo tolga,
e lo metta nel cul del vicin."
Ma in materia di scoli e banani
non c'è proprio mai nulla che tenga;
vige solo la legge del Menga
che a un dipresso si enuncia così:
"Chi l'ha nel cul, chi l'ha nel cul,
nel culo se lo tenga, se lo tenga, se lo tenga;
chi l'ha nel cul, chi l'ha nel cul,
nel culo se lo tenga, e lo tenga ben dur."
Evviva gli ombrelli Pirelli
che paran gli uccelli, che paran gli uccelli,
Evviva gli ombrelli Pirelli
che paran gli uccelli, dall'umidità.
Il barone Fanfulla da Lodi,
condottiero di gran rinomanza,
fu condotto un bel giorno in istanza
da una donna dai facili amor.
Era vergine il prode Fanfulla,
ma alla vista di tanta maliarda
tirò fuori la casta alabarda
e con zelo si mise a giostrar.
Gran condottier, gran cavalier,
cessa di far la guerra, la guerra, la guerra;
gran condottier, gran cavalier,
cessa di far la guerra e vieni a goder!
E cavalca, cavalca, cavalca,
alla fine Fanfulla s'accascia;
lo risveglia la turpe bagascia:
"100 scudi mi devi donar!"
"Vaffancul, vaffancul, vaffanculo!"
le risponde Fanfulla incazzato:
"20 scudi io gia t'ho donato,
gli altri 80 li prendi nel cul!"
Evviva l'amor, evviva l'amor:
quando si fa la cacca, la cacca, la cacca,
Evviva l'amor, evviva l'amor:
quando si fa la cacca si sente l'odor.
Passa un giorno, due giorni, tre giorni,
a Fanfulla fa male l'uccello:
"Cos'è mai questo male novello
che natura mi vuole donar?"
Fu chiamato un dottore di grido
che gli disse: "mio caro Fanfulla,
qui bisogna amputare una palla
se di scolo non vuoi tu morir!"
Di Fanfulla l'orrido membro
fu deposto in una gelida bara;
cento vergin facevano a gara,
intonando codesta canzon:
"Facesti il fol, facesti il fol:
chiavasti senza guanto, senza guanto, senza guanto;
facesti il fol, facesti il fol:
chiavasti senza guanto e beccasti lo scol."
La morale di questa vicenda
assomiglia alla legge del Menga:
"chi l'ha preso nel cul se lo tenga,
se lo tenga fin dove gli sta!"
Di rimando alla legge del Menga,
contrapposta è la legge del Volga:
"chi l'ha preso nel cul se lo tolga,
e lo metta nel cul del vicin."
Ma in materia di scoli e banani
non c'è proprio mai nulla che tenga;
vige solo la legge del Menga
che a un dipresso si enuncia così:
"Chi l'ha nel cul, chi l'ha nel cul,
nel culo se lo tenga, se lo tenga, se lo tenga;
chi l'ha nel cul, chi l'ha nel cul,
nel culo se lo tenga, e lo tenga ben dur."
envoyé par Riccardo Venturi - 19/5/2009 - 19:05
Langue: italien
Una versione ancor più moderna (e adattata a' tempi nuovi) ad opera dell'inclito Riccardo Scocciante:
IL DVCETTO SILVIUCCIO D'ARCORE
Il dvcetto Silviuccio d'Arcòre
gabbamondo di gran rinomanza
si trovò a una festa in istanza
la Noemi dai grandi bollor.
Era nuova ai certami d'amore,
la graziosa lo chiamava “papi”;
Silvio n'ebbe dei gran grattacapi
nonostante la sua tarda età.
E cavalca, cavalca, cavalca
alla fine Silviuccio s'arrende,
dà il regalo e poi leva le tende,
se ne torna l'Itaglia a guidar!
Ma la cosa fu tosto cognìta
dalla moglie donna Veronìca:
“Questa qui non gliela passo mica”,
e s'appresta a mandarlo nel cul.
Vaffancul, vaffancul, vaffanculo,
incazzata, donna Veronìca
scrive subito a “Repubblìca”
poi il divorzio ella va a preparar.
