Son morto ch'ero bambino
Passato per il camino
E adesso sono nel vento,
E adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz c'era la neve
Il fumo saliva lento
Nel freddo giorno d'inverno
E adesso sono nel vento,
E adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz tante persone
Ma un solo grande silenzio
È strano, non riesco ancora
A sorridere qui nel vento,
A sorridere qui nel vento
Io chiedo, come può un uomo
Uccidere un suo fratello
Eppure siamo a milioni
In polvere qui nel vento,
In polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone,
Ancora non è contenta
Di sangue la belva umana
E ancora ci porta il vento,
E ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sarà
Che l'uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà,
E il vento si poserà.
Io chiedo quando sarà
Che l'uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà,
E il vento si poserà.
Version by Equipe 84 [1966]
La version d'Equipe 84 [1966]
Equipe 84'n version [1966]
La versione cantata dell'Equipe 84 uscita nel settembre 1966 (su 45 giri Ricordi, Bang bang / Auschwitz). Si tratta del testo originale della canzone (originariamente attribuito a “Lunero” [Iller Pattacini], con musica attribuita a Maurizio Vandelli, leader dell'Equipe 84). Sia il testo che la musica erano stati invece scritti da Francesco Guccini nel 1964, ancora sconosciuto studente universitario ventiquattrenne. Il testo, come si può vedere, ha accenti più pessimistici di quelli della versione più nota, rimaneggiata e incisa l'anno successivo (1967) nell'album Folk Beat n° 1, il primo in studio di “Francesco”.
Son morto ch'ero bambino
Son morto con altri cento
Passato per un camino
Ed ora sono nel vento.
Ad Auschwitz c'era la neve
e il fumo saliva lento
Nei campi tante persone
che ora sono nel vento
Nel vento tante persone
Ma un solo grande silenzio
È strano, non ho imparato
A sorridere qui nel vento,
A sorridere qui nel vento
No, io non credo
Che l'uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E che il vento mai si poserà,
che il vento mai si poserà.
Ancora tuona il cannone,
Ancora non è contenta
Di sangue la belva umana
E ancora ci porta il vento,
e ancora ci porta il vento.
Ancora tuona il cannone,
Ancora non è contento
saremo sempre a milioni
in polvere qui nel vento
Contributed by CCG/AWS Staff
Versione ebraica di Riccardo Venturi e Tali Margalit.
Hebrew version by Riccardo Venturi and Tali Margalit
Version hébraïque de Riccardo Venturi et Tali Margalit
Riccardo Venturin ja Tali Margalitin hepreankielinen versio
(2000)
Non possiamo ovviamente dire che è con piacere che inseriamo questa versione per prima, dopo il testo originale. Ogni persona umana degna di questo nome desidererebbe anzi che una canzone del genere non fosse mai stata scritta.
La versione del 2000 è stata revisionata il 16 maggio 2005.
The language used is both Biblical and modern, though the lyrics have not been vocalized according to contemporary use. The translation is given both in the Hebrew alphabet (which runs from right to left) and in a Romanised version in which stressed vowels are marked to make reading (and singing) easier.
Rather obviously, it is not with pleasure that we gave this version the first place after the original Italian lyrics. Any human being worth of his name would never wish that a song like this could be written.
The original Hebrew version of 2000 has been revised on May 16, 2005. [RV]
אושו׳ץ (ש׳ר ׳לד ברוח)
תרגום בעבר׳ת של ר׳קרדו ונטורי וטלי מרגל׳ת, - 2000
בדיקה מחדש: 2005
מתת׳ כשהית׳ ילד,
מתת׳ עים עוד מאות
דברת׳ דרך ארובה
ועכשו אנ׳ ברוח
ועכשו אנ׳ ברוח
באושו׳ץ ה׳ה שלג.
העשן עלה לאת אטי
ביום חרף קר
באנ׳ נ׳סה ברוח
באנ׳ נ׳סה ברוח
באושו׳ץ אנשים רבים
אבל שקט גדול אחד
זה מוזר אנ׳ לא מצליח
לחײך כאן ברוח
לחײך כאן ברוח
אני מידרש: כמו האדם יכול
לחרג את האח שלו
אבל מיליונות היו
באבק כאן ברוח
באבק כאן ברוח
עוד התותח יורה
עוד הבהמה האנושי
אנו שבע ע׳ם דם
ועוד נשהנו הרוח
ועוד נשהנו הרוח
אני מידרש: מתי יהיה
כשהאדם יוכל ללוד
להיות בלי שחורג
וכשהרוח ירגע
וכשהרוח ירגע
אני מידרש: מתי יהיה
כשהאדם יוכל ללוד
להיות בלי שחורג
וכשהרוח ירגע
וכשהרוח ירגע
shir yèled barùakh
matèti keshehàyti yèled,
matèti 'im 'od meòt.
dabàrti dèrekh arùva
veàkhshav anì barùakh,
veàkhshav anì barùakh.
beàushvits hàya shelèg,
ha'àshan 'alà leàt 'ìti
beyòm khorèf kar
veanì nisà barùakh,
veanì nisà barùakh
beàushvits anàshim ràvim
àval shèket gadòl ehàd
ze mùzar, anì lo matslíakh
lehìyekh kan barùakh.
lehìyekh kan barùakh.
anì middàresh: kmo haàdam yàkhol
lihròg et haàkh shelò,
àval milyonòt hàyu
beàvak kan barùakh,
beàvak kan barùakh.
'od hatòtakh yòre,
'od habehèma heenòshi
enò shavè'a 'im dàm
ve'òd nosènu harùakh,
ve'òd nosènu harùakh.
anì middàresh: matày ihyè
keshehaàdam yùkhal lilmòd
lihyòt bli shehòreg
vekesheharùakh yurgà’a
vekesheharùakh yurgà’a.
Anì middàresh: matày ihyè
keshehaaàdam yùkhal lilmòd
lihyòt bli shehòreg,
vekesheharùakh yurgà’a
vekesheharùakh yurgà’a.
In vita mia, e non certamente solo per questo sito, ne ho eseguite a centinaia e centinaia da e in tutte le lingue che più o meno conosco; ma se ne dovessi salvare una sola, salverei senz'altro questa. Anche se datata 2000, l'ho in realtà preparata nel 1998 a Livorno assieme alla mia insegnante di ebraico, una ragazza di Bèer Shèva che teneva un corso di ebraico presso la sinagoga (beyt-kneset) di Livorno; Tali non conosceva "Auschwitz", e quando gliela cantai un po' ne rimase come folgorata. La sua traduzione in ebraico fu il mio compito di fine anno; un compito con diversi errori, ovviamente, dovuti all'ancora imperfetta conoscenza della lingua che avevo.
Due anni dopo, in occasione del 6O° compleanno di Guccini, decisi di preparare una pagina Internet con la traduzione di "Auschwitz" nel maggior numero di lingue possibili; fu l'inizio del sito "In alamanno e in goto", che è rimasto inattivo a lungo, ma che è stato recentemente ripristinato dalla Lycos.
Chiesi quindi a Tali di rivedere un po' la traduzione che avevo fatto, e ce la misi subito dopo il testo italiano, cioè come traduzione principale. Ed altrimenti non poteva essere. Così ho fatto anche qui.
Usualmente, quando mi capita di assistere a un concerto di Guccini, mentre il "Maestrone" canta, io canto dentro di me questa versione in ebraico.
Riccardo Venturi - 2005/3/30 - 02:42
La versione in Yiddish di Riccardo Venturi
Yiddish translation by Riccardo Venturi
Traduction en yiddish de Riccardo Venturi
Riccardo Venturin jidiškielinen käännös
29/4/2013
(דאָס ליד פֿונעם קינד אינעם װינט)
צוזאַמען מיט הונדערטער
בין איך אַ קינדל געשטאָרבן
געגאַנגען דורך דעם קױמען
און איצט בין איך אינעם װינט,
און איצט בין איך אינעם װינט.
אין אױשװיץ איז שנײ געפֿאַלן,
דער רױך איז פּאַמעלעך אַרױפֿגעגאַנגען,
אינעם קאַלטן װינטער־טאָג,
און איצט בין איך אינעם װינט,
און איצט בין איך אינעם װינט.
אין אױשװיץ, װיפֿל מענטשן,
אָבער נאָר גרױסע שטילקײט.
ס'איז פֿרעמד, איך קען נאָך ניט
שמײכלען דאָ אינעם װינט,
שמײכלען דאָ אינעם װינט.
איך פֿרעג: װי קען אַ מאַן
טײטן זײַנע ברידער,
און דאָך זײַנען מיר מיליאָנען
אין פּאָרעך דאָ אינעם װינט,
אין פּאָרעך דאָ אינעם װינט.
און נאָך ברומט דער האַרמאַט,
נאָך איז די מענטשן־בעסטיע
ניט זאַט מיט אונדזער בלוט,
און נאָך פליׅען מיר אינעם װינט,
און נאָך פליׅען מיר אינעם װינט.
איך פֿרעג: װען װעלן סוף־כל־סוף
די מענטשן זיך לערנען
צו לעבן אָן צו טײטן,
און װען װעט דער װינט אױפֿהערן,
און װען װעט דער װינט אױפֿהערן.
איך פֿרעג: װען װעלן סוף־כל־סוף
די מענטשן זיך לערנען
צו לעבן אָן צו טײטן,
און װען װעט דער װינט אױפֿהערן,
און װען װעט דער װינט אױפֿהערן.
(Dos lid funem kind inem vint)
Tsuzamen mit hunderter
bin ikh a kindl geshtorbn
gegangen durkh dem koymen
un itst bin ikh inem vint
un itst bin ikh inem vint
In Oyshvits iz shney gefaln
der roykh iz pamelekh aroyfgegangen
inem kaltn vinter-tog
un itst bin ikh inem vint
un itst bin ikh inem vint
In Oyshvits, vifl mentshn
ober nor groyse shtilkeyt
S'iz fremd, ikh ken nokh nit
shmeykhlen do inem vint
shmeykhlen do inem vint
Ikh freg: vi ken a man
teytn zayne brider
un dokh zaynen mir milyonen
in porekh do inem vint
in porekh do inem vint
Un nokh brumt der harmat,
nokh iz di mentshn-bestye
nit zat mit undzer blut
un nokh flien mir inem vint
un nokh flien mir inem vint
Ikh freg: ven veln sofkl-sof
di mentshn zikh lernen
tsu lebn on tsu teytn
un ven vet der vint oyfhern
un ven vet der vint oyfhern
Ikh freg: ven veln sofkl-sof
di mentshn zikh lernen
tsu lebn on tsu teytn
un ven vet der vint oyfhern
un ven vet der vint oyfhern
Versione tedesca di Riccardo Venturi
Deutsche Version von Riccardo Venturi
German version by Riccardo Venturi
Riccardo Venturin saksankielinen versio
[2000]
Live mit Nomadi (1979)
Like the foregoing Hebrew version and all subsequent versions up to the point where it will be specified otherwise, it is drawn from Riccardo Venturi’s old webpage "In alamanno e in goto", and follows its order. We deliberately put this German version after the Hebrew version for symbolic reasons. Thus, all versions included in this webpage are not arranged in strictly alphabetical order. We suggest you to refer to the “Quick Index” in the Introduction. Also this version has been thoroughly revised on May 16, 2005 and made fully singable.[RV]
GESANG DES KINDES IM WIND
Zusammen mit Tausenden
flieh' ich durch den Kamin weg
ich doch bin noch ein Kind
und jetzt bin ich im Wind,
und jetzt bin ich im Wind.
In Auschwitz schneite's so stark,
Der Rauch ging langsam auf
In dem kalten Wintertage
und jetzt bin ich im Wind,
und jetzt bin ich im Wind.
In Auschwitz, wieviele Leute
In Stille, wie in dem Grabe.
So seltsam, daß ein Kind
Nicht lächelt in dem Wind,
Nicht lächelt in dem Wind.
Ich frag' mich: Wie kann ein Mensch
Seinen Bruder so leicht ermorden?
Und dennoch sind zu Millionen
Zu Staub im Wind geworden,
Zu Staub im Wind geworden.
Und noch dröhnt die Kanone,
Mit Blute sind diese Unmenschen
Noch nicht satt, und noch tausendmal
wird der Wind uns wegblasen,
wird der Wind uns wegblasen.
Ich frag' euch: Wann wird es sein?
Wann werden die Menschen lernen
Zu leben ohne zu töten,
Und der Wind sich legen wird,
Und der Wind sich legen wird?
Ich frag' euch: Wann wird es sein?
Wann werden die Menschen lernen
Zu leben ohne zu töten,
Und der Wind sich legen wird,
Und der Wind sich legen wird.
Versione tedesca di Daniele Pandocchi
Deutsche version von Daniele Pandocchi
Version allemande de Daniele Pandocchi
Daniele Pandocchin saksankielinen versio
[ca. 2004]
Pur avendo letto la bellissima traduzione in Tedesco di Riccardo Venturi, mi permetto di inviarvi una mia versione tedesca di "Auschwitz" risalente a un paio di anni fa. (Daniele Pandocchi)
DAS LIED DES KINDES IM WIND
Ich bin mit hundert Andren
gestorben, als kleines Kind,
bin durch den Kamin gegangen,
und nun bin ich im Wind,
und nun bin ich im Wind.
In Auschwitz lag schon der Schnee,
der Rauch stieg nicht geschwind,
an jenem Tag im Winter,
und nun bin ich im Wind,
und nun bin ich im Wind.
In Auschwitz so viele Leute,
doch alles war mäuschenstill.
Wie seltsam, ich bin nicht fähig,
zu lächeln hier im Wind,
zu lächeln hier im Wind.
Ich frag mich: "Wie kann es sein,
dass Menschen einander töten"?
Und dennoch gibt es Millionen
von Seelen, hier im Wind,
von Seelen, hier im Wind.
Und heut'noch donnern Kanonen,
zufrieden sind sie noch nicht,
die grausamen, blutgeilen Bestien,
und heut'noch trägt uns der Wind,
und heut'noch trägt uns der Wind.
Ich frag mich: Wann wird es sein?
Wann werden sie endlich mal lernen,
zu leben, ohne zu töten?
Wann legt sich endlich der Wind?
Wann legt sich endlich der Wind?
Contributed by Daniele Pandocchi - 2006/9/12 - 10:12
Versione tedesca di Christoph Gerhard
Deutsche Version von Christoph Gerhard
German version by Christoph Gerhard
Version allemande de Christoph Gerhard
Christoph Gerhardin saksankielinen versio
[ > 1980]
Noch eine singbare Version (es reicht ja, dass die beiden letzten Verse - die auch noch eine Wiederholung sind - sich reimen), geschrieben Anfang der 80-er Jahre.
LIED DES KINDES IM WIND
Ich starb, wir waren hundert,
ich starb, ich war noch Kind,
gejagt durch steile Schlote
und fort trägt mich der Wind,
und fort trägt mich der Wind.
In Auschwitz fiel leiser Schnee
an diesem kalten Wintertag,
Rauch stieg aus den Kaminen
und fort trägt mich der Wind,
und fort trägt mich der Wind.
In Auschwitz, so viele Menschen,
es fällt kein einziges Wort,
ich kann noch immer nicht lachen,
selbst hier nicht, tanzend im Wind,
selbst hier nicht, tanzend im Wind.
Ich frag euch, wie ist es möglich,
dass ein Mensch den andern umbringt,
und doch sind wir Millionen,
als Asche trägt uns der Wind,
als Asche trägt uns der Wind.
Und noch immer brüllen Kanonen,
noch immer lechzt er nach Blut,
bestialisch, der Trieb der Menschen,
noch immer trägt fort uns der Wind,
noch immer trägt fort uns der Wind.
Und ich frag euch, wann ist es möglich,
dass die Menschen endlich verstehn,
zu leben, ohne zu töten,
wann endlich legt sich der Wind,
wann endlich legt sich der Wind?
....
wann endlich legt sich der Wind ?
Contributed by Christoph Gerhard - 2010/2/15 - 22:04
Traduzione tedesca di Wolfgang Lobolyrix (L. Trans.)
Deutsche Übersetzung von Wolfgang Lobolyrix (L. Trans.)
German translation by Wolfgang Lobolyrix (L. Trans.)
Traduction allemande de Wolfgang Lobolyrix (L. Trans.)
Wolfgang Lobolyrixin saksankielinen käännös
Lied des Kindes im Wind
Ich bin tot, mit hundert anderen,
Ich bin tot, der ich ein Junge war:
Verflogen durch den Kamin,
Und jetzt bin ich im Wind.
Und jetzt bin ich im Wind.
In Auschwitz, da war Schnee:
Der Rauch stieg langsam auf
An diesem kalten Wintertag,
Und jetzt bin ich im Wind.
Und jetzt bin ich im Wind.
So viele Menschen in Auschwitz,
Doch ein einziges großes Schweigen;
Es ist seltsam: Ich schaffe es noch nicht,
Zu lächeln hier im Wind.
Zu lächeln hier im Wind.
Ich frage mich: Wie konnte der Mensch
Einen seiner Brüder töten?
Und doch sind wir Millionen
Im Staube, hier im Wind.
Im Staube, hier im Wind.
Und immer noch donnern Kanonen,
Und immer noch hat sie nicht genug
Vom Blut, die Bestie Mensch,
Und immer noch trägt uns der Wind davon.
Und immer noch trägt uns der Wind davon.
Ich frage mich: Wann kommt es dazu,
Dass der Mensch es lernt,
Zu leben, ohne zu töten;
Und dass der Wind sich legt?
Und dass der Wind sich legt.
Ich frage mich: Wann kommt es dazu,
Dass der Mensch es lernt,
Zu leben, ohne zu töten;
Und dass der Wind sich legt?
Und dass der Wind sich legt.
Contributed by CCG/AWS Staff - 2020/1/6 - 15:38
Versione polacca di Azalia (Agnieszka) (L. Trans.)
Polish version by Azalia (Agnieszka) (L. Trans.)
Version polonaise: Versione polacca di Azalia (Agnieszka) (L. Trans.)
Versione polacca di Azalian (Agnieszkan) puolankielinen versio (L. Trans.)
Cover by Elisa: Note di viaggio, 2019
Si noti che le queste prime tre versioni hanno un ordine del tutto intenzionale (ebraica, tedesca e polacca).
Polish version by Azalia (Agnieszka) [L. Trans.]
It should be noted that the first three versions of Guccini’s song have been arranged deliberately in this order (Hebrew, German and Polish).
Umarłem z setkami innych,
umarłem będąc dzieckiem;
przeszedłem przez komin,
a teraz jestem w wietrze.
A teraz jestem w wietrze.
W Auschwitz leżał śnieg,
dym wzbijał się powoli
w zimowy mroźny dzień,
a teraz jestem w wietrze.
A teraz jestem w wietrze.
W Auschwitz tak wiele osób,
a jedno wielkie milczenie...
To dziwne, ale wciąż nie potrafię
uśmiechać się tu, w wietrze.
Uśmiechać się tu, w wietrze.
Pytam: jak może człowiek
zabijać swego brata?
A przecież są nas miliony
w pyle tu, w wietrze.
W pyle tu, w wietrze.
Wciąż jeszcze grzmi armata
i wciąż jeszcze nie jest syta
krwi ludzka bestia
i wciąż porywa nas wiatr.
I wciąż porywa nas wiatr.
Pytam: kiedy będzie tak,
że człowiek nauczy się [2]
żyć bez zabijania,
a wiatr się uciszy?
A wiatr się uciszy.
Pytam: kiedy będzie tak,
że człowiek nauczy się
żyć bez zabijania,
a wiatr się uciszy?
A wiatr się uciszy.
[2] dosł. "będzie mógł nauczyć się"
Contributed by CCG/AWS Staff
Versione inglese dell'Equipe 84 - Traduzione di T. Scott
English version by Equipe 84 - Translation by T. Scott
Version anglaise : Equipe 84 - Traduction de T. Scott
Equipe 84'n englanninkielinen versio - T. Scottin käännös
[1967 : 29th september/Auschwitz (Imperial 1967)]
Dopo il grande successo in Italia del brano 29 settembre, anche la Equipe 84 tentò la strada della versione in inglese. Sul retro del disco la Equipe ha scelto di proporre Auschwitz, sempre tradotta in inglese, con grande attenzione alle parole originali scritte da Francesco Guccini, e una buona interpretazione in inglese di Maurizio Vandelli. - musicaememoria.com
I died when I was a child
I died with hundreds of people
From a furnace to a chimney
And now I am cradled by the wind
At Auschwitz, snow on the ground
The smoke it drops so slowly
In the fields nearby Auschwitz
All the people will spread in the wind
Silently, so many people
Drifting, here in the wind
It's strange, so very strange
I never even learn how to smile
Oh no, I don't believe
That man will ever learn
To leave in peace without killing
In peace or even more
Oh, once again the guns will thunder
Man's not content with what he's got
Like the beasts who taste the blood
He will go on to destroy again
Once again the guns will thunder
Man's not content with what he's got
There will be millions more
Drifting here in the wind
Drifting here, here in the wind.
Contributed by Dq82 - 2018/11/7 - 16:02
Versione inglese di Rod MacDonald
English version by Rod MacDonald
Version anglaise de Rod MacDonald
Rod MacDonaldin englanninkielinen versio
[The Man On The Ledge, 1994]
Rod MacDonald: The Man On The Ledge, Shanachie 1994
All songs by Rod MacDonald except [...] and Auschwitz - word and music by Francesco Guccini (Edizione 1966, Fama, Italy), translated from the Italian by Rod MacDonald
Rod MacDonald (nato il 17 agosto 1948 a Southington, Connecticut) è un cantautore e folksinger americano. Le sue canzoni sono state coverate da Dave Van Ronk, Christine Lavink, Four Bitchin' Babes e Garnet Rogers. Ha studiato alla University of Virginia, laureandosi in storia nel 1970 e la Columbia Law School; ma, durante il suo ultimo anno alla facoltà di legge, ha deciso di continuare la sua carriera musicale dopo essersi laureato nel 1973. Ha partecipato alla "rinascita folk del Greenwich Village" degli anni '80, esibendosi in club come lo Speakeasy, The Bottom Line e Folk City e a laboratori cantautorali come il Cornelia Street Cafe. Il suo cavallo di battaglia è "American Jerusalem", sulla divisione tra ricchi e poveri a New York. Vive a Delray Beach, in Florida.
From/Da en.wikipedia
I died, who was a child
I died, like so many others
who passed through a chimney
and now are in the wind
At Auschwitz, there was the snow
and the smoke rose slowly of so many people
but now there's only a great silence
of so many people in the wind
It's strange, but still I haven't learned
to smile here in this wind
and I wonder, can man learn to live without killing?
and will this wind ever end?
And still, the cannons are sounding
and still, he's not contented
this blood thirst of the human beast
with so many in the wind
Yes, and still, the cannons are sounding
yes, and still he's not contented
we will be here always, the smoke and the powder
of millions in the wind.
Contributed by Riccardo Venturi - 2006/8/24 - 10:58
Versione inglese di Riccardo Venturi
English version by Riccardo Venturi
Version anglaise de Riccardo Venturi
Riccardo Venturin englanninkielinen versio
[2000 - rev. 2005]
I Nomadi, 1989
English version by Riccardo Venturi (2000). Also this version has been thoroughly revised on May 16, 2005.
