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In un anno e più d'amore

Gianni Nebbiosi
Language: Italian


Gianni Nebbiosi

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Alessio Lega E ti chiamaron matta di Gianni Nebbiosi (estratti)
(adriana)

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16 ottobre 1943
(Gianni Nebbiosi)
E qualcuno poi disse
(Gianni Nebbiosi)
Abd el-Salam
(Alessio Lega)


[1972]
E ti chiamaron Matta

Testo e musica di Gianni Nebbiosi
Lyrics and music by Gianni Nebbiosi
EP Dischi Del Sole - DS76
Riedizione di Alessio Lega e Rocco Marchi - 2008


Non se ne trovano quasi, in rete, fotografie del professor Gianni Nebbiosi. È, adesso, uno stimato studioso di psicologia e frenologia a livello internazionale: basta digitare il suo nome su Google, e compaiono studi, interventi a seminari e congressi, testimonianze professionali. E anche la fotografia che qui presentiamo, che lo ritrae nel 2002, è stata presa ad un convegno internazionale tenutosi in Spagna. Digitare il suo nome su Google, dicevamo. In mezzo agli studi e agli interventi, compare però anche una cosa “strana”, a nome di Gianni Nebbiosi. Un album di canzoni. Un incredibile e dimenticato album di canzoni del 1972 intitolato E ti chiamaron matta. Un album prodotto nientemeno che da Giovanna Marini, e nella quale la stessa ebbe a accompagnare Nebbiosi agli strumenti.

Racconta Alessio Lega...ma perché Alessio Lega racconti lo diremo meglio dopo. Ora diciamo semplicemente quello che racconta durante i suoi concerti. Era il 1972, e Gianni Nebbiosi non era ancora né professore, né stimato: era un semplice studente di medicina interessato ai problemi della psichiatria e, soprattutto, della condizioni di vita nei manicomi. Nei lager chiamati manicomi. In quelle istituzioni terribili, in quei campi di concentramento in nome della “medicina” che allora non venivano messi minimamente in discussione. Gianni Nebbiosi, occupandosene e dopo una crisi personale, da studente ebbe modo, purtroppo per lui, di finirci dentro -anche se per un breve periodo. Uscitone, decise di cantare quello che aveva visto. La canzone come mezzo di diffusione di esperienze, di idee, di lotta. Ne nacquero sei canzoni pubblicate in album dai “Dischi del Sole”.

Un album che mai ebbe vita facile, che nacque introvabile. Eppure dovette circolare, in modo sotterraneo. Eppure dovette dare il suo contributo a quel movimento che, negli anni '70 in Italia, portò in pochi anni alla Legge Basaglia ed alla chiusura dei manicomi (1978). Dice ancora Alessio Lega: “Forse ad un anarchico non sta bene parlare di una legge. Ma c'è stato comunque un periodo in questo paese, in cui larghe fasce di persone lottavano, si battevano perché fossero eliminati dei lager, e in cui l'Italia era un po' meno di merda di quella di adesso.”. Il giovanissimo Alessio Lega andò a cercare questo album, arrivando a prendere l'elenco del telefono di Roma e chiamare direttamente il professor Nebbiosi. Il quale, gentile e gioviale, e con un accento romanesco da far paura, si dimostrò entusiasta che quelle sue canzoni ancora circolassero, e fossero ricercate.

Ma che cosa ha fatto, in definitiva, Alessio Lega? E' semplice. Quell'album oramai irreperibile lo ha riarrangiato, ricantato e reinciso assieme al suo polistrumentista Rocco Marchi (che io chiamo affettuosamente il “tuttista”, specie quando suona il suo xilofono portatile con canna acustica -detto familiarmente “pippofono”). Una riproposizione cui ha partecipato anche il professor Gianni Nebbiosi, in persona, mettendo a disposizione tutto il materiale che aveva. Le “sei canzoni dei matti” si possono scaricare legalmente dal blog di Alessio. E vi consigliamo di farlo.

Ve lo consigliamo perché viviamo in tempi in cui, tra le altre cose, tra le invocazioni di sicurezze, galere, linciaggi, “certezze della pena” e compagnia bella, non mancano nemmeno quelle per la riapertura dei manicomi. “Ah, quando almeno c'erano i manicomi, i matti stavano dentro!”. Chi scrive c'è entrato svariate volte, come soccorritore, nei manicomi. Quello che erano lo potete leggere qui, e non è che un episodio. A tale riguardo, abbiamo deciso anche di istituire un nuovo percorso: perché di lager si è trattato, e dei peggiori. Non a caso la “pazzia” fu largamente usata dallo stalinismo per sbarazzarsi degli oppositori. Non a caso gli infermieri dei manicomi differivano a volte assai poco dagli aguzzini di Auschwitz o di Treblinka, infierendo su esseri umani ridotti a larve incapaci di difendersi. [RV]


