Riccardo Marasco: Vita, morte e miracoli di Luca Cava
GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCGLanguage: Italian (Toscano Fiorentino)
Questa è la storia del famoso Cava
che non pensando al nome che portava
voleva fare a gara col fratello
per superarlo sempre in questo e quello.
Ma non ci capiva un'acca!
Ed ogni sforzo suo finiva in cacca.
Il babbo dei due Cava, ragioniere
voleva dalla vita ogni piacere:
vivea perciò a San Bartolo a Cintoia
con la su' ganza, un pochettino troia
che seppur fosse tedesca
aveva un nome italico: Francesca.
Col tempo lei gli fuse il comprendonio
e un dì lui si decise a i'matrimonio:
Francesca dalla gioia la scoppiettava,
povera Checca, l'arie che si dava!
Oramai la diventava
la nobile signora Checca Cava.
Giuseppe e Checca vissero d'amore
col visto regolare del priore
e dopo nove mesi, molto belli,
la Checca mise al mondo du' gemelli:
Marco l'un fu battezzato,
e l'altro invece Luca fu chiamato.
Gli sposi Cava gli erano felici
e un dì li presentarono agli amici,
e tutti li trovaron molto belli
ma proprio non parevano gemelli:
Marco avea il capello riccio,
e Luca Cava liscio, un po' molliccio;
Marco ce l'aveva grasso
e Luca Cava secco come i'sasso,
Marco ce l'aveva corto
e Luca Cava lungo, tutto sciolto.
Entrambi avean per l'orto la passione
e quando gli arrivava la stagione
piantavano ogni anno con gran cura
i fiori ed ogni sorta di verdura:
Marco fragole nostrane,
e Luca Cava zucche e melanzane.
Amarono una bionda ed una bruna
e andavano a passeggio al chiar di luna
e nel dire alla donna il proprio amore
nessun volea dell'altro esser minore:
Marco le donava un fiore,
e allora Luca Cava tutto i'core!
Quand'ebbero finito di studiare
furon chiamati a fare il militare
e Marco, che era sempre malaticcio
passava il giorno sopra il pagliericcio
mentre là con i sergenti,
gagliardo, Luca Cava sugli attenti.
Un giorno la politica li attira
e ognuno punta in alto la sua mira
per Marco solo il popolo contava
e per andare avanti si basava
sopra le rivoluzioni!
E invece, Luca Cava sui padroni.
Ormai vecchiotti e bianchi di capelli
pensaron separarsi i du' gemelli:
e ognuno disse : “Vada come vada,
dinora innanzi andrò per la mi' strada!”
Marco Cava entrò in convento,
più furbo, Luca Cava in parlamento.
Carriera fece là tra i forchettoni
naturalmente in barba dei coglioni,
e a spese dello stato, dopo morto
ottenne Luca Cava un bel trasporto:
stava Marco in monastero
e invece Luca Cava a i' cimitero.
Così Luca riabbracciava
la sua adorata mamma Checca Cava.
che non pensando al nome che portava
voleva fare a gara col fratello
per superarlo sempre in questo e quello.
Ma non ci capiva un'acca!
Ed ogni sforzo suo finiva in cacca.
Il babbo dei due Cava, ragioniere
voleva dalla vita ogni piacere:
vivea perciò a San Bartolo a Cintoia
con la su' ganza, un pochettino troia
che seppur fosse tedesca
aveva un nome italico: Francesca.
Col tempo lei gli fuse il comprendonio
e un dì lui si decise a i'matrimonio:
Francesca dalla gioia la scoppiettava,
povera Checca, l'arie che si dava!
Oramai la diventava
la nobile signora Checca Cava.
Giuseppe e Checca vissero d'amore
col visto regolare del priore
e dopo nove mesi, molto belli,
la Checca mise al mondo du' gemelli:
Marco l'un fu battezzato,
e l'altro invece Luca fu chiamato.
Gli sposi Cava gli erano felici
e un dì li presentarono agli amici,
e tutti li trovaron molto belli
ma proprio non parevano gemelli:
Marco avea il capello riccio,
e Luca Cava liscio, un po' molliccio;
Marco ce l'aveva grasso
e Luca Cava secco come i'sasso,
Marco ce l'aveva corto
e Luca Cava lungo, tutto sciolto.
Entrambi avean per l'orto la passione
e quando gli arrivava la stagione
piantavano ogni anno con gran cura
i fiori ed ogni sorta di verdura:
Marco fragole nostrane,
e Luca Cava zucche e melanzane.
Amarono una bionda ed una bruna
e andavano a passeggio al chiar di luna
e nel dire alla donna il proprio amore
nessun volea dell'altro esser minore:
Marco le donava un fiore,
e allora Luca Cava tutto i'core!