Passa un giorno, due giorni, tre giorni,
Silvio enuncia la solita lagna,
gli risponde madonna Carfagna:
“Or ti dico come devi far!”
E succhiando un bel lecca-lecca
lei gli dice: “Non ci sono cristi,
devi dar colpa ai comunisti,
funge sempre, e tu lo sai ben!”
Fu chiamato il Vittorio Feltri,
direttore del diario Libèro:
“O Vittorio, il Silvio gli è nero,
la Veronica vuol divorziar.”
Ed allora di denigrazione
della moglie partì la campagna,
mentre il Silvio con monna Carfagna
si diletta di legislaziòn.
Risultato di questa vicenda
è che il negro ed il marocchino
pagan pure per qualche pompino
ed in mare li vanno a buttar!
La morale di questa vicenda
si riduce alla legge del menga:
chi l'ha preso nel cul se lo tenga
e rivoti sia pur Berluscon!
Però oltre alla legge del menga
ci sta pure la legge di Lega:
se al potente gli fanno una sega
e gli è colpa dell'immigraziòn!
Il dvcetto Silviuccio d'Arcòre
gabbamondo di gran rinomanza
si trovò a una festa in istanza
la Noemi dai grandi bollor.
Era nuova ai certami d'amore,
la graziosa lo chiamava “papi”;
Silvio n'ebbe dei gran grattacapi
nonostante la sua tarda età.
E cavalca, cavalca, cavalca
alla fine Silviuccio s'arrende,
dà il regalo e poi leva le tende,
se ne torna l'Itaglia a guidar!
Ma la cosa fu tosto cognìta
dalla moglie donna Veronìca:
“Questa qui non gliela passo mica”,
e s'appresta a mandarlo nel cul.
Vaffancul, vaffancul, vaffanculo,
incazzata, donna Veronìca
scrive subito a “Repubblìca”
poi il divorzio ella va a preparar.
Passa un giorno, due giorni, tre giorni,
Silvio enuncia la solita lagna,
gli risponde madonna Carfagna:
“Or ti dico come devi far!”
E succhiando un bel lecca-lecca
lei gli dice: “Non ci sono cristi,
devi dar colpa ai comunisti,
funge sempre, e tu lo sai ben!”
Fu chiamato il Vittorio Feltri,
direttore del diario Libèro:
“O Vittorio, il Silvio gli è nero,
la Veronica vuol divorziar.”
Ed allora di denigrazione
della moglie partì la campagna,
mentre il Silvio con monna Carfagna
si diletta di legislaziòn.
Risultato di questa vicenda
è che il negro ed il marocchino
pagan pure per qualche pompino
ed in mare li vanno a buttar!
La morale di questa vicenda
si riduce alla legge del menga:
chi l'ha preso nel cul se lo tenga
e rivoti sia pur Berluscon!
Però oltre alla legge del menga
ci sta pure la legge di Lega:
se al potente gli fanno una sega
e gli è colpa dell'immigraziòn!
envoyé par CCG/AWS Staff - 19/5/2009 - 19:33
Amici amici amici, forse lo sapete che σας αγαπαω (e in greco lo scrivo, perché per CCG mi occupo dei Greci): ma non è cosa di sfruculiare il Cavaliere perché fotte, se proprio si vuole credere alla voce che fa spargere in giro. E chi se ne frega. Al popolo è sempre piaciuto che chi può, possa. E faccia. E chi non lo farebbe, potendolo. E chi non avrebbe sette ville, potendolo. E chi sette yacht, potendolo. E chi sette tv, potendolo. E chi mille, diecimila, dieci milioni, cento milioni, un miliardo di paraculi allungati sul tappeto, potendolo. E chi non manderebbe affanculo la moglie vecchia, potendolo. Vox populi: la mia morosa vegia la tengo come riserva e quando spunta l'erba la mando a pascolar. E chi non prenderebbe la madre e la figlia e la serva sul sofà, potendolo (e se proprio questo fosse accaduto nel caso in ispecie, dovrebbe fregarcene qualcosa, a noi ?). Gli idoli sono proiezioni di noi medesimi, e quante più troiate ci fanno credere di saper fare, tanto più li amiamo e li riveriamo. Li vediamo tanto più in alto di noi, che non ce la facciamo ad invidiarli: possiamo solo proiettarci in loro. Poniamo che anch'io abbia qualche canchero alla prostata, come il Cavaliere. Ma lui fotte - si dice - e io no: invidia ? Macché: se Lui può, chissà che un giorno non lo possa anch'io. Non accadrà, ma potenzialmente posso, e Lui sa e fa, anche in nome e per conto mio. Grazie di esistere, Cavaliere, finché Tu ci sei, io mi sento ancora vivo. Non omnis moriar, come diceva il Poeta. Eros e Priapo di Gadda: l'avete letto? Le Sofonisbe e le Sofronie che marciavano, una ciappa de kì una ciappa de là, in onor del Dvce, minchione eretto a ombreggiar l'Italia ?Compiangevano, le spose d'Italia, la povera Rachele ? Manco pa' a capa: se lei non era all'altezza di tanta altezza, suo era il problema, mica loro. Perché, come direbbe il Feltri, che appena può si vanta bergamasco: "quand l'è ù l'è ù" e questa è la legge della Natura, e non ci son cazzi: grazie a dio c'è ancora il Suo. Ecco perché lo amiamo. Ecco perché lo votiamo. Ecco perché sarà sempre il nostro papi.
