Vi canterò di un nobile brigante
che la mia terra un giorno dominò,
fu nominato re della Maremma
e per trent'anni il regno suo durò.
Fece tremare il cuore dei signori
e a chi mancava il pane lui portò,
ed ebbe in cambio tradimenti e amori
e mai che fosse si dimenticò.
Domenico Tiburzi era il suo nome
e nelle notti tristi e senza luna,
col suo fucile stretto sopra il cuore
sfidava la tempesta e la fortuna.
Quando la pioggia gli batteva in viso
si rifugiava dentro alla sua tana,
pensando alle carezze di sua madre
alla sua donna e alla libertà lontana.
La libertà perduta una mattina
quando il destino infame lo aspettò
e in mezzo al campo grande del padrone
un fascio d'erba la vita gli cambiò.
Così a trent'anni conobbe la prigione
e all'ingiustizia la sua anima gridò,
le sbarre diventarono cartone
e come uccello libero volò.
Dormì sotto le stelle e la foresta
più folta e nera in seno lo abbracciò,
signore diventò della Maremma
che tutta ai piedi gli si inginocchiò.
Ma il tempo che passa a va veloce
non ha pietà ne di briganti ne di eroi,
così che la legenda di Tiburzi
arriva sola agli anni fino a noi.
Si dice che una sera alle Forane
mentre felice con gli amici sta,
all'abbaio serrato del suo cane
scatta l'agguato e non si salverà.
Con gli occhi tristi ed i capelli grigi
ed un pensiero che nessuno leggerà,
fu esposto alla curiosità del mondo
come animale di grande rarità.
Legato stretto a un palo fu lasciato
che la sua gente lo venisse a visitar,
ci fu chi pianse lacrime sincere
chi ebbe paura che tornasse a respirar.
Così nel campo santo fu portato
senza saluto e ne benedizione,
per metà nel terreno consacrato
l'altra metà nell'eterna perdizione.
Ed io che ho scritto questi versi con il cuore
so che nessuno ormai lo scorderà
e quando passerà per quelle mura
un pensiero e un fiore gli dedicherà.
che la mia terra un giorno dominò,
fu nominato re della Maremma
e per trent'anni il regno suo durò.
Fece tremare il cuore dei signori
e a chi mancava il pane lui portò,
ed ebbe in cambio tradimenti e amori
e mai che fosse si dimenticò.
Domenico Tiburzi era il suo nome
e nelle notti tristi e senza luna,
col suo fucile stretto sopra il cuore
sfidava la tempesta e la fortuna.
Quando la pioggia gli batteva in viso
si rifugiava dentro alla sua tana,
pensando alle carezze di sua madre
alla sua donna e alla libertà lontana.
La libertà perduta una mattina
quando il destino infame lo aspettò
e in mezzo al campo grande del padrone
un fascio d'erba la vita gli cambiò.
Così a trent'anni conobbe la prigione
e all'ingiustizia la sua anima gridò,
le sbarre diventarono cartone
e come uccello libero volò.
Dormì sotto le stelle e la foresta
più folta e nera in seno lo abbracciò,
signore diventò della Maremma
che tutta ai piedi gli si inginocchiò.
Ma il tempo che passa a va veloce
non ha pietà ne di briganti ne di eroi,
così che la legenda di Tiburzi
arriva sola agli anni fino a noi.
Si dice che una sera alle Forane
mentre felice con gli amici sta,
all'abbaio serrato del suo cane
scatta l'agguato e non si salverà.
Con gli occhi tristi ed i capelli grigi
ed un pensiero che nessuno leggerà,
fu esposto alla curiosità del mondo
come animale di grande rarità.
Legato stretto a un palo fu lasciato
che la sua gente lo venisse a visitar,
ci fu chi pianse lacrime sincere
chi ebbe paura che tornasse a respirar.
Così nel campo santo fu portato
senza saluto e ne benedizione,
per metà nel terreno consacrato
l'altra metà nell'eterna perdizione.
Ed io che ho scritto questi versi con il cuore
so che nessuno ormai lo scorderà
e quando passerà per quelle mura
un pensiero e un fiore gli dedicherà.
envoyé par Dq82 - 26/3/2024 - 13:02
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“Ballata di Tiburzi” della cantautrice folk Silvana Pampanini, che lei stessa cantò in una versione a cappella per il film “Tiburzi”, regia di Paolo Benvenuti del 1996.
Su Domenico Tiburzi si vedano anche Il brigante Tiburzi, Lettera del brigante Tiburzi dal Paradiso, Il sentiero dei briganti e Domenico Tiburzi. [DQ82]