Nella fabbrica di Artur si producevano le armi
Lui non ha mai sparato neppure ad un fringuello
Si occupava di fatture e pensava ormai da anni
Che occuparsi delle bombe sarebbe stato assai più bello
Artur andava al cinema a vedere i film di guerra
Fu così che vide Espoir sui volontari in Spagna
Raccontava la battaglia di Teruel nella sierra
La tremenda ritirata d’Aragona e Catalogna
La tremenda ritirata d’Aragona e Catalogna
Al cinema andò da solo la sua ex moglie è pacifista
E per riconquistarla la coinvolse in una azione
Scoprire se nella sua fabbrica nell'epoca Franchista
C'erano stati degli scioperi per fermare la produzione
C'erano stati degli scioperi per fermare la produzione
Lei gli disse vai al capo dì che l’archivio vuoi vedere
Per uno studio comparato sulle vendite e i guadagni
E così tra quelle carte di nascosto puoi cercare
Se qualcuno c’ha provato a boicottare quegli ordigni
Lui fu contento dell'idea voleva far bella figura
Con Felicia la sua ex moglie e dell’azienda il capo
E' la banalità del male di chi vuole far carriera
Senza porsi le domande se sia giusto il suo operato
Senza porsi le domande se sia giusto il suo operato
Qui la storia però si ferma ma leggiamo negli appunti
Che Saramago aveva scritto quando era ormai malato
Che Artur verrà promosso nel settore armi pesanti
Ma Felicia la sua ex moglie gli darà il ben servito
Ma Felicia la sua ex moglie gli darà il ben servito
Saramago non ha dubbi il suo romanzo dovrà finire
Con una frase forte che non si possa equivocare
Il premio Nobel scrisse chiaro che l’ultimo saluto
di Felicia all’ ex marito sarà "Artur vai a cagare”
Il premio Nobel scrisse chiaro che l’ultimo saluto
di Felicia all’ ex marito sarà "Artur vai a cagare”
Lui non ha mai sparato neppure ad un fringuello
Si occupava di fatture e pensava ormai da anni
Che occuparsi delle bombe sarebbe stato assai più bello
Artur andava al cinema a vedere i film di guerra
Fu così che vide Espoir sui volontari in Spagna
Raccontava la battaglia di Teruel nella sierra
La tremenda ritirata d’Aragona e Catalogna
La tremenda ritirata d’Aragona e Catalogna
Al cinema andò da solo la sua ex moglie è pacifista
E per riconquistarla la coinvolse in una azione
Scoprire se nella sua fabbrica nell'epoca Franchista
C'erano stati degli scioperi per fermare la produzione
C'erano stati degli scioperi per fermare la produzione
Lei gli disse vai al capo dì che l’archivio vuoi vedere
Per uno studio comparato sulle vendite e i guadagni
E così tra quelle carte di nascosto puoi cercare
Se qualcuno c’ha provato a boicottare quegli ordigni
Lui fu contento dell'idea voleva far bella figura
Con Felicia la sua ex moglie e dell’azienda il capo
E' la banalità del male di chi vuole far carriera
Senza porsi le domande se sia giusto il suo operato
Senza porsi le domande se sia giusto il suo operato
Qui la storia però si ferma ma leggiamo negli appunti
Che Saramago aveva scritto quando era ormai malato
Che Artur verrà promosso nel settore armi pesanti
Ma Felicia la sua ex moglie gli darà il ben servito
Ma Felicia la sua ex moglie gli darà il ben servito
Saramago non ha dubbi il suo romanzo dovrà finire
Con una frase forte che non si possa equivocare
Il premio Nobel scrisse chiaro che l’ultimo saluto
di Felicia all’ ex marito sarà "Artur vai a cagare”
Il premio Nobel scrisse chiaro che l’ultimo saluto
di Felicia all’ ex marito sarà "Artur vai a cagare”
Contributed by Paolo Rizzi - 2024/10/27 - 17:53
Language: Italian
Tradução portuguesa / Traduzione portoghese / Portuguese translation / Traduction portugaise / Portugalinkielinen käännös:
Riccardo Venturi, 30-10-2024 18:53
Riccardo Venturi, 30-10-2024 18:53
Alabardas alabardas
Na fábrica do Artur se produzia armamento,
Ele nunca tinha atirado, nem mesmo num tentilhão.
Trabalhava com faturas e já fazia anos que ele pensava
Que trabalhar com bombas talvez fosse muito melhor.
