Et sèntit Piero chèl chè i völ fa
Zó sóta ól Glé, chèi de Milà,
I fa öna diga sura ól nòst có,
Prègóm chè ö dé la ègnès mìa zö. [1]
Notèr n’laura, n’sè mìa dutur,
N’và in miniera, n’fà i muradur,
Ma n’sa chè ö mür con póc cèmènt
èl vé zó co l’àiva, el vé zó cón niènt. [2]
Piero l’ghè piö, mé ma sènte mal,
L’è n’sèma a tacé n’fónt a la àl,
La diga la sé rumpida nèl mès,
L’ha portat vià i paés zó nèl Dès. [3]
Isè ghè scrìt söl so giornàl,
I fa i poeti, i töl pèr ól cöl,
I fa i sò afàré, i fa le magagne,
Dopo la culpa l’è dè lé montagne. [4]
N’gà ché i morcc amò de sótrà,
E stó preòst èl völ pèrdunà,
Ghè n’pé piö öna ca, ghè zó piö una sésa,
E lü l’domanda i sólcc pèr la césa. [5]
Zó a Dès ìa cèntvotantòtt,
I paisà, nè rèstàt òt,
Dét a la àl gh’è sichsènto morcc,
E lur è lé ché i cönta amò i sólcc. [6]
Có l’aria che tira èl saltèra fò
Chè la culpa l’è nòsta sè l’è gnìda zó,
él sarà bél sè stó procés
I ghè l’fa mìa a chèi dèl Dès. [7]
Zó sóta ól Glé, chèi de Milà,
I fa öna diga sura ól nòst có,
Prègóm chè ö dé la ègnès mìa zö. [1]
Zitti bifolchi stolti e ignoranti,
Diamo valore ai nostri monti,
Siamo il futuro, la nuova età,
Noi vi doniamo la civiltà.
Diamo valore ai nostri monti,
Siamo il futuro, la nuova età,
Noi vi doniamo la civiltà.
Notèr n’laura, n’sè mìa dutur,
N’và in miniera, n’fà i muradur,
Ma n’sa chè ö mür con póc cèmènt
èl vé zó co l’àiva, el vé zó cón niènt. [2]
Che ne sapete, voi manovali,
Scienza e opinione non sono uguali,
Non si va a naso, qui c’è un progetto,
C’è l’ingegnere, c’è l’architetto.
Scienza e opinione non sono uguali,
Non si va a naso, qui c’è un progetto,
C’è l’ingegnere, c’è l’architetto.
Piero l’ghè piö, mé ma sènte mal,
L’è n’sèma a tacé n’fónt a la àl,
La diga la sé rumpida nèl mès,
L’ha portat vià i paés zó nèl Dès. [3]
Dove rombò la morte implacabile
S’alza l’augurio di giovinezza,
Segn’ di rivincita, simbol di lotta,
Pugna perenne tra uomo e natura.
S’alza l’augurio di giovinezza,
Segn’ di rivincita, simbol di lotta,
Pugna perenne tra uomo e natura.
Isè ghè scrìt söl so giornàl,
I fa i poeti, i töl pèr ól cöl,
I fa i sò afàré, i fa le magagne,
Dopo la culpa l’è dè lé montagne. [4]
Desideriamo, vostra maestà,
Una chiesetta dove pregar
Per i nostri morti ed insegnar
Ai figli a piangere e non a odiar.
Una chiesetta dove pregar
Per i nostri morti ed insegnar
Ai figli a piangere e non a odiar.
N’gà ché i morcc amò de sótrà,
E stó preòst èl völ pèrdunà,
Ghè n’pé piö öna ca, ghè zó piö una sésa,
E lü l’domanda i sólcc pèr la césa. [5]
Chiedete troppo, scrive l’impresa,
Voi non potete aver la pretesa
Di noi ridurre miseri e tristi
Siate sensati, non egoisti.
Voi non potete aver la pretesa
Di noi ridurre miseri e tristi
Siate sensati, non egoisti.
Zó a Dès ìa cèntvotantòtt,
I paisà, nè rèstàt òt,
Dét a la àl gh’è sichsènto morcc,
E lur è lé ché i cönta amò i sólcc. [6]
Non ci fu dolo, non ci fu offesa,
Dice il collegio della difesa,
A far cadere muri e pilastri
Fu un attentato degli anarchisti.