Gian Piero Testa - 19/5/2009 - 21:19
Langue: français
Version française – LE BARON FANFULLA DE LODI – Marco Valdo M.I. – 2015
Chanson italienne – Il barone Fanfulla da Lodi - anonimo
Si je dis « Bartolomeo Tito Alon », né à Basiasco, le 1er septembre 1477 et mort à Pavie, le 24 février 1525, je crois que ce nom dirait quelque chose à peu de gens. Peut-être à beaucoup d'entre eux, le nom avec lequel il est passé à l'histoire, c'est-à-dire Fanfulla da Lodi, dirait davantage. C’est un des mythiques « condottieri » italiens, valeureux, d'esprit altier et hautain, méprisant du danger à la bataille et cetera. Piero Novati dit de lui : « Il n'y a pas de combat important à cheval du Seizième siècle auquel Fanfulla n'ait pas participé, d'abord comme simple soldat de fortune et ensuite comme capitaine avec sa troupe de cinquante hommes d'armes directement subordonnés à son commandement et à sa solde ». Les condottieri italiens du XVIe siècle, qui combattaient justement à la solde des puissances qui avaient fait de l'Italie leur champ de bataille préféré (France et Espagne en premier), eurent à subir avec le Risorgimento le mythe d'un pays qui n'existait littéralement pas ; en devant servir d'exaltateur de ses « qualités guerrières » (à l'Italie), ces mercenaires (quels mercenaires c'étaient !) se retrouvèrent par exemple à combattre tous ensemble dans une joute chevaleresque dans la plaine entre Corato et Andria, dans les Pouilles, donnant lieu à ce qui est passé à l'histoire comme la « Disfida de Barletta » (Défi de Barletta) qu'on nous a tant servi à titre d'exemple de la « vertu italienne contre le lâche étranger » depuis le temps de Massimo d'Azeglio (entretemps, d'autre part, en Italie, on remportait les défis chevaleresques pendant que n'importe quelle armée des puissances européennes en faisait (de l'Italie) son très confortable champ de bataille en semant deuil et ruines).
Fanfulla da Lodi a le rôle principal de cette très célèbre chansonnette ; une « chanson paillarde ». Eh bien oui : les CCG ne s'arrêtent devant rien. La « paillarde » renvoie à des temps lointains, d'université élitiste, du fait que des riches, des rejetons bons à rien qui pouvaient se permettre, en attente de devenir la classe dirigeante, de s'amuser à faire le casse-cou avec l'argent de papa ; ce n'est pas pour rien qu'elle fut littéralement balayée par '68 ( tout en survivant dans quelques facultés, particulièrement les juridiques, dans quelques universités, et généralement liée à une tradition de droite). Malgré cela, dans quelques chants – au moins parmi des plus anciens, il est possible de trouver des piques considérablement intéressantes, particulièrement de dérision de certaines « vertus dorées » ; ainsi dans cette « Fanfulla ». Là, le condottiere est présenté, pour ainsi dire, dans les coulisses : finies les batailles et les défis, le voici dans la peau d'un petit homme obsédé qui réussit à escroquer une prostituée en en tirant cependant une très amère (et bien méritée) surprise.