O Artur costumava ir ao cinema ver filmes de guerra,
Foi assim que viu Espoir sobre os voluntários em Espanha.
O filme falava da batalha de Teruel na Sierra,
A terrível retirada de Aragona e Catalunha,
A terrível retirada de Aragona e Catalunha.
Foi sozinho ao cinema; a sua ex-mulher é pacifista.
Ele queria reconquistá-la, e envolveu-a numa acção:
Informar-se se houve greves, na fábrica dele,
Que parassem a produção durante a época franquista,
Que parassem a produção durante a época franquista.
Ela lhe disse: Vá para o chefe, diga-lhe que quer controlar o arquivo
Para elaborar um estudo comparado sobre vendas e ganhos.
Desta maneira, você vai puder investigar secretamente
Se alguém procurou boicotar aquelas bombas,
Se alguém procurou boicotar aquelas bombas.
Ele ficou contente com a ideia, queria fazer boa impressão
Com Felícia, sua antiga mulher e chefe da impresa.
Isto é a banalidade do mal dos que querem fazer carreira
Sem se interrogar se o que fazem é apropriado,
Sem se interrogar se o que fazem é apropriado.
Mas aqui a história termina. Lemos nas notas
Que o Saramago tinha escrito quando já estava doente,
Que o Artur avançaria no sector de armas pesadas,
E que a Felícia, a sua ex-mulher, o despediria,
E que a Felícia, a sua ex-mulher, o despediria.
O José Saramago não tinha dúvidas: a sua novela
Devia terminar com una frase forte e inequívoca.
O prémio Nobel escreveu claramente que a última despedida
Que a Felícia dá a seu marido, seria: “Ô Artur, foda-se!”,
O prémio Nobel escreveu claramente que a última despedida
Que a Felícia dá a seu marido, seria: “Ô Artur, foda-se!”
Na fábrica do Artur se produzia armamento,
Ele nunca tinha atirado, nem mesmo num tentilhão.
Trabalhava com faturas e já fazia anos que ele pensava
Que trabalhar com bombas talvez fosse muito melhor.
O Artur costumava ir ao cinema ver filmes de guerra,
Foi assim que viu Espoir sobre os voluntários em Espanha.
O filme falava da batalha de Teruel na Sierra,
A terrível retirada de Aragona e Catalunha,
A terrível retirada de Aragona e Catalunha.
Foi sozinho ao cinema; a sua ex-mulher é pacifista.
Ele queria reconquistá-la, e envolveu-a numa acção:
Informar-se se houve greves, na fábrica dele,
Que parassem a produção durante a época franquista,
Que parassem a produção durante a época franquista.
Ela lhe disse: Vá para o chefe, diga-lhe que quer controlar o arquivo
Para elaborar um estudo comparado sobre vendas e ganhos.
Desta maneira, você vai puder investigar secretamente
Se alguém procurou boicotar aquelas bombas,
Se alguém procurou boicotar aquelas bombas.
Ele ficou contente com a ideia, queria fazer boa impressão
Com Felícia, sua antiga mulher e chefe da impresa.
Isto é a banalidade do mal dos que querem fazer carreira
Sem se interrogar se o que fazem é apropriado,
Sem se interrogar se o que fazem é apropriado.
Mas aqui a história termina. Lemos nas notas
Que o Saramago tinha escrito quando já estava doente,
Que o Artur avançaria no sector de armas pesadas,
E que a Felícia, a sua ex-mulher, o despediria,
E que a Felícia, a sua ex-mulher, o despediria.
O José Saramago não tinha dúvidas: a sua novela
Devia terminar com una frase forte e inequívoca.
O prémio Nobel escreveu claramente que a última despedida
Que a Felícia dá a seu marido, seria: “Ô Artur, foda-se!”,
O prémio Nobel escreveu claramente que a última despedida
Que a Felícia dá a seu marido, seria: “Ô Artur, foda-se!”
Link alla visione completa del film L'espoir in lingua originale spagnola
Link ad una video in lingua francese che racconta come è stato concepito e realizzato il film
Link ad una video in lingua francese che racconta come è stato concepito e realizzato il film
P.r. - 2024/10/27 - 18:00
I carri armati di Golia
DALLE PIETRE DI DAVIDE AI CARRI ARMATI DI GOLIA
Affermano alcune autorità in questioni bibliche che il Primo Libro di Samuele fu scritto all’epo¬ca di Salomone o nel periodo immediatamente successivo, in ogni caso prima della schiavitù di Babilonia.