SONG FOR A CHILD IN THE WIND
I died in my childhood
Together with other children
By hundreds through a chimney
And now, I'm in the wind
And now, I'm in the wind
In Auschwitz 'twas always snowing
The smoke rose so slowly
In the cold winter day
And now I'm in the wind
And now I'm in the wind
In Auschwitz, so many people
In silence, like in a grave
I tell you, I cannot smile
Here, in this cold wind
Here, in this cold wind.
I wonder, how can a man
Kill his brothers and sisters?
And yet, we are millions like dust
blown away in the wind
blown away in the wind
And yet the gun's still roaring
And yet the human beast has
Not quenched his bloodthirst
And the wind blows us away
And the wind blows us away
I wonder, when will it happen
That mankind finally learns
To live without bloodshedding
And the wind finally stops
And the wind finally stops
I wonder, when will it happen
That mankind finally learns
To live without bloodshedding
And the wind finally stops
And the wind finally stops.
Versione inglese di Paolo Di Mizio
English version by Paolo Di Mizio
Version anglaise de Paolo Di Mizio
Paolo Di Mizion englanninkielinen versio
[2010]
The Gang, "Tributo ad Augusto", 1994
Forse non si sentiva il bisogno di una nuova traduzione in inglese di "Auschwitz", dopo quelle di Rod MacDonald e di Riccardo Venturi gia' presenti in questa pagina. Ma come ogni generazione ritraduce i classici per se', cosi' ogni individuo ritraduce per se', e dalle variazioni apprende significati che prima gli erano oscuri. Ecco dunque la mia traduzione in inglese, molto semplice e letterale, basata sul testo italiano cantato dall'Equipe 84, che e' leggermente diverso da quello di Guccini.
I died, I was a child
I died, together with hundreds
I slipped up through a chimney
and now here I am in the wind
Auschwitz was full of snow
and the smoke went up slowly
In the camps so many people
they are all in the wind now
So many people in the wind
but just one great silence
It’s strange, I haven’t learnt
how to smile here in the wind
how to smile here in the wind.
No, I don’t think
man can ever learn
to live without killing
and wind can ever cease,
wind can ever cease.
The gun is still thundering,
still blood thirsty
is the human beast
and still the wind bears us
still the wind bears us
The gun is still thundering
for it’s not fed enough
Oh, we’ll always be millions
made of dust here in the wind.
Contributed by Paolo Di Mizio - 2010/1/18 - 03:07
Versione francese di Marco Valdo M.I.
French version by Marco Valdo M.I.
Version française de Marco Valdo M.I.
Marco Valdo M.I.n ranskankielinen versio
[2008]
Modena City Ramblers - Francesco Guccini, "Appunti Partigiani", 2005
Je suis mort avec cent autres
Je suis mort quand j'étais enfant
Passé par la cheminée
Et à présent, je flotte dans le vent
Et à présent, je flotte dans le vent
Il neigeait à Auschwitz
La fumée montait lentement
Dans ce froid jour d'hiver
Et à présent, je flotte dans le vent
Et à présent, je flotte dans le vent
Tant de monde à Auschwitz
Mais un seul grand silence
C'est étrange, mais je n'arrive pas encore
À sourire ici dans le vent
À sourire ici dans le vent
Je demande comment un homme peut
Assassiner son frère
Et pourtant nous sommes des millions
En poudre ici dans le vent
En poudre ici dans le vent.
Le canon tonne encore
La bête humaine n'a pas encore
son content de sang
Et le vent nous emporte encore
Et le vent nous emporte encore
Je demande quand le temps viendra
où l'homme apprendra
À vivre sans assassiner
Et où le vent nous posera
Et où le vent nous posera
Je demande quand le temps viendra
où l'homme apprendra
À vivre sans assassiner
Et où le vent nous posera
Et où le vent nous posera.
Versione spagnola di Miguel Estre
Versión española de Miguel Estre
Spanish version by Miguel Estre
Version espagnole de Miguel Estre
Miguel Estren espanjankielinen versio
[2000]
Ketty Carraffa, 2016
CANCIÓN DEL NIÑO EN EL VIENTO
Junto con miles y miles
Yo morí cuando era niño
Pasando por chimeneas
Y ahora estoy en el viento,
Y ahora estoy en el viento.
En Auschwitz caía la nieve,
El humo subía muy lento
En el día frío de invierno
Y ahora estoy en el viento,
Y ahora estoy en el viento.
En Auschwitz que había de gente
Y todos en gran silencio,
Pero, aún no puedo
Sonreír en este viento,
Sonreír en este viento.
Les pido, ¿Cómo pueden
Matar a sus hermanos?
Pero, somos millones
En polvo en este viento,
En polvo en este viento.
Aún zumba el cañón,
Aún no está harta
De sangre la bestia humana,
Y aún nos lleva el viento,
Y aún nos lleva el viento.
Les pido, ¿Cuándo será?
¿Y cúando aprenderán
A vivir sin matar,
Y el viento se aplacará?,
Y el viento se aplacará.
Les pido, ¿Cuándo será?
¿Y cúando aprenderán
A vivir sin matar,
Y el viento se aplacará?,
Y el viento se aplacará.
Contributed by CCG/AWS Staff
Versión castellana de Marcia Rosati
Versione spagnola di Marcia Rosati
Spanish version by Marcia Rosati
Version espagnole de Marcia Rosati
Marcia Rosatin espanjankielinen käännös
[2008]
Luciano Ligabue, "Radiofreccia - Mondovisione"
CANCIÓN DEL NIÑO EN EL VIENTO
Morí con otros cien
Morí cuando era niño
Quemado en la chimenea
Y ahora estoy en el viento,
Y ahora estoy en el viento.
En Auschwitz había nieve,
El humo subía lento
En el día frío de invierno
Y ahora estoy en el viento,
Y ahora estoy en el viento.
En Auschwitz había muchas personas
pero solo un gran silencio,
Es muy extraño aún no puedo
Sonreír en este viento,
Sonreír en este viento.
Me pregunto, ¿Cómo puede un hombre
matar a sus hermanos?
Sin embargo somos millones
En polvo en este viento,
En polvo en este viento.
Aún truena el cañón,
Aún no está satisfecha
de sangre la bestia humana,
Todavía nos lleva el viento,
Todavía nos lleva el viento.
Me pregunto, ¿Cuándo será?
¿Cúando el hombre aprenderá
a vivir sin matar?,
Entonces el viento se aplacará,
Entonces el viento se aplacará.
Me pregunto, ¿Cuándo será?
¿Cúando el hombre aprenderá
a vivir sin matar?,
Entonces el viento se aplacará,
Entonces el viento se aplacará.
Contributed by Marcia - 2009/4/8 - 18:18
Versione neerlandese di Ketty Wijze van Leveren
Nederlandse vertaling door Ketty Wijze van Leveren
Dutch version by Ketty Wijze van Leveren
Version néerlandaise de Ketty Wijze van Leveren
Ketty Wijze van Leverenin hollanninkielinen versio
[2007]
Vittorio De Scalzi - Mauro Pagani, "Fra la Via Aurelia e il West", 2017
HET LIED VAN DE KIND IN DE WIND
Bij duizenden zijn kinderen
Door de schoorsteen weggevlogen
En zo ben ik ook, in de rook,
En nu ben ik in de wind,
Nu ben ik in de wind.
Het sneeuwde in Auschwitz,
De rook ging langzaam op
In de koude winterdag
En nu zijn we in de wind,
Nu zijn we in de wind.
In Auschwitz, hoeveel mensen!
Men allemaal in 't zwijgen...
Zo raar, dat een kind
Niet glimlacht in de wind,
Niet glimlacht in de wind.
Ik vraag mij, hoe kan een mens
Zijn broeder zo licht doden?
Niettemin zijn miljoenen
In wind opgegaan,
In wind opgegaan.
Nogmaals dondert het kanon,
Met bloed zijn deze onmensen
Niet nog verzadigd,
En nog zijn we in de wind,
En nog zijn we in de wind.
Ik vraag mij, wanneer zal't zijn?
Wanneer zullen we leren
Te leven, en niet te doden?
Zal de wind eindelijk ophouden?
Zal de wind eindelijk ophouden?
Ik vraag mij, wanneer zal't zijn?
Wanneer zullen we leren
Te leven, en niet te doden?
Zal de wind eindelijk ophouden?
Zal de wind eindelijk ophouden?
Contributed by CCG/AWS Staff
Versione portoghese di António I. de Brito Santos
Versão portuguesa por António I. de Brito Santos
Portuguese version by António I. de Brito Santos
Version portugaise: António I. de Brito Santos
António I. de Brito Santosin portugalinkielinen versio
[04.03.2007]
Gian Pieretti, "Caro Bob Dylan", 1967
(Versione originale dell'Equipe 84)
CANÇÃO DO MENINO NO VENTO
Eu morri, era menino
Morto fui com muitos mais
Vim depois p‘la chaminé
E agora vou no vento
E agora vou no vento
Em Auschwitz neve caía
E lento fumo subia
Era frio aquele inverno
E agora vou no vento
E agora vou no vento
Em Auschwitz quanta a gente
Mas reinava só o silêncio
É estranho mas não consigo
Ainda sorrir ao vento
Ainda sorrir ao vento
Eu pergunto como um homem
Pode um seu irmão matar
E milhões, porém, nós somos
Fumo e pó aqui no vento
Fumo e pó aqui no vento
Ainda atroam os canhões
Inda não está farta a fera
Sedenta de sangue humano
Eu ainda vou no vento
Eu ainda vou no vento
Eu pergunto quando o homem
A ser humano aprenderá
A viver sem querer matar
E por fim se acalma o vento
E por fim se acalma o vento
Eu pergunto quando o homem
A ser humano aprenderá
A viver sem querer matar
E por fim se acalma o vento
E por fim se acalma o vento
Contributed by António I. de Brito Santos - 2007/3/4 - 11:09
Versione russa di Oksana Bondar'ëva
Pусский переводь Оксаны Бондарьёвы
Russian version by Oksana Bondaryova
Version russe: Oksana Bondarïova
Oksana Bondaryovan venäjänkielinen käännös
[2000]
I Luf, "I Luf cantano Guccini", 2012
ПЕСНЯ РЕБЁНКА В ВЕТРЕ
Я умрел ребёнком
вместе в тысяхами
я вылетел в трубу
и теперь я там – в ветре,
и теперь я там – в ветре.
B Аушвице шёл густой снег
и дым медленно вышёл
B xoлодной зимний день
и теперь мы там – в ветре,
и теперь мы там – в ветре.
B Аушвице, cколько людей
в гробовом молчании,
это странно, я не могу
уливаться там – в ветре
уливаться там – в ветре.
Я спросу, как ты можешь
убить своего братя?
Однако – миллионы людей
теперь – дым в ветре,
теперь – дым в ветре.
Еще гремит орудие
eще кровью не ситый
человеческий зверь
и eще – мы в ветре,
и eще – мы в ветре.
Я спросу, когдa будет?
Kогдa человек научится
жить в мире и не увить
и ветер будет стихать,
и ветер будет стихать?
Я спросу, когдa будет?
Kогдa человек научится
жить в мире и не увить
и ветер будет стихать,
и ветер будет стихать?
PESNJA REBËNKA V VETRE
Ja umreł rebënkom
vmeste v tysjaxami
ja vyleteł v trubu
i tepeŕ ja tam – v vetre,
i tepeŕ ja tam – v vetre.
V Aušvice šëł gustoj sneg
i dym medlenno vyšëł
v xolodnoj zimnij deń
i tepeŕ my tam – v vetre,
i tepeŕ my tam – v vetre.
V Aušvice, skolko ljudej
v grobovom mołčanii,
äto stranno, ja ne mogu
ulivaťsja tam – v vetre
ulivaťsja tam – v vetre.
Ja sprosu, kak ty možeś
ubiť svoego bratja?
Odnako – milliony ljudej
tepeŕ – dym v vetre,
tepeŕ – dym v vetre.
Ešće gremit orudie
ešće krov’ju ne sityj
čełovečeskij zveŕ
i ešće – my v vetre,
i ešće – my v vetre.
Ja sprosu, kogda budet?
Kogda čełovek naučitsja
žiť v mire i ne ubiť
i veter budet stixať,
i veter budet stixať.
Ja sprosu, kogda budet?
Kogda čełovek naučitsja
žiť v mire i ne ubiť
i veter budet stixať,
i veter budet stixať.
Contributed by CCG/AWS Staff
Versione romena di anonimo
Anonymous Romanian version
Version roumaine d'Anonyme
Tuntematon romaniankielinen käännös
Marco Pescosolido - Violoncello
Luca Bagagli - Violino
Luigi Tufano - Viola
Cantante: Roberta Albanesi
Pianoforte e arrangiamenti: Ginzia Gangarella
Estratto da un concerto della rassegna "Cantando sotto la storia", Parco della musica - Roma.
(Versione originale del 1964)
CÂNTAREA COPILULUI ÎN VÂNT
Am murit cu alte sute,
Am murit încă copil,
Pasând printr-un cămin
Şi acum eu sunt în vânt,
Şi acum eu sunt în vânt.
La Auschwitz cădea zăpada,
Fumul suia încet
În ziua rece de iarnă
Şi acum eu sunt în vânt,
Şi acum eu sunt în vânt
La Auschwitz, câţi oameni
Tăcând ca într-un mormânt.
Nu ştiu, încă nu pot
Să surâd aici-n vânt,
Să surâd aici-n vânt.
Vă cer, cum poate omul
Să omoară pe fratele său
Dar aici suntem milioane
În praf, aici-n vânt,
În praf, aici-n vânt.
Din nou vuieşte tunul,
Şi încă nu este sătulă
Cu sânge, bestia omenească
Si toţii suntem în vânt,
Si toţii suntem în vânt.
Vă cer, când o să fie
Că omul va învăţa
Să trăiască fără să omoară,
Şi vântul va scădea,
Şi vântul va scădea.
Vă cer, când o să fie
Că omul va învăţa
Să trăiască fără să omoară,
Şi vântul va scădea,
Şi vântul va scădea.
Versione romena di Liana (L. Trans.)
Romanian version by Liana (L. Trans.)
Version roumaine de Liana (L. Trans.)
Lianan tuntematon romaniankielinen käännös (L. Trans.)
CÂNTECUL BĂIATULUI ÎN VÂNT
Eu sunt mort, împreună cu alte sute
eu sunt mort, am fost un băiat:
trecând prin coş
şi acum sunt în vânt.
În Auschwitz a fost zăpadă:
fumul s-a ridicat încet
într-o rece zi de iarnă
şi acum sunt în vânt.
În Auschwitz – aşa mulţi oameni
dar doar o mare linişte;
e ciudat: eu sunt încă incapabil
să zâmbesc aici în vânt.
Mă întreb , cum poate omul
să-şi omoare fratele,
şi totuşi suntem milioane
făcute pulbere aici în vânt.
Şi tunul continuă să bubuie
Şi totuşi nu e mulţumit
De sânge – bestia de om,
Şi vântul continuă să ne aducă aici.
Mă întreb când va fi
ca omul să înveţe
să trăiască fără să omoare,
şi vântul se va linişti...
Mă întreb când va fi
ca omul să înveţe
să trăiască fără să omoare,
şi vântul se va linişti...
Şi vântul se va linişti...
Contributed by Dq82 - 2020/1/15 - 13:24
Versione catalana di Miguel Estre
Traducció al català de Miguel Estre
Catalan version by Miguel Estre
Version catalane de Miguel Estre
Miguel Estren kataloniankielinen versio
[2000]
CANÇÓ DEL NEN AL VENT
Morí amb altres mils,
Morí quan era nen
Passant per xemeneies
I ara estic al vent,
I ara estic al vent.
A Auschwitz queia la neu
El fum pujava lent
En el dia fred d'hivern
I ara ens porta el vent,
I ara ens porta el vent.
A Auschwitz, que havia de gent
I tots en gran silenci,
Però no puc encara
Somriure en aquest vent,
Somriure en aquest vent.
Us dic, com l'home pot
Matar el seu germà?
Però, som milions
En pols, en aquest vent,
En pols, en aquest vent.
El canó ressona encara,
Encara no està sadolla
De sang, la bèstia humana
I encara ens porta el vent,
I encara ens porta el vent.
Us dic, quan serà
Que l'home aprendrà
A viure sense matar
I el vent s'aplacarà,
I el vent s'aplacarà.
Us dic, quan serà
Que l'home aprendrà
A viure sense matar
I el vent s'aplacarà,
I el vent s'aplacarà.
Versione svedese di Riccardo Venturi
Svensk version av Riccardo Venturi
Swedish version by Riccardo Venturi
Version suédoise de Riccardo Venturi
Riccardo Venturin ruotsinkielinen versio
[2000; rev. 06-01-2020]
Live RSI (Radiotelevisione Svizzera Italiana), 1982
BARNENS SÅNG I VINDEN
Vi dog i hundratal,
Vi dog alla i vår barndom
I rök genom skorstenen,
Nu flyger vi alla i vinden,
Nu flyger vi alla i vinden.
I Auschwitz föll snön i flingor
Och röken gick upp så långsamt
På den kalla vinterdagen,
Nu flyger jag också i vinden,
Nu flyger jag också i vinden.
I Auschwitz var vi så många
Sittande i gravlik tystnad,
Det är så, och inte ännu
Kan jag le, här i vinden,
Kan jag le, här i vinden.
Jag undrar, hur kan människor
Slakta systrar och bröder?
Dock här är vi miljoner
Som i rök flyger i vinden,
Som i rök flyger i vinden.
Och ännu dundrar kanoner,
På blod är människodjuret
Inte ännu mätt, och ännu
Flyger vi alla i vinden,
Ännu flyger vi i vinden.
Jag undrar, När då skall
Människor lära sig leva
I fred och inte döda?
När skall vinden lägga sig,
När skall vinden lägga sig?
Jag undrar, När då skall
Människor lära sig leva
I fred och inte döda?
När skall vinden lägga sig,
När skall vinden lägga sig?
Versione danese di Riccardo Venturi
Dansk oversættelse af Riccardo Venturi
Danish version by Riccardo Venturi
Version danoise de Riccardo Venturi
Riccardo Venturin tanskankielinen versio
[2000]
7grani, "Neve diventeremo", 2013
SANGEN OM BARNET I VINDEN
Jeg døde i min barndom
Med andre i tusindvis
I røg gennem skorstenen,
Nu flyver jeg i vinden,
Nu flyver jeg i vinden.
I Auschwitz faldt sneen i fnug,
Så langsomt gik røgen op
På den kalde vinterdag
Nu flyver jeg i vinden,
Nu flyver jeg i vinden.
I Auschwitz var vi så mange
Siddende i gravstilhed,
Det er så, men ikke endnu
Kan jeg smile i vinden,
Kan jeg smile i vinden..
Jeg siger: Hvor kan en menneske
Slagte sine brødre?
Dog her er vi millioner
I røg flyvende i vinden,
I røg flyvende i vinden.
Og endnu tordner kanoner,
På blod er menneskedyret
Ikke endnu mæt, og endnu
Flyver vi alle i vinden,
Endnu flyver vi i vinden.
Jeg siger, Hvornår vil
Mennesker lære at leve
I fred, uden at døde
Og vinden vil lægge sig,
Og vinden vil lægge sig.
Jeg siger, Hvornår vil
Mennesker lære at leve
I fred, uden at døde
Og vinden vil lægge sig,
Og vinden vil lægge sig.
Versione norvegese di Riccardo Venturi
(Bokmål) Norsk versjon av Riccardo Venturi
Norwegian version by Riccardo Venturi
Version norvégienne de Riccardo Venturi
Riccardo Venturi norjankielinen versio
[2000]
Ostaria delle Dame, Bologna, 19-01-1985
SANGEN OM BARNET I VINDEN
Jeg døde i barndommen
Med andre i tusenvis
I røyk gjennem skorsteinen,
Og nu flyr jeg i vinden,
Og nu flyr jag vinden.
I Auschwitz falt snøen i fnugg,
Så langsomt gikk røyken opp
På den kalde vinterdagen
Og nu flyr jeg i vinden,
Og nu flyr jeg i vinden.
I Auschwitz så mange mennesker
Som sitter i gravstillhet,
Det er så, men ikke ennå
Kan jeg smile i vinden,
Kan jeg smile i vinden.
Jeg sier, hvor kan en menneske
Slakte brødrene sine?
Dog her er vi millioner
Som i røyk flyr i vinden,
Som I røyk flyr i vinden.
Og ennå tordner kanoner,
På blod er menneskedyret
Ikke ennå mett, og ennå
Flyr vi alle i vinden,
Og ennå flyr vi i vinden.
Jeg sier, Når vil mennesker
Lære å leve i fred,
Å leve uten å døde
Og vinden vil legge seg,
Og vinden vil legge seg.
Jeg sier, Når vil mennesker
Lære å leve i fred,
Å leve uten å døde
Og vinden vil legge seg,
Og vinden vil legge seg.
Versione islandese di Rikarður V. Albertsson
Þýtt hefur Rikarður V. Albertsson
Icelandic version by Rikarður V. Albertsson
Version islandaise de Rikarður V. Albertsson
Rikarður V. Albertssonin islanninkielinen versio
[2002]
Enni / Francesco Lo Cascio (Versione originale del 1964)
SÖNGUR BARNSINS Í VINDINUM
Ég dó með öðrum þúsundum,
Ég dó í barnsaldri
Í reyk gegnum skorsteini
Og nú flýg ég með vindinn,
Og nú flýg ég með vindinn.
Í Auschwitz féll snór í flygsum,
Reykurinn gékk upp svo hægt
Í kalda vetrardeginum
Og nú flýg ég með vindinn,
Og nú flýg ég með vindinn.
Í Auschwitz voru svo mörg,
En öll í djúpri grafþögn,
Og ég get ekki brosað.
Ég flýg í reyk með vindinn,
Ég flýg í reyk með vindinn.
Mig undrar hve maður getur
Drepið bræður sína,
Ennþá eru miljónir
Í reyk nú með vindinn,
Í reyk nú með vindinn.
Ennþá drynja byssurnar,
Ennþá er mannskepnan
Ekki blóði södd, ennþá
Fljúgum við með vindinn,
Ennþá fljúgum við með vindinn.
Mig undrar, hvenær lærir
Maður að lífa í friði
Án þess að drepa menn
Og vindur hættir þá,
Og vindur hættir þá.
Mig undrar, hvenær lærir
Maður að lífa í friði
Án þess að drepa menn
Og vindur hættir þá,
Og vindur hættir þá.
Versione greca di Giuseppina Dilillo
Μετέφρασε στα ελληνικά η Τζιουζεπίνα Ντιλίλλο
Greek version by Giuseppina Dilillo
Version grecque de Giuseppina Dilillo
Giuseppina Dilillon kreikankielinen käännös
[2000]
Maurizio "Poppy" Parodi.