Dice il collegio della difesa,
A far cadere muri e pilastri
Fu un attentato degli anarchisti.
Có l’aria che tira èl saltèra fò
Chè la culpa l’è nòsta sè l’è gnìda zó,
él sarà bél sè stó procés
I ghè l’fa mìa a chèi dèl Dès. [7]
Zitti: la legge è uguale per tutti,
Darem giustizia ai vostri lutti.
Sei sono assolti, ma due condannati
A ben tre anni, ma due condonati.
Zitti: la legge per tutti e uguale,
E tratta il ricco come il manovale
E la condanna a nessuno fa torto,
Un dì di pena per ogni morto.
Zitti: la legge per tutti e uguale,
E tratta il ricco come il manovale
E la condanna a nessuno fa torto,
Un dì di pena -quasi- per ogni morto.
Darem giustizia ai vostri lutti.
Sei sono assolti, ma due condannati
A ben tre anni, ma due condonati.
Zitti: la legge per tutti e uguale,
E tratta il ricco come il manovale
E la condanna a nessuno fa torto,
Un dì di pena per ogni morto.
Zitti: la legge per tutti e uguale,
E tratta il ricco come il manovale
E la condanna a nessuno fa torto,
Un dì di pena -quasi- per ogni morto.
Traduzione delle strofe in bergamasco
[1] Hai sentito, Piero, quel che voglion fare
Giù sotto il Gleno, quelli di Milano.
Fanno una diga sopra il nostro collo,
Preghiamo perché non venga giù.
[2] Noialtri si lavora, non siamo mica dottori,
Noi si va in miniera, facciamo i muratori,
Ma sappiamo che il muro con poco cemento
Viene giù con l’acqua, viene giù con niente.
[3] Piero non c’è più, io mi sento male,
E’ lassù che tace in fondo alla valle,
La diga si è spezzata nel mezzo,
Ha portato via i paesi giù nel Dezzo.
[4] C’è scritto sul loro giornale,
Fanno i poeti, ci prendono per il culo.
Fanno i loro affari, fanno le magagne.
E dopo la colpa è delle montagne.
[5] Ancora ci abbiamo i morti da sotterrare,
E ‘sto prete vuol già perdonare,
Non c’è più una casa, non c’è più una siepe,
E lui domanda i soldi per la chiesa.
[6] Giù a Dezzo erano in centoottantotto
I paesani, ne son restati otto.
Nella valle ci son seicento morti,
E loro son lì che contano ancora i soldi.
[7] Con l’aria che tira salterà fuori
Che è colpa nostra se è venuta giù,
Sarà già bello se questo processo
Non lo faranno a quelli di Dezzo.
[1] Hai sentito, Piero, quel che voglion fare
Giù sotto il Gleno, quelli di Milano.
Fanno una diga sopra il nostro collo,
Preghiamo perché non venga giù.
[2] Noialtri si lavora, non siamo mica dottori,
Noi si va in miniera, facciamo i muratori,
Ma sappiamo che il muro con poco cemento
Viene giù con l’acqua, viene giù con niente.
[3] Piero non c’è più, io mi sento male,
E’ lassù che tace in fondo alla valle,
La diga si è spezzata nel mezzo,
Ha portato via i paesi giù nel Dezzo.
[4] C’è scritto sul loro giornale,
Fanno i poeti, ci prendono per il culo.
Fanno i loro affari, fanno le magagne.
E dopo la colpa è delle montagne.
[5] Ancora ci abbiamo i morti da sotterrare,
E ‘sto prete vuol già perdonare,
Non c’è più una casa, non c’è più una siepe,
E lui domanda i soldi per la chiesa.
[6] Giù a Dezzo erano in centoottantotto
I paesani, ne son restati otto.
Nella valle ci son seicento morti,
E loro son lì che contano ancora i soldi.
