Mia madre si chiama Carmen Loi, è nata il 16 luglio del 1932. Nel ’43, durante uno dei devastanti bombardamenti su Cagliari, vide una donna fuggire con in braccio un bambino la cui testa era stata staccata quasi di netto dallo scoppio di una bomba.
La donna correva e la testa del bimbo, semi mozzata, ballonzolava: come in un’assurda danza!
…
Il tempo è passato, mia madre è invecchiata, ma i bambini di oggi, come quelli di ieri, li ammazzano i padri di altri bambini. Ai loro figli insegnano giochi, raccontano fiabe, ma il dolore sugli altri non fa altrettanto male.
Cos’è stata mai Cagliari
Condannata a bruciare?
La donna correva e la testa del bimbo, semi mozzata, ballonzolava: come in un’assurda danza!
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Il tempo è passato, mia madre è invecchiata, ma i bambini di oggi, come quelli di ieri, li ammazzano i padri di altri bambini. Ai loro figli insegnano giochi, raccontano fiabe, ma il dolore sugli altri non fa altrettanto male.
Cos’è stata mai Cagliari
Condannata a bruciare?
Contributed by Dq82 - 2023/12/1 - 08:55
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Uomini, bestie ed eroi
Quando eravamo bambini mia madre raccontò qualche volta a me e a mio fratello un racconto che nel tempo è rimasto tutto ciò che lei ci abbia mai raccontato della guerra e dei bombardamenti che rasero letteralmente al suolo Cagliari nel 1943.
Ora capisco che si trattava di un trauma potentissimo che non credo lei abbia mai superato.
La storia per esteso riguardava una suora vincenziana che fuggiva durante un bombardamento, come tutti del resto, come mia madre stessa. La suora portava in salvo un gruppo di bambini e ne teneva in braccio uno – “con la testa tagliata”, diceva mia madre in italiano. Non ho mai osato chiedere delucidazioni ulteriori. “Cun sa conca segada”, in sardo può voler dire sia che la testa non c’era più, sia che la testa era fracassata. Io non ho mai chiesto altro. Non so se la frase fosse stata formulata direttamente in italiano o tradotta letteralmente dal sardo. E non so neppure perché quando lei morì io scelsi di raccontare proprio questo di lei, piuttosto che le mille e mille altre cose che un figlio può scrivere in memoria di una madre e per fare i conti con un lutto così profondo.
Ad ogni modo, nella canzone non c’è assolutamente nessun riferimento alla mia vita privata e parimenti scompare ogni dettaglio che possa distrarre dal vero messaggio del brano: che non abbiamo imparato nulla da Cagliari che bruciava.
Ora Cagliari si chiama Aleppo, Afrin , Tripoli …
Poiché il racconto rimane comunque insopportabile, malgrado il linguaggio scarno del narratore, è stato necessario forzare pesantemente la forma canzone perché infine avessimo, paradossalmente, una canzone. Chitarra acustica sullo sfondo, ma soprattutto un basso interstellare e una batteria “esplosa” che meravigliosamente formano un tappeto sonoro incredibile sul quale si svolge sia la narrazione sia “s’atitidu” – il lamento funebre che costituisce la seconda parte del brano. Non c’è altro. Non serve altro.
E’ il brano attorno al quale, nelle mie intenzioni, ruota tutto l’album. Credo anche il brano più difficile e quello che piacerà di meno, ma anche il più bello e audace. Se questo brano, non avrei fatto uscire l’album