ТΟ ΤΡΑΓΟΎΔΙ ΤΟΥ ΠΑΙΔΙΟΎ ΣΤΟΝ ΆΝΕΜΟ
Πέθανα μ’άλλες χιλιάδες,
όταν ήμουν παιδί
περνώντας απ’το φουγάρο
και τώρα είμαι στον άνεμο,
και τώρα είμαι στον άνεμο.
Σε ‘Αουσβιτς έπεφτε χιόνι,
ανέβαινε αργά ο καπνός
στην κρύα μέρα χειμώνα
και τώρα είμαι στον άνεμο,
και τώρα είμαι στον άνεμο.
Σε ‘Αουσβιτς, πόσος κόσμος
σε νεκρική σιγή,
και ακόμα δε μπορώ
να χαμογελάσω
σ’αυτόν τον άνεμο.
Σας ρωτώ, πως μπορείτε
να σκοτώσετε τους αδελφούς σας,
κι όμως, είμαστε χιλιάδες
σε σκόνη στον άνεμο,
σε σκόνη στον άνεμο.
Και βροντούν τα κανόνια,
ακόμα δε χόρτασε μ’αίμα
ο ανθρώπινος κτείνος
κι ακόμ’ είμαστε άνεμος,
κι ακόμ’ είμαστε άνεμος,
Σας ρωτώ, πότε θα γίνει
και πότε θα μάθουμε
να ζούμε στην ειρήνη
κι ο άνεμος θα ηρεμίσει,
κι ο άνεμος θα ηρεμίσει.
Σας ρωτώ, πότε θα γίνει
και πότε θα μάθουμε
να ζούμε στην ειρήνη
κι ο άνεμος θα ηρεμίσει,
κι ο άνεμος θα ηρεμίσει.
/péθana máles çiljáδes
ótan ímun peδjí
pernóndas aptofúγaro
kjetóra íme stonánemo
kjetóra íme stonánemo/
/seáusvits épefte çóni
anévene arγá o kapnós
stiŋgría méra çimóna
kjetóra íme stonánemo
kjetóra íme stonánemo
/seáusvits pósos kósmos
se nekrikjí sijí
kjeakóma δemboró
naχamojeláso
saftón donánemo/
/sasrotó . pozboríte
naskotósete tusaδelfúsas
çómos ímaste çiljáδes
seskóηi stonánemo
seskóηi stonánemo/
/kjevrondún takanóηa
akóma δeχórtase méma
o anθrópos ktínos
çakóm ímaste ánemos
çakóm ímaste ánemos/
/sasrotó póte θajíηi
kjepóte θamáθume
nazúme stiniríηi
çoánemos θairimísi
çoánemos θairimísi/
/sasrotó póte θajíηi
kjepóte θamáθume
nazúme stiniríηi
çoánemos θairimísi
çoánemos θairimísi/
Contributed by CCG/AWS Staff
GRECO / GREEK / GREC / KREIKKA [2]
Versione greca di Gian Piero Testa
Μετέφρασε στα ελληνικά ο Τζαν Πιέρο Τέστα
Greek version by Gian Piero Testa
Version grecque de Gian Piero Testa
Gian Piero Testan kreikankielinen versio
[2012]
Voice and piano: tenor Roberto Deiana
Χαθήκαμε, ήμουν παιδάκι
Χαθήκαμε με άλλα χίλια
Περάσαμε δια το φουγάρο
Και τότε γίνηκα αγέρας
Και τότε γίνηκα αγέρας
Στο Άουσβιτς πυκνό το χιόνι
Στο Άουσβιτς αργή η καπνιά
Χειμώνας πάγωνε ημέρα
Και τότε γίνηκα αγέρας
Και τότε γίνηκα αγέρας
Στο Άουσβιτς πλήθος μεγάλο
Μα απόλυτη ήταν σιγή
Γέλοιο δεν ξέρω ακόμα
Κι αν τώρα γίνηκα αγέρας
Κι αν τώρα γίνικα αγέρας
'Ανθρωπε να πεις πως γίνεις
Φωνιάς του αδερφού σου
Που σκόνη τόση πως έγινε
Ανθρώπων πετάει σ'αγέρα
Ανθρώπων πετάει σ'αγέρα
Aκόμα βροντάει κανόνι
Κορεσμό δε νιώθει αίμα
Το ανθρώπινο τσακάλι
Και μας τραβάει στο αγέρα
Και μας τραβάει στο αγέρα
Να πεις πότε θα γίνει
Που θα 'χεις άνθρωπε μάθει
Να ζήσεις χωρίς να σφάξεις
Κι ο αγέρας στάση θα βρει
Κι ο αγέρας στάση θα βρει
Να πεις πότε θα γίνει
Που θα 'χεις άνθρωπε μάθει
Να ζήσεις χωρίς να σφάξεις
Κι ο αγέρας στάση θα βρει
Κι ο αγέρας στάση θα βρει
Contributed by Gian Piero Testa - 2012/1/28 - 17:19
Versione in dialetto Camuno di Daniele Pandocchi
A version into Valcamonica dialect by Daniele Pandocchi
Version dans le dialecte de Valcamonica par Daniele Pandocchi
Daniele Pandocchin käännös Valcamonica murreeseen
Versione con la grafia in s
Alberto Nemo, 2018
LA CANHÙ DEL PÌ 'N DEL VÉT
Hó mórt con d'ótre hénto,
hó mórt che hére amò 'n pì,
pahàt hó per al camì
e adès hó ché 'n del vét,
e adès hó ché 'n del vét.
A Auschwitz, al ghéra la néf,
al füm al pahaa hó
an chèl dé fret d'invéren
e adès hó ché 'n del vét,
e adés hó ché 'n del vét.
A Auschwitz, 'na mücia de zét,
ma tüt al parea isse quét,
che strano, ho gnemò bù
de grignà ché 'n del vét,
de grignà ché 'n del vét.
Ma di'm, cóm' pödel l'om
cupà 'n hò frèdèl,
epör an hé a migliù
an pólver ché 'n del vét,
an pólver ché 'n del vét.
E amò 'l tuna 'l canù
e la ghè n'a gnemò ahé
de hang la „bestia umana“,
e amò 'l me pórta 'l vét,
e amò 'l me pórta 'l vét.
Ma di'm quan'che'l harà
che l'om l'ampararà
a stà al mónd hénha cupà
e'l vét al hèharà,
e 'l vét al hèharà.
Contributed by Daniele Pandocchi - 2006/9/12 - 10:03
Versione in dialetto Camuno di Daniele Pandocchi
A version into Valcamonica dialect by Daniele Pandocchi
Version dans le dialecte de Valcamonica par Daniele Pandocchi
Daniele Pandocchin käännös Valcamonica murreeseen
Francesco de Gregori, live 2005
LA CANSÙ DEL PÌ 'N DEL VÉT
Só mórt con d'ótre sénto,
só mórt che sére amò 'n pì,
pasàt só per al camì
e adès só ché 'n del vét,
e adès só ché 'n del vét.
A Auschwitz, al ghéra la néf,
al füm al pasaa só
an chèl dé fret d'invéren
e adès só ché 'n del vét,
e adés só ché 'n del vét.
A Auschwitz, 'na mücia de zét,
ma tüt al parea isse quét,
che strano, so gnemò bù
de grignà ché 'n del vét,
de grignà ché 'n del vét.
Ma di'm, cóm' pödel l'om
cupà ‘n sò frèdèl,
epör an sé a migliù
an pólver ché 'n del vét,
an pólver ché 'n del vét.
E amò 'l tuna 'l canù
e la ghè n'a gnemò asé
de sang la „bestia umana“,
e amò 'l me pórta 'l vét,
e amò 'l me pórta 'l vét.
Ma di'm quan'che'l sarà
che l'om l'ampararà
a stà al mónd sénsa cupà
e'l vét al sèsarà,
e 'l vét al sèsarà.
Versione ceca di Halina Skass
Czech version by Halina Skass
Version tchèque de Halina Skass
Halina Skassin tšekinkielinen versio
[2000]
Grazia di Michele and Rossana Casale
Czech version by Halina Skass (2000). Halina was a friend from Prague I asked for a translation of the song into her native language. She was at that time the owner of an excellent pizzeria in Livorno. [RV]
PÍSEŇ DÍTĔTE V VĚTRU
Zemřel jsem s dalšími stovkami
Zemřel jsem, když jsem byl dítě,
Prošel jsem kolem komínu
A teď jsem ve větru,
A teď jsem ve větru.
V Auschwitzu padal sníh,
Kouř pomalu stoupal
V chladném zimním dni
A teď jsem ve větru,
A teď jsem ve větru.
V Auschwitzu, mnoho lidí
Ale jen jedno velké ticho
Je to zvláštní, stále nemůžu
Se usmát tady ve větru,
Se usmát tady ve větru.
Ptám se, jak může člověk
Zabít svého bratra,
Přesto jsme v milionech
Prachem ve větru,
Prachem ve větru.
Znovu hrmí dělo,
Stále není sytá
Krví, lidská šelma.
A stále nám vítr přináší,
A stále nám vítr přináší.
Ptám se, kdy to bude?
Kdy člověk naučí se žít
V míru a nezabít,
A vítr se usadí,
A vítr se usadí.
Ptám se, kdy to bude?
Kdy člověk naučí se žít
V míru a nezabít,
A vítr se usadí,
A vítr se usadí.
Versione ungherese di Riccardo Venturi
Riccardo Venturi magyar fordítása
Hungarian version by Riccardo Venturi
Version hongroise de Riccardo Venturi
Riccardo Venturi unkarinkielinen versio
[2000]
Gianni Carboni and FTM Sound, 2002
A SZÉLBEN LEVŐ GYERMEK DALA
Más ezerrel együtt haltam meg,
Gyermekkoromban haltam meg
A kéményen keresztüljárva
És most a szélben vagyok,
És most a szélben vagyok.
Auschwitzben nagyon havazott,
Lassan mennybe szállott
A füst a kemény télnapon
És most a szélben vagyunk,
És most a szélben vagyunk.
Auschwitzben sok ember volt
Fájdalmas és síri csendben,
Ez furcsa, itt a szélben
Még nem mosolyoghatok,
Még nem mosolyoghatok.
Én kérem, hogy ölheti
Az ember a testvérét,
Mégis a szélben vannak
Milliók füstben és porban,
Milliók füstben és porban.
És még dörög az ágyú,
Még nem vérrel torkig
A vérszomjas emberállat
És még a szélben vagyunk,
És még a szélben vagyunk.
Én kérem, mikor ez lesz?
És mikor tanul az ember
Ölés nélkül békén élni
És el fog állni a szél,
És el fog állni a szél.
Én kérem, mikor ez lesz?
És mikor tanul az ember
Ölés nélkül békén élni
És el fog állni a szél,
És el fog állni a szél.
Versione bulgara di Marina Panova
Bulgarian version by Marina Panova
Version bulgare de Marina Panova
Marina Panovan bulgariankielinen versio
[2000]
La versione è seguita da una trascrizione in caratteri latini
Marina Panova was a Bulgarian friend I asked for a translation of the song into her native language. She was the shopkeeper of the laundry where I used to wash my clothes in Livorno. A Romanized version is also provided. [RV]
Uniko Neurone, 2015
ПЕСEНТА НА ДЕТЕТО ВЪВ ВЯТЪРA
Умрях с още стотици,
Умрях, когато бях дете
В дим през комина,
И сега съм във вятъра,
И сега съм във вятъра.
B Аушвиц падаше снягът,
Димът се издигаше бавно
В студения зимен ден,
И сега съм във вятъра,
и сега съм във вятъра.
B Аушвиц, колко много хора
В само едно голямо мълчание
Странно е, все още не мога
Да се усмихвам тук във вятъра,
Да се усмихвам тук във вятъра.
Питам, как може човек
Да убива своя брат,
И все пак сме милиони
В прах тук във вятъра,
В праџ тук във вятъра.
Пак оръдието гърме,
Все още не е сит
На кръв, човеският звяр.
И все пак вятърът ни носи,
И все пак вятърът ни носи.
Питам – кога ще бъде?
Кога човекът ще се научи
Да живее и да не убива,
И вятърът ще се успокои,
И вятърът ще се успокои.
Питам – кога ще бъде?
Кога човекът ще се научи
Да живее и да не убива,
И вятърът ще се успокои,
И вятърът ще се успокои.
Pesenta na deteto văv vjatăra
Umrjax s ošte stotici,
Umrjax, kogato bjax dete
V dim prez komina,
I sega săm văv vjatăra,
I sega săm văv vjatăra.
V Aušvic padaše snjagăt,
Dimăt se izdigaše bavno
V studenija zimen den,
I sega săm văv vjatăra,
I sega săm văv vjatăra.
V Aušvic, kolko mnogo xora
V samo edno goljamo mălčanie
Stranno e, vse ošte ne moga
Da se usmixvam tuk văv vjatăra,
Da se usmixvam tuk văv vjatăra.
Pitam, kak može čovek
Da ubiva svoja brat,
I vse pak sme milioni
V prax tuk văv vjatăra,
V prax tuk văv vjatăra.
Pak orădieto gărme,
Vse ošte ne e sit
Na krăv, čovekijat zvjar.
I vse pak vjatărăt ni nosi,
I vse pak vjatărăt ni nosi.
Pitam – koga šte băde?
Koga čovekăt šte se nauči
Da živee i da ne ubiva,
I vjatărăt šte se uspokoi,
I vjatărăt šte se uspokoi.
Pitam – koga šte băde?
Koga čovekăt šte se nauči
Da živee i da ne ubiva,
I vjatărăt šte se uspokoi,
I vjatărăt šte se uspokoi.
Versione croata di Ana Jagić
Croatian version by Ana Jagić
Version croate par Ana Jagić
Ana Jagićin kroatiankielinen versio
[2000]
Francesco Paolo Dellaquila
PJESMA DJETETA U VJETRU
Umro sam kao toliko stotina,
Umro sam kad sam bio dijete
Prolazeći kroz dimnjaka
I sada sam na vjetru,
I sada sam na vjetru.
U Aušvicu je snijeg padao,
Polako se je dim dizao
U hladnom zimskom danu
I sada sam na vjetru,
I sada sam na vjetru.
U Aušvicu, kao je bilo ljudi
Ali samo jedna velika tišina.
Čudno je, još uvijek ne mogu
Ne znam, jos ne mogu
Da se nasmiješim ovdje na vjetru,
Da se nasmiješim ovdje na vjetru.
Pitam, kako čovjek može
Ubiti svojeg brata?
A ipak mi smo milijuni
U prašini ovdje na vjetru,
U prašini ovdje na vjetru.
Opet gruvaju topovi,
Jos nije ljudska zvijer
Sita naše krvi.
I jos mi smo na vjetru,
I jos mi smo na vjetru.
Pitam kad će to biti
Da može čovjek naučiti
Da živi i da ne ubije
I vjetar će se smiriti,
I vjetar će se smiriti.
Pitam kad će to biti
Da može čovjek naučiti
Da živi i da ne ubije
I vjetar će se smiriti,
I vjetar će se smiriti.
Versione serba di Sandrina Vukić Listri
Serbian version by Sandrina Vukić Listri
Version serbe de Sandrina Vukić Listri
Sandrina Vukić Listrin serbiankielinen versio
[2019]
Duo Deca Live (Angelo de Mariano and Carmelo Cacciola)
Песма детета на ветру
Умро сам као толико стотина,
Умро сам кад сам био дете
Пролазeћи кроз димњак,
А сада сам на ветру,
А сада сам у ветру.
У Аушвицу ке снег падао,
Полако се је дим дизао
У хладном зимском дану
А сада сам на ветру,
А сада сам у ветру.
У Аушвицу много људи
Али само једна велика тишина.
Чудно, још увек не могу
Да се насмејем овде на ветру,
Да се насмејем овде на ветру.
Питам, како човек може
Да убије својег брата?
А ипак ми смо милијуни
У прашини овде на ветру,
У прашини овде на ветру.
Опет грувају топови,
Јос није људска звер
Сита наше крви,
И даље нас ветар доноси,
И даље нас ветар доноси.
Питам када то биће
Да може човек научити
Да живи и да не убије
И ветар ће се смирити,
И ветар ће се смирити.
Питам када то биће
Да може човек научити
Да живи и да не убије
И ветар ће се смирити,
И ветар ће се смирити.
Contributed by Riccardo Venturi - 2005/5/16 - 11:46
Traduzione samoana a cura del canale IRC #samoa
Faaliliu i le gagana Samoa e ala i le laina IRC #samoa
Samoan translation by the IRC channel #samoa
Traduction samoenne par le canal IRC #samoa
IRC #samoa kanalin samoankielinen käännös
[2007]
AUVITU (Le tamaiti i le matagi)
Faaliliu i le gagana Samoa e ala i le laina IRC #samoa
Na ou oti ma le isi selau
Na ou oti aʻo oʻu laʻitiiti
Tufa i tafatafa o le afi
Ma o lenei ua ou i ai i le matagi,
Ma o lenei ua ou i ai i le matagi.
Sa i ai le kiona i Auvitu
Sa oso lemu le asu
I le tau malulu malulu
Ma o lenei ua ou i ai i le matagi,
Ma o lenei ua ou i ai i le matagi.
I Auvitu e toatele tagata
Ae na o le tasi le filemu tele
E ese, e le mafai lava
Ina ia ataata iinei i le matagi,
O le ataata iinei i le matagi
Ou te fesili, e faapefea ona mafai e se tagata
Fasioti se tasi o ona uso
Ae ua tatou i ai i le fia miliona
Aʻau i le matagi,
Aʻau i le matagi.
Toe faʻafoʻi foi le faititili o tai,
Ae le o le fiafia
O le manu feʻai o le toto
Ae o le matagi e aumaia i tatou,
Ae o le matagi e aumaia i tatou.
Ou te fesili pe a afea
E mafai e lena tagata ona aʻoaʻo
Ia ola e aunoa ma le fasiotia
Ma o le a tumau le matagi,
Ma o le a tumau le matagi.
Ou te fesili pe a afea
E mafai e lena tagata ona aʻoaʻo
Ia ola e aunoa ma le fasiotia
Ma o le a tumau le matagi,
Ma o le a tumau le matagi.
Contributed by Riccardo Venturi
Versione nella parlata brianzola di Casatenovo di Lele.
A version into the Casatenovo Brianza dialect by Lele
Version dans le dialecte de Casatenovo Brianza, par Lele
Lelen käännös Casatenovo Brianzan murreeseen
[2002]
A version in the Casatenovo Brianza dialect by Lele.
"I'm sending you the translation of this song into the language spoken in my town, Casatenovo in Brianza (Casanöv Brianza)"
Caduta Libera, Live in Ostra (Ancona)
CANZÓN DEL BAGAÉN IN DEL VÈNT
Sùnt mòrt insèma de cènt
Sùnt mòrt che sévi un bagàj
Pasaa per ul camén
E adèss e sùnt in del vènt,
E adèss e sùnt in del vènt.
Ad Auschwitz gh’eva la néf
Ul fömm el nàva sö adàsi
In del frècc dé de l’invèrnu
E adèss e sùnt in del vènt,
E adèss e sùnt in del vènt.
Ad Auschwitz tànti persònn
Ma dumè un gràn silènzi
L’è strànu, e rièsi gnemò
A surìd ché in del vènt,
A surìd ché in del vènt.
Se dumàndi, ‘me ‘l fa cumè ‘n òm
A cupà gió un sò fredèll
Epüür sèmm a milión
In pùlvera ché in del vènt,
In pùlvera ché in del vènt.
E amò el trùna ‘l canón
E amò l’è mia sagóll
De sàng la bèlva ümàna
E amò el me pórta ul vènt,
E amò el me pórta ul vènt.
Mé dìsi quànd el sarà
Che l’òm el pudarà imparà
A vîf sènza mazzà
E ul vènt el se quietarà,
E ul vènt el se quietarà.
Mé dìsi quànd el sarà
Che l’òm el pudarà imparà
A vîf sènza mazzà
E ul vènt el se quietarà,
E ul vènt el se quietarà.
Contributed by lele
Versione livornese di Riccardo Venturi
A version into Livorno dialect by Riccardo Venturi
Version livournaise de Riccardo Venturi
Riccardo Venturin käännös Livornon murreeseen
[16-05-2005]
I've "played" with Livornese a lot of times, but not this time. Hundreds of Jews, and I don't know how exactly how many children among them, were deported from Livorno to Auschwitz and other extermination camps; this translation is dedicated to all Livornese who suffered and died for the Nazi horror.
CANZONE DER BIMBETTO NER VENTO
So’ morto ‘ò àrtri cento,
so’ morto ch’ero un bimbetto
passando su pè’r camino
e ora so’ qui ner vento,
e ora so’ qui ner vento.
A Auschwitz c’era la neve,
ir fumo ‘ndàva su lento
quer giorno freddo d’inverno
e ora so’ qui ner vento
e ora so’ qui ner vento.
A Auschwitz dé s’era ‘n pòi!
Ma zitti come ‘na tomba.
Mi dite, dé come fo
a sorrìde’ qui ner vento,
a sorrìde’ qui ner vento.
Mi dite ‘n po’ se un òmo
deve ammazzà un artr’òmo?
Eppure dé s’è ‘na cèa
in fumo qui ner vento,
in fumo qui ner vento.
E ancora tròna ir cannone,
ancora dé unn’è zipilla
di sangue la berva umana
e tutti s’è qui ner vento,
e tutti s’è qui ner vento.
Mi dite quando sarà
che l’omò impara a stà’
ar mondo senza ammazzà
e smette di tirà’ vento,
e smette di tirà vento?
Mi dite quando sarà
che l’omò impara a stà’
ar mondo senza ammazzà
e smette di tirà’ vento,
e smette di tirà vento?
Versione in "Putér" (Romancio dell'Alta Engadina) di Daniele Pandocchi
A version into "Putér" (High Engadine Reto-romanic) by Daniele Pandocchi
Version en "Putér" (Romanche d'Haute Engadine) par Daniele Pandocchi
Daniele Pandocchin käännös "Putéreen" (Ylä-Engadinin Retoromaanihin)
[2006]
Cari saluti
Daniele Pandocchi
Francesco Guccini, live Spoleto 18-09-2008
LA CHANZUN DA L'IFFAUNT AINT IL VENT
Eau sun mort cun oters tschient,
sun mort ch'eau d'eir 'n iffauntin,
passo sü pel chamin,
ed uossa suni aint il vent.
Ed uossa suni aint il vent.
Ad Auschwitz d'eira plain naiv,
il füm s'uzaiva plaun
in quel fraid di d'inviern
ed uossa suni aint il vent.
Ed uossa suni aint il vent.
Ad Auschwitz 'na pruna glieud,
ma ün unic silenzi immens.
Curius, eau nu sun pü bun
da surrir cò aint il vent,
da surrir cò aint il vent.
Ma di'm, cu po ün umaun
cupper a sieus fradgliuns?
Epür do que milliuns
dad ormas cò aint il vent,
in puolvra, cò aint il vent.
Aunch' uossa tuna 'l chanun.
La nu riva da's cuntanter
da saung la bes-ch' umauna.
Aunch'uossa ans port' il vent.
Aunch'uossa ans port' il vent.
Ma di'm cur cha saro,
cha tuots imprendaron
a viver sainza cupper
e'l vent as balcharo,
e'l vent as balcharo.
