Non so chi fu ad intuire la necessità di far l’ultima mossa
Di uscire dalla porta e scagliarsi contro il primo carabiniere in tenuta antisommossa
Nel nostro lugubre ribellarsi
abbiamo dato possibilità a qualche coscienza
di nihilistica propensione
nell’immolarsi rendendo vana, vana ogni rivoluzione
Rivoluzione sia essa operata
con le budella o con il cannone
Ma poi capire che i giovani vogliono solo giustificare
la voglia matta di penitenza
contro ogni lugubre trascendenza
Che colonizza le periferie
di mille lugubri diavolerie
Che alimentano l’onda pato mediatica, subliminale
Che ogni governo sostituisce al bastone per comandare,
al bastone per comandare
al bastone per comandare
al bastone per comandare
al bastone per comandare!
Di uscire dalla porta e scagliarsi contro il primo carabiniere in tenuta antisommossa
Nel nostro lugubre ribellarsi
abbiamo dato possibilità a qualche coscienza
di nihilistica propensione
nell’immolarsi rendendo vana, vana ogni rivoluzione
Rivoluzione sia essa operata
con le budella o con il cannone
Ma poi capire che i giovani vogliono solo giustificare
la voglia matta di penitenza
contro ogni lugubre trascendenza
Che colonizza le periferie
di mille lugubri diavolerie
Che alimentano l’onda pato mediatica, subliminale
Che ogni governo sostituisce al bastone per comandare,
al bastone per comandare
al bastone per comandare
al bastone per comandare
al bastone per comandare!
E' giovedi sera, sotto il tendone del piazzale
fuori diluvia, qui si beve e si canta...
e in questa calca ci sto bene...
è come se fossimo insieme... davvero...
e per esserlo davvero, basta saperlo
Prima sono rotolato sugli scogli mentre pisciavo alla luna...
scogli appuntiti contro la mia carne liquida
e neanche un graffio
forse perché le mie ossa sono più appuntite delle rocce.
Ritorno nel piazzale alle sei del pomeriggio di venerdì
"hanno ammazzato un ragazzo" mi dicono...
gli hanno sparato
Ci guardiamo e lo sguardo non vede più nulla
continuo a piangere...
vado verso gli scogli
per vergogna, per necessità di un posto
perché il pianto si fermi
ma sento uno strappo nella carne,
avrei potuto esserci io al suo posto
e stavolta non è solo un modo di dire
stavolta non è solo un modo di dire
quel pianto mi sta ancora addosso...
da quel 20
di luglio
quando hanno ucciso MIO FRATELLO
quando hanno ucciso MIO FRATELLO!!
fuori diluvia, qui si beve e si canta...
e in questa calca ci sto bene...
è come se fossimo insieme... davvero...
e per esserlo davvero, basta saperlo
Prima sono rotolato sugli scogli mentre pisciavo alla luna...
scogli appuntiti contro la mia carne liquida
e neanche un graffio
forse perché le mie ossa sono più appuntite delle rocce.
Ritorno nel piazzale alle sei del pomeriggio di venerdì
"hanno ammazzato un ragazzo" mi dicono...
gli hanno sparato
Ci guardiamo e lo sguardo non vede più nulla
continuo a piangere...
vado verso gli scogli
per vergogna, per necessità di un posto
perché il pianto si fermi
ma sento uno strappo nella carne,
avrei potuto esserci io al suo posto
e stavolta non è solo un modo di dire
stavolta non è solo un modo di dire
quel pianto mi sta ancora addosso...
da quel 20
di luglio
quando hanno ucciso MIO FRATELLO
quando hanno ucciso MIO FRATELLO!!