Altri studiosi non meno competenti argomen¬tano che non solo il Primo, ma anche il Se¬condo Libro di Samuele, furono redatti dopo l’esilio di Babilonia, obbedendo nella loro com¬posizione a quella che è denominata struttura storico-politico-religiosa dello schema deute¬ronomico, cioè, in successione, l’alleanza di Dio col suo popolo, l’infedeltà del popolo, il castigo di Dio, la supplica del popolo, il perdono di Dio.
Se la venerabile scrittura risale al tempo di Sa¬lomone, potremo dire che da essa sono pas¬sati, fino ad oggi, in cifre tonde, tremila anni. Se il lavoro dei redattori fu realizzato dopo chegli ebrei tornarono dall’esilio, allora dovremo scalare da quel numero circa 500 anni.
Questa preoccupazione per l’esattezza tempo¬rale ha come unico proposito quello di offrire alla comprensione del lettore l’idea che la fa¬mosa leggenda biblica del combattimento (che non arrivò a svolgersi) tra il piccolo pastore Da¬vide e il gigante filisteo Golia non viene raccon¬tata nel giusto modo ai bambini perlomeno da 25 o 30 secoli.
Nel corso del tempo, le diverse parti interessa¬te nella questione elaborarono, con l’assenso acritico di più di cento generazioni di creden¬ti, tanto ebrei quanto cristiani, un’ingannevole mistificazione sul dislivello di forze che sepa¬rava dai bestiali quattro metri di altezza di Go¬lia la fragile corporatura del biondo e delicato Davide.
Tale dislivello, secondo tutte le apparenze enorme, era compensato, e infine volto a fa¬vore dell’israelita, dal fatto che Davide era un ragazzo astuto e Golia uno stupido ammasso di carne, tanto astuto l’uno che prima di andare aconfrontarsi con il filisteo raccolse sulla riva di un ruscello che era lì vicino cinque pietre lisce che mise nella sacca, tanto stupido l’altro che non si accorse che Davide veniva armato con una pistola.
Non era una pistola, protesteranno indigna¬ti gli amanti delle sovrane verità mitiche, ma semplicemente una fionda, una umilissima fionda da pastore, come già ne avevano usa¬te in tempi immemori i servi di Abramo che gli conducevano e sorvegliavano il bestiame.
Sì, di fatto non sembrava una pistola, non ave¬va canna, non aveva calcio, non aveva grillet¬to, non aveva cartucce, quello che aveva era¬no due corde fini e resistenti attaccate per le estremità a un piccolo pezzo di cuoio flessibile, nel cavo del quale la mano esperta di Davide collocò la pietra che, a distanza, fu lanciata, ve¬loce e potente come un proiettile, contro la te¬sta di Golia, e lo atterrò, lasciandolo alla mercé del filo della sua stessa spada, già impugnata dall’abile fromboliere.
Non fu perché era più astuto che l’israelita riu¬scì a uccidere il filisteo e a dare la vittoria all’e¬sercito del Dio vivente e di Samuele, fu sola¬mente perché portava con sé un’arma a lunga gittata e la seppe maneggiare. La verità storica, modesta e per nulla immaginativa, si acconten¬ta di insegnarci che Golia non ebbe nemmeno la possibilità di mettere le mani su Davide.
La verità mitica, emerita fabbricante di fanta¬sie, ci va cullando da 30 secoli con il racconto meraviglioso del trionfo di un piccolo pastore sulla bestialità di un guerriero gigantesco al quale, infine, a nulla poté servire il pesante bronzo dell’elmo, della corazza, dei gambali e dello scudo.
Da quanto siamo autorizzati a concludere dagli sviluppi di questo edificante episodio, Davide, nelle molte battaglie che fecero di lui il re di Giuda e di Gerusalemme e che estesero il suo potere fino alla riva destra dell’Eufrate, non tornò più a usare la fionda e le pietre.
E nemmeno ora le usa.
In questi ultimi cinquant’anni sono cresciute a tal punto le forze e la taglia di Davide che tralui e il sovrastante Golia non è più possibile ri¬conoscere alcuna differenza, si può quasi dire, senza insultare l’offuscante chiarezza dei fatti, che si è trasformato in un nuovo Golia.
Davide, oggi, è Golia, ma un Golia che ha smes¬so di caricarsi pesanti e infine inutili armi di bronzo. Quel biondo Davide di un tempo sor¬vola in elicottero i territori palestinesi occupati e spara missili contro bersagli inermi; quel deli¬cato Davide di una volta guida i più potenti carri armati del mondo e schiaccia e distrugge tutto quello che incontra; quel lirico Davide che can¬tava lodi a Betsabea, incarnato ora nella figura gargantuesca di un criminale di guerra chiama¬to Ariel Sharon, lancia il “poetico” messaggio che è necessario prima schiacciare i palestinesi per poi negoziare con ciò che resterà di loro.