Contributed by Daniele Pandocchi - 2006/9/12 - 10:08
Versione in romancio unificato (Romantsch Grischun) di Emil Schavut
Unified Reto-romanic (Romantsch Grischun) version by Emil Schavut
Version en Romanche unifié (Romantsch Grischun) par Emil Schavut
Emil Schavutin retoromaninkielinen versio (Romantsch Grischun)
16-05-2005
CHANZUN DA L'UFFANT EN IL VENT
Sun mort cun auters tschient
sun mort cur ch’era uffant
passà per il chamin
e ussa sufflel al vent
e ussa sufflel al vent
A Auschwitz la naiv crudava
ed il fim gieva si plaun
in il fraid di d’enviern
e ussa sufflel al vent
e ussa sufflel al vent
A Auschwitz quanta glieud
ma in sulet grond silenzi
è curius ma jau poss betg
surrir sufflond al vent
surrir sufflond al vent
Ma dumond co l’um po
mazzar ses frar, sia sor
tuttina essan milliuns
in pulvra che suffla al vent
in pulvra che suffla al vent
Ancussa tuna il chanun
ancussa n’è betg cuntenta
da sang la bestga umana
e ancussa sufflain al vent
e ancussa sufflain al vent
Ma dumond cur ch’i è
che l’um vegn a emprender
a viver senza mazzar
e il vent s’vegn a calmar,
e il vent s’vegn a calmar.
Ma dumond cur ch’i è
che l’um vegn a emprender
a viver senza mazzar
e il vent s’vegn a calmar,
e il vent s’vegn a calmar.
Contributed by Riccardo Venturi - 2005/5/16 - 13:09
Versione in romanesco di Dario
A version into modern Roman dialect by Dario
Version en dialecte Romain moderne par Dario
Darion käännös Rooman murreeseen (Romanescoon)
A version into modern Roman dialect by Dario.
"The following is the traslation of this splendid poetic song into the dialect spoken in Rome".
Auschwitz in Rome: Francesco Guccini live, 23-01-2009
CANZONE DER REGAZZINO NER VENTO
Sò mmorto co artri cento
Sò mmorto ch'ero regazzino
Passato pe'r camino
E mo stò ner vento,
E mo stò ner vento.
A Auschvitz cé stava 'a neve
Er fumo saliva lento
Ner freddo ggiorno de 'nverno
E mo stò ner vento,
E mo stò ner vento.
A Auschwitz 'na cifra de perzone
Ma 'n-zolo gran-zilenzio
È strano, nun rïesco ancora
A ssoríde qui ner vento,
A ssoríde qui ner vento,
Io chiedo, come pò 'n-òmo
Uccíde 'n-fratello suo?
Eppure semo a mïoni
'M pórvere qui ner vento,
'M pórvere qui ner vento.
Ancora tòna er cannone,
Ancora nun è ccontenta
De sangue 'a bberva umana
E ancora ce porta er vento,
E ancora ce porta er vento.
Io chiedo quanno sarà
Che ll'òmo potrà 'mparà
A vvíve senz'ammazzà
E er vento se poserà,
E er vento se poserà.
Io chiedo quanno sarà
Che ll'òmo potrà 'mparà
A vvíve senz'ammazzà
E er vento se poserà,
E er vento se poserà.
Contributed by Dario - 2005/2/5 - 15:34
Versione sarda campidanese di William Anedda
Tradutzioni in limba Sarda Campidanesa de William Anedda
Campidano Sardinian translation by William Anedda
Traduction en sarde de Campidano par William Anedda
William Aneddan Campidanon sardinkielinen käännös
[2006]
Francesco Guccini, live Anfiteatro Romano, Cagliari (Sardinia), 2004
CANTZONI DE SU PIPIU IN SU BENTU
Seu mortu cun attrus centu
Seu mortu chi femmu pipiu
Passau de sa zeminera
E immoi seu in su bentu,
E immoi seu in su bentu.
In Auschwitz ci fiada sa nì
Su fumu arziada a bellu
In sa frida dì de s’ierru
E immoi seu in su bentu,
E immoi seu in su bentu.
In Auschwitz meda sa genti
Ma pitticcu custu silèntziu
Ta stranu, no arrennesciu ancora
A arriri innoi in su bentu,
A arriri innoi in su bentu.
Deu mi domandu, cumenti si podidi
Boccìri fradisi e sorrisi
Eppuru giai seusu unu
In pruini innoi in su bentu,
In pruini innoi in su bentu.
E tòrra su cannoni tronada,
Ancora no esti pràndia
De sanguni sa fèra umana
E tòrra si portada su bentu,
E tòrra si portada su bentu.
Deu mi domandu candu hada essi
Chi s’òmini hada imparai
A bivi kenz'e boccìri
E su bentu s’hada frimmai,
E su bentu s’hada frimmai.
Deu mi domandu candu hada essi
Chi s’òmini hada imparai
A bivi kenz'e boccìri
E su bentu s’hada frimmai,
E su bentu s’hada frimmai.
Contributed by William Anedda - 2006/10/31 - 14:54
Traduzione in lingua sarda nuorese di Pàule Berria.
Nuoro Sardinian translation by Pàule Berria
Traduction en sarde de Nuoro par Pàule Berria
Pàule Berrian Nuoron sardinkielinen käännös
[2007]
Tazenda / Nomadi: Auschwitz (live cover)
So mortu chin àtteros chentu
So mortu a minorèddu
Colàu in su fumiajòlu
E commo che so in su bentu
E commo che so in su bentu.
In Auschwitz bi fit su nibe
Su fumu anziàbat a bellu
Ind'una fritta die de ibèrru
E commo che so in su bentu
E commo che so in su bentu
In Auschwitz sa zente a pore
Ma pezzi unu mutricòre mannu
Non paret beru ma galu non resèsso
a surrìdere inòche in su bentu
a surrìdere inòche in su bentu
Dego no isco comènte fachet un' òmine
a ucchìdere a unu frade
Bell'e gai semus milliònes
torràos a prùghere inòche in su bentu,
torràos a prùghere inòche in su bentu.
Galu su cannone est a tronos,
galu non si nd'est gustàda
de sàmbene sa fera umana
E galu nos juchet a ziru su bentu,
E galu nos juchet a ziru su bentu.
Deo dimando cando det essere
Chi s'òmine hat a imparàre
A bìvere chene mòrrere a àttere
E su bentu s' hat pasàre,
E su bentu s' hat pasàre.
Deo dimando cando det essere
Chi s'òmine hat a imparàre
A bìvere chene mòrrere a àttere
E su bentu s'hat a pasàre,
E su bentu s'hat a pasàre.
Contributed by Pàule Berria - 2007/12/20 - 17:24
Traduzione friulana di Silvia
Friulian translation by Silvia
Traduction frioulane de Silvia
Silvian friulinkielinen käännös
[2010]
Ho tradotto in friulano, la mia madrelingua assieme all'italiano, la canzone in questione. Volevo solo precisare che il friulano è lingua minoritaria, non dialetto; ho letto che l'annoverate tra le lingue, ma non sapevo come trovare la dicitura esatta.
Silvia
I Nomadi (with lyrics)
Soi muart cun atrîs cent
Soi muart co eri frut
Passât pa la nape
E cumò soi tal aiar
E cumò soi tal aiar.
A Auschwitz ere le nêf
Il fum al jevave lent
Tal frêt dì d'unviar
E cumò soi tal aiar,
E cumò soi tal aiar.
A Auschwitz cetantis personis
ma dome un gran tasè
l'è stramp, no rivi nancjemò
a ridi chi tal aiar,
a ridi chi tal aiar.
Jo domandi, come podie un omp
copà so fradi
epûr i sin milions chi tal aiar
pulvin chi tal aiar,
pulvin chi tal aiar.
Ancjemò al tone il canon,
nancjemò no ie passude
di sanc le besteate umane
E ancjemò nus parte l'aiar
E ancjemò nus parte l'aiar.
Mi domandi cuant cal sarà
che l'omp al podarà imparà
a vivi cence maçâ
e l'aiar a si poiarà
e l'aiar a si poiarà
Mi domandi cuant cal sarà
che l'omp al podarà imparà
a vivi cence maçâ
e l'aiar a si poiarà
e l'aiar a si poiarà
Contributed by Silvia - 2010/11/1 - 20:03
PIÉMONTAIS DE TURIN / TORINON PIEMONTE
Traduzione in piemontese torinese di Gio Ferrara
Translation into Turin Piedmontese by Gio Ferrara
Traduction en piémontais de Turin par Gio Ferrara
Gio Ferraran käännös Torinon piemonteseen
[2019]
Vincenzo Guerrazzi (2016)
Sun mort ch'a i eru cit
sun mort cun autër sent
pasà 'ndrinta 'l camìn
e adès mì sun 'n tl vent
ad Auschwitz a i era la fioca
e 'l fum a s'ausàva adàsi
'nt i camp tante persun-e
che adès a sun 'n tl vent
ad Auschwitz a i era la fioca
e 'l fum a s'ausàva adàsi
'n cùi frèid dì dl'invèrn
e adès a suma 'n tl vent
ad Auschwitz tante persun-e
e mac 'n sul e grand silensi
a l'é stran, a rièsu pà, 'ncùra
a surìde, sì, 'n tl vent
mì ciamu cum'a peul, 'n om
masé fin-a 'n so frel
epura a suma a miliùn
'n pùer, sì, 'n tl vent
'ncùra a trun-a 'l canùn
'ncùra a l'é nen cuntenta
'd sang, la belva uman-a
e 'ncùra a 's porta 'l vent
mì ciamu quand ch'a sarà
che l'Om 'mpararà
a vive sensa masé
e 'l vent a chiterà
no, mì chërdu pà
che l'Om 'mpararà
a vive sensa masé
e che 'l vent a chiterà
Contributed by gio ferrara - 2019/11/3 - 19:47
Versione cinese di Chung Biao Li
被简化的汉语版本由钟 锂接受在 2005 年8月31 日
Chinese version by Chung Biao Li
Version chinoise de Chung Biao Li
Chung Biao Lin kinankielinen versio
31-08-2005
Alberto Pessa (home recording), 2000
儿歌在风中
我死了那么多
我小时候就死了
穿过壁炉
现在我在风中
现在我在风中。
奥斯威辛集中营正在下雪,
烟慢慢升
在寒冷的冬天
现在我在风中
现在我在风中。
在奥斯威辛集中营,很多人
但是只有一个伟大的沉默
奇怪,我还是不能
为了在风中微笑
在风中微笑
我问,一个男人怎么能
杀死他的一个兄弟
然而,我们已经成千上万
风中的灰尘
风中的灰尘。
炮声再次雷鸣,
还是不开心
人类的野兽是鲜血
风仍然带给我们,
风仍然带给我们。
我问什么时候
那个人可以学习
不杀就活
风会平静下来
风将平静下来。
我问什么时候
那个人可以学习
不杀就活
风会平静下来
风将平静下来。
érgē zài fēng zhōng
wǒ sǐle nàme duō
wǒ xiǎoshíhòu jiù sǐle
chuānguò bìlú
xiànzài wǒ zài fēng zhōng
xiànzài wǒ zài fēng zhōng.
Ào sī wēi xīn jízhōngyíng zhèngzài xià xuě,
yān màn man shēng
zài hánlěng de dōngtiān
xiànzài wǒ zài fēng zhōng
xiànzài wǒ zài fēng zhōng.
Zài ào sī wēi xīn jízhōngyíng, hěnduō rén
dànshì zhǐyǒu yīgè wěidà de chénmò
qíguài, wǒ háishì bùnéng
wèile zài fēng zhōng wéixiào
zài fēng zhōng wéixiào
wǒ wèn, yīgè nánrén zěnme néng
shā sǐ tā de yīgè xiōngdì
rán'ér, wǒmen yǐjīng chéng qiān shàng wàn
fēng zhōng de huīchén
fēng zhōng de huīchén.
Pào shēng zàicì léimíng,
háishì bù kāixīn
rénlèi de yěshòu shì xiānxiě
fēng réngrán dài gěi wǒmen,
fēng réngrán dài gěi wǒmen.
Wǒ wèn shénme shíhòu
nàgè rén kěyǐ xuéxí
bù shā jiùhuó
fēng huì píngjìng xiàlái
fēng jiāng píngjìng xiàlái.
Wǒ wèn shénme shíhòu
nàgè rén kěyǐ xuéxí
bù shā jiùhuó
fēng huì píngjìng xiàlái
fēng jiāng píngjìng xiàlái.
Contributed by Riccardo Venturi - 2005/9/1 - 02:23
Versione giapponese di M. Naomi (L. Trans.)
ナオミによる日本語訳
Japanese version de M. Naomi (L. Trans.)
Version japanaise de M.Naomi (L. Trans.)
M. Naomin japaninkielinen käännös (L. Trans.)
Valerio Schiavone, Campi Salentina, 2008
私は他の100人といっしょに死んだ
子供の時に死んだ
煙突から出て
今は風になった
今は風になった
アウシュビッツでは雪が降っていた
煙はゆっくりと上がって行った
寒い冬の日に
今ぼくは雪になった
今ぼくは雪になった
アウシュビッツにはたくさんの人がいた
でもそれはたったひとつの大きな沈黙になっていた
不思議な事だ まだぼくはできない
ここで風の中で笑うことが
ここで風の中で笑うことが
聞きたい どうしたら人は
自分の兄弟を殺せるのか
ぼくらは何百万もいるけれど
この風の中のちりのように
この風の中のちりのように
まだ大砲の音がする
まだ満足していないらしい
獣のような人間の血に
まだ風が吹いている
まだ風が吹いている
ぼくは聞きたい いつになったら
人は学ぶのか
殺さずに生きることを
風は残るだろうか
風は残るだろうか
ぼくは聞きたい いつになったら
人は学ぶのか
殺さずに生きることを
風は残るだろうか
風は残るだろうか
Watashi wa hoka no 100-ri to issho ni shinda
Kodomo no toki ni shinda
Entotsu kara dete
Ima wa kaze ni natta
Ima wa kaze ni natta
Aushubittsu dewa yuki ga futte ita
Kemuri wa yukkuri to agatte itta
Samui fuyu no hi ni
Ima boku wa yuki ni natta
Ima boku wa yuki ni natta
Aushubittsu ni wa takusan no hito ga ita
Demo sore wa tatta hitotsu no ōkina chinmoku ni natte ita
Fushigina kotoda mada boku wa dekinai
Koko de kaze no naka de warau koto ga
Koko de kaze no naka de warau koto ga
Kikitai dōshitara hito wa
Jibun no kyōdai o koroseru no ka
Boku-ra wa nan hyaku man mo irukeredo
Kono kaze no naka no chiri no yō ni
Kono kaze no naka no chiri no yō ni
Mada taihō no oto ga suru
Mada manzoku shite inairashī
Kemono no yōna ningen no chi ni
Mada kaze ga fuite iru
Mada kaze ga fuite iru
Boku wa kikitai itsu ni nattara
Hito wa manabu no ka
Korosazu ni ikiru koto o
Kaze wa nokorudarou ka
Kaze wa nokorudarou ka
Boku wa kikitai itsu ni nattara
Hito wa manabu no ka
Korosazu ni ikiru koto o
Kaze wa nokorudarou ka
Kaze wa nokorudarou ka
Contributed by CCG/AWS Staff - 2005/8/31 - 17:11
Versione latina di Riccardo Venturi
Latin version by Riccardo Venturi
Version en latin par Riccardo Venturi
Riccardo Venturin latinankielinen versio
MMVI
Richardus Venturi vertit in Latinum sermonem a.D. MMVI"
Secondo quanto ha raccontato Francesco Guccini stesso (si veda il video allegato), Auschwitz fu scritta nel 1964 su un foglio di quaderno (si veda la sua immagine) esattamente mentre stava preparando un esame universitario di latino. In un certo senso, quindi, il latino è legato alla storia di questa canzone. La seguente versione latina è pienamente cantabile e, anzi, potrà persino essere cantata qualora Francesco Guccini torni a trovare S.S. il Papa, come ha fatto alcun tempo fa. [RV]
vel PUERI CARMEN LIBRANTIS IN VENTO
Perii centum cum aliis,
perii in meā pueritiā
per caminum pervolans
et nunc fluctuo cum ventō,
et nunc fluctuo cum ventō.
Ausviciae strenue ningebat
fumusque lente ascendebat
in gelidā diē hibernā
et nunc fluctuo cum ventō,
et nunc fluctuo cum ventō.
Ausviciae permulti eramus
sed omnes muti et silentes.
Obstupeo, adhuc non potui
laetari fluctuans in ventō,
laetari fluctuans in ventō.
Quō modō homines possunt
caedere fratres, quaero.
Et tamen, milia reversa
sunt pulvis fluctuans in ventō,
sunt pulvis fluctuans in ventō.
Etiam tum arma resonant,
etiam tum sanguinis sitim
non satiavit humana fera,
etiam tum fluctuamus ventō,
etiam tum fluctuamus ventō.
Et quando, quaero vobis,
intelliget humanum genus
non esse vitam in cruore,
et quando placabit ventus,
et quando placabit ventus ?
Et quando, quaero vobis,
intelliget humanum genus
non esse vitam in cruore,
et quando placabit ventus,
et quando placabit ventus ?
Versione letterale in esperanto di Nicola Ruggiero (23 gennaio 2006)
Laŭvorte tradukis Nicola esperanten Nicola Ruggiero
A literal translation in Esperanto by Nicola Ruggiero
Traduction littérale en esperanto par Nicola Ruggiero
Nicola Ruggieron esperantonkielinen kirjaimellinen käännös
23-01-2006
A Riccardo Venturi
"La indiferenteco estas la senviva pezo de la historio. [...] Mi vivas, mi estas partizano."
Al Riccardo Venturi
Da Polenta, 2019
KANZONO DE LA INFANO EN LA VENTO
Mi mortis kun aliaj centoj
mi mortis infanaĝe,
trairis la kamenon
kaj nun mi estas en vento,
kaj nun mi estas en vento.
En Auschwitz falis la neĝo,
la fumo suprenis malrapide
en malvarma vintra tago
kaj nun mi estas en vento,
kaj nun mi estas en vento.
En Auschwitz multe da homoj
sed unu granda silento
Strange, mi daŭre ne sukcesas
rideti ĉi tie en vento,
rideti ĉi tie en vento.
Mi scivolas, kiel povas homo
mortigi iun sian fraton
kaj tamen ni estas milionoj
polvere ĉi tie en vento,
polvere ĉi tie en vento.
Ankoraŭ bruas kanono
ankoraŭ ne kontentiĝas
je sango la besta homo
kaj daŭre nin portas vento,
kaj daŭre nin portas vento.
Mi scivolas, kiam
la homo povos lerni
vivadi sen mortigi
kaj la vento haltos,
kaj la vento haltos.
Mi scivolas, kiam
la homo povos lerni
vivadi sen mortigi
kaj la vento haltos,
kaj la vento haltos.
Contributed by Nicola Ruggiero - 2006/1/23 - 15:04
Versione cantabile in esperanto di Nicola Ruggiero
Kantebla esperanta traduko de Nicola Ruggiero
A singable version in Esperanto by Nicola Ruggiero
Version chantable en Esperanto par Nicola Ruggiero
Nicola Ruggiero esperantonkielinen taiteellinen versio
23-02-2006
Libertaciturno, Isernia 2010.
KANZONO DE LA INFANO EN LA VENTO
Mi mortis kun homa cento
mi mortis je infanaĝo,
mi iris tra la kameno
kaj nun mi estas en vento,
kaj nun mi estas en vento.
En Auschwitz falis la neĝo,
la fumo suriris ade
en frosta tago en vintro
kaj nun mi estas en vento,
kaj nun mi estas en vento.
En Auschwitz multe da homoj
sed unu granda silento
Ja strangas, mi ne sukcesas
rideti tie en vento,
rideti tie en vento.
Mi miras, kial la homo
mortiga sian frateton
kaj tamen ni milionas
en polvo tie en vento,
en polvo tie en vento.
Ankoraŭ bruas kanono
ankoraŭ ne kontentiĝas
je sango la besta homo
kaj daŭre nin portas vento,
kaj daŭre nin portas vento.
Mi miras, kiam la hom'
sukcesos eklerni vere
vivadi sen iun murdi
kaj l' vento ripozos plu,
kaj l' vento ripozos plu.
Mi miras, kiam la hom'
sukcesos eklerni vere
vivadi sen iun murdi
kaj l' vento ripozos plu,
kaj l' vento ripozos plu.
Contributed by Nicola Ruggiero - 2006/2/23 - 01:13
Versione bretone di Gwenaëlle Rempart
Brezhonekaet en deus Gwenaëlle Rempart
Breton version by Gwenaëlle Rempart
Version bretonne de Gwenaëlle Rempart
Gwenaëlle Rempartin bretoninkielinen versio
[2007]
Are We Real? Band, 2012
GWERZ AR BUGEL EN AVEL
Marvet on gant kant arall,
marvet on pa oan ur bugel
tremenet a-dreuz ar siminal
ha bremañ emaon en avel,
ha bremañ emaon en avel.
En Auschwitz e rae erc'h,
ar moged a save goustad
e deiz yen goañv
ha bremañ emaon en avel,
ha bremañ emaon en avel.
En Auschwitz pegen a dud,
met unan didrouz meur,
iskis eo, n'hellan ket c'hoazh
mousc'hoarzin en avel-amañ,
mousc'hoarzin en avel-amañ.
Goulenn a ran: penaos e c'hell
un den lazhañ e vreur,
neoazh emaomp millionoù
e poultr en avel-amañ,
e poultr en avel-amañ.
Adarre e kroz ar c'hanol,
n'eo ket gwalc'het c'hoazh
gant gwad, al loen denel
adarre emaomp en avel,
adarre emaomp en avel.
Goulenn a ran: pegoulz
e c'hello an den deskiñ
da vevañ hep ma lazho,
pegoulz e sioulaio an avel,
pegoulz e sioulaio an avel?
Goulenn a ran: pegoulz
e c'hello an den deskiñ
da vevañ hep ma lazho,
pegoulz e sioulaio an avel,
pegoulz e sioulaio an avel?
Harbāi idāl: Francesco Guccini (1964)
Mŭsiga: Francesco Guccini (1964)
Harbāi kălart: Riccardo Venturi (2006)
Dugedēntē al to esperantodār Nicola Ruggiero
Versione in Kelartico, la lingua personale di Riccardo Venturi
A version into Kelartic, Riccardo Venturi's personal language
Version en Kelartien, la langue personnelle de Riccardo Venturi
Versio Kelarttiin, Riccardo Venturin henkilökohtaiseen kieleen
[2006]
Samizdat, 2019
CĀND NĂ TO NĀNYET IN TO VĂND
Săm kănt duleuk dŭlevās
Duleuk ‘kos syeverem nānyet
Părgīttūrus păr to komīn
Go nū săm in to vănd,
Go nū săm in to vănd.
Săm nyōg ver’ apŭ Ausyvĭts,
to dŭm aphadne venget
in to dyēn pecō nă vārăn
Go nū săm in to vănd,
Go nū săm in to vănd.
In Ausyvĭts gĕn veră pŏll
Al malăc eno go māg.
To sī arhe, năgadkŭm inăk
'm apsyegelem in to vănd
'm apsyegelem in to vănd
Vuntrăm kāko eno gūm
bănhant cān sămbrārn
Alvestre sāin milyōnder
in pyāle ik in to vănd
in pyāle ik in to vănd
Inăk to kanōn grŭmăd
inăk năsī tovāc
săm krī to dēr gūmig
go inăk bēr măs to vănd,
go inăk bēr măs to vănd.
Go vuntrăm merkos to gūm
syemandhantsye gestrēin
im syegvī aun syebăn
go vănd merkos syerāycsye,
go vănd merkos syerāycsye.
Go vuntrăm merkos syebe
to gūm syemogsye dĭzestāi
du gvīstāi aun du bănestāi
go to vănd merkos syerāycsye,
go to vănd merkos syerāycsye.
Traduzione finlandese di Juha Rämö
Suomennos: Juha Rämö
Finnish translation by Juha Rämö
Traduction finnoise de Juha Rämö
[2016]
Massimo Mammì
LAULU LAPSESTA TUULTEN TEILLÄ
Kuollut oon lailla satojen,
kuollut kesken lapsuuden,
savuna tuuleen haihtuen.
Nyt matkaan teillä tuulien,
mä matkaan teillä tuulien.
Lumessa jo Auschwitzin maa,
savu taivaalle kohoaa
ja talven tuuliin hajoaa.
Nyt matkaan teillä tuulien,
mä matkaan teillä tuulien.
On suuri joukko vankien,
vaan vaiti, kuolonhiljainen.
Ja minä itse osaa en
hymyillä teillä tuulien,
hymyillä teillä tuulien.
Mä kysyn, kuinka ihminen
voi riistää hengen veljien.
Ja kuitenkin jo miljoonat
tomuissa tuulten kulkevat,
tomuissa tuulten kulkevat.
Ei tykit viel' oo vaienneet,
ei uhreihinsa tyytyneet.
Ne uutta verta janoaa,
ja tuuli meitä kuljettaa,
ja tuuli meitä kuljettaa.
Mä kysyn, milloin ihminen
viimeinkin oppii virheistään
ja tappamatta elämään,
ett' tuuli pääsee tyyntymään,
ett' tuuli pääsee tyyntymään.
Mä kysyn, milloin ihminen
viimeinkin oppii virheistään
ja tappamatta elämään,
ett' tuuli pääsee tyyntymään,
ett' tuuli pääsee tyyntymään.
Contributed by Juha Rämö - 2016/6/19 - 10:08
La versione in milanese di Matteo 88, "aiutato da nonna e dizionario".
A version in the Milanese language by Matteo 88, "helped by grandma, and a dictionary".
La version en milanais de Matteo 88, "à l'aide de sa grand-mère et d'un dictionnaire"
Matteo 88'in Käännös Milanon murreeseen, "isoäitinsä ja sanakirjan avulla"
17-06-2008
Mario Fiori
CANZON DEL FIOEU IN DEL VENT
Son mort, cont alter cent
Son mort, che s’eri fioeu
Passaa per el camin
E adess sont in del vent
E adess sont in del vent
Ad Auschwitz gh’era la nev
El fumm el saliva adasi
Nel fregg giorno de inverna
E adess sont in del vent
E adess sont in del vent
Ad Auschwitz tanti person
Ma vun soll grand silenzi
L’è strani, ancamò reussi no
A fà vun sorris chi in del vent
A fà vun sorris chi in del vent
Mi domandi, come el podet un omm
Mazà vun sò fradell
Eppur semm a milioni
In polver chi in del vent
In polver chi in del vent
Ancamò trona el canon
Ancamò l’è no contenta
De sangh la belva umana
E ancamò el ghe porta el vent
E ancamò el ghe porta el vent
Mi domandi quand el sarà
Che l’omm el poderà imparà
A viv senza mazà
E el vent el se poserà
E el vent el se poserà
Mi domandi quand el sarà
Che l’omm el poderà imparà
A viv senza mazà
E el vent el se poggerà
E el vent el se poggerà
Contributed by matteo88 - 2008/6/17 - 18:43
Versione veneta (vicentino centrale) di Andrea Seraglio
A version into Venetian (Vicenza central dialect) by Andrea Seraglio
Version en vénitien (dialecte central de Vicenza) par Andrea Seraglio
Andrea Seraglion käännös Veneton kieleen (Vicenzan keskimurreeseen)
23-07-2014
Beppe Righi, 2013
Son morto con altri sento
Son morto che j'ero puteło
Passà par el camìn
E 'desso mi son nel vento,
E 'desso mi son nel vento.
A Auschwitz ghe j'era la neve
Il fumo 'ndava su piàn
'N'tel fredo giorno de inverno
E 'desso mi son nel vento,
E 'desso mi son nel vento.
A Auschwitz tante persone
ma un soło grande siłensio
Xe strano, no rieso 'ncora
A soridare qua 'n'tel vento,
A soridare qua 'n'tel vento.
Mi domando, come poło 'n'omo
copare un so fradeło
Però semo a miłioni
In polvare qua 'n'tel vento,
In polvare qua 'n'tel vento.
'Ncora s-ciopa il canòn,
'Ncora no ła xe contenta
De sangue la bestia umana
E 'ncora ne porta 'l vento,
E 'ncora ne porta 'l vento.
Mi domando quando sarà,
Che l'omo podarà 'mparare
A vivere sensa copare
E 'l vento se posarà,
E 'l vento se posarà.
Mi domando quando sarà,
Che l'omo podarà 'mparare
A vivere sensa copare
E 'l vento se posarà,
E 'l vento se posarà.
Contributed by Andrea Seraglio - 2014/7/23 - 11:48
(Silvia "eungiorno" dal newsgroup it.fan.musica.guccini)
Auschwitz è sempre stata una delle canzoni di Guccini che ho amato (anche quando, fino a non molto tempo fa, ero più "lontana" e lo conoscevo meno).
In più, me la ricordo da quando ero bambina (mia mamma ascoltava i Nomadi) e mi ha sempre impressionato. Allora, per quell'attacco "Son morto che ero bambino...": era, intuitivamente, un racconto tremendo. In seguito, per la forza dell'espressione artistica. Credo che poche canzoni abbiano parole così semplici da dire tutto l'orrore, e insieme la pietà; il ripudio della violenza e l'appello (e in questo, al di là di tutto la speranza) alla coscienza (intesa anche come conoscenza e consapevolezza) dell'uomo. A volte le parole devono essere pietre. E scalfire come le selci dei primitivi.
Incidere anche i sassi. Semplicemente questo.
E semplicemente, questa canzone, parla: di morte di bambini, sangue, vite in fumo. Immagini crude, reali eppure avvolte da uno sguardo di umanità. Dice, non tace, questa canzone.
E non può tacere se ancora tuona il cannone: "how many times must the cannon ball fly before they are forever banned?". The answer is blowin' in the wind.... E la si potrà afferrare solo quando il vento si poserà... ché solo quando il vento si poserà l'uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare.
Ma non si può, non si deve credere che sia una lotta contro i mulini a vento. La violenza è un istinto della bestia umana. Ma se si afferra la polvere, è come fermare il vento. Se si prende coscienza della polvere di milioni di vite nel vento, si sopisce l'istinto, l'inumanità. Soltanto così.
Lapidariamente.
Ho sempre avvicinato "Auschwitz" alle poesie di Ungaretti ("Come questa pietra /è il mio pianto/ che non si vede/ La morte /si sconta/ vivendo").
E l'ho sentita molto vicina anche ai toni, allo sguardo, dell'Antologia di Spoon River.
Oggi però, per sottolineare i sessant'anni dalla liberazione di Auschwitz, vorrei accostare questa canzone di Guccini ad altri due frammenti.
Il primo è tratto da un poema scritto in yiddish, che è la lingua "popolare", parlata, ebraica. Fu scritto da Ytzhak Katzenelson, un insegnante e letterato ebreo polacco, testimone dell'agonia del ghetto di Varsavia, deportato, dopo l'uccisione della moglie e di due figli, nel 1943 a Vittel, in Francia, ed eliminato ad Auschwitz il 29 aprile 1944. Scrisse il testo durante la prigionia e, come molti altri testi, lo affidò a un barattolo di latta sepolto di nascosto, in luogo confidato a una compagna sperando che riuscisse a salvarsi. Ella poté, e alla fine di tutto recuperò i versi.
Il testo si chiama "Il canto del popolo ebraico massacrato". E' un documento intenso, straziante...
Questo è il frammento, che vorrei avvicinare a "Ad Auschwitz tante persone ma un solo grande silenzio eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento"; in esso il poeta si chiede:
"Ma come posso cantare? Come posso alzare la testa?
Hanno preso mia moglie, e Benzion e il piccolo Yomele.
Non sono più con me eppure mai mi lasceranno.
O ombre oscure - mia sola luce - ombre fredde e cieche" [...]
Dove sono i miei morti? Li cerco, mio Dio, anche nel letame,
in ogni mucchio di cenere... oh, ditemi dove siete.
Gridate da ogni lembo di terra, da sotto ogni pietra,
gridate dalla polvere, dalle fiamme, dal fumo -
è il vostro sangue, la vostra linfa, il midollo delle vostre ossa,
è la vostra carne, la vostra vita! Gridate, gridate forte! [...]
Venite, voi disseccati, voi stritolati, voi frantumati,
disponetevi in cerchio intorno a me fino a formare un grande anello:
nonni, nonne, padri, madri con i bambini in collo.
Venite, ossa di ebrei ridotti in polvere e cenere.
[...] Voglio guardarvi, voglio
contemplare in silenzio il mio popolo massacrato.
E canterò... sì... datemi l'arpa... Ecco, io suono!".
La voce del silenzio perché non taccia.
L'altro frammento, l'ho preso da "Khorakhané (A forza di essere vento)" di Fabrizio De Andrè. Per non dimenticare l'altro genocidio, quello dei rom, che mi permetto di prendere a simbolo di tutte le altre "pulizie" (come se fossero scarti, letame, e non persone...) etniche, di tutte le altre minoranze:
"i figli cadevano dal calendario,
Yugoslavia, Polonia, Ungheria
i soldati prendevano tutti e tutti buttavano via...
[...]
vasu ti baro nebo avi ker
kon ovla so mutavia kon ovla
ovla kon ascovi
(perché l'aria azzurra diventi casa
chi sarà a raccontare
chi sarà
sarà chi rimane)".
Sarà chi ancora potrà imparare.... È chi ha il dovere di farlo.
Semplicemente, tutti.
Leonardo Flaiano - 2005/6/30 - 19:28
Saluti e torna a trovarci!
Riccardo Venturi - 2005/6/30 - 19:39
Un testo scarno e crudo (composto durante la sua licenza liceale) in cui ogni parola nella sua semplicità penetra nell’animo e ci rimane come un peso. Tanto che alla fine della canzone sopravvive un senso di angoscia, quasi di colpa.
La descrizione del giorno in cui lui, bambino, muore, è come una fotografia: la neve, il freddo , il camino che fuma, e le centinaia di persone che come lui vanno verso la morte gli impone una terribile domanda :" Come può l’uomo uccidere un suo fratello?" è la domanda che penso chiunque si faccia, così come credo che sia di tutti la speranza che un giorno quel "vento"di cui parla Guccini si possa ( ri) posare.
Giulia Guerrini, anni 11 - 2005/8/28 - 00:46
Maria Paola Costantini - 2006/8/24 - 01:28
aurora - 2007/6/3 - 15:18
grazie...
francesca dalla provincia di pescara - 2008/2/2 - 23:19
mi dispiace a tutti qulli che sono morti nei campi di concentramento
emanuele - 2008/2/27 - 16:06
FRANCY - 2008/6/16 - 17:13
(simone.bercigli@alice.it )
usdadu 95 13 anni - 2009/3/2 - 18:23
Nicola Ruggiero - 2009/3/6 - 20:57
Scusami ora torno a letto in coma per l'influenza e anche dal ridere per il "maldikulo" esperanto :-PPP
Riccardo Venturi - 2009/3/6 - 23:42
Risaliamo indietro nel tempo e arriviamo al 1966, Guccini scrive "La canzone del bambino nel vento", che per semplificare viene chiamata "Auschwitz" (ammettiamolo, questo titolo è molto più efficace anche se non è quello scelto da Guccini) e firmata da Lunero e Vandelli perché Guccini all'epoca non era iscritto alla Siae e non gliene importava poi molto. Successivamente ci vorranno molti anni perché Guccini possa tornare in possesso dei diritti della sua canzone. "Auschwitz" viene proposta dall'Equipe 84 come retro di "Bang Bang" (al cui testo, sempre peraltro senza figurare, ha sempre collaborato Guccini, ma la prima canzone firmata da Guccini sarà solo, nel 1967, "Dio è morto"). E' una scelta coraggiosa, di rottura quella dell'Equipe: da un lato un successo americano di Sonny & Cher, dall'altro una canzone politica scritta da uno sconosciuto come Francesco Guccini. E poi siamo nel 1966! Eppure il brano diventa un successo talmente grande che, nel corso degli anni, oscurerà completamente quello di "Bang Bang". Guccini si riprenderà la canzone con il titolo originale in "Folk Beat n.1", primo 33 giri della sua carriera, dal bruttissimo titolo e molto poco curato complessivamente. Un disco che passerà completamente inosservato allora, salvo essere riscoperto dopo il successo di "Radici". "Auschwitz" è una di quelle canzoni che hanno fatto la storia della musica in Italia. La versione dell'Equipe, ma questo è un parere personale, resterà sempre superiore a quella di Guccini che ne ha fatto una ballatona quasi country, un po' roboante e più retorica. L'Equipe ha scelto una strada molto più trattenuta e rarefatta e perciò tanto più raggelante. "Auschwitz" dell'Equipe mi dà i brividi, parla allo stomaco. Quella di Guccini parla alla testa. La canzone l'hanno fatta anche i Nomadi e i Modena City Ramblers tra gli altri. E ora, buoni ultimi, arrivano i Luf che, come loro tradizione, prendono il toro per le corna, ossia il Moloch di una canzone storica e ne fanno una versione lora, completamente diversa. Inizialmente faticherete anche a riconoscerla se non per le parole. Ma forse questo è l'unico modo possibile quando si affronta una canzone storica: volentarla e cambiarla per evitare il rischio del ricalco. Richio evitato. In locomotive il giudizio si fa impegnativo: ne darei 5 per l'Equipe, 4 per Guccini e 5 ai Luf. .
la versione dei Luf
www.bielle.org
DonQuijote82 - 2010/12/15 - 16:23
Non si possono dimenticare queste orribili pagine della nostra storia. Speriamo tutti che, prima o poi, il vento si poserà... Giusy
Comunque davvero complimenti! :D
il Ribe - 2012/1/28 - 23:39
Lorenzo - 2012/1/29 - 00:18
gli ho anche dedicato un testo di una canzone che stiamo
mettendo in musica dal titolo (i suoi vent'anni)
ricorda quel gelido treno
che correva lungo la ferrovia
e intanto i suoi primi vent'anni
lui glieli stava portando via
quegli anni poi li ha lasciati la
dentro allo stalag di gorlitz viii-a
ricorda quel filo spinato
che tutto intorno cingeva il campo
il viso scarno dei suoi compagni
e il suo pigiama sporco di fango
odia ancora le notti, le grida
e rabbia che nel cuore s'annida
ricorda le fredde baracche
la faccia del kapo' e il suo nome
ricorda i soldati e gli appelli
e i suoi sogni gettati in un fiume
i numeri stampati sulle braccia
spesso entra in chiesa a pregare
ma ancora non riesca a perdonare.
VASCO GIORGIO DAL ZOTTO ( THIENE) Vi 36016 VIA Pò 44 - 2014/3/30 - 21:45
Il viaggio inizierà da Milano il 10 marzo, dove Guccini salirà sul Treno per la Memoria organizzato da Cgil-Cisl-Uil di Lombardia col patronato del Presidente della Repubblica, poi il giorno successivo è previsto l’arrivo ai campi di Auschwitz e Birkenau. Ad accompagnare il cantautore e gli alunni, racconti, domande, riflessioni sull’Olocausto e sulla necessità di non dimenticare, non smettere di parlarne. Guccini trovò nel 1966 un modo per spiegare come quella belva umana avesse potuto esistere, vivere, impadronirsi dell’Europa, ora deve raccontarlo ai suoi figli, e ai figli dei propri figli, sapendo che quei cannoni e quei camini di cui cantava hanno preso oggi altre forme, ma non ci si può permettere il lusso di ignorare che siano esistiti.
Il viaggio di Guccini, Zuppi e dei ragazzi della scuola di Gaggio sarà raccontato in un film-documentario ideato e diretto da Francesco Conversano e Nene Grignaffini, prodotto da Movie Movie di Bologna in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna.
Repubblica
Intanto su Repubblica si trova il manoscritto di Auschwitz, decisamente interessante, soprattutto se si riuscissero a leggere le varianti.
CCG Staff - 2016/3/11 - 21:15
CCG Staff - 2019/11/5 - 15:36
Note di Viaggio
Elisa interpreta Auschwitz
Auschwitz è stato il primo brano che ho proposto a Elisa, che ha accettato subito. La tragedia dei campi di sterminio ha toccato anche la sua famiglia: il nonno di Elisa infatti è stato prigioniero in un campo. Mi ero immaginato questo brano cantato da lei fin da subito, perché è un pezzo che vola molto in alto, e ha bisogno di una voce cristallina e leggera. Tutte le volte che Elisa lo ha cantato si è commossa e questa tensione espressiva ha reso l’esecuzione davvero intensa ed emotiva. Siamo partiti insieme, lei alla voce io alla mandola. Ho subito aggiunto il violino, passato attraverso un harmonizer, in modo che avesse un suono straniante, sospeso, com’è sospeso tutto il brano. Ho usato delle piccole percussioni come la kalimba e poi l’orchestra d’archi per far sì che il finale volasse ancora più alto.”
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FRANCESCO GUCCINI il nuovo disco traccia per traccia - Newsic.it
Dq82 - 2019/11/16 - 15:23
Questa pagina compie vent'anni. È una delle due (assieme a quella dell'Internazionale) che sono pre-esistenti all'intero sito, e che vi sono trasmigrate in seguito. Risale, quindi, al fatidico anno 2000 (o “Dumila”), quello dei famigerati “Millennials”. E' una pagina “Millennial” pure lei, quindi. Nell'anno Dumila, il quattordici di giugno, Francesco Guccini compiva sessant'anni; all'epoca, si riuniva quotidianamente sull'ancora misteriosa “Internet”, e nella fattispecie nell'ancor più misteriosa “Usenet”, una congrega di pazzoidi e pazzoidesse in luoghi, embrioni di una già piuttosto folle “socialità” in rete, detti “Newsgroups” (italiano: niusgrùppi o gnusgrùppi); suddivisi in varie “gerarchie”, vi si poteva discutere un po' di ogni cosa. Uno di questi niusgrùppi, della “gerarchia it.”, si chiamava it.fan.guccini (poi mutato in it.fan.musica.guccini). Forse, chissà, ne avete sentito parlare, anche perché il suo nome si trova ancora sulla homepage di questo sito in quanto suo “co-iniziatore” nel 2003 con la famosa raccolta primitiva di canzoni contro la guerra.
it.fan.(musica.)guccini esisteva in realtà già da diversi anni; dal 1996 per la precisione. Uno dei suoi estensori e iniziatori fu, peraltro, quel Luca Monducci, allora capostazione nonché bloccatore di convogli militari a Empoli, che era stato un mio compagno di scuola e che ogni tanto si rifà vivo anche qua dentro dal suo buen retiro mugellano. Alla fine di detto anno 1996, neo-internettaro a pagamento, provider carissimo e TUT (Tariffa Urbana a Tempo della SIP, vale a dire bollette telefoniche agghiaccianti), ero già su quel niùsgrup contribuendo, mettiamola così, a dare avvio a un'esperienza decisamente particolare, anche e soprattutto per le sue componenti e implicazioni umane quando, dal cosiddetto “virtuale”, si passò al “reale” (amicizie, inimicizie, amori, trombate, corna, risate, mangiate, lacrime, rivalità, verità, menzogne e quant'altro). Ora, coi “social”, è pane quotidiano; allora era la scoperta di un mondo veramente màggico.
it.fan.(musica).guccini aveva, tra le sue caratteristiche, quella di molestare ripetutamente Francesco Guccini. C'è stato un periodo in cui eravamo ovunque (concerti, riunioni eccetera), persino con lo striscione:
Nella foto sopra mi si vede al centro, 37enne, fare il pugno chiuso. Alla mia destra, un riconosciuto e conclamato fascista a cui piaceva Guccini; alla mia sinistra, un sacerdote cattolico, allora parroco di una ridente località chiantigiana. C'erano, poi, tra gli altri e le altre, un'astronoma, una brava ostetrica, il gigantesco autore (2,01 metri di statura, nonché eminente matematico) della traduzione dell' "Internazionale" nel dialetto di Chieti e un anarchico o roba del genere. La foto era stata scattata da un metereologo che, ora, ogni tanto si vede in televisione, e sul cui sito personale -peraltro- sono stati ospitati in libero scaricamento i primitivi cinque files di testo delle CCG (ci sono ancora). Insomma, tutto questo per cercare di dare una pur vaga idea. Le molestie a Guccini, che oramai di “quelli di Internet” non ne poteva più, erano capillari e scientifiche. La sera stessa del 14 aprile 2000 gli andammo dietro a rompergli i coglioni mentre mangiava al ristorante "La Greppia" (sic), e dove cantò -ebbene sì!- "Figli dell'officina". Un paio di anni prima rispetto alla foto, nel luglio del 1998, ci eravamo spinti in massa addirittura nel sacrario di Pàvana, dove Guccini presentava il suo dizionario del dialetto locale (che ho ancora, con tanto di dedica che, ne sono certo, sottintende un “vaffanculo e lèvati dai quajàn”). La mia cospicua dose di molestie si esplicò facendo presente a Guccini, in piena presentazione, che non era vero che un dato fonema esisteva soltanto nel dialetto di Treppio: esisteva anche in albanese e in macedone. Colsi benevoli sguardi di odio negli occhi del Maestrone.
Insomma, per farla breve, nell'anno 2000 decidemmo, come niùsgrup, di fare un “regalo” a Guccini per i suoi sessant'anni. Ma siccome nessuno si decideva a fare una proposta, mi misi in azione: avrei tradotto, e/o fatto tradurre, “Auschwitz” nel maggior numero di lingue possibili, inserendo tutto in una “pagina Internet”. La storia di quella pagina (attualmente persasi chissà dove, dopo vent'anni) è quantomeno curiosa, e ve la racconto per sommi capi. Per prima cosa cominciai a fare letteralmente il bìschero: nel senso, a tradurre personalmente in lingue che conoscevo poco o per nulla, aiutandomi con grammatiche e dizionari. Vista l'impossibilità della cosa, e i risultati che dovevano somigliare a qualcosa tipo “Io morire con cento altri, morire pampino passare kamino”, cominciai a scandagliare tutto il quartiere del Pontino (Livorno) implorando varie conoscenze di darmi una mano. Cosicché la pagina contiene traduzioni di Auschwitz fatte da una pizzaiola e da una commessa di lavanderia. Da poco, andavo in sinagoga a lezione di ebraico moderno; naturalmente, misi in mezzo anche la mia insegnante (una simpatica e graziosissima ragazza israeliana di poco più di vent'anni, molto brava e anche discretamente incinta) e ne venne fuori la versione in ebraico. E così via, ivi compresa la traduzione in samoano per la quale, qualche tempo dopo invero, andai a rompere le scatole sul canale #IRC delle isole Samoa -scoprendo che, in samoano, “Auschwitz” si dice “Auvitu”, e che per tradurre “c'era la neve” i poveri samoani dovettero fare non so che giri di parole, visto che la neve alle isole Samoa non c'è e non esiste nemmeno la parola.