Une « chanson contre la guerre » ? Eh bien, si elle l'est, elle l'est pour d'excellentes raisons, Charles Martel revient de la bataille de Poitiers de Fabrizio de André (et Paolo Villaggio), est aussi « Fanfulla », qui semble bien être son ancêtre direct ; le même « guerrier » cueilli dans un instant fort peu vertueux et édifiant, le même traitement réservé à la donzelle facile, le même « esprit » qui traverse les deux chansons. « Carlo Martello », écrit par un nonchalant étudiant de jurisprudence (qui ne passera jamais sa licence ) de bonne (bien plus, d'excellente) famille, est une chanson paillarde de plein droit. Sans compter que, dans la strophe finale de la « Fanfulla », là où on énonce la très célèbre « Loi de Volga » (qui fait contrepoids à l'aussi célèbre « Loi de la Menga » fondement même de la plus célèbre composition paillarde italienne, le poème Il processo di Sculacciabuchi (Le procès de Sculacciabuchi) écrit en 1899 par un étudiant du nom de Rosati, qui ensuite ne devint rien de moins que ministre de la Justice), on énonce le principe universel de toute guerre.
De ce chant, existent d'innombrables versions ; il s'agit, probablement d'un des rares chants paillards qui ont connu le processus de transformation en un véritable chant populaire. Le texte ici – repris de it:wikipedia – est le plus complet. [RV]
Je ne te cache rien, moi Lucien. Tu es mon ami l'âne et tu le sais bien. Cependant, il faut que je t'avoue la chose comme elle est : cette fois-ci, je me suis amusé à mettre en français cette chanson. Dis-moi quand même, car je me suis posé la question… Toi qui es allé partout et dans tous les temps, n'as-tu pas connu le sieur Fanfulla, baron de son état ?
Bien évidemment que si que j'ai croisé ce couillon ; car c'en était un vraiment, tu peux me croire. Rompre ainsi sa lance au premier combat… Si tu vois ce que je veux dire ; franchement, ça ne se fait pas. Sans être vantard, ni crâneur, ni bravache, ni épateur, ni prétentieux, ni esbroufeur, ni hâbleur, ni frimeur, ni fanfaron, ni matamore, ni rodomont, ni fier à bras, je t'avouerai que au long de mes longues pérégrinations, comme je suis à présent (et depuis longtemps) équipé comme un âne, je n'ai pas manqué une occasion d'user de mon tromblon. Mais jamais, au grand jamais, je n'ai eu recours au goldon. D'ailleurs, ils sont trop petits.
Oui, Lucien l'âne mon ami, j'ai compris. Mais Fanfulla dans tout ça ?
Ah oui, Fanfulla, ce couillon… Comme baron, il était un peu con. Il bataillait à gauche, il bataillait à droite et il bataillait au milieu et du coup, il mourut pas bien vieux et encore, lui, il fit long feu. Tel est le sort des condottieres.
Merci beaucoup de la précision. Cela dit, j'ai vérifié, pour éclairer ta lanterne, la loi de Menga et celle de la Volga à certaine source sûre et encyclopédique. Je conseille vivement à ceux qui lisent l'italien d'aller y jeter un coup d’œil et même plus. J'y ai trouvé confirmation de ces deux lois et moultes explications qu'il serait fastidieux de reprendre ici et maintenant (hic et nunc!). Cependant, j'y ai trouvé quelques corollaires intéressants en « talien » (comme dit Montalbano quand Sergio le traduit en français ; dans l'original (en siculo-camillerien) : « taliano »). Je cite et je traduis à la volée...
Comme d'habitude, dit Lucien l'âne en riant, tu ne fais jamais autrement. À moi, tu ne peux pas m'en raconter, je te vois faire.