In poche parole, è in questo che consiste, dal 1948, con leggere varianti meramente tattiche, la strategia politica israeliana.
Mentalmente intossicati dall’idea messianica di un Grande Israele che realizzi finalmente i sogni espansionistici del sionismo più radicale; contaminati dalla mostruosa e radicata “cer¬tezza” che in questo catastrofico e assurdo mondo esista un popolo eletto da Dio e che, pertanto, siano automaticamente giustificate e autorizzate, anche in nome degli orrori passati e delle paure di oggi, tutte le loro azioni, con-seguenza di un razzismo ossessivo, psicologica¬mente e patologicamente esclusivista; educati e addestrati nell’idea che qualunque sofferen¬za abbiano inflitto, infliggano o infliggeranno agli altri, e in particolare ai palestinesi, sarà sempre molto al di sotto di quelle che hanno patito durante l’Olocausto, gli ebrei scortica-no senza fine la loro stessa ferita perché non smetta di sanguinare, per renderla insanabile, e mostrarla al mondo come si trattasse di una bandiera.
Israele fa sue le terribili parole di Geova nel Deuteronomio: “Mia è la vendetta, e io ri¬pagherò i miei nemici”. Israele vuole che ci sentiamo in colpa, tutti noi, direttamente o indirettamente, per gli orrori dell’Olocausto, Israele vuole che rinunciamo al più elementaregiudizio critico e ci trasformiamo in docili echi della sua volontà, Israele vuole che riconoscia¬mo de iure quello che per loro è un esercizio di fatto: l’impunità assoluta.
Dal punto di vista degli ebrei, Israele non potrà mai essere sottoposto a giudizio, dopo essere stato torturato e bruciato ad Auschwitz. Mi chiedo se quegli ebrei che morirono nei campi di concentramento nazisti, che furono perse¬guitati per tutta la Storia, che furono trucidati nei pogrom, che marcirono nei ghetti, mi chie¬do se questa immensa moltitudine di infelici non proverebbe vergogna per gli atti infami che i suoi discendenti stanno commettendo.
Mi chiedo se il fatto di aver sofferto tanto non sarebbe il miglior motivo per non far soffrire gli altri.
Le pietre di Davide hanno cambiato mano, ora sono i palestinesi che le lanciano. Golia sta dall’altra parte, armato ed equipaggiato come non lo è mai stato alcun soldato nella storia delle guerre, salvo, chiaramente, l’amico ame¬ricano. Ah, sì, le orrende mattanze di civili causate da quelli che vengono chiamati terroristi suicidi... Orrende, sì, senza dubbio, condannabili, sì, senza dubbio. Ma Israele ha ancora molto da imparare se non è capace di comprendere le ragioni che possono portare un essere umano a trasformarsi in una bomba.
José Saramago
“El Pais”, 21 aprile 2002
Link alla pubblicazione
Affermano alcune autorità in questioni bibliche che il Primo Libro di Samuele fu scritto all’epo¬ca di Salomone o nel periodo immediatamente successivo, in ogni caso prima della schiavitù di Babilonia.
Altri studiosi non meno competenti argomen¬tano che non solo il Primo, ma anche il Se¬condo Libro di Samuele, furono redatti dopo l’esilio di Babilonia, obbedendo nella loro com¬posizione a quella che è denominata struttura storico-politico-religiosa dello schema deute¬ronomico, cioè, in successione, l’alleanza di Dio col suo popolo, l’infedeltà del popolo, il castigo di Dio, la supplica del popolo, il perdono di Dio.
Se la venerabile scrittura risale al tempo di Sa¬lomone, potremo dire che da essa sono pas¬sati, fino ad oggi, in cifre tonde, tremila anni. Se il lavoro dei redattori fu realizzato dopo chegli ebrei tornarono dall’esilio, allora dovremo scalare da quel numero circa 500 anni.
Questa preoccupazione per l’esattezza tempo¬rale ha come unico proposito quello di offrire alla comprensione del lettore l’idea che la fa¬mosa leggenda biblica del combattimento (che non arrivò a svolgersi) tra il piccolo pastore Da¬vide e il gigante filisteo Golia non viene raccon¬tata nel giusto modo ai bambini perlomeno da 25 o 30 secoli.