Com'è e come non è, alla fine la pagina, ovvero il “regalo a Guccini”, fu pronto prima del quattordici di giugno dei suoi sessant'anni. La pagina era un'autentica schifezza (immaginatemi a costruire una pagina su Lycos nel 2000), e alcune traduzioni erano -mettiamola così- un po' approssimative. Come recapitare il “regalo”, però? Ci aiutò un po' la sorte. Attraverso vie che ignoro, l'orripilante pagina Lycos fu “catturata” da qualche funzionario televisivo addetto, il quale pensò bene di darne notizia (e con discreto risalto) addirittura sul Televideo della RAI. Esattamente la mattina del 14 giugno 2000.
Poi sono passati gli anni. it.fan.(musica).guccini è annegato -come era lecito attendersi- in amori, odi e via discorrendo. Ci siamo sparpagliati per il mondo, perdendoci di vista. Nulla di straordinario; ogni cosa passa e va. Quella pagina su “Auschwitz”, però, era stata consegnata alla Grande Rete, e restava; ad un certo punto, è -appunto- trasmigrata integralmente in questo sito. Fin dall'inizio: in tutto il sito di trentunomila pagine e rotte, ha il numero 7. Sta fra le “CCG primitive” e tra quelle “Fondamentali” (quelle con il bollino rosso con la “B”). Si è ampliata. Ci sono stati i commenti. Tutto quel che si vuole, ma alla fin fine era sempre lei: la pagina del 2000, di vent'anni fa.
2020, o Dumilaventi. Appena cominciato. Che lo crediate o no, anche noi ci abbiamo i nostri “anni Venti” (diversi dai vent'anni, ohimè). Il 14 giugno prossimo, Francesco Guccini, di anni, ne compirà ottanta. Così, ho deciso che questa àvita pagina meritava una ristrutturazione radicale, e a pensarci bene “Vent'anni dopo” riporta molto a Dumas (Quasi come Dumas...). Una ristrutturazione e, direi, in primis un sano repulisti. L'ho “deventurizzata” il più possibile, sostituendo diverse mie “traduzioni” fatte coi piedi con traduzioni (di madrelingua) trovate in rete e lasciando, tra le mie, solo quelle che hanno passato un esame spietato, dato che -in vent'anni- di qualche lingua ho migliorato la conoscenza (ma, di qualche altra, niente affatto). Ovviamente questo significa poco o punto: chiunque, madrelingua o conoscitore approfondito di un dato idioma o di più di essi, può intervenire e/o fare una traduzione nuova di sana pianta. Sappia che sono non solo ricettivo, ma sollecito la cosa; quanto meno Venturi ci sarà in questa pagina, quanto più sarò felice. Di molti dei traduttori originali non esiste più notizia e me ne dispiace. Con qualche miglioria grafica e di layout, spero comunque che questa “paginona” (così la avrebbe chiamata Gian Piero Testa che, fra l'altro, è tra i traduttori) possa ancora servire, con tutta la sua lunga e peculiare storia. Mi chiedo, a volte, se Francesco Guccini ne abbia mai, in qualche modo, avuto notizia; chi lo sa, e non glielo andrò a chiedere di certo. Però, se è nata come “regalo di compleanno”, che regalo di compleanno sia anche per i suoi ottant'anni prossimi venturi (ehm); è sempre un dono fatto con il cuore, come tutti i doni autenticamente inutili e improbabili. Tutto sommato, non penso che gli farebbe maggior piacere ricevere il classico maglione di lana, oppure il disco alla moda ed i cioccolatini. Poi, chiaro, c'è anche questa canzone che no, non si decide mai a cessare di essere attuale. Tutt'altro. Poiché siamo vicini all'ennesima “Giornata della Memoria” del 27 gennaio (la data in cui truppe dell'Armata Rossa entrarono nel campo di Auschwitz-Birkenau, toh), potrà magari servire un po' a non far sì che quella memoria scompaia, in un mondo che sta viaggiando diritto verso le sue cicliche e smemoratissime ripetizioni. L'augurio è anche questo, seppure con scarsissima speranza e con notevole realismo.
Nel frattempo, entro il 14 giugno, invito naturalmente chi volesse a inserire altre traduzioni: nella sua lingua, nel suo dialetto, in linguaggi informatici, in quello che vuole. Pagina ancora aperta dopo vent'anni, mentre la pagina dell'intolleranza, del razzismo e del nazismo non si chiude mai.
Riccardo Venturi, 2000-2020 - 2020/1/9 - 11:58
Non so dopo quanto mi destò il grido di Maria, ma certamente doveva mancare poco alla sveglia. Sobbalzai spaventata e vidi che la giovane si torceva mentre gocce di sudore le scendevano per il viso contratto. Le mani annaspavano sul pagliericcio in cerca di qualcosa cui aggrapparsi,
e finirono con lo stringere disperatamente le spalle di Adela.
- Ci siamo - mormorava lei con espressione quasi estatica. - Ci siamo, oh, figlia mia!
Intanto le altre donne si erano destate a quel crescendo doloroso. Corse nella baracca la voce che Maria stava partorendo, e tutte, compresa Erna e le stubowe e le ragazzine dagli occhi inebetiti dal sonno, scesero dai pagliericci e si riunirono intorno alla nostra nicchia.
Era buio perché la luce non si accendeva che all'ora della sveglia, ma Erna fece portare una candela, e si chinò sulla cuccia, mentre il grido di Maria si faceva sempre più acuto. Io non sapevo che fare; l'urlo doloroso della partoriente mi entrava nella carne con una insopportabile sensazione di pena. Le tenevo la mano, e carezzandola sentivo che era fredda e bagnata. Alla luce incerta della candela vedevo il viso esaltato di Adela, il profilo duro di Erna, che indossava una bella vestaglia rossa, ma stava inginocchiata sulla paglia e non si preoccupava di poterla sporcare.
E intorno, tra luce e ombra, il viso ossuto di Elenka, i capelli rossi di Aèrgi, la camicia a righe di Rosette; "Oh, borine Mère, borine Mère!" diceva continuamente Rosette.
"Sta per nascere un bambino! Oh, sentite come grida, la poveretta!". E in Erna, in Elenka, in Aergi, in Rosette, in tutte le donne che si accalcavano intorno, c'era un'attesa quasi mistica, l'attesa vibrante di misteriosa deferenza che invade religiosamente coloro che assistono al rito sanguinante della maternità.
- Ancora un po' - diceva la vecchia. - Oh, ecco qua! brava, ecco!
Nel silenzio improvviso che seguì l'ultimo acutissimo grido, Adela si rialzò tenendo qualcosa in mano; una rossa, tenera, piccolissima cosa.
- Il bambino! - si mormorava intorno. - Il bambino!
- Ed Erna si fece avanti, cercò di prendere la piccola cosa rossa dalle mani di Adela, ma questa s'impuntò, feroce.
Nessuno doveva toccare il bambino: nessuno! Anche Erna dovette rinunciarvi, e limitarsi a prendere uno straccio e detergere, delicata e amorosa, con le dure mani use al pugno ed al bastone, la carne neonata.
Anche io rimasi senza parola a fissare il Piccolino e dimenticai completamente Maria. Mentre lavoravo di gomiti per non perdere il posto migliore per vedere il neonato, sentii qualcosa di tiepido bagnarmi i piedi nudi. Mi chinai, vidi un rigagnolo rosso gocciare dolcemente dal pagliericcio, e allungarsi sui mattoni, senza posa.
- Maria! - chiamai spaventata. - Maria!
Maria non diceva più nulla, non si lamentava più. Presi la candela e la guardai: giaceva bianca e supina, mentre il rigagnolo continuava a scorrere instancabile, come se le vene non dovessero esaurirsi mai.
- Maria! Maria! - seguitavo a chiamare. Proprio in quel momento suonò il gong della sveglia, e improvvisamente nella baracca si accesero luci gialle. Era notte ancora, ma per noi il giorno era sorto con le sue esigenze e i suoi gesti immutabili, il duro giorno di Birkenau che non ammetteva nascita né morte, ma solo silenzio e obbedienza alle sue leggi spietate.
Ci fu un momento di confusione, poi le stubowe lanciarono il grido del mattino.
- Aufstehen! Schnell, schnell, aufstehen! - gridavano, benché tutte fossero già in piedi. E le ragazze cominciarono a correre; chi voleva entrare nei gabinetti, provare a lavarsi, ricevere un sorso d'acqua calda, doveva affrettarsi, correre, spingere: schnell, schnell, schnelll Si rimase quasi sole; Adela seduta col Piccolino ravvolto in una coperta, io, Erna e qualche altra, in piedi, senza dire niente, guardando volta a volta la testa rossa del neonato mezza nascosta dalla coperta, e quel sangue che stillava instancabile dal pagliericcio.
- Maria! - chiamai a bassa voce. - Maria!
Vicinissimo, acuto, trillò il fischietto della Lagercapo, ed una stubowa spaventata corse verso noi. Chiamò Erna; il Lagerführer era in giro, la gente non si era ancora disposta per l'appello; era impazzita? Bisognava far presto, dopo si sarebbero accomodate le cose! Le ausiliarie entravano in campo, c'era il Lagerführer, via!
Allora Erna si scosse, piombò su Adela e le strappò il piccino, lo mise vicino alla madre, nell'angolo più buio della nicchia, gettò alla rinfusa delle coperte, in modo da nascondere entrambi.
- Il sangue! Via, pulite il sangue! - gridò la stubowa.
Io mi chinai in fretta sopra Maria. Sollevai la coperta: ebbi l'impressione di sentirla respirare.
- Sta' tranquilla, sta' ferma - pregai - dopo l'appello ti portano all'infermeria. Andrà tutto bene, vedrai!
[..] Tutte erano già schierate per l'appello, e feci appena in tempo a infilarmi in uno degli ultimi gruppi, tirandomi dietro Adela, che all'angolo della baracca apparve la nostra ausiliaria in compagnia del Lagerführer, ed Erna mosse loro incontro. [..] Anche quel mattino, avanzarono insieme, chiacchierando, e la bionda girò tra le file con il roseo indice alzato, contando i "pezzi" e annotandoli sul suo taccuino.
- Una manca! - osservò.
- Jawohl, Frau Aufseherin! - rispose Erna sorridendo - una è rimasta dentro, kaputt. Appena finito l'appello, chiamerò una barella.
Fece un passo verso la porta e invitò l'ausiliaria ad entrare perché le rare volte che questi gravi casi accadevano era di regola che la tedesca di controllo entrasse nella baracca per verificare.
Io pensai alla piccola cosa tenera nascosta sotto le coperte.
Era morta? Era viva? Mi volsi verso Adela: le gambe non la reggevano più, e si era seduta fissando il vuoto, con uno sguardo imbambolato.
- Sei matta? - sibilai - stare seduta durante il controllo?
Vuoi fare inginocchiare tutte? Vuoi rovinarci?
La tirai rudemente e feci appena in tempo a rimettermi sull'attenti, perché la tedesca usciva dalla baracca. Tutto doveva essere andato bene, perché aveva l'aspetto tranquillo.
- Finito? - chiese il Lagerführer sorridendo e muovendole incontro.
Se ne andarono, ed io lasciai andare la mano di Adela che avevo tenuto brutalmente stretta. Lei ricadde giù, rannicchiandosi tutta, col fazzoletto che le copriva il viso invece delle ciocche grige che la stubowa aveva tirato con tanto piacere. Si teneva una mano sugli occhi, e la mano tremava; seguitò a tremare e ballare per tutto il tempo dell'appello, ed io mi rimisi ad aspettare con ansia il fischio liberatore.
Risuonò, finalmente, e subito gridai ad Adela di far presto; facendo una corsa si poteva entrare nella baracca e vedere cosa era successo. Ma la vecchia non si mosse, non rispose, cosi non volli perdere tempo con lei e corsi verso la baracca. Sulla porta, m'imbattei in una stubowa.
- Come va? - chiesi ansiosa - come stanno?
E la stubowa rispose: - Finito.
da "Il Fumo di Birkenau" di Liana Millu, 1947, Giuntina Editore
gianfranco - 2020/1/9 - 17:03
Niente affatto. Era un caos, come è il caos ogni guerra e in modo particolare ogni fine di ogni guerra.
Non Vi fate infarcire le teste di tante cazzate.
È successo.
Tutto qua.
Krzysiek - 2020/1/25 - 01:08
di: Edwin Black
Editore Rizzoli, 2001
I N T R O D U Z I O N E
LEGGERE QUESTO LIBRO sarà molto inquietante.
È stato molto inquietante anche scriverlo. Il volume spiega infatti come, in modo diretto o attraverso le sue filiali, l'IBM abbia partecipato consapevolmente all'Olocausto e abbia consentito il funzionamento della macchina bellica nazista che uccise milioni di persone in tutta l'Europa. L'umanità non si accorse nemmeno della silenziosa comparsa del concetto di informazioni altamente organizzate, concetto che poi sarebbe diventato un mezzo di controllo sociale, un'arma da guerra e uno strumento per la distruzione etnica.
L'avvenimento che diede il via all'intero processo si verificò nel giorno più funesto del secolo scorso, il 30 gennaio 1933, quando Adolf Hitler salì al potere. Hitler e il suo odio per gli ebrei furono l'assurda forza propulsiva che promosse questa svolta intellettuale.
La ricerca del dittatore fu tuttavia incoraggiata e facilitata dall'ingegnosità e dalla sete di guadagno di una società americana e del suo leggendario e autocratico presidente. La società era la International Business Machines, e il suo presidente era Thomas J. Watson.
L'ossessione del Fuhrer per la distruzione degli ebrei era tutt'altro che originale. Prima di lui, numerosi zar e tiranni avevano infatti accarezzato la medesima idea. Ma per la prima volta nella storia un antisemita aveva l'automazione dalla sua parte. Hitler non fece tutto da solo. Fu aiutato da altri.
Nell'assurdo mondo dell'Olocausto, le avanguardie di Hitler erano formate da illustri professionisti. La polizia trascurava il proprio dovere per proteggere i cattivi e perseguitare le vittime. Gli avvocati distorcevano i concetti della giustizia per creare leggi antiebraiche. I medici corrompevano l'arte della medicina per eseguire esperimenti raccapriccianti e addirittura per separare gli individui idonei a sostenere un lavoro estenuante da quelli che era più conveniente mandare subito nelle camere a gas.
Gli scienziati e gli ingegneri svilivano la loro nobile vocazione per progettare gli strumenti e trovare le giustificazioni della distruzione.
Gli esperti di statistica utilizzavano infine la loro disciplina, poco conosciuta ma potente, per identificare le vittime, calcolare e razionalizzare i vantaggi dello sterminio, organizzare le persecuzioni e persino valutare l'efficienza del genocidio.
È a questo punto che entrano in scena l'IBM e le sue filiali estere. Egocentrica e abbagliata dal suo stesso vortice di possibilità tecniche, l'IBM agiva obbedendo a un'immorale filosofìa aziendale: se possiamo farlo, dobbiamo farlo. Per il cieco tecnocrate, i mezzi erano più importanti dei fini. La distruzione degli ebrei perse ancor più di significato quando i successi tecnici dell'IBM cominciarono ad apparire allettanti per via degli straordinari profìtti che la tecnologia consentiva di realizzare in un periodo in cui la povertà dilagava in tutto il mondo.
Che cosa accadde di preciso? Quando Hitler salì al potere, i nazisti si prefissero l'obiettivo di identificare e distruggere i seicentomila membri della comunità ebraica tedesca. Per i nazisti, gli ebrei non erano solo coloro che praticavano il giudaismo, ma anche coloro nelle cui vene scorreva sangue ebraico, a prescindere dal grado di assimilazione, dai matrimoni misti, dal credo religioso e persino dalle conversioni al cristianesimo.
Solo dopo essere stati identificati, gli ebrei avrebbero potuto diventare il bersaglio della confìsca dei beni, della ghettizzazione, della deportazione e infine dello sterminio. La consultazione di migliaia di registri municipali, ecclesiastici e governativi in tutta la Germania (e più tardi in tutta l'Europa) era un compito tanto complesso e monumentale da richiedere l'uso dei computer. Ma nel 1933 i computer non esistevano ancora.
Quando il Reich avvertì l'esigenza di lanciare una campagna sistematica per l'espropriazione dei beni ebraici e in seguito diede il via al massiccio trasferimento degli ebrei europei nei ghetti, il compito apparve, ancora una volta, tanto complicato da richiedere l'uso dei computer. Ma nel 1933 i computer non esistevano ancora.
Quando, nel tentativo di risolvere definitivamente la questione ebraica, si pensò di trasportare gli ebrei dai ghetti ai campi dì sterminio attraverso le linee ferroviarie, con orari tanto precisi che le vittime scendevano dai carri merci ed entravano nelle camere a gas già pronte per accoglierli, il coordinamento delle operazioni fu un compito tanto complesso da richiedere, ancora una volta, l'uso dei computer. Ma nel 1933 i computer non esistevano ancora.
Esisteva tuttavia un'altra invenzione: la scheda perforata dell'IBM e il sistema per la selezione delle schede, una sorta di precursore del computer. Soprattutto attraverso la filiale tedesca, l'IBM trasformò il programma hitleriano di distruzione ebraica in una missione tecnologica che la società portò a termine con agghiacciante successo.
L'IBM Germania progettò, creò e fornì, grazie al proprio personale e alle proprie apparecchiature, l'assistenza tecnologica di cui il Terzo Reich di Hitler aveva bisogno per raggiungere un obiettivo mai realizzato in precedenza: l'automazione della distruzione umana.
Oltre duemila di questi apparecchi multifunzionali vennero distribuiti in Germania, e altre migliaia raggiunsero i paesi europei sotto il dominio tedesco.
In ognuno dei principali campi di concentramento esisteva un centro per la selezione delle schede. Le persone venivano trasferite da un posto all'altro e costrette a lavorare fino allo sfinimento, e i loro resti venivano catalogati mediante fredde operazioni meccaniche.
L'IBM Germania, conosciuta all' epoca come Deutsche Hollerith Maschinen Gesellschaft o Dehomag, non si limitò a vendere le macchine al Reich per poi disinteressarsi dell'intera questione.
Con il beneplacito della sede centrale di New York, la filiale, a titolo ufficiale, personalizzò infatti i complessi dispositivi e le applicazioni specializzate. Gli alti dirigenti della Dehomag erano fanatici nazisti che dopo la guerra furono arrestati per l'attività svolta all'interno del partito.
Sin dal 1933, l'IBM New York sapeva di avere a che fare con le alte sfere della gerarchia nazista. La società fece addirittura leva sui suoi contatti con il partito per consolidare sempre più le relazioni commerciali con il Reich di Hitler, sia in Germania sia in tutta l'Europa occupata. La Dehomag e le altre filiali dell'IBM personalizzavano le applicazioni.
I tecnici inviavano schede campione agli uffici del Reich finché le colonne dei dati risultavano accettabili, proprio come farebbe oggi un progettista di software. Le schede perforate potevano essere progettate, stampate e vendute da un'unica azienda: l'IBM.
Le macchine non venivano vendute, bensì noleggiate, e venivano regolarmente sottoposte a migliorie e interventi di manutenzione da parte di un'unica azienda: l'IBM.
Le filiali addestravano gli ufficiali nazisti e i loro rappresentanti in tutta l'Europa, creavano -succursali e stringevano accordi commerciali in tutti i paesi occupati sfruttando l'inesauribile schiera di dipendenti delÌ'IBM e gestendo gli stabilimenti in modo che producessero ben un miliardo e cinquecento milioni di schede perforate l'anno nella sola Germania.
Le delicate macchine venivano inoltre controllate in loco circa una volta al mese, anche quando si trovavano all'interno di un campo di concentramento o nelle sue vicinanze.
Nella sede berlinese del'IBM Germania venivano custoditi i duplicati di molti cifrari, proprio come un moderno ufficio di assistenza dell'IBM conserverebbe le copie dei dati per i computer.
Ero assillato da una domanda cui gli storici non sono mai riusciti a dare una risposta. I tedeschi disponevano sempre di liste contenenti i nomi degli ebrei. All'improvviso, uno squadrone di soldati delle SS arrivava in una piazza cittadina e affiggeva un avviso che ordinava alle persone elencate di riunirsi il giorno seguente alla stazione ferroviaria per essere deportate a Est.
Ma come riuscivano i nazisti a procurarsi le liste? Per decenni nessuno l'ha mai scoperto. Se lo sono domandato in pochi. Risposta: i censimenti e altre sofisticate tecnologie di conteggio e registrazione ideate dall'IBM Germania.
L'IBM era stata fondata nel 1896 da Herman Hollerith, un inventore tedesco che aveva voluto creare una società di tabulazioni per censimenti.
Questi ultimi erano infatti la principale attività dell'azienda. Quando la filiale tedesca strinse l'alleanza ideologica e tecnologica con la Germania nazista, ai censimenti e alle registrazioni fu però affidata una nuova missione.
L'IBM Germania inventò il censimento razziale, che, ripercorrendo a ritroso varie generazioni, non rilevava solo l'appartenenza religiosa ma anche la discendenza. Era questo il sogno dei nazisti: non solo contare gli ebrei, ma anche identificarli La registrazione delle persone e delle proprietà fu solo uno dei tanti impieghi cui la Germania nazista destinò le selezionatrici di dati ad alta velocità. La distribuzione dei viveri fu organizzata attraverso database, consentendo ai tedeschi di ridurre gli ebrei alla fame.
Gli schiavi venivano identificati, controllati e gestiti in gran parte grazie alle schede perforate. Queste ultime consentivano ai treni di viaggiare puntualmente e ne catalogavano il carico umano. La Reichsbahn (le ferrovie tedesche), che era il principale cliente della Dehomag, aveva contatti diretti con gli alti dirigenti berlinesi. La Dehomag gestiva impianti per schede perforate negli scali ferroviari di tutta la Germania e in seguito di tutta l'Europa.
Che cosa sapeva l'IBM? Per dodici anni la società venne aggiornata di continuo dal Reich su alcuni aspetti del processo. Preferì tuttavia rimanere all'oscuro degli avvenimenti più raccapriccianti: «non chiedere nulla, non rivelare nulla» era la sua regola fondamentale. Eppure, i funzionari dell'IBM New York, e non di rado Harrison Chauncey e Werner Lier, i rappresentanti personali di Watson, si recavano a Berlino o Ginevra per monitorare le attività e assicurarsi che la casa madre non venisse esclusa dai profitti o dalle opportunità commerciali offerte dal nazismo.