Donc, dit Marco Valdo M.I., arrête d'agiter ta queue et écoute ; je cite et je traduis à la volée :
Da questa legge derivano tutta una serie di preziosi corollari, conseguenze fondamentali e inconfutabili di tale legge e ormai capisaldi della fisica moderna: (De cette loi dérivent une série de précieux corollaires, conséquences fondamentales et irréfutables de cette loi et désormais fondements de la physique moderne:)
Legge di Keplero: soffri di più se il cazzo è nero (On souffre plus si le vit est noir)
Legge del Volga: chi l'ha in culo se lo tolga (Qui l'a dans le cul, l'ôte)
Legge del Bisenzio: vedi Bisenzio: chi l'ha in culo soffra in silenzio (Qui l'a dans le cul, souffre en silence) voir en français Bisenzio
Legge di Avogadro: non esiste cazzo quadro (il n'existe pas de vit carré)
Legge di Gay-Lussac: cazzo in culo fa cic-ciac (vit dans le cul fait chic-chiac ou chic sac ?)
Legge di Fagioli: cazzo in culo 'un fa figlioli. (vit dans le cul ne fait pas d'enfants)
Legge di Voghera: anche la bionda ce l'ha nera. (même la blonde l'a noir)
Legge di Sigfrido: se m'inculi non mi fido. (si on m'encule, je ne fais plus confiance)
Postulato di Livello: venir nel culo non è bello. (venir dans le cul n'est pas beau)
Principio di Archimede: cazzo in culo non fa erede. (vit dans le cul ne fait pas d'héritier)
Ah ben, on s'amuse en Italie. Vaut mieux ça qu'une nuit avec le Pape et une semaine au Vatican. Tiens, je me souviens d'un coup que Ventu avait dit quelque part dans ce foutu labyrinthe que toute chanson dans les CCG finit tôt ou tard par être traduite… Voilà, c'est fait. Comme quoi, Ventu finit toujours par avoir raison. Et reprenons notre tâche qui consiste essentiellement, je te le rappelle, non pas à étudier les fondements physiques et le physique des fondements, mais à tisser le linceul de ce vieux monde répétitif, sinistre, somnambule et cacochyme.
Heureusement !
Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien l'âne.
Chanson italienne – Il barone Fanfulla da Lodi - anonimo
Si je dis « Bartolomeo Tito Alon », né à Basiasco, le 1er septembre 1477 et mort à Pavie, le 24 février 1525, je crois que ce nom dirait quelque chose à peu de gens. Peut-être à beaucoup d'entre eux, le nom avec lequel il est passé à l'histoire, c'est-à-dire Fanfulla da Lodi, dirait davantage. C’est un des mythiques « condottieri » italiens, valeureux, d'esprit altier et hautain, méprisant du danger à la bataille et cetera. Piero Novati dit de lui : « Il n'y a pas de combat important à cheval du Seizième siècle auquel Fanfulla n'ait pas participé, d'abord comme simple soldat de fortune et ensuite comme capitaine avec sa troupe de cinquante hommes d'armes directement subordonnés à son commandement et à sa solde ». Les condottieri italiens du XVIe siècle, qui combattaient justement à la solde des puissances qui avaient fait de l'Italie leur champ de bataille préféré (France et Espagne en premier), eurent à subir avec le Risorgimento le mythe d'un pays qui n'existait littéralement pas ; en devant servir d'exaltateur de ses « qualités guerrières » (à l'Italie), ces mercenaires (quels mercenaires c'étaient !) se retrouvèrent par exemple à combattre tous ensemble dans une joute chevaleresque dans la plaine entre Corato et Andria, dans les Pouilles, donnant lieu à ce qui est passé à l'histoire comme la « Disfida de Barletta » (Défi de Barletta) qu'on nous a tant servi à titre d'exemple de la « vertu italienne contre le lâche étranger » depuis le temps de Massimo d'Azeglio (entretemps, d'autre part, en Italie, on remportait les défis chevaleresques pendant que n'importe quelle armée des puissances européennes en faisait (de l'Italie) son très confortable champ de bataille en semant deuil et ruines).