”La morte non è nel non potere comunicare
Ma nel non poter più essere compresi”

Pier Paolo Pasolini

Caro Alessio, la ragione -l'emozione- che mi ha portato a scrivere canzoni all'inizio degli anni settanta sta tutta in questi versi di Pasolini. Quando ci si occupa della sofferenza psichica è importante condividerla, capire i significati affettivi e i contesti della vita che l'hanno fatta nascere. In fondo le persone che soffrono non cercano altro: vogliono parlarci (talvolta confusamente, talvolta con illuminante chiarezza) di quello che le fa soffrire, e vogliono che le comprendiamo per potere comprendersi. Purtroppo succedeva e succede troppo spesso che tra quel dolore e noi che ce ne occupiamo si frappongono un sacco di cose: la nostra “competenza” professionale che ci fa giudicare, diagnosticare, definire troppo in fretta e con poca empatia il dolore mentale dell'altro; il ruolo di chi cura, che spesso “protegge” la propria autenticità e fragilità dietro una presunta neutralità “scientifica”; le regole di istituzioni che dovrebbero curare ma che spesso sono preoccupate solo di salvare se stesse.
Caro Alessio, le cose in questi quarant'anni non sono tante cambiate, nonostante le gloriose battaglie di psichiatria democratica e l'impegno di tanti operatori. Ti ringrazio davvero di cuore di avere dato voce, attraverso le mie canzoni, a queste storie e ai loro protagonisti: persone che cercavano -e cercano- solo di essere aiutate e comprese.

Gianni Nebbiosi.
Lettera a Alessio Lega riprodotta nell'album


”La realtà manicomiale è stata superata
e non si sa quale potrà essere il passo successivo.
Come non risalire dall'escluso all'escludente?
O si è complici, o si agisce e si distrugge.”

Franco Basaglia, Ospedale Psichiatrico Provinciale di Gorizia, 1968.



E ti chiamaron matta: piccolo ma grande grande grande.
di Fabio Antonelli

C’è chi si sveglia con accanto nel letto una donna stupenda, c’è chi si sogna solamente di trascorrere una notte d’amore con una donna stupenda, c’è chi come me si sogna di aver trascorso una magnifica serata a chiacchierare con Alessio Lega in una non identificabile trattoria di Milano e di svegliarsi poi la mattina con testa la musica e le parole di “Ti ricordi Nina”.

Sinceramente non ricordo di cosa abbiamo parlato Alessio ed io in questo mio originalissimo sogno, forse di musica, forse di politica anche se qui io e lui ci troviamo su posizioni distanti o forse, più semplicemente, gli ho espresso quanto non gli avevo detto qualche giorno prima quando, appena ascoltato il suo nuovo disco, ho avvertito l’urgenza di telefonargli per esprimergli i miei apprezzamenti per il rifacimento del piccolo urgente disco capolavoro dello psichiatra/cantautore Gianni Nebbiosi che è così tornato disponibile dopo 37 anni dall’originale incisione.

A condividere questo progetto ha avuto accanto Rocco Marchi, al quale bisogna rendere merito per aver saputo dare al disco una veste musicale affascinante e tale da non renderlo tedioso perché, visto l’argomento trattato, il rischio di fare un disco pesante come un macigno ci sarebbe potuto essere.

Il disco è stato inciso in occasione dei trent’anni dalla Legge Basaglia, quella che ha cercato di superare la realtà manicomiale come si evince da una testimonianza del 1968 dello stesso Basaglia riportata nella custodia del disco “La realtà manicomiale è stata superata e non si sa quale potrà essere il passo successivo. Come non risalire dall’escluso all’escludente? O si è complici, o si agisce e si distrugge.”.

Unica pecca è forse quella della mancanza di un libretto con i testi delle canzoni, oltre al citato intervento di Basaglia troviamo, però una breve lettera in cui Gianni Nebbiosi ringrazia Alessio così: “Ti ringrazio davvero di cuore di aver dato voce, attraverso le mie canzoni, a queste storie e ai loro protagonisti: persone che cercavano - e cercano – solo di essere ascoltate e comprese” ed in cui racconta che la ragione che l’ha portato a scrivere canzoni all’inizio degli anni settanta sta tutta in questi versi di Pasolini “La morte non è nel potere comunicare ma nel non poter più essere compresi”.

Alessio Lega si rivela ancora una volta un grande interprete di canzoni di altri, sa appropriarsene e farsene carico con grande maestria per raggiungere vette di eccellenza in canzoni come quest’ultima in cui il gesto di rivolta sentito cantare da lui assume una duplice valenza umana e politica.