Nel corso del tempo, le diverse parti interessa¬te nella questione elaborarono, con l’assenso acritico di più di cento generazioni di creden¬ti, tanto ebrei quanto cristiani, un’ingannevole mistificazione sul dislivello di forze che sepa¬rava dai bestiali quattro metri di altezza di Go¬lia la fragile corporatura del biondo e delicato Davide.
Tale dislivello, secondo tutte le apparenze enorme, era compensato, e infine volto a fa¬vore dell’israelita, dal fatto che Davide era un ragazzo astuto e Golia uno stupido ammasso di carne, tanto astuto l’uno che prima di andare aconfrontarsi con il filisteo raccolse sulla riva di un ruscello che era lì vicino cinque pietre lisce che mise nella sacca, tanto stupido l’altro che non si accorse che Davide veniva armato con una pistola.
Non era una pistola, protesteranno indigna¬ti gli amanti delle sovrane verità mitiche, ma semplicemente una fionda, una umilissima fionda da pastore, come già ne avevano usa¬te in tempi immemori i servi di Abramo che gli conducevano e sorvegliavano il bestiame.
Sì, di fatto non sembrava una pistola, non ave¬va canna, non aveva calcio, non aveva grillet¬to, non aveva cartucce, quello che aveva era¬no due corde fini e resistenti attaccate per le estremità a un piccolo pezzo di cuoio flessibile, nel cavo del quale la mano esperta di Davide collocò la pietra che, a distanza, fu lanciata, ve¬loce e potente come un proiettile, contro la te¬sta di Golia, e lo atterrò, lasciandolo alla mercé del filo della sua stessa spada, già impugnata dall’abile fromboliere.
Non fu perché era più astuto che l’israelita riu¬scì a uccidere il filisteo e a dare la vittoria all’e¬sercito del Dio vivente e di Samuele, fu sola¬mente perché portava con sé un’arma a lunga gittata e la seppe maneggiare. La verità storica, modesta e per nulla immaginativa, si acconten¬ta di insegnarci che Golia non ebbe nemmeno la possibilità di mettere le mani su Davide.
La verità mitica, emerita fabbricante di fanta¬sie, ci va cullando da 30 secoli con il racconto meraviglioso del trionfo di un piccolo pastore sulla bestialità di un guerriero gigantesco al quale, infine, a nulla poté servire il pesante bronzo dell’elmo, della corazza, dei gambali e dello scudo.
Da quanto siamo autorizzati a concludere dagli sviluppi di questo edificante episodio, Davide, nelle molte battaglie che fecero di lui il re di Giuda e di Gerusalemme e che estesero il suo potere fino alla riva destra dell’Eufrate, non tornò più a usare la fionda e le pietre.
E nemmeno ora le usa.
In questi ultimi cinquant’anni sono cresciute a tal punto le forze e la taglia di Davide che tralui e il sovrastante Golia non è più possibile ri¬conoscere alcuna differenza, si può quasi dire, senza insultare l’offuscante chiarezza dei fatti, che si è trasformato in un nuovo Golia.
Davide, oggi, è Golia, ma un Golia che ha smes¬so di caricarsi pesanti e infine inutili armi di bronzo. Quel biondo Davide di un tempo sor¬vola in elicottero i territori palestinesi occupati e spara missili contro bersagli inermi; quel deli¬cato Davide di una volta guida i più potenti carri armati del mondo e schiaccia e distrugge tutto quello che incontra; quel lirico Davide che can¬tava lodi a Betsabea, incarnato ora nella figura gargantuesca di un criminale di guerra chiama¬to Ariel Sharon, lancia il “poetico” messaggio che è necessario prima schiacciare i palestinesi per poi negoziare con ciò che resterà di loro.
In poche parole, è in questo che consiste, dal 1948, con leggere varianti meramente tattiche, la strategia politica israeliana.
Mentalmente intossicati dall’idea messianica di un Grande Israele che realizzi finalmente i sogni espansionistici del sionismo più radicale; contaminati dalla mostruosa e radicata “cer¬tezza” che in questo catastrofico e assurdo mondo esista un popolo eletto da Dio e che, pertanto, siano automaticamente giustificate e autorizzate, anche in nome degli orrori passati e delle paure di oggi, tutte le loro azioni, con-seguenza di un razzismo ossessivo, psicologica¬mente e patologicamente esclusivista; educati e addestrati nell’idea che qualunque sofferen¬za abbiano inflitto, infliggano o infliggeranno agli altri, e in particolare ai palestinesi, sarà sempre molto al di sotto di quelle che hanno patito durante l’Olocausto, gli ebrei scortica-no senza fine la loro stessa ferita perché non smetta di sanguinare, per renderla insanabile, e mostrarla al mondo come si trattasse di una bandiera.