Fanfulla da Lodi a le rôle principal de cette très célèbre chansonnette ; une « chanson paillarde ». Eh bien oui : les CCG ne s'arrêtent devant rien. La « paillarde » renvoie à des temps lointains, d'université élitiste, du fait que des riches, des rejetons bons à rien qui pouvaient se permettre, en attente de devenir la classe dirigeante, de s'amuser à faire le casse-cou avec l'argent de papa ; ce n'est pas pour rien qu'elle fut littéralement balayée par '68 ( tout en survivant dans quelques facultés, particulièrement les juridiques, dans quelques universités, et généralement liée à une tradition de droite). Malgré cela, dans quelques chants – au moins parmi des plus anciens, il est possible de trouver des piques considérablement intéressantes, particulièrement de dérision de certaines « vertus dorées » ; ainsi dans cette « Fanfulla ». Là, le condottiere est présenté, pour ainsi dire, dans les coulisses : finies les batailles et les défis, le voici dans la peau d'un petit homme obsédé qui réussit à escroquer une prostituée en en tirant cependant une très amère (et bien méritée) surprise.
Une « chanson contre la guerre » ? Eh bien, si elle l'est, elle l'est pour d'excellentes raisons, Charles Martel revient de la bataille de Poitiers de Fabrizio de André (et Paolo Villaggio), est aussi « Fanfulla », qui semble bien être son ancêtre direct ; le même « guerrier » cueilli dans un instant fort peu vertueux et édifiant, le même traitement réservé à la donzelle facile, le même « esprit » qui traverse les deux chansons. « Carlo Martello », écrit par un nonchalant étudiant de jurisprudence (qui ne passera jamais sa licence ) de bonne (bien plus, d'excellente) famille, est une chanson paillarde de plein droit. Sans compter que, dans la strophe finale de la « Fanfulla », là où on énonce la très célèbre « Loi de Volga » (qui fait contrepoids à l'aussi célèbre « Loi de la Menga » fondement même de la plus célèbre composition paillarde italienne, le poème Il processo di Sculacciabuchi (Le procès de Sculacciabuchi) écrit en 1899 par un étudiant du nom de Rosati, qui ensuite ne devint rien de moins que ministre de la Justice), on énonce le principe universel de toute guerre.
De ce chant, existent d'innombrables versions ; il s'agit, probablement d'un des rares chants paillards qui ont connu le processus de transformation en un véritable chant populaire. Le texte ici – repris de it:wikipedia – est le plus complet. [RV]
Je ne te cache rien, moi Lucien. Tu es mon ami l'âne et tu le sais bien. Cependant, il faut que je t'avoue la chose comme elle est : cette fois-ci, je me suis amusé à mettre en français cette chanson. Dis-moi quand même, car je me suis posé la question… Toi qui es allé partout et dans tous les temps, n'as-tu pas connu le sieur Fanfulla, baron de son état ?
Bien évidemment que si que j'ai croisé ce couillon ; car c'en était un vraiment, tu peux me croire. Rompre ainsi sa lance au premier combat… Si tu vois ce que je veux dire ; franchement, ça ne se fait pas. Sans être vantard, ni crâneur, ni bravache, ni épateur, ni prétentieux, ni esbroufeur, ni hâbleur, ni frimeur, ni fanfaron, ni matamore, ni rodomont, ni fier à bras, je t'avouerai que au long de mes longues pérégrinations, comme je suis à présent (et depuis longtemps) équipé comme un âne, je n'ai pas manqué une occasion d'user de mon tromblon. Mais jamais, au grand jamais, je n'ai eu recours au goldon. D'ailleurs, ils sont trop petits.
Oui, Lucien l'âne mon ami, j'ai compris. Mais Fanfulla dans tout ça ?
Ah oui, Fanfulla, ce couillon… Comme baron, il était un peu con. Il bataillait à gauche, il bataillait à droite et il bataillait au milieu et du coup, il mourut pas bien vieux et encore, lui, il fit long feu. Tel est le sort des condottieres.
Merci beaucoup de la précision. Cela dit, j'ai vérifié, pour éclairer ta lanterne, la loi de Menga et celle de la Volga à certaine source sûre et encyclopédique. Je conseille vivement à ceux qui lisent l'italien d'aller y jeter un coup d’œil et même plus. J'y ai trouvé confirmation de ces deux lois et moultes explications qu'il serait fastidieux de reprendre ici et maintenant (hic et nunc!). Cependant, j'y ai trouvé quelques corollaires intéressants en « talien » (comme dit Montalbano quand Sergio le traduit en français ; dans l'original (en siculo-camillerien) : « taliano »). Je cite et je traduis à la volée...
Comme d'habitude, dit Lucien l'âne en riant, tu ne fais jamais autrement. À moi, tu ne peux pas m'en raconter, je te vois faire.
Donc, dit Marco Valdo M.I., arrête d'agiter ta queue et écoute ; je cite et je traduis à la volée :
Da questa legge derivano tutta una serie di preziosi corollari, conseguenze fondamentali e inconfutabili di tale legge e ormai capisaldi della fisica moderna: (De cette loi dérivent une série de précieux corollaires, conséquences fondamentales et irréfutables de cette loi et désormais fondements de la physique moderne:)
Legge di Keplero: soffri di più se il cazzo è nero (On souffre plus si le vit est noir)
Legge del Volga: chi l'ha in culo se lo tolga (Qui l'a dans le cul, l'ôte)
Legge del Bisenzio: vedi Bisenzio: chi l'ha in culo soffra in silenzio (Qui l'a dans le cul, souffre en silence) voir en français Bisenzio
Legge di Avogadro: non esiste cazzo quadro (il n'existe pas de vit carré)
Legge di Gay-Lussac: cazzo in culo fa cic-ciac (vit dans le cul fait chic-chiac ou chic sac ?)
Legge di Fagioli: cazzo in culo 'un fa figlioli. (vit dans le cul ne fait pas d'enfants)
Legge di Voghera: anche la bionda ce l'ha nera. (même la blonde l'a noir)
Legge di Sigfrido: se m'inculi non mi fido. (si on m'encule, je ne fais plus confiance)
Postulato di Livello: venir nel culo non è bello. (venir dans le cul n'est pas beau)
Principio di Archimede: cazzo in culo non fa erede. (vit dans le cul ne fait pas d'héritier)
Ah ben, on s'amuse en Italie. Vaut mieux ça qu'une nuit avec le Pape et une semaine au Vatican. Tiens, je me souviens d'un coup que Ventu avait dit quelque part dans ce foutu labyrinthe que toute chanson dans les CCG finit tôt ou tard par être traduite… Voilà, c'est fait. Comme quoi, Ventu finit toujours par avoir raison. Et reprenons notre tâche qui consiste essentiellement, je te le rappelle, non pas à étudier les fondements physiques et le physique des fondements, mais à tisser le linceul de ce vieux monde répétitif, sinistre, somnambule et cacochyme.
Heureusement !
Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien l'âne.
LE BARON FANFULLA DE LODI
Le baron Fanfulla da Lodi,
Condottière de grand renom,
Fut conduit un soir en catimini
Chez une dame de belles façons.
La chaste hallebarde de Fanfulla
Était novice aux duels d'amour
Mais à la vue d'un si bel atour,
Il empoigna son braquemart et l'enfonça.
Et il cavala, cavala, cavala
Enfin Fanfulla se lasse.
Au réveil, l'abjecte baillasse
Lui susurra : « Cent écus, tu me dois. »
Vaffancul, vaffancul, va te faire foutre
Lui répond Fanfulla en colère
Je t'ai déjà donné vingt écus
Et le reste, tu te le mets dans le cul
Un jour passe, deux jours, trois jours
Fanfulla, inquiet, regarde son oiseau
Mais, se dit-il, quel est ce mal nouveau
Que la nature nous donne ce jour ?
Il fit appel à un célèbre docteur
Il vint, il vit et il dit
« Baron, c'est un grand malheur,
Je dois amputer votre vit.»
La queue sèche de Fanfulla, encore fière
Fut déposée dans une macabre bière.
Mille vierges firent la compétition
Pour lui chanter cette chanson :
« Tu fis le fol, fis le fol, fis le fol
Sans gant, sans gant, sans gant
Tu fis le fol, fis le fol, fis le fol
Sans gant et te voilà sans gland ! »
La morale de cette histoire
Renvoie à la loi de la menga :
Qui l'a dans le cul se le garde
Et protège son doigt.
Mais au-delà de cette loi,
Il y a aussi la loi de laVolga :
Qui l'a dans le cul l'ôte du sien
Et le met dans le cul du voisin !