Rocco Marchi da par suo, più che in altre occasioni si è dimostrato capace di rendere drammaticità al cantato senza però aggiungere inutili pesantezze ed orpelli eccentrici o barocchi.

Un disco piccolo piccolo per durata ma eccezionalmente grande per intensità.
In un anno e più d'amore
c'è per forza qualche errore
ma la cosa che interessa
è che tu non sei la stessa
sei cambiata piano piano
per venirmi più vicino.

In un anno e più di fatti
c'è da correr come matti
cambiano in continuazione
prospettive ed occasione
ed è triste dire poi:
«Chi non cambia siamo noi».

In un anno e più di lotte
quante volte ci si fotte
per paura di sbagliare
stiamo sempre ad aspettare
ma non è la perfezione
che concima la invenzione.

Benvenuto sia l'errore
quando attesta il nostro amore
se trattassimo la piazza
come fosse una ragazza
di rapporti puri e belli
ce ne abbiam sopra i capelli.

In un anno e più d'amore
può venire un malumore
però proprio quando sbagli
sento che mi rassomigli
cosa vuoi che me ne importi
di saperti senza torto?

La la la la la...

Contributed by CCG/AWS Staff - 2009/2/12 - 02:07



Language: French

Version française – EN UN AN ET PLUS D'AMOUR – Marco Valdo M.I. – 2010
Chanson italienne – In un anno e più d'amore – Gianni Nebbiosi – 1972

Tu vois, Lucien l'âne mon ami, il est des jours où l'on n'est pas trop satisfait de ce qu'on a fait. Par exemple, cette traduction de la chanson de Gianni Nebbiosi me tracasse. J'ai hésité à te la faire connaître, mais que dire... Faut-il la laisser de côté ou, – c'est finalement la solution que j'ai choisie, la montrer quand même. Au moins, elle passera en langue française et si quelqu'un trouve à y redire, qu'il y redise.

Oh, dit Lucien l'âne, ne te tracasse pas tant. Je vais te raconter une anecdote qui, j'espère, te donnera tes apaisements. Pris dans des tracasseries de l'existence, un homme (ce pourrait être toi, par exemple) se plaint et se demande comment tout cela va finir ? Son ami (moi, par exemple) le rassure et lui dit : « Ne t'inquiète donc pas tant, tout finit toujours par s'arranger, c'est sûr... Même mal. »

C'est la meilleure réflexion qui soit, car elle correspond tout-à-fait bien à l'idée sous-jacente de la chanson. Me revient maintenant en mémoire une réflexion (encore une...) généralement attribuée au comédien suisse Michel Simon, par ailleurs grand acteur du théâtre et du cinéma français, Michel Simon que, comme tu le sais, Dame Nature n'avait pas vraiment gâté – il n'avait pas l'allure d'un éphèbe – et qui disait : « Vaut mieux avoir une sale gueule, que pas de gueule du tout ! » D'accord, il y avait Jacques Prévert, là derrière. Cela dit, j'aime beaucoup ce qu'a fait Gianni Nebbiosi et bien ou mal traduit, je suis assez content de le faire connaître, lui qui apporta , qui importa dans la chanson, qui éclaira par la chanson le terrible destin des personnes internées... et la terrible difficulté de la résistance à certaine oppression d'une sordide conformité sociale.

En effet, dans ces lieux-là aussi, dit Lucien l'âne en relevant d'un coup sa puissante mâchoire d'âne, la devise : Ora e sempre : Resistenza ! s'impose.

Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane

EN UN AN ET PLUS D'AMOUR

En un an et plus d'amour
Il y a forcément un détour
Mais la chose intéressante
Est que tu n'es plus la même
Tu as changé pas à pas
Pour te rapprocher de moi.

En un an et plus de faits
Il y a de quoi courir comme des fous
Les perspectives et les occasions
Changent en continuation
Il est triste de dire après
« Ce qui ne change pas, c'est nous ».

En un an et plus de luttes
Combien de fois s'en est-on foutu
Par peur de se déprendre
Nous restâmes toujours à attendre
Mais la perfection
Ne nourrit pas l'invention.

Bienvenue soit l'erreur
Elle atteste de notre amour
Si nous traitons le peuple
Comme une jeune fille
Aux élans purs et beaux
Nous en avons par dessus la tête

En un an et plus d'amour
Peut survenir la mauvaise humeur
Pourtant quand tu t'égares
Je sens que tu me ressembles
Que veux-tu que j'en fasse
De te savoir sans aucun tort ?

Lalalalala...

Contributed by Marco Valdo M.I. - 2010/5/31 - 22:23




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