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È mortu l’asetu [L'asetu de Barba Pitrin]

Léon Camugli
Language: Italian (Ligure Bonifacino / Bonifacio Ligurian)


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[XIX secolo / 19th Century / 19ème siècle]
Testo / Lyrics / Paroles / Sanat: Léon Camugli
Musica / Music / Musique / Sävel: ?

Carissimi Marco Valdo e Lucien Lâne, ho visto -”visto” è una parola grossa attualmente per me, ma vabbè…- il “bentornato” che mi avete fatto l’altro giorno sulla pagina di Kylä vuotti uutta kuuta con la relativa versione in francese; una cosa che, come potrete ben immaginare, mi ha fatto molto piacere. Avevo così pensato di ringraziarvi su quella pagina. Però, nel frattempo, è successa una cosa abbastanza singolare, che vi devo raccontare proprio.

Come sempre succede da queste parti, bisogna partire da un’altra canzone. Parecchio tempo fa, e più esattamente nel 2013, avevo inserito nel sito una canzone che parlava di uno sciopero di braccianti accaduto in quel di Bonifacio, nella Corsica meridionale, attorno al 1911; canzone scritta nella lingua locale, che non è né il francese, né il còrso e né tantomeno l’italiano: è un antico dialetto ligure (o genovese che dir si voglia) rimasto lì cristallizzato da secoli. E’ come se, a Bonifacio, si parlasse ancora il genovese di sei o sette secoli fa. Sulla quella pagina è spiegato tutto, e non mi dilungo oltre; va detto però che l’autore del testo della canzone, A greva di i pialinchi (“Lo sciopero dei braccianti”) veniva identificato come tale Léon Camugli, su quale nessuno sapeva assolutamente nulla. Avevo quindi lasciato disperatamente vuoto lo spazio biografico, e me ne dispiaceva assai.

Son passati oltre dieci anni, ed ecco che, proprio nel bel mezzo del mio “congedo temporaneo” dovuto a cataratte varie ed altri accidenti, ricevo una e-mail, o courriel che dir si voglia. Ora, già è ben nota la mia scarsa attitudine alla comunicazione in rete ancorché in condizioni normali; figurarsi quando in condizioni normali non sono. Però, pochi giorni fa, appiccicato al monitor, mi sono deciso a dare un’occhiata a quella povera casella di posta e, in mezzo alle consuete tonnellate di spam, di proposte di colossali investimenti finanziari in Nigeria e di comunicazioni di improbabili gruppuscoli anarchisti, c’era una letterina di una signora francese che, in un ottimo italiano, mi scriveva a proposito di suo nonno e delle canzoni che scriveva in dialetto bonifacino. Suo nonno era, pensate un po’, Léon Camugli. Proprio quel Léon Camugli sul quale non si sapeva nulla, e che aveva scritto la canzone sullo sciopero dei braccianti del 1911.

Accompagnava la lettera una nota biografica, redatta dalla gentilissima nipote, nella quale si ricostruiva, pur per sommi capi, una vita. Purtroppo abbastanza breve: Arthur Léon Dominique Camugli era nato a Bonifacio nel 1885 ed era morto nel 1920, a soli trentacinque anni, per le conseguenze di una ferita di guerra andata in cancrena. La famiglia Camugli, come tante, aveva sofferto grandemente per la guerra: il fratello maggiore di Léon, Albert, nato nel 1882, era morto l’11 ottobre 1914 nei combattimenti a Roclincourt, vicino ad Arras. Sembra che Léon Camugli abbia passato gli anni dell’adolescenza a Montpellier; a Bonifacio, la famiglia Camugli teneva un bazar, o emporio di drogheria e ferramente, in quella che adesso si chiama “Rue De Gaulle”. Insomma, ecco delineata, sia pure per sommi capi, una vita finita troppo presto grazie alla guerra.

Léon Camugli, scrive sua nipote, era anche corrispondente di un giornale. In particolare, scrisse articoli molto convinti per sostenere il prolungamento del treno fino a Bonifacio, in modo che la cittadina fosse finalmente inserita nell’economia generale dell’Île de Beauté. Però tutto fu vano: niente treno. E qui, comincia a precisarsi meglio il senso, cari Marco Valdo e Lucien Lâne, di questa mia “dedica” che vi faccio con questa introduzione, a mo’ di ringraziamento.

Sì, perché, grandemente deluso dal mancato arrivo del treno a Bonifacio, Léon Camugli fece stampare una cartolina satirica intitolata: “Le train de Bonifacio”, nella quale si vedeva un asino morto di stanchezza all’entrata della città, in mezzo al cordoglio di poche persone. Secondo Léon Camugli, l’unico mezzo di comunicazione con Bonifacio restava, dunque, l’asino.