Le baron Fanfulla da Lodi,
Condottière de grand renom,
Fut conduit un soir en catimini
Chez une dame de belles façons.
La chaste hallebarde de Fanfulla
Était novice aux duels d'amour
Mais à la vue d'un si bel atour,
Il empoigna son braquemart et l'enfonça.
Et il cavala, cavala, cavala
Enfin Fanfulla se lasse.
Au réveil, l'abjecte baillasse
Lui susurra : « Cent écus, tu me dois. »
Vaffancul, vaffancul, va te faire foutre
Lui répond Fanfulla en colère
Je t'ai déjà donné vingt écus
Et le reste, tu te le mets dans le cul
Un jour passe, deux jours, trois jours
Fanfulla, inquiet, regarde son oiseau
Mais, se dit-il, quel est ce mal nouveau
Que la nature nous donne ce jour ?
Il fit appel à un célèbre docteur
Il vint, il vit et il dit
« Baron, c'est un grand malheur,
Je dois amputer votre vit.»
La queue sèche de Fanfulla, encore fière
Fut déposée dans une macabre bière.
Mille vierges firent la compétition
Pour lui chanter cette chanson :
« Tu fis le fol, fis le fol, fis le fol
Sans gant, sans gant, sans gant
Tu fis le fol, fis le fol, fis le fol
Sans gant et te voilà sans gland ! »
La morale de cette histoire
Renvoie à la loi de la menga :
Qui l'a dans le cul se le garde
Et protège son doigt.
Mais au-delà de cette loi,
Il y a aussi la loi de laVolga :
Qui l'a dans le cul l'ôte du sien
Et le met dans le cul du voisin !
envoyé par Marco Valdo M.I. - 19/8/2015 - 22:20
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Fanfulla da Lodi è il protagonista di questa famosissima canzoncina; un cosiddetto “canto goliardico”. Ebbene sì: le CCG non si fermano davanti a nulla. La “goliardia” riporta a tempi lontani, di università elitaria, da ricchi, da rampolli sfaccendati che potevano permettersi, in attesa di diventare la classe dirigente, di divertirsi a fare gli scavezzacollo coi soldi di papà; non per niente è stata letteralmente spazzata via dal '68 (pur sopravvivendo una vita grama in alcune facoltà, particolarmente giuridiche, in alcuni atenei, e generalmente legata ad una generica destra). Ciononostante, in alcuni canti -almeno fra i più antichi- è possibile cogliere degli spunti notevolmente interessanti, particolarmente di derisione di certe “virtù paludate”; così in questo “Fanfulla”. Qui il condottiero viene presentato, per così dire, dietro le quinte: finite le battaglie e le disfide, eccolo nei panni di ometto infoiato che non si perita di gabbare una prostituta riportandone però un'amarissima (e ben meritata) sorpresa. Una “canzone contro la guerra”? Beh, se lo è, è con ottimi motivi, Carlo Martello torna [o: ritorna] dalla battaglia di Poitiers; o Carlo Martello di Fabrizio de André (e Paolo Villaggio), lo è anche il “Fanfulla”, che sembra la sua diretta antenata; lo stesso “guerriero” colto in un momento assai poco virtuoso e edificante, lo stesso trattamento riservato alla facil donzella, lo stesso “spirito” che pervade le due canzoni. “Carlo Martello”, scritto da uno svogliato studente di giurisprudenza (che non si laureerà mai) di buona (anzi ottima) famiglia, è un canto goliardico in piena regola. Senza contare che, nella strofa finale del “Fanfulla”, laddove si enuncia la celeberrima “Legge del Volga” (che fa da contraltare all'altrettanto celebre “Legge del Menga” caposaldo anche del più famoso componimento goliardico italiano, il poemetto Il processo di Sculacciabuchi scritto nel 1899 da uno studentello di nome Rosati, che poi ebbe a divenire nientemeno che ministro di grazia e giustizia), si enuncia il principio universale di ogni guerra.
Del canto esistono innumerevoli versioni; si tratta, probabilmente, di uno dei pochi canti goliardici che seriamente ha subito il processo di trasformazione in vero e proprio canto popolare. Il testo qui riportato, ripreso da it:wikipedia è quello più completo.