Quando le leggi statunitensi dichiararono illegali simili contatti diretti, la sede svizzera dell'IBM divenne il fulcro dell'intero processo e garantì all'ufficio di New York un flusso continuo di informazioni e una facciata rispettabile. Senza dubbio, i meccanismi e le condizioni dell'alleanza tra l'IBM e la Germania nazista cambiarono nel corso dei dodici anni di vita del Reich.
Desidero che la storia venga inserita nel giusto contesto. Saltare qua e là nel libro condurrà solo a conclusioni errate o fuorvianti. Se avete intenzione di sfogliare il volume o di concentrarvi solo su qualche stralcio, vi invito pertanto a non cominciare nemmeno la lettura. Se pensate che senza l'IBM l'Olocausto non avrebbe avuto luogo, vi sbagliate.
L'Olocausto sarebbe andato avanti (e spesso andò avanti) grazie ai proiettili, alle marce della morte e ai massacri condotti con carta e penna. Abbiamo tuttavia una buona ragione per analizzare gli straordinari risultati che Hitler ottenne quando decise di sterminare milioni di persone in breve tempo e per comprendere il ruolo cruciale dell'automazione e della tecnologia. Dobbiamo trovare una spiegazione.
Che cosa mi ha spinto a cercare le risposte alle tacite domande sull'IBM e sull'Olocausto?
Un giorno, nel 1993, ho intuito la realtà dei fatti mentre mi trovavo nello United States Holocaust Memorial Museum di Washington. Lì, nella prima vetrina, era esposta una selezionatrice IBM Hollerith D-ll, con il suo intrico di cavi, circuiti e scanalature.
Sul pannello anteriore della macchina spiccava una luccicante targhetta con il marchio IBM. Ora l'apparecchio è stato sostituito da una macchina più piccola perché i visitatori vi si riunivano intorno ostacolando il passaggio.
La descrizione dell'apparecchio diceva solo che l'azienda era stata incaricata di organizzare il censimento del 1933, quello che aveva identificato per la prima volta gli ebrei.
L'IBM aveva mantenuto il massimo riserbo per quanto riguardava la collaborazione con la Germania nazista.
Benché quindici milioni di persone, tra cui molti celebri esperti dell'Olocausto, avessero visto l'oggetto e benché illustri storici del museo avessero cercato di far luce sulla questione, su quella provocatoria macchina non si sapeva quasi nulla a parte le informazioni contenute nella breve descrizione preparata dal conservatore e in qualche pagina di ricerca.
Ricordo ancora quel momento: rimasi a fissare la selezionatrice per un'ora. Mi voltai verso mia madre e mio padre, che quel giorno erano venuti con me al museo, e promisi a me stesso che avrei scoperto la verità.
I miei genitori sono due sopravvissuti all'Olocausto e furono strappati alle loro famiglie in Polonia. Mia madre fuggì da un carro merci diretto a Treblinka, fu colpita da un proiettile e seppellita in una piccola fossa comune. Mio padre era scappato da un gruppo di ebrei guardati a vista e scorse la sua gamba che sporgeva dalla neve.
Grazie all'oscurità della notte e al loro coraggio, riuscirono a sopravvivere alla fame, al freddo e al Reich.
Cinquant'anni dopo, mentre stavano in piedi accanto a me, con l'immagine dei loro corpi straziati dai frammenti di granate e proiettili che si rifletteva nella vetrina, i miei genitori non poterono far altro che manifestare la propria perplessità.
Ma io avevo altre domande. I nazisti conoscevano i nomi dei miei genitori. Come se li erano procurati? Qual era il collegamento tra la luccicante macchina nera, beige e argento sepolta in quel museo mal illuminato e i milioni di ebrei e altri europei che furono uccisi... e non uccisi all'improvviso come le vittime di una guerra, bensì nel corso di una grottesca campagna altamente organizzata di umiliazione, disumanizzazione e sterminio?
gianfranco 25 gennaio 2020
Dq82 - 2020/1/25 - 17:54
Resta il fatto che si fanno troppe chiacchiere e che qualcuno sta cercando da anni di alimentare la confusione.
Lo sterminio di sei milioni di ebrei parla da solo. Lo sterminio ad opera dello stalinismo si commenta anch’esso da solo. Quello che produce di delitti il neoliberismo e’ sotto gli occhi di tutti.
Sarebbe ora di finirla con tutte le dittature. Diversamente motivate, esse producono solo tragedie e negazione dei diritti umani più elementari.
In tutti i regimi, c’è sempre chi domina e fa la bella vita e chi subisce e stenta a sopravvivere. Finché esisterà l’ingiustizia, non ci sarà mai pace.
Dov’è finita la Sinistra con tutte le sue buone intenzioni?
sergio falcone - 2020/1/26 - 12:22
A seguito dello spettacolo indecoroso di queste ultime ore su questa pagina:
b) Qualsiasi altro commento su questa pagina è temporaneamente disabilitato.
Questo sito non è una palestra per mostrare muscoli e muscoletti, e la cosa vale per tutti.
Si possono fare discussioni anche aspre, e esprimendo punti di vista anche radicalmente diverse. Ma mai, e ripeto mai travalicando i limiti della civiltà e del rispetto reciproco.
In quasi diciassette anni di vita di questo sito, è la prima volta che i commenti su una pagina vengono, seppur temporaneamente, disabilitati. E' toccato alla pagina su "Auschwitz" esattamente in una "Giornata della memoria". Al di là del giudizio su tale "Giornata", mi sia permesso di fare i miei più sarcastici complimentoni a chi ha portato a questa tristissima decisione.
E la cosa più triste è che sono io stesso a vergognarmi di tutto questo. Evidentemente, mi rendo conto di aver continuato a parlare a vuoto, e di aver sprecato tempo.
Riccardo Venturi - 2020/1/27 - 20:31
Nel periodo di Avvento di quel lontano dicembre ’66 chi scrive ebbe modo di ascoltare, registrare e poi “trasmettere” (nell’officina in cui lavorava) con un miagolante (senza capstan) registratore quella canzone dell’Equipe 84, che, insieme al libro (uscito per una singolare coincidenza in quello stesso periodo) di Vincenzo Pappalettera, ebbe la ventura di far aprire un occhio (non due : l’altro non lo abbiamo ancora aperto) a quella generazione dalle “idee poche ma confuse”, che presto avrebbe lasciato i sampietrini per una più comoda e retribuita scrivania in qualche banca.
Adesso, tanta acqua è passata, invano, sotto i ponti, il vento non si è affatto calmato, come furono profeti quelli del gruppo e la confusione intorno alla cupa vicenda è, a mio parere ancora peggiore di quando all’epoca, i (già allora) pochi superstiti cercavano invano di far capire cosa era successo: parlava lo “scemo di guerra”.
Ora, la ricerca storiografica non è che abbia fatto passi da gigante, i testimoni diretti sono quasi tutti scomparsi, i superstiti non godono di gran considerazione, né l’hanno mai avuta.
Ma, cosa si può sperare? Ascoltavo stasera nel notiziario locale: il pompiere eroe, Giorgio Lorefice, insignito dal Presidente Sergio Mattarella della medaglia d’oro al valore civile, per aver salvato i colleghi sacrificando la sua vita, non ha diritto al risarcimento in quanto, a detta dell’assicurazione, “doveva mettersi in salvo” ( e non preoccuparsi di salvare i suoi colleghi)
Torniamo al mostro innominabile, moderno Minotauro, così lo descrive Sibille Steinbacher:
Auschwitz costituì il punto focale dei due principi ideologici dominanti del regime nazionalsocialista: fu il maggior teatro dell'uccisione in massa degli ebrei europei e un luogo di concretizzazione della politica di colonizzazione e di «germanizzazione».
L'annientamento e la «conquista di spazio vitale» vi si fusero concettualmente, temporalmente e spazialmente. In quanto campo di concentramento, di sterminio e di impiego del lavoro forzato, Auschwitz è esemplare della pluridimensionalità del sistema nazionalsocialista dei lager.
Il collegamento fra il proposito sterminatore e gli interessi di sfruttamento industriale divenne qui immediata realtà.
La circostanza che la città di Auschwitz, segnata da una secolare tradizione ebraica, sia diventata nella fase culminante del massacro una città «tedesca», orienta l'attenzione sul contesto sociale del lager e solleva questioni relative alla percezione pubblica del crimine.
Alla parole dell’Autrice di “Auschwitz, la città, il lager” (Einaudi Editore, 2004) andrebbero solo aggiunti i “dati sensibili” ossia il numero di fabbriche costruite intorno al campo di concentramento (KZ), il numero di “stuck” o “Hàftlinge” che ci lavoravano, laddove il numero delle vittime, il loro nome è stato ricostruito quasi integralmente.
Un ultima (dolorosa) appendice alla giustificazione della faccenda della confusione, che cito dalla post-fazione scritta da Piero Stefani per il libro “Dopo il fumo” di A.5384 di Auschwitz-Birkenau, (per l’anagrafe genovese, Liana Millu, insegnante) :
Un'altra straordinaria testimone di Auschwitz Birkenau, Liana Millu, entrata nel Lager atea e uscitane agnostica, raccontò, una volta, che nelle lunghe ore dell'appello, mentre guardava il cielo immobile, mattina dopo mattina, le vennero in mente dei versi che erano effettivamente una preghiera:
«Fa', o Signore, che io non divenga fumo, / fumo che si dissolve, / fumo in questo cielo straniero; / ma riposare possa laggiù nel mio piccolo cimitero ...».
Si trattava di una invocazione vera: «con [...] fervore guardavo il cielo di morte, ripetendo con fiducia la preghiera, credendo fortemente nell'aiuto di un Essere supremo ...»,
Non durò a lungo, a poco a poco Liana si accorse che si trattava solo di una richiesta dovuta allo sfinimento: «non chiedevo la vita, bensì “il mio piccolo cimitero”, la morte, il riposo eterno.
Analizzandomi e rianalizzandomi, risolsi che il mio era stato appunto un cedimento alla stanchezza».
Di fronte a questa testimonianza, nessuno può brandire, legittimamente, né le armi della psicologia, né quelle della spiritualità; ogni riduzionismo sia sul lato della pura devozione, sia su quello del semplice bisogno soggettivo è, per ragioni opposte, ugualmente irrispettoso di un'autentica esperienza umana avvenuta nel cuore tenebroso del XX secolo.
Tutti devono però prestar ascolto a simili parole e comprendere che, per chi viveva quotidianamente accanto ai forni crematori, l'essere accolto in un «piccolo cimitero» era già un desiderio tanto irrealizzabile da poter essere espresso solo sotto forma di preghiera.
Avrebbero fatto bene a tenerlo presente anche gli estensori del documento vaticano, Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah (marzo, 1998) i quali, alla fine del testo, scrivono con inescusabile superficialità: «Le vittime dalle loro tombe, e i sopravvissuti attraverso la vivida testimonianza [...] sono diventati un forte grido che richiama l'attenzione di tutta l'umanità».
I «sommersi» di quell'orrore non giacciono in alcuna tomba: sono diventati spirali di fumo che continuano a gravare sulla storia dell'Occidente.
gianfranco 27 gennaio 2020
Non so cosa sia accaduto, ma mi dispiace tanto che si sia arrivati a questo punto. Nella polemica, non bisognerebbe mai trascendere. Siamo tutti esseri umani, messi spesso a dura prova. È della persona civile, però, il frenare le proprie intemperanze. Dall’altra parte, c’è chi può soffrire a causa dei nostri eccessi.
sergio falcone - 2020/1/29 - 13:57
Per quanto riguarda i dati statistici, penso vadano aggiunti la "durata" (scientificamente programmata) di quanti venivano risparmiati dal gas per essere adibiti al lavoro, e la loro percentuale rispetto al totale degli arrivi. Ma anche i nomi delle Industrie/fabbriche che usarono mano d'opera così a buon mercato.
Per quanto riguarda la differenza tra “gulag” e “campi di sterminio nazisti” (argomento ricorrente quanto poco rilevante, penso, sia per chi sta scrivendo sia per chi aveva ben altro da pensare per scampare alle bastonate del Kapo o dell’equivalente sovietico, mi sembra si chiamasse “detenuto di turno”) vorrei citare quanto scriveva Michele Sarfatti :
Neanche le precedenti vicende antisemite, talora violentissime, reggono il confronto con quella qui narrata. Nè peraltro è scientificamente sensato un affiancamento puramente nominale fra lager nazista e gulag sovietico, in quanto, prima ancora di altre considerazioni, il lager di Auschwitz-Birkenau conteneva strutture dedicata allo sterminio (le camere a gas) ove veniva immediatamente condotta la maggior parte degli arrivati mentre nei gulag non erano previsti nè camere a gas nè altri mezzi di sterminio…
(La Shoah in Italia, Einaudi, 2005)
Un ultimo appunto circa la faccenda del "giorno della memoria", leggevo tempo addietro su un sito "istituzionale" :
Era il 27 gennaio 1945 quando le truppe sovietiche, abbattendo i cancelli del campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, chiusero il capitolo più triste della storia dell'Europa moderna: l'olocausto.
Al che mi premuravo di scrivere loro che il 27 gennaio del 1945 non si era chiuso proprio un ben niente e che i treni della morte continuarono imperterriti nei trasporti fin quasi al maggio dello stesso anno ed altre analoghe precisazioni, anche per (dicevo) rispetto delle vittime. Evito di citare la loro replica, comunque la frase citata è ancora lì e nessuno ha mai pensato lontanamente di correggerla.
Del resto, diceva bene Liliana Segre, che se non studiamo la storia penseremo che la guerra e l‘orrore siano finiti il 27 gennaio.
Ma poi, aggiungo io, che senso ha terrorizzare/vaccinare i bimbi col racconto di queste atrocità. Anche Liana Millu, scampata al lager, insegnante a Langasco per tanti anni, non disse mai nulla ai suoi scolaretti. Se mai, quando, finalmente e faticosamente, trovò il fiato per narrare, scelse un pubblico attento, preparato e "adulto".
Allora, forse meglio "educare", magari con l'esempio, alla tolleranza e alla comprensione del prossimo, insegnare, appunto, la "storia", incluso quanto accaduto nei 20 mesi di lotta di liberazione e nel dopoguerra e non limitarla agli antichi popoli fenici e babilonesi.
Ora vorrei concludere, citando sia il detto di un tale che disse che "ad Aushwitz l'unica cosa che bruciava erano i pidocchi” (ma è vero: i forni erano a Birkenau) sia il testo seguente, tratto da "La banalità del male" di Hanna Arendt, Feltrinelli 1964:
Il fatto è che Eichmann non vide molto, è vero, egli visitò più volte Aushwitz, il più grande e famoso dei campi della morte, ma Aushwitz si trovava nell'Alta Slesia e si stendeva per una superficie di oltre trenta chilometri quadrati, non era soltanto un campo di sterminio: era una gigantesca industria e contava fino a centomila ospiti, dove tutti i tipi di prigionieri erano rappresentati, anche i non ebrei e i forzati non destinati alla morte per gas.
Era facile evitare di vedere gli impianti di sterminio, e Hoss, col quale Eichmann era in ottimi rapporti di amicizia, gli risparmiò di assistere a scene crudeli...
Gianfranco 29 gennaio 2020
Discorso della senatrice Liliana Segre alla cerimonia di commemorazione delle vittime dell'Olocausto
La Kolyma è un pianeta incantato non soltanto perché laggiù l’inverno dura nove mesi su dieci … perché è tutta uno speclager, un lager staliniano di sterminio … è vero che alla Kolyma non c’erano le camere a gas, preferivano farti morire per assideramento, per estenuazione … ero stato condannato durante la guerra per aver detto che Bunin era un classico russo … se sono sopravvissuto, se sono uscito dall’inferno della Kolyma lo devo unicamente al fatto di essere diventato infermiere … quanto alla nostra anima di prima, non contavamo più di ritrovarla. E non l’abbiamo più ritrovata, naturalmente. Nessuno di noi.
Šalamov
sergio falcone - 2020/1/30 - 13:47
La storia e la memoria servono al presente. Per capire, per lottare, per non auto-assolverci e far finta di non sapere. Nella nostra democratica repubblica ci sono i campi di internamento, si chiamano Cpr, si chiamavano Cie e prima ancora Cpt, ma la sostanza non cambia. Sono stati istituiti da Livia Turco e Giorgio Napolitano con la Legge n. 40 del 1998, legge votata da tutta la Sinistra parlamentare, Verdi e Rifondaziine compresi, legge che ha introdotto nel nostro paese il concetto di detenzione amministrativa, uno strappo importante nella concezione del diritto perché si può essere perseguite/i per una condizione e non per un reato.
E’ un concetto nazista, taterschuld, apparso nella dottrina tedesca all’inizio degli anni ’40 del ‘900 secondo il quale si è perseguite/i in relazione non ad una colpa legata ad un reato specifico, ma con riferimento all’estrazione sociale, familiare, all’etnia, al modo di vivere, alla condizione personale… per cui si risponde di quello che si è e non di quello che si è fatto e tutto questo diventa persecuzione penale.
Chiudere i Cpr!
Chiuderli subito!
sergio falcone - 2020/1/30 - 13:51
Spero che Lei non mi fraintenda, ma non sono per nulla d'accordo con il Suo “all’atto pratico, non vi è nessuna differenza tra campi di concentramento nazisti, stalinisti, neoliberisti o di qualsiasi altro genere.”
Il negazionismo ed il revisionismo sono sicuramente aberranti, ma anche il “qualunquismo” - inteso come il mettere insieme “la qualunque”, fare di ogni erba un fascio – non mi pare positivo.
Io penso che nelle età moderna e contemporanea il Male Assoluto si sia palesato moltissime volte, ma mai ha assunto la valenza e la portata che ha avuto per l'Olocausto ebraico.
Per numero di vittime in un dato lasso di tempo, per come fu scientificamente organizzato e quasi portato a termine, la Shoah non ha paragoni, e metterlo sullo stesso piano dei crimini dello stalinismo o del capitalismo o tanto meno delle politiche migratorie europee vuol dire relativizzarlo, vuol dire fare surrettiziamente del revisionismo edulcorato.
Per estensione temporale e geografica e modalità di realizzazione, non sono comparabili all'Olocausto ebraico nemmeno il genocidio dei nativi americani, così come i genocidi coloniali, o quello degli Armeni, o quello cambogiano, nemmeno le enormità dell'Holodomor ucraino e del massacro ruandese...
Gli storici indicano nella conferenza di Wansee del 20 gennaio 1942 il momento in cui i nazisti decisero per la “soluzione finale”... Ma ammettiamo pure che questa sia partita di fatto con la “Notte dei Cristalli” del novembre 1938, o con la creazione del primo ghetto a Łódź nel dicembre 1939, o con gli eccidi degli Einsatzgruppen durante l'Operazione Barbarossa, dal giugno del 1941... Resta il fatto che in tre o al massimo sei anni vennero quasi sterminati tutti gli ebrei d'Europa, sei milioni di civili inermi annichiliti, quasi tutti quelli che dopo l'avvento del nazismo non erano fuggiti, i più vulnerabili, quelli che non avevano i mezzi per mettersi in salvo...
Personalmente, pur odiando la politica dei governi israeliani – ben condivisa dai loro elettorati - nei confronti dei palestinesi, devo dire che non sono mai stato nemmeno d'accordo che su questo sito, cui collaboro da anni, vi sia un percorso intitolato “L'Olocausto palestinese”, perchè anche l'enorme sofferenza del popolo palestinese dal 1948 ad oggi non è per me minimamente comparabile con l'Olocausto ebraico.
Continuo a pensare che non fu caso e non fu caos – checchè ne pensi chi mi ha insultato e mi insulterà - fu decisione scientifica assunta da una macchina di morte senza precedenti che agì con lucidità, programmazione, organizzazione, crudeltà e barbarie incommensurabili su una massa enorme di persone indifese e incredule, che quasi vennero fatte scomparire dalla faccia della terra.
Niente di comparabile, che altrimenti si corre il rischio di relativizzare ciò che è stato, socchiudendo la porta a tutti i revisionisti e negazionisti e nazionalisti e fascisti sotto le loro varie declinazioni e spoglie.
Un saluto
Bernart Bartleby - 2020/1/30 - 22:15
Mi permetto di rimanere della mia opinione. Tutti i sistemi politici sono gerarchici, autoritari e criminali. La Storia e’ un enorme scempio ai danni dei miti, degli onesti e degli ultimi. E nessuno ancora e’ riuscito a porvi rimedio.
sergio falcone - 2020/1/31 - 12:59
Nel 2004 i "negazionisti" erano il 2,7%. Il Viminale: «Dati allarmanti, non dobbiamo sottovalutarli». E per un italiano su cinque «Mussolini è stato un grande leader»
La Shoah? Per un italiano su sei non è mai esistita. È scritto nel rapporto Eurispes 2020, e a scorrere i suoi dati vengono i brividi, e non soltanto perché il 15,6 per cento degli italiani nega che la Shoah sia mai avvenuta ma anche perché poi c’è un altro 16,1 per cento di italiani che dice : sì, la Shoah c’è stata ma non è stata un fenomeno così importante.
Nel 2004 il negazionismo riguardava il 2,7 per cento degli italiani .
«Sono dati allarmanti che non dobbiamo sottovalutare», dice Matteo Mauri, vice ministro dell’Interno, aggiungendo: «Il negazionismo continua ad infangare la memoria di questa tragedia».
Il negazionismo degli italiani non guarda soltanto al passato. Secondo l’Eurispes è un fenomeno molto diffuso che riguarda i giorni nostri. Ben il 61,7 per cento, infatti, dichiara che i recenti episodi di antisemitismo sono casi isolati e non sono indice di un reale problema. Di più: il 37, 2 per cento sostiene che quegli episodi di antisemitismo altro non sono che «bravate messe in atto per provocazione o per scherzo».
Nelle pagine dell’Eurispes si legge anche che un italiano su cinque rivaluta Benito Mussolini. Per il 19,8 per cento, infatti «Mussolini è stato un grande leader che ha solo commesso qualche sbaglio», dimenticando che fu proprio Benito Mussolini che nel 1938 emanò le leggi razziali, in linea con le altre affermazioni negazioniste contenute nel rapporto.