Ma Léon Camugli doveva già avere un rapporto speciale con gli asierni; sua nipote, infatti, allega alla sua lettera il testo di una canzone che parla proprio di un asino, l’asino Murisgin (credo che questo nome abbia a che fare con una parola che significa “spugnola”, ma non ne sono certo). La signora ne fornisce un testo con una grafia antiquata del bonifacino, che del resto penso sia quella autentica. Questo perché, in realtà, la canzone è ben nota e se ne trovano testi in rete (ad esempio su Bonifaziu in versi) ed anche un video (qui riportato) dove la canzone è interpretata dal gruppo dei Gargarozzi, gli stessi che hanno interpretato anche A greva di i pialinchi (del resto nel medesimo album di canti tradizionali bonifacini, Bunifazziu in cantu - qui l’intero album). I testi presenti sono però in grafia “normalizzata”, e non in quella della versione fornitami dalla signora, nipote dell’autore (la quale, peraltro, si trova in questa forma in un’altra pagina, Poèmes et chants bonifaciens. Ovviamente, riporto il testo della canzone anche in questa forma che, ripeto, deve essere quella veramente originale. Ma non voglio tediarvi oltre con tutte queste considerazioni filologiche, e quindi passo oltre -non senza un accenno al fatto che, secondo i Gargarozzi, la melodia, di autore sconosciuto, sembra essere ripresa dal famoso canto occitano Se canto, perlomeno come linea melodica.

La canzone si chiama: È mortu l’asetu (“E’ morto l’asinello”), oppure: L’asetu de barba Pitrin (“L’asinello di zio Pierino”, o “del vecchio Pierino”). Era appunto questa la dedica che volevo farvi, anche come ringraziamento. Una canzone su un asino. Mi direte, forse, che come dedica non è un gran ché, visto che si parla di un asino morto dopo avere sgobbato come -appunto come un somaro- per tutta la sua vita. Ciononostante, dalla canzone appare molto bene quella che è la relazione tra l’uomo e l’asino, très fusionnelle nel nome dello sgobbo, del lavoro, della fatica. Si capisce che tra l’asino e l’uomo-asino si crei un rapporto speciale, e che quando l’asino muore (in questo caso ferendosi con uno stecco spinoso: sembra quasi una sorta di presagio per Léon Camugli, morto per una ferita di guerra. Il povero asino Murisgin, a suo modo, muore nella stessa maniera durante la quotidiana guerra del lavoro), muoia anche una parte del suo “padrone”, che qui mi piace però chiamare amico. Anzi: un vero fratello, come si dice espressamente nel testo. Così, penso che la dedica che vi faccio in queste circostanze, possa essere più chiara e sentita. [RV]
E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!
E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!


Sun ün poviru disgrazziaiu
Nun sò ciü comu farò
Murisgin si n’è andaiu
Mai ciü nun purò
Rimpiazzà quela bestia
Di tantu qualità
Che a mari di a natüra
G’aveva püssüu dà.

È mortu l’asetu di u barba Pitrin
è mortu firiu di u stecu inant’u spin.
È mortu l’asetu, hà tiraiu u gambin
hà tiraiu ün petu, poviru Murisgin.


Mi purtava in campagna
Tütu u mundu ru sà
Sacheti e bariloti
E feri da zapà;
A sera cargu intrava
Invernu comu està
Di ciachiri e di legni
Mi ri purtava in cà.

È mortu l’asetu di u barba Pitrin
è mortu firiu di u stecu inant’u spin.
È mortu l’asetu, hà tiraiu u gambin
hà tiraiu ün petu, poviru Murisgin.


Mi serviva di rilioru
E di réveillle-matin
Tüti i metini à listess’ura
Mi cantava u se refrain;
Cantava à mizugiurnu
A sera pè intrà
R’amavu vi ru züru
Comu füssi ün viru frà.

È mortu l’asetu di u barba Pitrin
è mortu firiu di u stecu inant’u spin.
È mortu l’asetu, hà tiraiu u gambin
hà tiraiu ün petu, poviru Murisgin.


Quand’andavu in Sant’Amanza
Ru cargavu di mirun
Rivignivu in Bunifazziu
Ri vindivu ün patacun;
Aveva u se matragiu
Comu quelu d’u campanun
Quandu videva l’asinina
Ru purtava à sbandagiun.

È mortu l’asetu di u barba Pitrin
è mortu firiu di u stecu inant’u spin.
È mortu l’asetu, hà tiraiu u gambin
hà tiraiu ün petu, poviru Murisgin.


G’aveva di difeti
G’aveva di vertü
Si mangiava a bascira
E stripava u basgiacü;
R’ho suteraiu o pia d’u figu
Interaiu l’atru metin
Tüti i giurni ghi digu
« Requiem eterna » Murisgin!

È mortu l’asetu di u barba Pitrin
è mortu firiu di u stecu inant’u spin.
È mortu l’asetu, hà tiraiu u gambin
hà tiraiu ün petu, poviru Murisgin.

E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!
E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!

E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!
E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!

Contributed by Riccardo Venturi - 2024/2/8 - 10:36




Language: Italian

Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Riccardo Venturi, 8-2-2024 10:48

La traduzione è ancora incerta, specialmente per un paio di termini (“ciachiri” e “bascira”) che proprio non intendo. In rete si trovano alcune canzoni in bonifacino tradotte in francese, ma non questa. Attendo qualche chiarimento da parte della sig.ra Catherine Camugli Gallardo, ovviamente con tutto comodo. Nel frattempo, questa deve essere considerata una traduzione provvisoria. [RV]
È morto l’asinello [L’asinello di zio Pierino]

E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!
E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!