[7] Con l’aria che tira salterà fuori
Che è colpa nostra se è venuta giù,
Sarà già bello se questo processo
Non lo faranno a quelli di Dezzo.
envoyé par Riccardo Venturi - 21/2/2024 - 12:06
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Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel: Andrea Polini
Alla fine del 2022 mi ero accorto che, a breve, sarebbe stato il 99° anniversario del disastro del Gleno -vale a dire, la “solita storia” quarant’anni prima del Vajont e anche pochi anni prima (1935) dell’analogo disastro del Molare. Avevo quindi, coscienziosamente assai, trascritto questa canzone di Andrea Polini (cantautore bergamasco sul quale in Rete persiste la pressoché totale mancanza di informazioni) su un file di testo, ripromettendomi di inserirla il 1° dicembre 2023, centesimo anniversario della “tragedia” (meglio sarebbe dire: la strage criminale). Solo che, nel frattempo, il computer sul quale avevo tutto il materiale è andato alla malora -caso frequente, essendo il sottoscritto un tritacomputer di provata fama- e sono andato alla malora un po’ anch’io. Cosicché, il 1° dicembre 2023, non ho inserito un bel nulla anche perché, chiaramente, me n’ero completamente dimenticato. Stamani, vedendo la canzone di Giorgio Cordini sul Gleno, scritta appositamente proprio nel 2023 e inserita assai opportunamente da Dq82, mi sono prima tirato un nocchino da solo, e poi ho ricominciato tutto da capo: trascrizione, traduzione sommaria dal bergamasco, video...tra parentesi, mi ricordo d’avere scritto anche una corposa introduzione, uno dei miei pipponi inenarrabili, che però, ed ovviamente, è andata persa. Pazienza. Tanto, dicembre o febbraio, non fa nulla. Non fanno nulla nemmeno cent’anni fa o l’altro ieri, in questo paese. Dighe, terremoti, cantieri, viadotti, alluvioni ponti...questo paese è tutto una catastrofe, continua e scientifica. [RV]
Canzone con testo alternato in dialetto bergamasco per la voce della gente semplice, in italiano per la voce dei potenti.
La diga del Gleno era uno sbarramento sul torrente Gleno costruito dall'impresa di Galeazzo Viganò. Crollò il primo Dicembre 1923, causando un'immane tragedia. Oltre 356 morti, secondo la stima ufficiale, ma le vittime furono molte di più.
Il disastro sconvolse la Valle di Scalve in provincia di Bergamo, distrusse i paesi di Bueggio, Dezzo di Azzone, alcune centrali elettriche della zona e colpì Gorzone, Corna e Darfo in Val Camonica in provincia di Brescia.
Si svolse un processo che infine si concluse con la condanna dei colpevoli del disastro alla pena di 3 anni e 4 mesi di detenzione, l'ing. Giovanni Battista Santangelo e il cav. Virglio Viganò della ditta Galeazzi Viagnò di Ponte Abbiate, costruttrice della diga, mentre l'appaltatore dei lavori, Luigi Vita, venne assolto per non avere commesso il fatto. La sentenza escludeva inoltre ogni responsabilità civile da parte dei convenuti Paolo, Giulio, Antonio, Carlo e Giuseppina Viganò della ditta Viganò.
Contro l'esito del giudizio fu interposto appello tanto dagli imputati quanto dalle parti civili e dal Pubblico Ministero, per quanto si riferiva all'entità delle pene. Nel frattempo il cav. Virgilio Viganò decedeva rimanendo in causa soltanto l'ing. Santangelo, mentre i danni civili erano stati in gran parte risarciti con somme irrisorie che la povera gente accettò perché era nel bisogno.
Il 20 novembre 1928 il processo si svolse in Corte d'Appello. La Difesa dei civilmente responsabili, ha sollevato alcuni incidenti tendenti ad escludere le parti civili dall'odierno dibattito. Respinte, tuttavia, le varie eccezioni, il processo ha avuto la sua prosecuzione con la ripresa degli interrogatori e la discussione sulla relazione fatta dal consigliere cav. Testa. Il Pubblico Ministero, sostenendo pienamente i motivi di appello, espone una lunga e dettagliata disanima della causa concludendo con la richiesta di estinzione dell'azione penale per l'intervenuto decesso nei riguardi di Viganò e di condanna del Santangelo, quale condirettore dei lavori a 6 anni e 8 mesi e 8.333 lire di multa.
La Corte d'Appello, riunitasi nel pomeriggio del 27 novembre 1928 respinse le conclusioni del Pubblico Ministero e assolse l'imputato ingegnere Santangelo per "insufficienza di prove". (La Stampa del 28 nov. 1928).