envoyé par CCG/AWS Staff - 15/2/2008 - 17:00
Langue: français
Version française de Riccardo Venturi
17 juillet 2008
17 juillet 2008
FRAISES ET SANG
Je ne sais pas qui a pressenti la nécessité de jouer le dernier coup
De sortir de la porte, de se jeter contre le premier carabinier en tenue anti-émeute
Dans nostre lugubre rébellion
Nous avons donné la possibilité à certaines consciences
Portées au nihilisme
De se sacrifier en rendant vaine, vaine toute révolution
Révolution, quoiqu'on la fasse
avec ses entrailles ou avec le canon
Mais, puis, c'est comprendre que les jeunes ne veulent que justifier
une folle envie de pénitence
contre toute lugubre transcendance
qui colonise les banlieues
de mille lugubres trucs diaboliques
Qui nourrissent la vague patamédiatique, subliminale
Que tout gouvernement utilise à la place du bâton pour commander
du bâton pour commander
du bâton pour commander
du bâton pour commander
du bâton pour commander!
Je ne sais pas qui a pressenti la nécessité de jouer le dernier coup
De sortir de la porte, de se jeter contre le premier carabinier en tenue anti-émeute
Dans nostre lugubre rébellion
Nous avons donné la possibilité à certaines consciences
Portées au nihilisme
De se sacrifier en rendant vaine, vaine toute révolution
Révolution, quoiqu'on la fasse
avec ses entrailles ou avec le canon
Mais, puis, c'est comprendre que les jeunes ne veulent que justifier
une folle envie de pénitence
contre toute lugubre transcendance
qui colonise les banlieues
de mille lugubres trucs diaboliques
Qui nourrissent la vague patamédiatique, subliminale
Que tout gouvernement utilise à la place du bâton pour commander
du bâton pour commander
du bâton pour commander
du bâton pour commander
du bâton pour commander!
Il est jeudi soir sous la tente sur la place,
il pleut à seaux là dehors, ici on boit et on chante…
moi je me sens bien dans cette foule…
c'est comme si nous étions ensemble…vraiment…
et pour l'être vraiment, il suffit de le savoir
Avant, je suis tombé sur les rochers en pissant à la lune…
des rochers aigus contre ma chair liquide
et pas même une petite blessure
peut-être parce que mes os sont plus aigus que les rochers.
Je rentre sur la place vendredi à six heures du soir
"ils ont tué un gars", on me dit…
ils lui ont tiré dessus
On se regarde, et notre regard ne voit plus rien,
je ne cesse de pleurer…
je vais vers les rochers
par honte, j'ai besoin d'une place
où arrêter de pleurer
mais je sens ma chair déchirée
je pouvais être à sa place
et ce n'est pas une façon de dire cette fois-ci,
ce n'est pas seulement une façon de dire,
ces larmes, je les sens encore dans moi…
depuis ce 20
juillet
quand ils ont tué MON FRÈRE
quand ils ont tué MON FRÈRE!!!
il pleut à seaux là dehors, ici on boit et on chante…
moi je me sens bien dans cette foule…
c'est comme si nous étions ensemble…vraiment…
et pour l'être vraiment, il suffit de le savoir
Avant, je suis tombé sur les rochers en pissant à la lune…
des rochers aigus contre ma chair liquide
et pas même une petite blessure
peut-être parce que mes os sont plus aigus que les rochers.
Je rentre sur la place vendredi à six heures du soir
"ils ont tué un gars", on me dit…
ils lui ont tiré dessus
On se regarde, et notre regard ne voit plus rien,
je ne cesse de pleurer…
je vais vers les rochers
par honte, j'ai besoin d'une place
où arrêter de pleurer
mais je sens ma chair déchirée
je pouvais être à sa place
et ce n'est pas une façon de dire cette fois-ci,
ce n'est pas seulement une façon de dire,
ces larmes, je les sens encore dans moi…
depuis ce 20
juillet
quand ils ont tué MON FRÈRE
quand ils ont tué MON FRÈRE!!!