Quand'ebbero finito di studiare
furon chiamati a fare il militare
e Marco, che era sempre malaticcio
passava il giorno sopra il pagliericcio
mentre là con i sergenti,
gagliardo, Luca Cava sugli attenti.
Un giorno la politica li attira
e ognuno punta in alto la sua mira
per Marco solo il popolo contava
e per andare avanti si basava
sopra le rivoluzioni!
E invece, Luca Cava sui padroni.
Ormai vecchiotti e bianchi di capelli
pensaron separarsi i du' gemelli:
e ognuno disse : “Vada come vada,
dinora innanzi andrò per la mi' strada!”
Marco Cava entrò in convento,
più furbo, Luca Cava in parlamento.
Carriera fece là tra i forchettoni
naturalmente in barba dei coglioni,
e a spese dello stato, dopo morto
ottenne Luca Cava un bel trasporto:
stava Marco in monastero
e invece Luca Cava a i' cimitero.
Così Luca riabbracciava
la sua adorata mamma Checca Cava.
Contributed by Riccardo Venturi - 2009/4/15 - 00:19
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Testo e musica di Riccardo Marasco
Album: "L'Ammucchiata"
Così recita una curiosa epigrafe, dettata dall'uomo di spettacolo senese Silvio Gigli, che sovrasta un'ancor più curiosa statuetta sita nell'antico borgo chiantigiano di San Gusmè. E' la statuetta di Luca Cava, uno degli autentici eroi leggendari toscani, ed ancor più perché incarna due capisaldi della cultura popolare toscana: l'uguaglianza e la merda. La strada che ha portato all'Inno del corpo sciolto di Benigni è lunga di secoli: sul vaso siamo tutti uguali.
Ma qual è la storia della statuetta? La riprendiamo da L'Informatore, la pagina online per i soci della Coop.
“A San Gusmè si è inventata una festa, nata a sua volta da un episodio che ha del leggendario, di cui è difficile trovare l'uguale nel pur ricco panorama folcloristico toscano. Si racconta che il proprietario di un'osteria del paese, stanco di dover ripulire quotidianamente intorno alla sua bottega la sporcizia maleodorante lasciata da avventori e passanti, decise di costruire all'esterno uno stanzino che corredò con la scritta "Bagno pubblico". Ma nessuno lo usava perché - analfabeti - nessuno capiva il significato di quelle parole. Allora l'oste fece costruire una statuina che raffigurava un uomo accovacciato, in una posizione dall'inequivocabile significato. La gente capì al volo, il luogo ritornò pulito e alla statuina venne messo il nome e il cognome di "Luca Cava", al quale venne poi affiancata anche una signora con l'opportuno nome di Francesca e dunque "Checca Cava". Con il tempo l'abitudine di festeggiare il simpatico omino si affievolì, e anche della statuina si persero le tracce. L'ha riportata in auge il noto scrittore e uomo di spettacolo senese Silvio Gigli che, in onore del signor Luca Cava, ha istituito fino dagli anni '70 del secolo scorso un premio letterario e ha organizzato vari festeggiamenti nel mese di settembre. Attualmente la statuetta è situata fuori le mura del borgo ed è corredata da un'iscrizione, dettata dallo stesso Silvio Gigli, che dice così: "Re, imperatore, papa, filosofo, poeta, operaio, contadino: l'uomo nelle sue funzioni. Non ridete: pensate a voi stessi".”
(Per i non toscani: “Luca Cava” si pronuncia /luhahava/, del tutto omofono di “lui cacava”; per “Checca Cava” non c'è bisogno di ulteriori spiegazioni).
A questo simbolo contadino di uguaglianza nel cacare, e alla sua consorte, lo chansonnier fiorentino Riccardo Marasco ha dedicato una canzone, ambientandola però a Firenze; anzi, a San Bartolo a Cintoia che, per l'appunto, si trova a cinquecento metri da casa mia; un antico borgo (e antico dev'esserlo sul serio, se "Cintoia" procede diretto dal latino centuria) fuoriporta inglobato dalla città, ma rimasto borgo così com'era, con le vecchie a sedere sulle seggiole fuor dall'uscio, nelle sere d'estate. La casa del Popolo, la sagra domenicale e qualcosa che non vuol morire.
La storia di Luca Cava fabbricata da Marasco è del tutto inventata, così come succede tra la gente: su un nome, su un semplice nome, si costruisce una storia. La quale, come vedrete, ha qualcosa da dire, nel mezzo delle risate popolane provocate dai continui e talvolta feroci doppi sensi:
[RV]