(di Alessandra Arachi)
gianfranco - 2020/1/31 - 14:28
Tra la giurisprudenza più recente vale la pena di ricordare la sentenza n. 1683/2011, in cui torna il tema della violenza diretta: la Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Lazio, ha rigettato il ricorso presentato contro il provvedimento n. 89574 del 27 marzo 2008 con cui la Commissione per le provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali aveva negato il vitalizio. In questo caso, il ricorrente asseriva di essere stato costretto a subire «sotto i propri occhi l’arresto del padre [...], ebreo e perseguitato politico antifascista, da parte dei carabinieri che lo tradussero in via Tasso» da dove fu poi spostato a Regina Coeli per essere infine fucilato alle Fosse Ardeatine; e il giudice, con sentenza pronunciata nell’udienza del 19 aprile 2011, si è così espresso:
«quanto al conseguente indelebile e innegabile trauma psicologico e fisico subìto, devesi giudicare che, pur nella ferma convinzione delle enormi sofferenze del figlio che ha subìto la violenta sottrazione del genitore, tali conseguenze non rilevano ai fini del diritto al beneficio in questione che deve essere riconosciuto per violenze subìte ‘in via diretta’, mentre nel concreto le persecuzioni e le violenze fisiche e morali sono state poste in essere nei confronti di soggetto diverso dal preteso beneficiario».
e ha infine rilevato la mancata produzione di «documento che asseveri specifiche azioni e circostanze circa la effettiva esclusione dalla iscrizione ad un istituto scolastico negli anni 1943-1944 o specifici e concreti atti persecutori,fisici o morali, connessi e conseguenti alla vigente limitazione assoluta di circolazione e di residenza nel territorio nazionale»
Quello che è mancato in questo caso, in sintesi, parrebbe quindi essere un documento comprovante che il ricorrente – in quanto ebreo, e anche figlio di un martire delle Fosse Ardeatine – non potesse frequentare una scuola pubblica, non potesse circolare e fosse costretto a nascondersi nel periodo dell’occupazione nazista di Roma; si è solo provato che abbia beneficiato di una generosa ospitalità.
Il caso Padoa (2003)
[...] Nel frattempo alcuni organi di stampa avevano cominciato a riportare informazioni sul caso Padoa. E un gruppo di parlamentari del gruppo DS-L’Ulivo aveva presentato alla Camera dei Deputati un’interpellanza urgente, d’iniziativa degli onorevoli Franco Grillini e Beatrice Magnolfi, per sapere quali provvedimenti intendesse assumere il Ministro dell’Economia e delle Finanze verso quei propri funzionari che si erano «adoperati per rendere inattuata una legge dello Stato» e avevano insultato le vittime con insinuazioni sull’esistenza dei campi di sterminio o sull’irrilevanza della pratica delle espulsioni degli ebrei dalle scuole e dalle università»
anche considerato che il Ministero stesso avrebbe richiesto
«per il riconoscimento pensionistico [...] prova documentale che Auschwitz fosse un campo di sterminio»
da : Le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei a Roma, testo di Gabriella Yael Franzone
gianfranco - 2020/1/31 - 15:41
Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
[Novembre 1964]
Testo e musica di Francesco Guccini
(Accreditata originariamente a Lunero (Iller Pattacini) e Maurizio Vandelli)
Prima incisione: Equipe 84, single Bang Bang / Auschwitz [settembre 1966]
In album: Francesco Guccini, Folk Beat n°1 [1967]
[November 1964]
Lyrics and Music by Francesco Guccini
(Originally credited to Lunero (Iller Pattacini) and Maurizio Vandelli)
First recording: Equipe 84, single Bang Bang / Auschwitz [settembre 1966]
Album recording: Francesco Guccini, Folk Beat n°1 [1967]
[Novembre 1964]
Paroles et musique de Francesco Guccini
(Attribuées originellement à Lunero (Iller Pattacini) et Maurizio Vandelli)
Premier enregistrement: Equipe 84, single Bang Bang / Auschwitz [settembre 1966]
En album: Francesco Guccini, Folk Beat n°1 [1967]
[Marraskuuta 1964]
Sanat ja sävel: Francesco Guccini
(Sanat ja sävel annettiin alun perin Lunerolle (Iller Pattacinille) ja Maurizio Vandellille)
Ensimmäinen versio: Equipe 84, single Bang Bang / Auschwitz [syyskuuta 1966]
Albumista: Francesco Guccini, Folk Beat n°1 [1967]
QUICK INDEX OF VERSIONS AVAILABLE (in alphabetical order; 42 languages up to now)
Bretone/Breton/Breton/Bretoni (Gwenaëlle Rempart) – Bulgaro/Bulgarian/Bulgare/Bulgaria (Marina Panova) – Casatenovese/Casatenuovo Brianza dialect/Dialecte de Casatenuovo Brianza/Casatenuovo Brianzan murre (Lele de Casanöv) – Catalano/Catalan/Catalan/Katalaani (Miguel Estre) – Camuno/Valcamonica dialect/Dialecte de Valcamonica/Valcamonican murre (Daniele Pandocchi) – Ceco/Czech/Tchèque/Tšekki (Halina Skass) – Cinese/Chinese/Chinois/Kina (Chung Biao Li) – Croato/Croat/Croate/Kroatia (Ana Jagić) – Danese/Danish/Danois/Tanska (Riccardo Venturi) – Ebraico/Hebrew/Hébreu/Heprea (Tali Margalit & Riccardo Venturi) – Esperanto 1 (Nicola Ruggiero) - Esperanto 2 (Nicola Ruggiero) – Finlandese/Finnish/Finnois/Suomi (Juha Rämö) – Francese/French/Français/Ranska (Marco Valdo M.I.) - Friulano/Friulian/Frioulan/Friuli (Silvia) – Giapponese/Japanese/Japanais/Japani (M. Naomi) – Greco/Greek/Grec/Kreikka 1 (Giuseppina Dilillo) – Greco/Greek/Grec/Kreikka 2 (Gian Piero Testa) – Inglese/English/Anglais/Englanti 1 (Equipe84) – Inglese/English/Anglais/Englanti 2 (Rod MacDonald) – Inglese/English/Anglais/Englanti 3 (Riccardo Venturi) – Inglese/English/Anglais/Englanti 4 (Paolo Di Mizio) - Islandese/Icelandic/Islandais/Islanti (Rikarður V. Albertsson) – Italiano/Italian/Italien/Italia (Equipe 84) – Kelartico/Kelartic/Kelartien/Kelartti (R.V.) - Latino/Latin/Latin/Latina (Riccardo Venturi) – Livornese/Livorno dialect/Livournais/Livornon murre (Riccardo Venturi) – Milanese/Milanese/Milanais/Milanon kieli (Matteo 88) – Neerlandese/Dutch/Néerlandais/Hollanti (Ketty Wijze van Leveren) – Norvegese/Norwegian/Norvégien/Norja (Riccardo Venturi) – Polacco/Polish/Polonais/Puola (Azalia/Agnieszka) – Portoghese/Portuguese/Portugais/Portugali (António I. De Brito Santos) - Romancio dell'Alta Engadina/High Engadine Reto-romanic/Romanche d'Haute Engadine/Ylä-Engadinin retoromaani (Daniele Pandocchi) – Retoromancio unificato/Unified Reto-romanic/Romanche unifié/Retoromaani (Emil Schavut) – Romanesco/Modern Roman dialect/Dialecte Romain moderne/Rooman murre (Dario) – Romeno/Romanian/Roumain/Romania 1 (=) – Romeno/Romanian/Roumain/Romania 2 (Liana) - Russo/Russian/Russe/Venäjä (Oksana Bondarëva) – Samoano/Samoan/Samoen/Samoa (IRC channel #samoa) – Sardo Campidanese/Campidano Sardinian/Sarde de Campidano/Campidanon Sardi (William Anedda) - Sardo Nuorese/Nuoro Sardinian/Sarde de Nuoro/Nuoron Sardi (Pàule Berria) – Serbo/Serbian/Serbe/Serbia (Sandrina Vukić Listri) – Spagnolo/Spanish/Espagnol/Espanja 1 (Miguel Estre) – Spagnolo/Spanish/Espagnol/Espanja 2 (Marcia Rosati) – Svedese/Swedish/Suédois/Ruotsi (Riccardo Venturi) – Tedesco/German/Allemand/Saksa 1 (Riccardo Venturi) – Tedesco/German/Allemand/Saksa 2 (Daniele Pandocchi) – Tedesco/German/Allemand/Saksa 3 (Christoph Gerhard) – Tedesco/German/Allemand/Saksa 4 (Wolfgang Lobolyrix) – Ungherese/Hungarian/Hongrois/Unkari (Riccardo Venturi) – Veneto vicentino/Vicenza Venetian/Vénitien de Vicenza/Vicenzan Venetonkieli (Andrea Seraglio) – Yiddish/Yiddish/Yiddish/Jidiš (Riccardo Venturi).
Una celebre canzone per la quale non c'e' bisogno di nessuna presentazione. Fu scritta da Francesco Guccini nel 1964. Per una bizzarra e terribile coincidenza, il primo treno di deportati giunse ad Auschwitz esattamente il 14 giugno 1940, il giorno stesso della nascita di Guccini.
Inclusa originariamente nell'album “Folk Beat n.1” del 1967, ma precedentemente (1966) incisa dall'Equipe 84 (in quello che, probabilmente, è il testo originale).
Purtroppo sempre attuale.
A very famous Italian song which deserves to be better known by English-speaking readers. Originally written by Francesco Guccini in 1964. For a strange and terrible coincidence, the first train of prisoners arrived to Auschwitz on 14 June 1940, the same day Francesco Guccini was born. It is originally included in Francesco Guccini’s first LP, “Folk Beat n. 1” (1967), but it was previously recorded (1966) by Equipe 84 (in its original version with somewhat different lyrics) and by Nomadi.
A song never outdated, sadly.
Une très célèbre chanson italienne que nous présentons à l’appréciation des lecteurs de langue française. Écrite à l'origine en 1964. Une étrange et terrible coïncidence veut que le premier train de déportés soit arrivé à Auschwitz exactement le 14 juin 1940, le jour même de la naissance de Francesco Guccini. La chanson fait partie du premier album de Francesco Guccini, “Folk Beat n. 1” (1967), mais elle avait été déjà interprétée (avec ses paroles originales quelque peu différentes) par Équipe 84 (1966) et par Nomadi. -
Malheureusement, c’est une chanson qui n’a jamais vieilli. - Riccardo Venturi, 2000.
Auschwitz è un brano musicale scritto da Francesco Guccini, ma accreditato a Lunero e Maurizio Vandelli in quanto l'autore non era iscritto alla SIAE. La canzone uscì come singolo nel settembre del 1966 dall'Equipe 84 nel singolo Bang bang/Auschwitz. L'anno successivo la canzone fu registrata da Francesco Guccini ed inserita nella raccolta Folk beat n. 1, con il titolo La canzone del bambino nel vento (Auschwitz). Guccini aveva avuto l'ispirazione per affrontare il tema dell'olocausto a seguito della lettura del saggio di Edward Russell, II Barone di Liverpool Il flagello della svastica e dal romanzo autobiografico di Vincenzo Pappalettera Tu passerai per il camino dove aveva raccontato le sue memorie sulla sua permanenza nel campo di concentramento di Mauthausen. Il testo è narrato da due voci: il protagonista, un bambino che nel Campo di concentramento di Auschwitz «è morto con altri cento, passato per un camino e adesso è nel vento». La seconda voce è quella dell'autore che si pone alcune domande retoriche a cui non vi è risposta. - it.wikipedia
Auschwitz is a song composed by Francesco Guccini , and [originally] performed by Equipe 84. Although the song was written by Guccini it was credited to Lunero and Maurizio Vandelli as the author was not a member of the SIAE. The following year the song was recorded by Francesco Guccini and included in the LP Folk beat n. 1, with the title La canzone del bambino nel vento (Auschwitz) (The song of the child in the wind). Guccini had the inspiration to address the holocaust theme following the reading of the essay by Edward Russell, 2nd Baron Russell of Liverpool The Scourge of the swastika: A Short History of Nazi War Crimes (Also translated into Italian in 1955)and from the autobiographical novel by Vincenzo Pappalettera Tu passerai per il camino where he had recounted his memoirs about his stay in the Mauthausen concentration camp. The text is narrated by two voices: the protagonist, a child who in the Auschwitz concentration camp " died with another hundred, passed through a chimney and is now in the wind". The second item is that of the author who poses some rhetoric questions to which there is no answer. - en.wikipedia
"Guccini scrive e canta la storia terribile ed emblematica di un anonimo bambino morto e bruciato nel famigerato campo di sterminio nazista (il 27 gennaio, data della liberazione dei prigionieri di Auschwitz, è stato proclamato universalmente e perennemente giorno del ricordo e della memoria). Una storia-simbolo delle altre sei milioni di vittime dell'orrore hitleriano, ma è da rimarcare che Guccini non si limita alla condanna del nazismo ma allarga la sua condanna a ogni guerra e allude probabilmente al dramma della guerra in Vietnam, allora in corso."
[P. Jachia, Francesco Guccini, Editori Riuniti, Roma 2002, p. 25].
“Guccini wrote and sung the terrible and emblematic story of a nameless child who was killed and burnt in the most notorious of all Nazi lagers (January 27, the day the prisoners of Auschwitz were set free by Russian troops, has been universally proclaimed the day of memory for all times to come). A story which stands as a symbol for the other six millions of victims of Hitlerian horror; but it should be pointed out that Guccini does not just condemn Nazism, but also express his condemnation for any war and, probably and explicitly, for the Vietnam war which was then being fought.”
[P. Jachia, Francesco Guccini, Editori Riuniti, Rome 2002, p. 25].
“Guccini écrit et chante la terrible histoire d’un enfant sans nom qui fut tué et brûlé dans le plus malfamé des champs d’extermination nazistes (le 27 janvier, le jour où les prisonniers d’Auschwitz furent libérés par les troupes Soviétiques, a été proclamé universellement et à jamais le jour de la mémoire et des souvenirs). L’histoire de cet enfant-symbole est aussi l’histoire des autres six millions de victimes de l’horreur hitlérien, mais il faut souligner le fait que Guccini, loin de se contenter d’une condemnation du nazisme, a voulu exprimer son refus de toutes les guerres, et en particulier de la guerre de Viêt-Nam, qui était en train de se dérouler en ce temps-là.”
[P. Jachia, Francesco Guccini, Editori Riuniti, Rome 2002, p. 25].
Lo stesso Guccini ha dichiarato che "la prima idea" per questa tristissima quanto bellissima e celeberrima canzone gli venne dalla lettura di Tu passerai per il camino - Vita e morte a Mauthausen (Mursia, 1965), un libro di memorie di Vincenzo Pappalettera.
(dal sito di Giuseppe Cirigliano)
1967: Francesco Guccini (allora semplicemente “Francesco”) compare per la prima volta in TV alla trasmissione “Diamoci del tu”, condotta da Caterina Caselli (nel video: 0'35”), cantando Auschwitz.
1967: Francesco Guccini (then simply “Francesco”) appears for the 1st time on TV in the show “Diamoci del tu” (“Let's pass to first name terms” or so), conducted by Caterina Caselli (0'35” in the video), and sings Auschwitz.
Discografia e interpreti / Discography and Performers
La lista dei dischi dove compare "Auschwitz" di Guccini è sicuramente incompleta, ma ecco le versioni più conosciute:
The list over Francesco Guccini's Auschwitz recordings and covers in time may be incomplete. The following are the best known versions:
Equipe 84, 45 giri Bang Bang / Auschwitz (1966)
Francesco Guccini, Folk Beat n.1 (1967)
Francesco Guccini & i Nomadi, Album concerto (1979)
Francesco Guccini, Quasi come Dumas (1988, dal vivo)
Nomadi, Ma che film la vita (1992, dal vivo)
Rod MacDonald, Man on the Ledge (1994)
Gang, Tributo ad Augusto (1995)
Gian Pieretti, Caro Bob Dylan... (1997)
Alice, Viaggio in Italia (2003)
Modena City Ramblers, Appunti Partigiani (2005) (in duetto con Guccini)
Francesco Guccini, Anfiteatro Live (2005, dal vivo)
Leoncarlo Settimelli, Canti dei Lager (2006) in medley con Auschwitz '45
I Luf, I luf cantano Guccini (2012)
7grani, Neve diventeremo (2013)
Renato Franchi & Orchestrina del Suonatore Jones, Le stagioni di Anna Frank (2014)
Vittorio De Scalzi e Mauro Pagani, Fra la via Aurelia e il West. Dedicato a Francesco Guccini (2017)
Elisa, Note di Viaggio – capitolo 1: venite avanti (2019)
Auschwitz è indubbiamente una delle più celebri canzoni di Guccini, simbolo della sua partecipazione ai drammi umani e del suo intendere la musica non solo come diletto, ma come strumento di denuncia anche se non necessariamente apportatore di rivoluzioni (vedi L’avvelenata). Egli prende in esame il tema dell’olocausto, ma la seconda parte della canzone trascende tale contesto per abbracciare una più estesa riflessione sulla ferinità umana.
La prima strofa presenta la situazione in termini molto schematici: il narratore è un personaggio morto da bambino in una condizione strana, "passato per il camino". L’insistenza sul termine morto in apertura dei primi due versi crea l’atmosfera cupa e nostalgica che accompagna tutto il brano. Da notare è la durezza di quel "con altri cento" che evidenzia l’impersonalità del massacro, sottolineandone allo stesso tempo la dimensione. La prima strofa si chiude poi con la presentazione della situazione attuale; il narratore si trova nel vento.
La seconda strofa, invece, tratteggia la scenografia del dramma ponendo subito in rilievo un nome terribile, evocatore di sofferenza e paura, Auschwitz: l’inverno, il freddo e la neve, che potrebbe essere la gioia di ogni bambino, ma non di colui che si trova lì a morire; c’è poi l’ambiguità del fumo e del camino, che ricordano scene di tranquillità domestica, ma sono qui ben altri segni. La terribile fine è solo accennata, con gusto per così dire classico, senza insistenza su macabri particolari, ma, semplicemente, con l’immagine di un fumo che sale e la presenza di persone che scompaiono, però, per ritrovarsi nel vento.
La terza strofa funge da collegamento tra le due parti del pezzo opponendo alla massa il suo silenzio. L’antitesi crea un efficace sensazione di vuoto, di freddo e morte: questi uomini, ma sono ancora uomini?, non osano più parlare, sono spogliati della propria dignità e individualità, sono tra quei cento o lo saranno presto. Il tempo non cancella quei ricordi nel bimbo morto, egli non riesce a sorridere e si chiede invece, ingenuamente e forse infantilmente, il perché di quelle stragi. E’ questo il momento il cui la prospettiva si amplia e si universalizza quell’esperienza di morte divenendo paradigmatica dell’umana crudeltà. Guccini sembra pessimista, non ha fiducia nell’uomo e nella sua perfettibilità, lo coglie solo nel suo atto crudele: fantastica intuizione quella di porre alla fine di due versi consecutivi i termini uomo e fratello legati dal crudo realismo del verbo uccidere. Al bimbo, e indubbiamente la scelta come narratore del simbolo dell’innocenza e della purezza non è casuale, sembra assurdo che tutto questo sia potuto accadere, ma è costretto a costatare l’evidenza del fatto: "siamo a milioni/in polvere qui nel vento". Ancora un numero enorme, come il cento iniziale, rende l’idea dell’ampiezza del fenomeno esasperandone la gratuità.
La penultima strofa sembra un grido, un grido di rabbia impotente e disperato, la cui forza è ottenuta con sapienti scelte lessicali: il cannone tuona, terribile segno di morte, e il sangue scorre ininterrotto, per culminare con lo stridente contrasto tra questo sangue, l’aggettivo contenta e la connotazione di bestia umana assegnata a tutta l’umanità. Del resto l’impersonalità del termine uomo, usato due volte, sottolinea già da sola come le accuse e le domande siano rivolte all’umanità intera, tutta ugualmente colpevole se non dell’olocausto, di altri innumerevoli assassinii. Terribile è l’epiteto bestia, e ricorda pagine del Principe di Machiavelli, perché presenta l’uomo come bruto, come animale regolato solo da impulsi irrazionali e incontrollabili. Il rilievo conferito in questa sede all’ancora acuisce la durezza delle accuse all’umanità che, nonostante si sia accorta delle proprie scelleratezze, continua a commetterne di nuove ogni giorno.
Tuttavia Guccini non se la sente di chiudere così, vuole lasciare un varco, una via di scampo all’uomo, sperare che si possa ancora redimere: ecco il significato dell’uso del futuro nell’ultima strofa che si apre ancora con un "Io chiedo" che questa volta non è tanto una domanda o un’accusa quanto piuttosto un’accorata preghiera, una speranza che vuole a tutti i costi uscire e realizzarsi e che è tutta contenuta in quel verso "a vivere senza ammazzare", così semplice eppure tanto intenso e diretto.
Non si può ignorare nell’analisi di questo pezzo la presenza del vento, vero elemento costante nella chiusura di ciascuna strofa. Il vento che sembra leggero e spensierato è in realtà greve del peso di tutti quei morti, è un vento irrequieto che sembra schiacciare l’uomo gettandogli addosso le sue colpe, accusandolo con l’innocente, ma per questo più dura, voce di un bambino. In tutte le strofe esso è accompagnato da qui, ancora, adesso, a sottolineare come si stia parlando di qualcosa di presente e attuale su cui è necessario riflettere. Pensare, però, non basta, bisogna, è questo il significato delle ultime strofe, agire e cambiare, solo così "il vento si poserà" .
La canzone non presenta rime, se non occasionali (prima strofa), il suo ritmo è creato piuttosto dalla brevità dei versi, costituiti spesso ciascuno da una frase in sé compiuta, che crea brevi, gelide scene.
Sono tuttavia presenti in due punti cruciali degli enjambements: "non ho imparato/a sorridere" nella strofa centrale sottolinea il dramma che permane negli occhi e nel cuore, che non può e non deve essere dimenticato, un dramma che spezza e smorza il sorriso; "non è contenta/di sangue" indica invece piuttosto la lacerazione del pensiero che non osa immaginare che possa ancora succedere qualcosa di simile, ma è costretto a costatarlo nei fatti e, inoltre, rafforza il contrasto tra contenta e di sangue.
(Analisi collettiva svolta dal Liceo Alessandro Volta di Como)
Appunti partigiani è l'ottavo album dei Modena City Ramblers (il settimo in studio). L'album riprende idealmente Materiale Resistente (con ovvi riferimenti a un periodo storico molto caro ai Modena) prodotto 10 anni prima (1995) da Giovanni Lindo Ferretti, richiama a raccolta molti ex Ramblers: Alberto Cottica, Massimo Giuntini, Luciano Gaetani e Giovanni Rubbiani, oltre ad altri compagni di viaggio Paolo Rossi, Gang, Bandabardò e Casa del vento
Bella ciao con Goran Bregović (Tradizionale)
Auschwitz con Francesco Guccini (Francesco Guccini)
Oltre il ponte con Moni Ovadia (Italo Calvino, tradizionale, Liberovici)
I ribelli della montagna con la Bandabardò (Tradizionale)
La guerra di Piero con Piero Pelù (Fabrizio De André)
Al Dievel con il Coro delle Mondine di Novi
All you fascists con Billy Bragg (Woody Guthrie)
Notte di San Severo con la Casa del Vento (Casa Del Vento)
Il sentiero (liberamente ispirato a Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino)
Il partigiano John con Bunna (Africa Unite)
L'unica superstite con Fiamma
Spara Jury - con Paolo Rossi (C.C.C.P.)
La pianura dei sette fratelli con i Gang (Marino e Sandro Severini)
Pietà l'è morta con Ginevra Di Marco (Nuto Revelli)
Viva l'Italia con Cisco, Ginevra, Piero, Morgan, Bunna, Paolo, Erriquez, Marino (Francesco De Gregori)