Genova è sola
di Marco Rovelli
dal suo blog
Torno da Genova, dove ho presentato il libro, e fatto qualche canzone con Alessio Lega. Le giornate organizzate da Haidi e il Comitato Piazza Carlo Giuliani. La mostra sulle morti sul lavoro. Bella, davvero. Eppure, così poca gente. Ormai Genova è sola. E saranno le solite coincidenze non casuali, ma in questi stessi giorni la solitudine di Genova si mostra - in tutta la nostra impotenza - nelle aule dei tribunali. Nelle assoluzioni per quel massacro che fu Bolzaneto. Per la gioia di quell'uomo dallo sguardo così nazionalsocialista che è Castelli. L'aveva detto lui. Bisogna vedere cosa, e a chi. E poi, vedremo il processo per la Diaz. Ma ormai sembra appartenere tutto a un passato così remoto. In sempre di meno ci si accorge che questo è invece il nostro presente - perché l'esito di questo processo dice che siamo tutti, oggi, torturabili. Che la democrazia (ma che parola è ormai, questa?) può essere impunemente sospesa. Lo è, del resto, così spesso - nei Cpt, nelle caserme. Ma anche nelle leggi che passano senza proteste. E non parlo di quelle ad personam su Berlusconi. La coscienza è fragile. E lo sguardo basso.
Questo governo è molto più pericoloso di tutti quelli che lo hanno preceduto. Non è solo liberismo, questo. Ma una miscela - tipica di ogni fascismo - di liberismo e populismo. Ovvero, issues tipicamente di sinistra - che però la sinistra (quel che ne rimane) ha lasciato sguarnite. Ovvero: Fassino ai tempi di Seattle era ministro del commercio estero e fervente sostenitore del Wto. Adesso Tremonti che riesce a far passare la sua posizione "no-global", lo stesso che s'inventa l'iper-populista "Robin-tax" - si coniuga benissimo con le posizioni identitarie e neorazziste di Alemanno. Questo è l'asse più pericoloso, che si nutre di un'irriflessa posizione di pancia contro la globalizzazione - senza ovviamente riflettere quanto questa concorrenza al ribasso determinata sia inscindibile da tutto quel che fino ad oggi è convenuto ai paesi del nord, e quanto continui a convenire ad alcuni settori del suo capitalismo. Insomma, si tratta di un antiglobalismo che vorrebbe solo servi, e non concorrenti - lo stesso meccanismo del resto che si reclama all'interno dei patri confini.
Sabato ci tornerò a Genova, a cantare alla Buridda. E domenica è il 20. Per la memoria. Perché sarà pure un target minimo, la celebrazione. Ma è l'ultima trincea, quell'ultima su cui ci troviamo - così necessaria.
In treno, di ritorno. Un signore distinto, con un trolley al seguito. Incrocia il controllore davanti allo scompartimento, e protesta. "Il vagone di là, è uno schfo". Ecco, penso, il solito qualunquista che protesta sui treni. E invece - "c'è un gruppo di americani, bevono whisky, hanno sporcato tutto". E mentre si allontana: "Se erano rumeni, li avevano già buttati giù del treno". E sono un po' meno solo.
di Marco Rovelli
dal suo blog
Torno da Genova, dove ho presentato il libro, e fatto qualche canzone con Alessio Lega. Le giornate organizzate da Haidi e il Comitato Piazza Carlo Giuliani. La mostra sulle morti sul lavoro. Bella, davvero. Eppure, così poca gente. Ormai Genova è sola. E saranno le solite coincidenze non casuali, ma in questi stessi giorni la solitudine di Genova si mostra - in tutta la nostra impotenza - nelle aule dei tribunali. Nelle assoluzioni per quel massacro che fu Bolzaneto. Per la gioia di quell'uomo dallo sguardo così nazionalsocialista che è Castelli. L'aveva detto lui. Bisogna vedere cosa, e a chi. E poi, vedremo il processo per la Diaz. Ma ormai sembra appartenere tutto a un passato così remoto. In sempre di meno ci si accorge che questo è invece il nostro presente - perché l'esito di questo processo dice che siamo tutti, oggi, torturabili. Che la democrazia (ma che parola è ormai, questa?) può essere impunemente sospesa. Lo è, del resto, così spesso - nei Cpt, nelle caserme. Ma anche nelle leggi che passano senza proteste. E non parlo di quelle ad personam su Berlusconi. La coscienza è fragile. E lo sguardo basso.
Questo governo è molto più pericoloso di tutti quelli che lo hanno preceduto. Non è solo liberismo, questo. Ma una miscela - tipica di ogni fascismo - di liberismo e populismo. Ovvero, issues tipicamente di sinistra - che però la sinistra (quel che ne rimane) ha lasciato sguarnite. Ovvero: Fassino ai tempi di Seattle era ministro del commercio estero e fervente sostenitore del Wto. Adesso Tremonti che riesce a far passare la sua posizione "no-global", lo stesso che s'inventa l'iper-populista "Robin-tax" - si coniuga benissimo con le posizioni identitarie e neorazziste di Alemanno. Questo è l'asse più pericoloso, che si nutre di un'irriflessa posizione di pancia contro la globalizzazione - senza ovviamente riflettere quanto questa concorrenza al ribasso determinata sia inscindibile da tutto quel che fino ad oggi è convenuto ai paesi del nord, e quanto continui a convenire ad alcuni settori del suo capitalismo. Insomma, si tratta di un antiglobalismo che vorrebbe solo servi, e non concorrenti - lo stesso meccanismo del resto che si reclama all'interno dei patri confini.
Sabato ci tornerò a Genova, a cantare alla Buridda. E domenica è il 20. Per la memoria. Perché sarà pure un target minimo, la celebrazione. Ma è l'ultima trincea, quell'ultima su cui ci troviamo - così necessaria.
In treno, di ritorno. Un signore distinto, con un trolley al seguito. Incrocia il controllore davanti allo scompartimento, e protesta. "Il vagone di là, è uno schfo". Ecco, penso, il solito qualunquista che protesta sui treni. E invece - "c'è un gruppo di americani, bevono whisky, hanno sporcato tutto". E mentre si allontana: "Se erano rumeni, li avevano già buttati giù del treno". E sono un po' meno solo.
adriana - 18/7/2008 - 06:53
CON IL NOME DI MIO FIGLIO - Dialoghi con Haidi Giuliani, a cura di Marco Rovelli - Transeuropa Edizioni
da Coriandoli in Equilibrio
C’è una Genova che non deve essere messa da parte, nonostante il tempo sia abile a relegare ciò che conta nei cantucci della Storia, ed è la Genova del luglio 2001. Quella, per intenderci, della “costante violazione delle libertà fondamentali”, quella in cui lo “stato di eccezione” mortificò i più elementari diritti, quella in cui il senso umano della democrazia conobbe la sua mattanza più sottile. In un'estate da teatro aguzzino, in cui il sistema dell’horror-ordine avanzò a passi scanditi e ininterrotti, le vicende collettive si incrociarono con quelle singolari, e per molti: per chi c’era, e si trovò a subire l’arte del macello eccitata da una cultura fascista prima subodorata, e in quelle ore *vista*; per chi non c’era, e si ridusse a percepire a distanza, con i mezzi possibili, in compagnia di una tensione convulsa, l’oppressione piombata sui corpi di amici, parenti, compagni.
Per qualcuno, la conseguenza dello sguardo fu ancora più carnefice. Per Haidi Gaggio in Giuliani, per esempio, accadde di dover osservare in modo straziante il suo essere madre: di ragazzo vivente, prima di quel 20 luglio; di figlio ucciso, all’indomani, tradotta in una condizione di maternità innaturale, illogica, per l’appunto *inconcepibile* per chiunque abbia concepito. “Dopo, sono stata scaraventata in un’altra vita. E allora è stato un andare brancolando, anche un po’ spintonata di qua e di là dagli eventi. È stato un andare, inizialmente, in cerca di Carlo. In cerca del perché e del come e del chi l’ha ucciso”. Inizialmente in cerca di Carlo, come è ragionevole che sia per chiunque sia stato obbligato a congiungersi con l’insostenibilità di una perdita. Dopo, in cerca dei tanti altri Carlo Giuliani d’Italia, e delle mille e più storie sottaciute e non esplose, in cui la democrazia vigente ha smarrito e smarrisce tutta la sua rispettabilità.
Le tappe dapprima stordite - poi sempre più lucide - di questo girovagare da donna in dolore, hanno conosciuto anche un impegno politico piuttosto criticato, accusato di eccessivo personalismo, e che in molti hanno voluto liquidare con le formule più svariate e superficiali. Sfugge, ai tanti critici imprudenti, il fatto che un tormento che trascini con sé l’amaro più insopportabile dell’abuso giustificato, della violenza legalizzata, della barbarie autorizzata, non possa proprio arrestarsi all’elaborazione intima e privata, ma debba travalicare con ostinazione il confine dell’afflizione riservata, per appropriarsi di ciò che gli spetta: la dignità di questione civile, sociale, politica.
Giungere a questa dignità, per sé e per tutti, anima da otto anni la quotidianità di Haidi, che procede per soste faticose, per stazioni disagevoli, per scali spossanti. Paradossalmente, non c'è riposo nella pausa dalla lotta, ma solo tribolazione, che lenisce se stessa nella ripresa tenace del cammino.
Ora, questo percorso estenuante, tutt'altro che esaurito, è raccolto nel libro-intervista a cura di Marco Rovelli, che è maestro di quesiti tanto gentili quanto analitici, e che si fa agile - attraverso la coscienziosità di domande non consuete e contrarie ai soliti modelli - nel restituirci le zone della nostra resistenza ancora possibile, vivificando l'energia di quell’opposizione oggi avvizzita, quasi estinta.
Dalle pagine, infatti, fuoriesce soprattutto un ritratto di madre *differente*, per niente affine alla tradizione del Belpaese, in cui l’unica genitrice addolorata “concessa” è quella che sparge lacrime a profusione, possibilmente in un angolo a misura di salotto televisivo, utile ad anestetizzare sdegno e indignazione.
Haidi, di contro, è una donna che ha scelto gli altri modi del lutto, che non passano per lo spettacolo del pianto, ma si alimentano del sentimento furente della testimonianza, e si nutrono della ricerca accanita della verità.
Con il risultato, donato a noi, di "ascoltare" per mezzo di lettura una conversazione indispensabile, che ci consente di custodirci a distanza netta dalla deriva dell'accettazione dei fatti, e dalle elemosine consolatorie che obliano memoria ed edificano regime.
Ricordando Genova e le altre Genova, ricordando Carlo e gli altri Carlo, ma soprattutto rendendoli visibili in questa Italia targata 2009, che manifesta oggi le pericolose eredità culturali che il luglio ligure ha maledettamente incubato e dannatamente accresciuto.
da Coriandoli in Equilibrio
C’è una Genova che non deve essere messa da parte, nonostante il tempo sia abile a relegare ciò che conta nei cantucci della Storia, ed è la Genova del luglio 2001. Quella, per intenderci, della “costante violazione delle libertà fondamentali”, quella in cui lo “stato di eccezione” mortificò i più elementari diritti, quella in cui il senso umano della democrazia conobbe la sua mattanza più sottile. In un'estate da teatro aguzzino, in cui il sistema dell’horror-ordine avanzò a passi scanditi e ininterrotti, le vicende collettive si incrociarono con quelle singolari, e per molti: per chi c’era, e si trovò a subire l’arte del macello eccitata da una cultura fascista prima subodorata, e in quelle ore *vista*; per chi non c’era, e si ridusse a percepire a distanza, con i mezzi possibili, in compagnia di una tensione convulsa, l’oppressione piombata sui corpi di amici, parenti, compagni.
Per qualcuno, la conseguenza dello sguardo fu ancora più carnefice. Per Haidi Gaggio in Giuliani, per esempio, accadde di dover osservare in modo straziante il suo essere madre: di ragazzo vivente, prima di quel 20 luglio; di figlio ucciso, all’indomani, tradotta in una condizione di maternità innaturale, illogica, per l’appunto *inconcepibile* per chiunque abbia concepito. “Dopo, sono stata scaraventata in un’altra vita. E allora è stato un andare brancolando, anche un po’ spintonata di qua e di là dagli eventi. È stato un andare, inizialmente, in cerca di Carlo. In cerca del perché e del come e del chi l’ha ucciso”. Inizialmente in cerca di Carlo, come è ragionevole che sia per chiunque sia stato obbligato a congiungersi con l’insostenibilità di una perdita. Dopo, in cerca dei tanti altri Carlo Giuliani d’Italia, e delle mille e più storie sottaciute e non esplose, in cui la democrazia vigente ha smarrito e smarrisce tutta la sua rispettabilità.
Le tappe dapprima stordite - poi sempre più lucide - di questo girovagare da donna in dolore, hanno conosciuto anche un impegno politico piuttosto criticato, accusato di eccessivo personalismo, e che in molti hanno voluto liquidare con le formule più svariate e superficiali. Sfugge, ai tanti critici imprudenti, il fatto che un tormento che trascini con sé l’amaro più insopportabile dell’abuso giustificato, della violenza legalizzata, della barbarie autorizzata, non possa proprio arrestarsi all’elaborazione intima e privata, ma debba travalicare con ostinazione il confine dell’afflizione riservata, per appropriarsi di ciò che gli spetta: la dignità di questione civile, sociale, politica.
Giungere a questa dignità, per sé e per tutti, anima da otto anni la quotidianità di Haidi, che procede per soste faticose, per stazioni disagevoli, per scali spossanti. Paradossalmente, non c'è riposo nella pausa dalla lotta, ma solo tribolazione, che lenisce se stessa nella ripresa tenace del cammino.
Ora, questo percorso estenuante, tutt'altro che esaurito, è raccolto nel libro-intervista a cura di Marco Rovelli, che è maestro di quesiti tanto gentili quanto analitici, e che si fa agile - attraverso la coscienziosità di domande non consuete e contrarie ai soliti modelli - nel restituirci le zone della nostra resistenza ancora possibile, vivificando l'energia di quell’opposizione oggi avvizzita, quasi estinta.
Dalle pagine, infatti, fuoriesce soprattutto un ritratto di madre *differente*, per niente affine alla tradizione del Belpaese, in cui l’unica genitrice addolorata “concessa” è quella che sparge lacrime a profusione, possibilmente in un angolo a misura di salotto televisivo, utile ad anestetizzare sdegno e indignazione.
Haidi, di contro, è una donna che ha scelto gli altri modi del lutto, che non passano per lo spettacolo del pianto, ma si alimentano del sentimento furente della testimonianza, e si nutrono della ricerca accanita della verità.
Con il risultato, donato a noi, di "ascoltare" per mezzo di lettura una conversazione indispensabile, che ci consente di custodirci a distanza netta dalla deriva dell'accettazione dei fatti, e dalle elemosine consolatorie che obliano memoria ed edificano regime.
Ricordando Genova e le altre Genova, ricordando Carlo e gli altri Carlo, ma soprattutto rendendoli visibili in questa Italia targata 2009, che manifesta oggi le pericolose eredità culturali che il luglio ligure ha maledettamente incubato e dannatamente accresciuto.
CCG/AWS Staff - 20/6/2009 - 19:29
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Scritta da Davide Giromini
Written by Davide Giromini
Écrite par Davide Giromini
Ma lo stato è pronto a mettere in moto le forze
per difendere il suo dominio culturale...e così la
repressione delle forze dell'ordine.
Album: 2076: Il ritorno di Kristo [Apuamater Cyberfolk] - Brano n° 11.
Registrato live al Teatro Animosi di Carrara il 7-12-2007
(da Rovagna/De Rito).
Il brano recitato è di Marco Rovelli ed è stato scritto
in occasione della morte di Carlo Giuliani.
In questo concept album si racconta la storia laica e fantastica di un Cristo qualunque che per comodità chiameremo K.
K. inizia la sua predicazione nel 2076, anno in cui l'uomo sarà ormai mediaticamente alienato: la sua vita sarà infatti completamente delegata ad uno schermo e la sua identità relegata in una comunità virtuale, gestita da un grande server chiamato Radio Vaticana. Dopo una breve riflessione K. Decide di partire per l'Europa con un gruppo musicale chiamato “K. And the new partizans” e fondare una nuova corrente con il nome di “Cyberfolk”. Il gruppo diventa famoso in tutto il mondo e crea milioni di proseliti e gruppi che si dedicano al cyberfolk. Il loro tour si concluderà a Roma con un grande happening dove K. Manifesterà al suo pubblico in una canzone l'intento di occupare la Radio Vaticana. Dopo qualche giorno si ritroveranno barricati dentro gli studi di questo grande server e inizieranno a trasmettere il messaggio di K. di presa di distanza dalla storia della chiesa. Assediati dall'esercito e traditi da un componente del gruppo, K. Verrà messo in croce di nuovo. La storia finisce con il delirio onirico agonizzante di K. Il manager Paolo venderà la figura di K. alle generazioni future, attraverso la comunità virtuale che K. stesso combatteva, creando un nuovo mito alienato.
Questa storia trae ispirazione dalle pagine de “Il grande inquisitore” dell'opera “I fratelli Karamazov” di F. Dostoevskij e dal libro di Corrado Augias e Mauro Pesce “Inchiesta su Gesù”. Il termine Cyberfolk è già stato usato da studiosi e musicisti in diverse accezioni. Per noi è un genere musicale che si basa sull'uso di strumenti acustici “filtrati e plastificati” attraverso software in fase di registrazione.
Il grande merito della produzione di questo CD va a Gabriele D'Ascoli che ha mixato e arrangiato nell'arco di un anno il materiale grezzo da me registrato. Ci scusiamo con tutti coloro che avrebbero dovuto partecipare e rimandiamo la collaborazione al prossimo album.
Nel cyberfolk etica ed estetica si fondono con sperimentazione e disgusto.
Davide Giromini.
A questa canzone lacerante, in tutti i sensi, unita ad una poesia di Marco Rovelli sui fatti di Genova gli Apuamater Cyberfolk non hanno certo dato un titolo casuale. "Fragole e sangue" è infatti il titolo italiano di un film culto degli anni '70, ora quasi del tutto sparito (o fatto sparire), diretto da Stuart Hagmann; nel titolo originale americano si chiama "The Strawberry Statement". Ne riprendiamo la scheda da Musica e memoria di Alberto Truffi, dalla quale si capisce alla perfezione il perché del riferimento degli autori della canzone a questo film:
La storia è ben nota a chi ha visto il film all’epoca al cinema (è stato riproposto come film “culto” per dieci anni almeno nei vari cinema d’essai) oppure in TV. Simon (lui) è uno studente disimpegnato, fa parte di una squadra di canottaggio e si allena duro, pur avendo il tipico look da intellettuale, occhialini tondi alla Roger Mc Guinn e capelli biondi medio-lunghi, mentre intorno la università si infiamma a poco a poco nei “primi vagiti del ’68”, il suo room-mate comincia a prendere coscienza (come si diceva) prima di lui, che rimane un osservatore esterno e dubbioso delle prime assemblee, poi lui conosce Linda (lei), fidanzata con un altro (che però è lontano o qualcosa del genere) e così trova la molla per un impegno sempre crescente, fino a partecipare alla occupazione, assumere un ruolo attivo, e, nella celebre lunga sequenza finale, opporsi prima con la resistenza passiva, poi anche attivamente, al violento sgombero della facoltà eseguito dalla polizia di San Francisco.
Come molti ricordano, gli studenti di fronte all’ineluttabile supremazia della ben organizzata polizia americana, su indicazione del leader (nero) si mettono a sedere in cerchio nella palestra cantando “Give peace a chance” di John Lennon, e continuando imperterriti anche mentre la polizia li prende di peso ad uno ad uno, strattonandoli e malmenandoli.