Sono un povero disgraziato,
Non so più come farò
Murisgin se n’è andato
E mai più io potrò
Rimpiazzare quella bestia
Che aveva tante qualità
Che madre natura
Gli aveva potuto dare.

E’ morto l’asinello di zio Pierino,
è morto ferito da uno stecco spinoso.
E’ morto l’asinello, ha steso la zampina,
ha mollato una scoreggia, povero Murisgin.


Mi portava in campagna,
Tutti lo sanno,
Sacchetti, barilotti
E attrezzi per zappare;
La sera, entrava carico,
D’inverno come in estate,
Di ciachiri [?] e di legna
Me li portava in casa.

E’ morto l’asinello di zio Pierino,
è morto ferito da uno stecco spinoso.
E’ morto l’asinello, ha steso la zampina,
ha mollato una scoreggia, povero Murisgin.


Mi serviva da orologio
E da sveglia,
Tutte le mattine alla stessa ora
Mi cantava il suo ritornello;
Cantava a mezzogiorno,
La sera per entrare,
Lo amavo, ve lo giuro,
Come fosse un vero fratello.

E’ morto l’asinello di zio Pierino,
è morto ferito da uno stecco spinoso.
E’ morto l’asinello, ha steso la zampina,
ha mollato una scoreggia, povero Murisgin.


Quando andavo in Santa Manza [1]
Lo caricavo di meloni,
Tornavo a Bonifacio,
E li vendevo per un soldo;
Ci aveva il suo battacchio
Come quello del campanone,
Quando vedeva l’asinella
Gli si rizzava, [2]

E’ morto l’asinello di zio Pierino,
è morto ferito da uno stecco spinoso.
E’ morto l’asinello, ha steso la zampina,
ha mollato una scoreggia, povero Murisgin.


Aveva dei difetti,
Aveva delle virtù,
Si mangiava la bascira [?]
E strippava il sottocoda; [3]
L’ho sotterrato sotto un fico,
Sotterrato l’altra mattina,
E tutti i giorni gli dico:
“Requiem aeternam, Murisgin!”

E’ morto l’asinello di zio Pierino,
è morto ferito da uno stecco spinoso.
E’ morto l’asinello, ha steso la zampina,
ha mollato una scoreggia, povero Murisgin.

E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!
E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!

E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!
E zumba lalalalalaleru, e zumba lalalalalala!

2024/2/8 - 10:51




Language: Italian (Ligure Bonifacino / Bonifacio Ligurian)

La versione in grafia "tradizionale" / Version in "traditional" spelling / Version en ortographe "traditionnelle" / Versio "perinteisellä" oikeinkirjoituksella
Sun ün poviru disgrazziau,
Nun so ciü, commu faro,
Murijin sin'è andau,
Mai ciü, nun puro,
Rimpiazzà quéla béstia,
Di tantu qualità,
Chè a madri di a natüra,
Gh'avéva pissüu dà.

E mortu l'asétu
di u barba pitrin,
è mortu u firiu,
di u stécu in anta o spin.
E mortu l'asétu,
a tirau u gambin,
a tirau u pétu,
Povéru Murigin.

Mi purtava in campagnia,
Tütu mundu ru sà,
Sachéti é bariloti,
É fèri da tsappà,
A séra cargu, intrava,
Invernu commu està,
Di ciachiri é di légni,
i ri purtava in cà.

E mortu l'asétu
di u barba pitrin,
è mortu u firiu,
di u stécu in anta o spin.
E mortu l'asétu,
a tirau u gambin,
a tirau u pétu,
Povéru Murigin.

I serviva di rilioru,
di réveille-matin,
tütti métini, a listéss'ura,
i cantava u sè refrain.
antava a mizu giurnu,
a séra pè intrà,
r'amavu vi ru züru
commu ün viru frà.

E mortu l'asétu
di u barba pitrin,
è mortu u firiu,
di u stécu in anta o spin.
E mortu l'asétu,
a tirau u gambin,
a tirau u pétu,
Povéru Murigin.

Quandu andavu in Santa-Manza,
ru cargavu di mirùn,
rivignivu in bunifazziu,
ri vindivu un patacùn.
Avéva u se matraggiu,
commu quélu du campanùn,
quandu vidéva l'asinina,
ru purtava a sbandagnùn.

E mortu l'asétu
di u barba pitrin,
è mortu u firiu,
di u stécu in anta o spin.
E mortu l'asétu,
a tirau u gambin,
a tirau u pétu,
Povéru Murigin.

Avéva i sè difèti,
malgradu i sè vertü,
Si mangiava a bascira
é stripava u baja cü.
R'o suterrau o pia di figu
interrau l'atru métin,
tùtti i giurni, ghi, digu,
Requiem eterna murigin.

E mortu l'asétu
di u barba pitrin,
è mortu u firiu,
di u stécu in anta o spin.
E mortu l'asétu,
a tirau u gambin,
a tirau u pétu,
Povéru Murigin.

Contributed by Riccardo Venturi - 2024/2/9 - 09:58




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