Israele fa sue le terribili parole di Geova nel Deuteronomio: “Mia è la vendetta, e io ri¬pagherò i miei nemici”. Israele vuole che ci sentiamo in colpa, tutti noi, direttamente o indirettamente, per gli orrori dell’Olocausto, Israele vuole che rinunciamo al più elementaregiudizio critico e ci trasformiamo in docili echi della sua volontà, Israele vuole che riconoscia¬mo de iure quello che per loro è un esercizio di fatto: l’impunità assoluta.
Dal punto di vista degli ebrei, Israele non potrà mai essere sottoposto a giudizio, dopo essere stato torturato e bruciato ad Auschwitz. Mi chiedo se quegli ebrei che morirono nei campi di concentramento nazisti, che furono perse¬guitati per tutta la Storia, che furono trucidati nei pogrom, che marcirono nei ghetti, mi chie¬do se questa immensa moltitudine di infelici non proverebbe vergogna per gli atti infami che i suoi discendenti stanno commettendo.
Mi chiedo se il fatto di aver sofferto tanto non sarebbe il miglior motivo per non far soffrire gli altri.
Le pietre di Davide hanno cambiato mano, ora sono i palestinesi che le lanciano. Golia sta dall’altra parte, armato ed equipaggiato come non lo è mai stato alcun soldato nella storia delle guerre, salvo, chiaramente, l’amico ame¬ricano. Ah, sì, le orrende mattanze di civili causate da quelli che vengono chiamati terroristi suicidi... Orrende, sì, senza dubbio, condannabili, sì, senza dubbio. Ma Israele ha ancora molto da imparare se non è capace di comprendere le ragioni che possono portare un essere umano a trasformarsi in una bomba.
José Saramago
“El Pais”, 21 aprile 2002
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Paolo Rizzi - 2024/10/28 - 20:53
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Alabarde alabarde - Omaggio a Josè Saramago.
Saramago è morto nel mese di ottobre del 2010,. Pochi giorni fa, per caso, mi sono imbattuto nel suo libro incompiuto: Alabarde alabarde. Ricordo gli altri splendidi libri letti in questi anni specialmente gli ultimi: Cecità, Il vangelo secondo Gesù e Caino. Ora gli sono ancora più grato perché questo ultimo libro incompiuto mi ha suggerito le parole per una canzone utile a riflettere sulla “banalità del male”. Nel suo libro questo atteggiamento è incarnato nel personaggio di Artur Paz che aveva così bene definito nei tre capitoli completati. Gli sono grato anche per lo stimolo a vedere il film L’Espoir, un capolavoro del 1938 realizzato dallo scrittore e regista André Malraux per sostenere la lotta contro Franco. Ho scelto alcune immagini di questo film per il video della canzone a cui si aggiungono immagini di una fabbrica di armi in Sardegna e altre della più grande fiera europea di armi quella di Parigi del 2024. La musica invece ha rubato un ritmo capoverdiano di un artista che avevo incontrato in Mali anni fa.
Artur Paz Semedo, impiegato di una storica fabbrica d'armi, le Produzioni Bellona SA., e intenditore di film bellici, viene profondamente colpito da alcune commoventi immagini de "L'Espoir", di André Malraux, cui assiste casualmente. La successiva lettura del libro, che pare già provocare un'impercettibile incrinatura nelle sue certezze di amante appassionato delle armi da fuoco, e, poco dopo, il suggerimento della ex moglie Felicia, una pacifista convinta, di investigare negli archivi dell'azienda per scoprire se le Produzioni Bellona SA. abbiano mai venduto armamenti ai fascisti lo avviano verso un'avventura che purtroppo non sapremo, pur potendolo immaginare da fedeli lettori di José Saramago, fin dove lo avrebbe condotto.
Alabarde alabarde prometteva di essere un romanzo bellissimo e di grande attualità. Le armi, la guerra, l’economia, l’individuo, la politica sono i temi che il Nobel portoghese aveva urgenza di affrontare. Trama e personaggi erano strumenti che padroneggiava con magistrale destrezza. Tutto è lì, in queste pagine che ci ha lasciato c’è già tutto, tracciato con impeccabile perfezione, ma incompiuto.
Disse Saramago: