Mon oncle un fameux bricoleur
Faisait en amateur
Des bombes atomiques
Sans avoir jamais rien appris
C'était un vrai génie
Question travaux pratiques
Il s'enfermait tout' la journée
Au fond d'son atelier
Pour fair' des expériences
Et le soir il rentrait chez nous
Et nous mettait en trans'
En nous racontant tout
Pour fabriquer une bombe " A "
Mes enfants croyez-moi
C'est vraiment de la tarte
La question du détonateur
S'résout en un quart d'heur'
C'est de cell's qu'on écarte
En c'qui concerne la bombe " H "
C'est pas beaucoup plus vach'
Mais un' chos' me tourmente
C'est qu'cell's de ma fabrication
N'ont qu'un rayon d'action
De trois mètres cinquante
Y a quéqu'chos' qui cloch' là-d'dans
J'y retourne immédiat'ment
Il a bossé pendant des jours
Tâchant avec amour
D'améliorer l'modèle
Quand il déjeunait avec nous
Il avalait d'un coup
Sa soupe au vermicelle
On voyait à son air féroce
Qu'il tombait sur un os
Mais on n'osait rien dire
Et pis un soir pendant l'repas
V'là tonton qui soupir'
Et qui s'écrie comm' ça
A mesur' que je deviens vieux
Je m'en aperçois mieux
J'ai le cerveau qui flanche
Soyons sérieux disons le mot
C'est même plus un cerveau
C'est comm' de la sauce blanche
Voilà des mois et des années
Que j'essaye d'augmenter
La portée de ma bombe
Et je n'me suis pas rendu compt'
Que la seul' chos' qui compt'
C'est l'endroit où s'qu'ell' tombe
Y a quéqu'chose qui cloch' là-d'dans,
J'y retourne immédiat'ment
Sachant proche le résultat
Tous les grands chefs d'Etat
Lui ont rendu visite
Il les reçut et s'excusa
De ce que sa cagna
Etait aussi petite
Mais sitôt qu'ils sont tous entrés
Il les a enfermés
En disant soyez sages
Et, quand la bombe a explosé
De tous ces personnages
Il n'en est rien resté
Tonton devant ce résultat
Ne se dégonfla pas
Et joua les andouilles
Au Tribunal on l'a traîné
Et devant les jurés
Le voilà qui bafouille
Messieurs c'est un hasard affreux
Mais je jur' devant Dieu
En mon âme et conscience
Qu'en détruisant tous ces tordus
Je suis bien convaincu
D'avoir servi la France
On était dans l'embarras
Alors on l'condamna
Et puis on l'amnistia
Et l'pays reconnaissant
L'élut immédiat'ment
Chef du gouvernement
Faisait en amateur
Des bombes atomiques
Sans avoir jamais rien appris
C'était un vrai génie
Question travaux pratiques
Il s'enfermait tout' la journée
Au fond d'son atelier
Pour fair' des expériences
Et le soir il rentrait chez nous
Et nous mettait en trans'
En nous racontant tout
Pour fabriquer une bombe " A "
Mes enfants croyez-moi
C'est vraiment de la tarte
La question du détonateur
S'résout en un quart d'heur'
C'est de cell's qu'on écarte
En c'qui concerne la bombe " H "
C'est pas beaucoup plus vach'
Mais un' chos' me tourmente
C'est qu'cell's de ma fabrication
N'ont qu'un rayon d'action
De trois mètres cinquante
Y a quéqu'chos' qui cloch' là-d'dans
J'y retourne immédiat'ment
Il a bossé pendant des jours
Tâchant avec amour
D'améliorer l'modèle
Quand il déjeunait avec nous
Il avalait d'un coup
Sa soupe au vermicelle
On voyait à son air féroce
Qu'il tombait sur un os
Mais on n'osait rien dire
Et pis un soir pendant l'repas
V'là tonton qui soupir'
Et qui s'écrie comm' ça
A mesur' que je deviens vieux
Je m'en aperçois mieux
J'ai le cerveau qui flanche
Soyons sérieux disons le mot
C'est même plus un cerveau
C'est comm' de la sauce blanche
Voilà des mois et des années
Que j'essaye d'augmenter
La portée de ma bombe
Et je n'me suis pas rendu compt'
Que la seul' chos' qui compt'
C'est l'endroit où s'qu'ell' tombe
Y a quéqu'chose qui cloch' là-d'dans,
J'y retourne immédiat'ment
Sachant proche le résultat
Tous les grands chefs d'Etat
Lui ont rendu visite
Il les reçut et s'excusa
De ce que sa cagna
Etait aussi petite
Mais sitôt qu'ils sont tous entrés
Il les a enfermés
En disant soyez sages
Et, quand la bombe a explosé
De tous ces personnages
Il n'en est rien resté
Tonton devant ce résultat
Ne se dégonfla pas
Et joua les andouilles
Au Tribunal on l'a traîné
Et devant les jurés
Le voilà qui bafouille
Messieurs c'est un hasard affreux
Mais je jur' devant Dieu
En mon âme et conscience
Qu'en détruisant tous ces tordus
Je suis bien convaincu
D'avoir servi la France
On était dans l'embarras
Alors on l'condamna
Et puis on l'amnistia
Et l'pays reconnaissant
L'élut immédiat'ment
Chef du gouvernement
envoyé par Pasquino Bocci
Langue: italien
Versione italiana di Riccardo Venturi
21 novembre 2004
21 novembre 2004
LA GIAVA DELLE BOMBE ATOMICHE
Mio zio, un famoso faidatté
fabbricava, appunto da sé,
delle bombe atomiche
senza aver mai imparato nulla
Era davvero un genio
nei lavoretti pratici,
si rinchiudeva tutto il giorno
dentro al suo laboratorio
per fare esperimenti
e la sera rientrava a casa
e ci metteva in ansia
raccontandoci tutto quanto
Fabbricare una bomba "A"
ragazzi miei, credete a me,
è veramente un giochetto:
il problema del detonatore
si risolve in un quarto d'ora,
ma è di quelle da scartare.
Quanto alla bomba "H"
beh, non è molto più dura,
ma una cosa mi tormenta:
gli è che quelle che ho fatto
non hanno che un raggio d'azione
di tre metri e mezzo:
c'è qualcosa che non va,
ci ritorno immediatamente
Ha sgobbato per dei giorni
cercando, con amore
di migliorare il modello;
quando pranzava con noi
inghiottiva tutta in un colpo
la sua minestrina in brodo
e si vedeva, dall'aria feroce,
che ci aveva qualche impiccio
ma non si osava dire niente;
E, peggio, una sera a cena
ecco che lo zio sospira
e grida quel che segue:
Via via che divento vecchio
me ne accorgo sempre meglio
ho la testa che mi cede,
è come una besciamella.
Sono mesi, sono anni
che cerco di aumentare
la portata della mia bomba
e non mi sono reso conto
che la sola cosa che conta
è il posto dove va a cascare!
C'è qualcosa che non va,
ci ritorno immediatamente.
Sapendo che c'era quasi arrivato
tutti i grandi capi di Stato
gli hanno reso visita:
li ricevette e si scusò
che il suo rifugio
fosse così piccolo,
ma appena furon tutti entrati
ce li ha chiusi dentro
dicendo loro: fate i bravi!
E quando la bomba è esplosa
di tutti 'sti personaggi
non ne è rimasto niente.
Lo zio, con quel risultato
non si è certo scoraggiato
e ha fatto il finto tonto
al Tribunale dove lo han trascinato
e, davanti ai giurati,
eccolo farfugliare:
Signori, è stato un caso malaugurato
ma sono certo, davanti a Dio,
in mia fede e in mia coscienza
che distruggendo tutti quegli sonati
sono ben convinto
d'aver servito la Francia.
Erano molto imbarazzati:
allora lo han condannato,
e poi lo hanno amnistiato
e la Patria riconoscente
lo ha eletto immediatamente
capo del Governo.
Mio zio, un famoso faidatté
fabbricava, appunto da sé,
delle bombe atomiche
senza aver mai imparato nulla
Era davvero un genio
nei lavoretti pratici,
si rinchiudeva tutto il giorno
dentro al suo laboratorio
per fare esperimenti
e la sera rientrava a casa
e ci metteva in ansia
raccontandoci tutto quanto
Fabbricare una bomba "A"
ragazzi miei, credete a me,
è veramente un giochetto:
il problema del detonatore
si risolve in un quarto d'ora,
ma è di quelle da scartare.
Quanto alla bomba "H"
beh, non è molto più dura,
ma una cosa mi tormenta:
gli è che quelle che ho fatto
non hanno che un raggio d'azione
di tre metri e mezzo:
c'è qualcosa che non va,
ci ritorno immediatamente
Ha sgobbato per dei giorni
cercando, con amore
di migliorare il modello;
quando pranzava con noi
inghiottiva tutta in un colpo
la sua minestrina in brodo
e si vedeva, dall'aria feroce,
che ci aveva qualche impiccio
ma non si osava dire niente;
E, peggio, una sera a cena
ecco che lo zio sospira
e grida quel che segue:
Via via che divento vecchio
me ne accorgo sempre meglio
ho la testa che mi cede,
è come una besciamella.
Sono mesi, sono anni
che cerco di aumentare
la portata della mia bomba
e non mi sono reso conto
che la sola cosa che conta
è il posto dove va a cascare!
C'è qualcosa che non va,
ci ritorno immediatamente.
Sapendo che c'era quasi arrivato
tutti i grandi capi di Stato
gli hanno reso visita:
li ricevette e si scusò
che il suo rifugio
fosse così piccolo,
ma appena furon tutti entrati
ce li ha chiusi dentro
dicendo loro: fate i bravi!
E quando la bomba è esplosa
di tutti 'sti personaggi
non ne è rimasto niente.
Lo zio, con quel risultato
non si è certo scoraggiato
e ha fatto il finto tonto
al Tribunale dove lo han trascinato
e, davanti ai giurati,
eccolo farfugliare:
Signori, è stato un caso malaugurato
ma sono certo, davanti a Dio,
in mia fede e in mia coscienza
che distruggendo tutti quegli sonati
sono ben convinto
d'aver servito la Francia.
Erano molto imbarazzati:
allora lo han condannato,
e poi lo hanno amnistiato
e la Patria riconoscente
lo ha eletto immediatamente
capo del Governo.
envoyé par Riccardo Venturi - 21/11/2004 - 19:21
Langue: italien
Versione italiana di Fausto Amodei
LA JAVA DELLE BOMBE ATOMICHE
Mio zio che amava far da sé faceva bombe atomiche da dilettante
e senza aver studiato mai raggiunse più di un risultato rilevante.
Passava tutto il giorno chiuso nel laboratorio a fare esperimenti
la sera ci chiamava a sé e a noi tutti contenti
raccontava che:
Per fabbricar la bomba A non c'è difficoltà
se non elementare ed anche col detonatore
bastan poche ore a farla funzionare.
Invece con la bomba H c'è un problema pratico
che mi tormenta: che quella di mia produzione
ha un raggio d'azione di tre metri e trenta.
E un difetto cui però presto io rimedierò.
Ed ha passato lunghe ore a rimediar l'errore nella sua officina.
Pranzando assieme a noi sbobbava in un sol colpo la sua zuppa di gallina.
Da come è diventato rosso si capì che un osso gli era andato storto
accadde proprio un martedì che lo zio mezzo morto ci gridò così:
Più io divento vecchio e più m'accorgo che
il cervello scema ad ogni mese. Per dir le cose come stanno
non è più un cervello ma una maionese.
Per anni cercoTaumentare la portata della
bomba mia diletta, non mi son reso conto
che quello che conta è solo dove la si getta.
Se qualcosa ancor non va presto si rimedierà.
I gran capi di Stato per veder la bomba gli hanno chiesto udienza in fretta
lo zio li ha ricevuti tutti e ha chiesto scusa se la camera era stretta
ma quando sono tutti entrati lui li ha chiusi dentro e ha detto
"State buoni!". La bomba esplose e così fu
che di 'sti capoccioni non ce n'eran più.
Lo zio davanti al risultato non perse la testa
e fece il finto tonto. Lo misero davanti al giudice
perché dell'atto lui rendesse conto.
"Signori è stata una sciagura ma non ho paura
a dirvi chiaro e tondo che distruggendo 'sti bastardi
anche se un po'1ardi ho salvato il mondo!"
Si fu incerti per un po' e lo si condannò ma poi lo si graziò.
Il paese che gradì lo fece capo del governo lì per lì.
Mio zio che amava far da sé faceva bombe atomiche da dilettante
e senza aver studiato mai raggiunse più di un risultato rilevante.
Passava tutto il giorno chiuso nel laboratorio a fare esperimenti
la sera ci chiamava a sé e a noi tutti contenti
raccontava che:
Per fabbricar la bomba A non c'è difficoltà
se non elementare ed anche col detonatore
bastan poche ore a farla funzionare.
Invece con la bomba H c'è un problema pratico
che mi tormenta: che quella di mia produzione
ha un raggio d'azione di tre metri e trenta.
E un difetto cui però presto io rimedierò.
Ed ha passato lunghe ore a rimediar l'errore nella sua officina.
Pranzando assieme a noi sbobbava in un sol colpo la sua zuppa di gallina.
Da come è diventato rosso si capì che un osso gli era andato storto
accadde proprio un martedì che lo zio mezzo morto ci gridò così:
Più io divento vecchio e più m'accorgo che
il cervello scema ad ogni mese. Per dir le cose come stanno
non è più un cervello ma una maionese.
Per anni cercoTaumentare la portata della
bomba mia diletta, non mi son reso conto
che quello che conta è solo dove la si getta.
Se qualcosa ancor non va presto si rimedierà.
I gran capi di Stato per veder la bomba gli hanno chiesto udienza in fretta
lo zio li ha ricevuti tutti e ha chiesto scusa se la camera era stretta
ma quando sono tutti entrati lui li ha chiusi dentro e ha detto
"State buoni!". La bomba esplose e così fu
che di 'sti capoccioni non ce n'eran più.
Lo zio davanti al risultato non perse la testa
e fece il finto tonto. Lo misero davanti al giudice
perché dell'atto lui rendesse conto.
"Signori è stata una sciagura ma non ho paura
a dirvi chiaro e tondo che distruggendo 'sti bastardi
anche se un po'1ardi ho salvato il mondo!"
Si fu incerti per un po' e lo si condannò ma poi lo si graziò.
Il paese che gradì lo fece capo del governo lì per lì.
Langue: italien
LA GIAVA DELLE BOMBE ATOMICHE
Mio zio, famoso rigattiere
Vive la sua vita in uno scantinato
Eppur, essendo autodidatta
Ha la mente adatta a fare lo scienziato
Lui come un grande luminare
Passa le sue ore a fare esperimenti
Ma poi la sera su da noi
Narra gli avvenimenti e si rilassa un po':
"Per fabbricar la bomba A, ragazzi miei
Si sa che non ci vuole niente
Per mettere il detonatore
Bastano due ore per chi è intelligente
Riguardo poi la bomba H
Certo, porca vacca, ci ho studiato un pezzo
C'è il fatto che il raggio d'azione
Tocca a mala pena i quattro metri e mezzo
C'è qualcosa che non va
Do un occhiata e torno qua!"
Ha cominciato martedì
A dare segni di violenza concentrata
Quando è venuto su da noi
Aveva lì con sé la bomba incriminata
E solo quando ha preso fiato
Che ha ricominciato a raccontar la storia
Tenendo in braccio quell'ordigno
La sua creatura, il suo bel bebè:
"Non basta non guardar lo specchio
Per sentirsi meglio e non sentirsi vecchio
Ormai il cervello mi si squaglia
E dianzi a uno chiaro pare una brodaglia
Ho perso tutta la mia vita
Dietro la questione della sua portata
E non mi sono reso conto
Che il problema bomba
È dove va tirata
C'è qualcosa che non va
Do un occhiata e torno qua"
Sapendo prossimo e scontato
Questo risultato di grande importanza
I maggiorenti dello stato
Son venuti tutti per rappresentanza
Ma appena loro sono entrati
Lui li ha chiusi dentro ed ha gridato "Calma!"
Pero quando l'aggeggio è esploso
Livido e corroso, c'era solo lui
Davanti a questo risultato
Lui non si è smontato anzi ma che niente
Se vuoi lo puoi vedere lì
Davanti al gran giurì, guardato da un agente
"Signori della corte, io lo giuro innanzi a Dio
Che è un fatto di coscienza
L'averli fatti fuori è un bene
Tanto per l'Italia quanto per la scienza"
Non potendo dir di no
Il giurì lo condannò e dopo l'amnistiò
E il paese lo premiò, lo elesse senator
Per meriti d'onor
Mio zio, famoso rigattiere
Vive la sua vita in uno scantinato
Eppur, essendo autodidatta
Ha la mente adatta a fare lo scienziato
Lui come un grande luminare
Passa le sue ore a fare esperimenti
Ma poi la sera su da noi
Narra gli avvenimenti e si rilassa un po':
"Per fabbricar la bomba A, ragazzi miei
Si sa che non ci vuole niente
Per mettere il detonatore
Bastano due ore per chi è intelligente
Riguardo poi la bomba H
Certo, porca vacca, ci ho studiato un pezzo
C'è il fatto che il raggio d'azione
Tocca a mala pena i quattro metri e mezzo
C'è qualcosa che non va
Do un occhiata e torno qua!"
Ha cominciato martedì
A dare segni di violenza concentrata
Quando è venuto su da noi
Aveva lì con sé la bomba incriminata
E solo quando ha preso fiato
Che ha ricominciato a raccontar la storia
Tenendo in braccio quell'ordigno
La sua creatura, il suo bel bebè:
"Non basta non guardar lo specchio
Per sentirsi meglio e non sentirsi vecchio
Ormai il cervello mi si squaglia
E dianzi a uno chiaro pare una brodaglia
Ho perso tutta la mia vita
Dietro la questione della sua portata
E non mi sono reso conto
Che il problema bomba
È dove va tirata
C'è qualcosa che non va
Do un occhiata e torno qua"
Sapendo prossimo e scontato
Questo risultato di grande importanza
I maggiorenti dello stato
Son venuti tutti per rappresentanza
Ma appena loro sono entrati
Lui li ha chiusi dentro ed ha gridato "Calma!"
Pero quando l'aggeggio è esploso
Livido e corroso, c'era solo lui
Davanti a questo risultato
Lui non si è smontato anzi ma che niente
Se vuoi lo puoi vedere lì
Davanti al gran giurì, guardato da un agente
"Signori della corte, io lo giuro innanzi a Dio
Che è un fatto di coscienza
L'averli fatti fuori è un bene
Tanto per l'Italia quanto per la scienza"
Non potendo dir di no
Il giurì lo condannò e dopo l'amnistiò
E il paese lo premiò, lo elesse senator
Per meriti d'onor
envoyé par Alberto Scotti - 7/6/2020 - 00:01
Langue: espagnol
LA JAVA DE LAS BOMBAS ATÓMICAS
Mi tío era un ladronzuelo
que tenía el hobbie
de fabricar bombas.
Aunque era un tanto analfabeto
se las ingeniaba
y las hacía redondas.
Se encerraba todo el día
en su tallercito
a ver qué le salía.
Y a la noche cuando regresaba,
nientras se afeitaba,
así nos relataba:
Para decirles la verdad
hacer las bombas "A"
es un juego de niños.
Hacerlas explotar
se hace sin pensar,
me lleva apenas seis semanas.
En cuanto a las bombas "Napalm",
si he de decir verdad,
son las que me atormentan,
porque no alcanzan más
que un radio de acción
de cuatro metros con cincuenta.
Hay algo que no anda bien.
Volveré para el taller.
Dedicó toda su vida
y su sabiduría
a tal experimento.
Ni su madre, cuando puso
cohetes en su cama,
pudo distraerlo.
Hasta el día en que probaba
si un tornillo andaba
y le explotó en la cara
y, cubierto por las gasas,
tomando tisanas,
así se lamentaba:
A medida que envejezco
yo me avivo más
que mi cerebro falla.
Si he de decirles la verdad
yo que en lugar de sesos
tengo salsa blanca.
Tanto tiempo que he perdido
queriendo extender
el radio de mi bomba
sin haberme dado cuenta
que lo que interesa
es dónde se coloca.
Hay algo que no anda bien.
Volveré para el taller.
El día en que se enteraron
los Jefes de Estado
fueron de visita.
Y el tío se lamentaba
de que su inventiva
fuera tan chiquita.
Enseguida que entraron
él cerró la puerta
y les dijo "Cuidado!"
y cuando la bomba explotó
de esos personajes
ni sombra quedó.
Mi tío frente al resultado
y sin desanimarse
se hizo bien el burro.
Mas luego, frente al tribunal,
al ser interrogado,
se-se puso tartamudo:
"Señores, a decir verdad,
fue por casualidad
que yo metí la pata.
Mas juro ante dios
que amasijándolos
he servido a la Patria".
El Jurado lo entendió,
primero le condenó
y después le absolvió.
La población, en agradecimiento,
instantáneamente
le hizo un monumento.
Mi tío era un ladronzuelo
que tenía el hobbie
de fabricar bombas.
Aunque era un tanto analfabeto
se las ingeniaba
y las hacía redondas.
Se encerraba todo el día
en su tallercito
a ver qué le salía.
Y a la noche cuando regresaba,
nientras se afeitaba,
así nos relataba:
Para decirles la verdad
hacer las bombas "A"
es un juego de niños.
Hacerlas explotar
se hace sin pensar,
me lleva apenas seis semanas.
En cuanto a las bombas "Napalm",
si he de decir verdad,
son las que me atormentan,
porque no alcanzan más
que un radio de acción
de cuatro metros con cincuenta.
Hay algo que no anda bien.
Volveré para el taller.
Dedicó toda su vida
y su sabiduría
a tal experimento.
Ni su madre, cuando puso
cohetes en su cama,
pudo distraerlo.
Hasta el día en que probaba
si un tornillo andaba
y le explotó en la cara
y, cubierto por las gasas,
tomando tisanas,
así se lamentaba:
A medida que envejezco
yo me avivo más
que mi cerebro falla.
Si he de decirles la verdad
yo que en lugar de sesos
tengo salsa blanca.
Tanto tiempo que he perdido
queriendo extender
el radio de mi bomba
sin haberme dado cuenta
que lo que interesa
es dónde se coloca.
Hay algo que no anda bien.
Volveré para el taller.
El día en que se enteraron
los Jefes de Estado
fueron de visita.
Y el tío se lamentaba
de que su inventiva
fuera tan chiquita.
Enseguida que entraron
él cerró la puerta
y les dijo "Cuidado!"
y cuando la bomba explotó
de esos personajes
ni sombra quedó.
Mi tío frente al resultado
y sin desanimarse
se hizo bien el burro.
Mas luego, frente al tribunal,
al ser interrogado,
se-se puso tartamudo:
"Señores, a decir verdad,
fue por casualidad
que yo metí la pata.
Mas juro ante dios
que amasijándolos
he servido a la Patria".
El Jurado lo entendió,
primero le condenó
y después le absolvió.
La población, en agradecimiento,
instantáneamente
le hizo un monumento.
envoyé par Alessandro - 16/4/2009 - 16:03
Nacha y Boris Vian: la historia de la "Nueva Canción Argentina"
Del libro de Sergio Pujol "La década rebelde. Los años 60 en Argentina", pp.274-278 (Buenos Aires, Emecé, 2002).
"Listos, apunten... ¡canten!" (da "The Folk Song Army" di Tom Lehrer, nella versione di Nacha Guevara, ossia il "manifesto" della Nueva Canción Argentina)
La música beat fue más rebelde que revolucionaria. Fue hija de la insolencia, no de la protesta. El folclore y la llamada Nueva Canción Argentina, en cambio, fueron las vertientes de la canción popular que, en cierto modo, se hicieron cargo de la protesta política y social. El foldore lo hizo en su doble operación de rescate y renovación. La Nueva Canción, en cambio,, nació sin raíces, como en el aire. Ese aire por el que corrían voces de otros ámbitos: el París de Vian y Brassens; el Greenwich Village de Joan Báez; el Berlín de Bertolt Brecht y' Kurt Weill.
Para que la Nueva Canción prosperara -algo que sucedió no antes de 1968- fue necesario que madurara una idea teatral de la música y la poe;ia: la Nueva Canción fue un fenómeno de actuación, de escenarios, de salas pequeñas atiborradas de gente. Desde luego, fue un fenómeno de clase media ilustrada interesada en recuperar los códigos del music-hall, de lectores de Primera Plana (tanto fue así, que Ernesto Schóo, crítico de la revista escribió algunas letras para Nacha Guevara). Obviamente, la Nueva Canción llegó a un público no necesariamente juvenil, un público que estaba más o menos habituado a frecuentar el Di Tella (allí se hicieron los principales eventos del nuevo género, como Canciones en informalidad y Anasrasia querida), galerías de arte, bares en los que se discutía acaloradamente de política y funciones de cine europeo en el Lorraine.
El pionero había sido Carlos Waxemberg, quien a fines del '66 ya cantaba como un folk singer porteño, haciendo participar al público con las palmas y demás menesteres, que pronto tuvieron como escenarios característicos Michelángelo o La Botica del Ángel de Bergara Leuman. Waxemberg no llegó a capitalizar el éxito de su idea. Ésta prosperó dos años más tarde, cuando un grupo de cantantes formó algo muy parecido a un movimiento. Para entonces, ya se hablaba de Nueva Canción Argentina, el último boom de la década del 6o. "Fue un movimiento espontáneo, por lo tanto desordenado", rememora Nacha Guevara. "Nunca nos juntamos a decir: vamos a hacer una nueva canción. En realidad, cada uno por su lado iba coincidiendo en esa necesidad de hacer una canción urbana. Había gente muy dispar, por lo tanto mucha libertad expresiva. Creo que éramos una divertida bolsa de gatos y ratones".
Dina Rot cantaba viejos poemas sefardíes. Marikena Monti se revelaba como una fiel discípula de Edith Piaf. Horacio Molina cantaba tangos y baladas pensando tanto en Joáo Gilberto como en Carlos Gardel. El futuro director de agencias publicitarias Jorge Schussheim dejaba el conjunto 1 Musicisti para abordar un repertorio más cálido e intimista, con canciones como "Para Buenos Aires", "Juan y María" y un irónico homenaje a sus colegas, los ejecutivos argentinos. Poni Micharvegas se olvidaba de su profesión de médico y en Canciones de fogueo creaba un puente entre rock y balada. Facundo Cabral dejaba definitivamente atrás al Indio GasPatino. Una orquesta de cámara hecha de instrumentos no convencionales llamada Les Luthiers estrenaba en el Di Tella un espectáculo basado en complejos sexuales de Caperucita Roja. Y el artista plástico Jorge de Vega, tal vez convencido de que la anunciada "muerte del arte" era un hecho inminente, deslumbraba a la clientela de calle Florida con una canción entre surrealista y naif llamada "El gusanito". La canción decía: "Y el gusanito sigue paseando/ y al mismo tiempo se va preguntando/ si el mundo entero no es/ un dibujito al revés./ Un gusanito del derecho/ y un gusanito del revés./ Un dibujito del derecho/ y el mundo entero del revés'”
La Nueva Canción Argentina recibió el apoyo del periodismo y del público del Di Tella. Un público que, tal como lo recuerda Nacha Guevara, "fue cambiando, ya que al principio estaba conformado por los raros, los intelectuales y los hippies. Luego el público se fue aburguesando. Empezó a llegar gente al Di Tella más interesada en ver a los raros, los intelectuales y los hippies que en escucharnos a nosotros. Y a veces salían escandalizados".
¿Qué posibilidades tenía la Nueva Canción de crecer más allá de loss guiños para iniciados y la curiosidad de un público de gustos volubles? Era tal vez demasiado intelectual para ser popular, y no lo suficientemente compleja como para ser considerada entre las artes de vanguardia. En ese sentido, sólo dos figuras de la Nueva Canción trascendieron los límites de * la "café society" de los 6o: María Elena Walsh y Nacha Guevara. En el primer caso, se trataba de una persona de gran popularidad dispuesta a dar un giro en su carrera: de los niños a los grandes. Y Nacha dejaba su vida de pinap para debutar como artista e iniciar una carrera algo zigzagueante pero no por ello carente de interés.
A María Elena Walsh bien podía considerársela una adelantada, ya que en sus canciones para chicos había apelado a una variada gama de ritmos y formas para crear algo nuevo. Cuando en abril de 1968 presentó un ciclo de canciones para adultos-enseguida volcadas al disco-, la gente descubrió otra faceta de la "juglaresa". Desde el teatro Regina, María Elena demostró que podía hacer algo más que "Manuelita la tortuga" o "La mona Jacinta".
Juguemos en el mundo, también conocido como Show de los ejecutivos, abordaba los tópicos adultos desde la candidez musical ya estrenada en el ciclo para niños, aunque ahora la ironía ardía por doquier. Por ejemplo, una canción como "Gilito de Barrio Norte" revisaba con dureza las contradicciones del progresismo político. En "El 45” María Elena evocaba el comienzo de su adolescencia, remarcando el contexto histórico, y en "Miranda y Mirón" se mofaba de los críticos culturales, acaso los mismos que la habían encumbrado. Para "Diablo está" se había inspirado en una canción de Leo Ferré -la influencia francesa rondaba por todas partes y "Serenata para la tierra de uno" era una bellísima melodía destinada a integrar el cancionero argentino.
Pero fue en "Los ejecutivos" donde la Walsh encontró el tono perfecto para los años 6o. Mediante la crítica a los ejecutivos, la cantautora desnudaba el funcionamiento esencialmente corporativo de la sociedad argentina. La canción era una especie de descripción fenomenológica del nuevo actor de la economía del país. Pero no era una descripción indiferente, ya que los privilegios y prebendas del ejecutivo como figura encumbrada bajo el régimen de Onganía eran expuestos con sorna: "Ay qué vivos/ son los ejecutivos, qué vivos que son...". El poder económico quedaba sintetizado en una imagen: "La sartén por el mango y el mango también". Es decir: todo. Eso tenían los ejecutivos. Uno de ellos, herido por la canción, le encargó a Jorge Schussheim una composición de desagravio. Pero ésta no tuvo el efecto de la primera: nadie volvió a referirse a los ejecutivos sin sonreír con cierta mordacidad.
Por su parte, Nacha Guevara desarrolló un repertorio más irónico aún que el de la Walsh. Y más teatral: aquellos primeros discos de Nacha se convirtieron, con los años, en piezas para coleccionistas, mientras la música de María Elena seguió vigente y siempre a mano de oyentes infantiles y adultos. Para Nacha, intérprete antes que autora, la escena lo fue todo. Para María Elena, autora y compositora de casi todo lo que cantaba, actuar en público significó apenas un capítulo en el largo texto de una vida de poesía y música.
Había cantado por primera vez en 1965, en una puesta de Locos de verano, de Gregorio de Laferrére. Más tarde, con Nacha de noche en el Instituto Di Tella, se reveló como una mujer del espectáculo. Llevando todo a la máxima tensión, Nacha desplegó un histrionismo que abrevaba en el grotesco. Su estilo era duro, impiadoso. Elegía y traducía con la originalidad de los creadores. Decía no ser una cantante de protesta, pero no por debilidad, sino porque su mordacidad no conocía límites: también de la protesta directa sabía tomar distancia, como lo habían hecho sus admirados autores franceses. Nacha cuenta que "de adolescente escuchaba mucha canción francesa, y así descubrí a Brel, Brassens y Vian. Y pensé: esta gente habla de otras cosas, utiliza la canción para comunicar ideas, poesía, rebeldía y humor. Ahí dije: quiero hacer esto. Y entonces hice traducciones libres de aquellas canciones y agregué cosas de poetas y letristas argentinos, como Carlos del Peral, César Fernández Moreno y Ernesto Schóo".
Con el soporte musical de Alberto Favero -destacado músico de jazz que por esos años estrenó la Suite Trane, dedicada al saxofonista John Coltrane-, Nacha siguió con Hay que meter la pata y el que sería su show más recordado: Anastasia querida. Anastasia era el nombre en clave de la censura: “Nuestra Anastasia querida, te damos la bienvenida la país”, cantaba Nacha, poniendo a su público en estado de alerta. Pero el espíritu contestatario de aquellas elaboradas piezas de music-hall no era obstáculo para que las puestas fuesen muy cuidadas e ingeniosas, aunque premeditadamente alejadas del teatro convencional. En Nacha Mezzosoprano, por ejemplo, un inodoro con florcitas pintadas ocupaba el centro del escenario.
La gente -o al menos su gente- siguió a Nacha con admiración. No eran muchos, pero eran fieles: a ellos Nacha les daba de todo un poco, como en botica. Los hacía pasar del frío al calor, de la distancia al compromiso, en un vaivén sobre el que la cantante no siempre tenía control. Sobre el final de Anastasia querida, de junio del '69, el disparate de Vian ("No se casen chicas", "La Java de las bombas", "Un buen par de patadas") era suplantado por "El tiempo no tiene nada que ver", de Brassens. Y entonces la temperatura subía, según la crónica de Primera Plana: "Es entonces cuando una audiencia enardecida por la frescura y la libertad que campea en las estrofas entona, junto a Nacha Guevara, los versos de la canción que titula el show. Marchando con `Anastasia querida', el público abandona la sala con un entusiasmo que debería desalentar los afanes de la cantante por conseguir un cierto distanciamiento brechtiano. Es que, lentamente, el recital caldea los ánimos a pesar de las advertencias: ¿Recuerdan la guerra española/que tanto nos conmovió?/Aunque Franco ganó las batallas/ a hacer canciones ¿quién nos ganó?, ataca Nacha a través de Tom Lehrer.Y termina invitando: Por eso, enrólese en nuestras Filas/la guitarra es nuestro cañón/ con ella venceremos la guerra y el hambre/Listos, apunten, ¡canten! Y es imposible, ganados por el ritmo, apasionados por la letra, desdeñar toda lucidez en favor de un reflejo irresistible: cantar".
Del libro de Sergio Pujol "La década rebelde. Los años 60 en Argentina", pp.274-278 (Buenos Aires, Emecé, 2002).
"Listos, apunten... ¡canten!" (da "The Folk Song Army" di Tom Lehrer, nella versione di Nacha Guevara, ossia il "manifesto" della Nueva Canción Argentina)
La música beat fue más rebelde que revolucionaria. Fue hija de la insolencia, no de la protesta. El folclore y la llamada Nueva Canción Argentina, en cambio, fueron las vertientes de la canción popular que, en cierto modo, se hicieron cargo de la protesta política y social. El foldore lo hizo en su doble operación de rescate y renovación. La Nueva Canción, en cambio,, nació sin raíces, como en el aire. Ese aire por el que corrían voces de otros ámbitos: el París de Vian y Brassens; el Greenwich Village de Joan Báez; el Berlín de Bertolt Brecht y' Kurt Weill.
Para que la Nueva Canción prosperara -algo que sucedió no antes de 1968- fue necesario que madurara una idea teatral de la música y la poe;ia: la Nueva Canción fue un fenómeno de actuación, de escenarios, de salas pequeñas atiborradas de gente. Desde luego, fue un fenómeno de clase media ilustrada interesada en recuperar los códigos del music-hall, de lectores de Primera Plana (tanto fue así, que Ernesto Schóo, crítico de la revista escribió algunas letras para Nacha Guevara). Obviamente, la Nueva Canción llegó a un público no necesariamente juvenil, un público que estaba más o menos habituado a frecuentar el Di Tella (allí se hicieron los principales eventos del nuevo género, como Canciones en informalidad y Anasrasia querida), galerías de arte, bares en los que se discutía acaloradamente de política y funciones de cine europeo en el Lorraine.
El pionero había sido Carlos Waxemberg, quien a fines del '66 ya cantaba como un folk singer porteño, haciendo participar al público con las palmas y demás menesteres, que pronto tuvieron como escenarios característicos Michelángelo o La Botica del Ángel de Bergara Leuman. Waxemberg no llegó a capitalizar el éxito de su idea. Ésta prosperó dos años más tarde, cuando un grupo de cantantes formó algo muy parecido a un movimiento. Para entonces, ya se hablaba de Nueva Canción Argentina, el último boom de la década del 6o. "Fue un movimiento espontáneo, por lo tanto desordenado", rememora Nacha Guevara. "Nunca nos juntamos a decir: vamos a hacer una nueva canción. En realidad, cada uno por su lado iba coincidiendo en esa necesidad de hacer una canción urbana. Había gente muy dispar, por lo tanto mucha libertad expresiva. Creo que éramos una divertida bolsa de gatos y ratones".
Dina Rot cantaba viejos poemas sefardíes. Marikena Monti se revelaba como una fiel discípula de Edith Piaf. Horacio Molina cantaba tangos y baladas pensando tanto en Joáo Gilberto como en Carlos Gardel. El futuro director de agencias publicitarias Jorge Schussheim dejaba el conjunto 1 Musicisti para abordar un repertorio más cálido e intimista, con canciones como "Para Buenos Aires", "Juan y María" y un irónico homenaje a sus colegas, los ejecutivos argentinos. Poni Micharvegas se olvidaba de su profesión de médico y en Canciones de fogueo creaba un puente entre rock y balada. Facundo Cabral dejaba definitivamente atrás al Indio GasPatino. Una orquesta de cámara hecha de instrumentos no convencionales llamada Les Luthiers estrenaba en el Di Tella un espectáculo basado en complejos sexuales de Caperucita Roja. Y el artista plástico Jorge de Vega, tal vez convencido de que la anunciada "muerte del arte" era un hecho inminente, deslumbraba a la clientela de calle Florida con una canción entre surrealista y naif llamada "El gusanito". La canción decía: "Y el gusanito sigue paseando/ y al mismo tiempo se va preguntando/ si el mundo entero no es/ un dibujito al revés./ Un gusanito del derecho/ y un gusanito del revés./ Un dibujito del derecho/ y el mundo entero del revés'”
La Nueva Canción Argentina recibió el apoyo del periodismo y del público del Di Tella. Un público que, tal como lo recuerda Nacha Guevara, "fue cambiando, ya que al principio estaba conformado por los raros, los intelectuales y los hippies. Luego el público se fue aburguesando. Empezó a llegar gente al Di Tella más interesada en ver a los raros, los intelectuales y los hippies que en escucharnos a nosotros. Y a veces salían escandalizados".
¿Qué posibilidades tenía la Nueva Canción de crecer más allá de loss guiños para iniciados y la curiosidad de un público de gustos volubles? Era tal vez demasiado intelectual para ser popular, y no lo suficientemente compleja como para ser considerada entre las artes de vanguardia. En ese sentido, sólo dos figuras de la Nueva Canción trascendieron los límites de * la "café society" de los 6o: María Elena Walsh y Nacha Guevara. En el primer caso, se trataba de una persona de gran popularidad dispuesta a dar un giro en su carrera: de los niños a los grandes. Y Nacha dejaba su vida de pinap para debutar como artista e iniciar una carrera algo zigzagueante pero no por ello carente de interés.
A María Elena Walsh bien podía considerársela una adelantada, ya que en sus canciones para chicos había apelado a una variada gama de ritmos y formas para crear algo nuevo. Cuando en abril de 1968 presentó un ciclo de canciones para adultos-enseguida volcadas al disco-, la gente descubrió otra faceta de la "juglaresa". Desde el teatro Regina, María Elena demostró que podía hacer algo más que "Manuelita la tortuga" o "La mona Jacinta".
Juguemos en el mundo, también conocido como Show de los ejecutivos, abordaba los tópicos adultos desde la candidez musical ya estrenada en el ciclo para niños, aunque ahora la ironía ardía por doquier. Por ejemplo, una canción como "Gilito de Barrio Norte" revisaba con dureza las contradicciones del progresismo político. En "El 45” María Elena evocaba el comienzo de su adolescencia, remarcando el contexto histórico, y en "Miranda y Mirón" se mofaba de los críticos culturales, acaso los mismos que la habían encumbrado. Para "Diablo está" se había inspirado en una canción de Leo Ferré -la influencia francesa rondaba por todas partes y "Serenata para la tierra de uno" era una bellísima melodía destinada a integrar el cancionero argentino.
Pero fue en "Los ejecutivos" donde la Walsh encontró el tono perfecto para los años 6o. Mediante la crítica a los ejecutivos, la cantautora desnudaba el funcionamiento esencialmente corporativo de la sociedad argentina. La canción era una especie de descripción fenomenológica del nuevo actor de la economía del país. Pero no era una descripción indiferente, ya que los privilegios y prebendas del ejecutivo como figura encumbrada bajo el régimen de Onganía eran expuestos con sorna: "Ay qué vivos/ son los ejecutivos, qué vivos que son...". El poder económico quedaba sintetizado en una imagen: "La sartén por el mango y el mango también". Es decir: todo. Eso tenían los ejecutivos. Uno de ellos, herido por la canción, le encargó a Jorge Schussheim una composición de desagravio. Pero ésta no tuvo el efecto de la primera: nadie volvió a referirse a los ejecutivos sin sonreír con cierta mordacidad.
Por su parte, Nacha Guevara desarrolló un repertorio más irónico aún que el de la Walsh. Y más teatral: aquellos primeros discos de Nacha se convirtieron, con los años, en piezas para coleccionistas, mientras la música de María Elena seguió vigente y siempre a mano de oyentes infantiles y adultos. Para Nacha, intérprete antes que autora, la escena lo fue todo. Para María Elena, autora y compositora de casi todo lo que cantaba, actuar en público significó apenas un capítulo en el largo texto de una vida de poesía y música.
Había cantado por primera vez en 1965, en una puesta de Locos de verano, de Gregorio de Laferrére. Más tarde, con Nacha de noche en el Instituto Di Tella, se reveló como una mujer del espectáculo. Llevando todo a la máxima tensión, Nacha desplegó un histrionismo que abrevaba en el grotesco. Su estilo era duro, impiadoso. Elegía y traducía con la originalidad de los creadores. Decía no ser una cantante de protesta, pero no por debilidad, sino porque su mordacidad no conocía límites: también de la protesta directa sabía tomar distancia, como lo habían hecho sus admirados autores franceses. Nacha cuenta que "de adolescente escuchaba mucha canción francesa, y así descubrí a Brel, Brassens y Vian. Y pensé: esta gente habla de otras cosas, utiliza la canción para comunicar ideas, poesía, rebeldía y humor. Ahí dije: quiero hacer esto. Y entonces hice traducciones libres de aquellas canciones y agregué cosas de poetas y letristas argentinos, como Carlos del Peral, César Fernández Moreno y Ernesto Schóo".
Con el soporte musical de Alberto Favero -destacado músico de jazz que por esos años estrenó la Suite Trane, dedicada al saxofonista John Coltrane-, Nacha siguió con Hay que meter la pata y el que sería su show más recordado: Anastasia querida. Anastasia era el nombre en clave de la censura: “Nuestra Anastasia querida, te damos la bienvenida la país”, cantaba Nacha, poniendo a su público en estado de alerta. Pero el espíritu contestatario de aquellas elaboradas piezas de music-hall no era obstáculo para que las puestas fuesen muy cuidadas e ingeniosas, aunque premeditadamente alejadas del teatro convencional. En Nacha Mezzosoprano, por ejemplo, un inodoro con florcitas pintadas ocupaba el centro del escenario.
La gente -o al menos su gente- siguió a Nacha con admiración. No eran muchos, pero eran fieles: a ellos Nacha les daba de todo un poco, como en botica. Los hacía pasar del frío al calor, de la distancia al compromiso, en un vaivén sobre el que la cantante no siempre tenía control. Sobre el final de Anastasia querida, de junio del '69, el disparate de Vian ("No se casen chicas", "La Java de las bombas", "Un buen par de patadas") era suplantado por "El tiempo no tiene nada que ver", de Brassens. Y entonces la temperatura subía, según la crónica de Primera Plana: "Es entonces cuando una audiencia enardecida por la frescura y la libertad que campea en las estrofas entona, junto a Nacha Guevara, los versos de la canción que titula el show. Marchando con `Anastasia querida', el público abandona la sala con un entusiasmo que debería desalentar los afanes de la cantante por conseguir un cierto distanciamiento brechtiano. Es que, lentamente, el recital caldea los ánimos a pesar de las advertencias: ¿Recuerdan la guerra española/que tanto nos conmovió?/Aunque Franco ganó las batallas/ a hacer canciones ¿quién nos ganó?, ataca Nacha a través de Tom Lehrer.Y termina invitando: Por eso, enrólese en nuestras Filas/la guitarra es nuestro cañón/ con ella venceremos la guerra y el hambre/Listos, apunten, ¡canten! Y es imposible, ganados por el ritmo, apasionados por la letra, desdeñar toda lucidez en favor de un reflejo irresistible: cantar".
Alessandro - 17/4/2009 - 07:59
Ah, dit Lucien l'âne, il me faut bien rapporter ici - car c'est quand même essentiel une autre version de cette Java, du moins de sa fin et très précisément des deux derniers vers.
Dans la version ici présente, la fin est la suivante :
"Et l'pays reconnaissant
L'élu immédiat'ment
Chef du gouvernement"
J'en profite au passage pour corriger le texte (une coquille, sans doute):
Et le pays reconnaissant
L'élut immédiatement
Chef du gouvernement"
Mais, il en existe une autre un peu plus complexe et à mon sens plus vianesque, plus empreinte de sel d'ironie... la voici:
"Et le pays reconnaissant
Lui fit immédiatement
Élever un monument".
D'abord, car un monument, ça reste... Un gouvernement... Bof... On se rend à peine compte qu'il existe, qu'il est déjà reparti...
Et un monument, ça fait plus sérieux, ça vous carre son homme (ou sa femme) pour l'éternité...
Ils ont tous été très friands de monuments : le petit Père Joseph (alias Staline), son copain Lénine, Napoléon, César, Caligula, un tas de Louis, d'Alexandre - tsars de toutes les Russies, les papes, les dieux, li Torê, Adolf, Benito, la femme sans bras, les inconnus (spécialement quand ils portaient un uniforme), l'inventeur de la démocratie (à Poil), Manneken Pis , Jeanneke Pis...
Bref, il y a de quoi faire une chanson...
Donc, je préfère la version monumentale...
D'autant qu'elle est complétée par cette réplique donnée avec une parodie de la voix de l'incroyable Michel Simon :
« Un monument... Un monument ? Mais qu'est ce que vous voulez que je foute d'un monument ? »
Bonne question, en effet.
Vanitas vanitatum.
Ainsi Parlait Lucien Lane
Dans la version ici présente, la fin est la suivante :
"Et l'pays reconnaissant
L'élu immédiat'ment
Chef du gouvernement"
J'en profite au passage pour corriger le texte (une coquille, sans doute):
Et le pays reconnaissant
L'élut immédiatement
Chef du gouvernement"
Mais, il en existe une autre un peu plus complexe et à mon sens plus vianesque, plus empreinte de sel d'ironie... la voici:
"Et le pays reconnaissant
Lui fit immédiatement
Élever un monument".
D'abord, car un monument, ça reste... Un gouvernement... Bof... On se rend à peine compte qu'il existe, qu'il est déjà reparti...
Et un monument, ça fait plus sérieux, ça vous carre son homme (ou sa femme) pour l'éternité...
Ils ont tous été très friands de monuments : le petit Père Joseph (alias Staline), son copain Lénine, Napoléon, César, Caligula, un tas de Louis, d'Alexandre - tsars de toutes les Russies, les papes, les dieux, li Torê, Adolf, Benito, la femme sans bras, les inconnus (spécialement quand ils portaient un uniforme), l'inventeur de la démocratie (à Poil), Manneken Pis , Jeanneke Pis...
Bref, il y a de quoi faire une chanson...
Donc, je préfère la version monumentale...
D'autant qu'elle est complétée par cette réplique donnée avec une parodie de la voix de l'incroyable Michel Simon :
« Un monument... Un monument ? Mais qu'est ce que vous voulez que je foute d'un monument ? »
Bonne question, en effet.
Vanitas vanitatum.
Ainsi Parlait Lucien Lane
Lucien Lane - 11/5/2012 - 10:24
Moins connue que son compère, Manneken Pis et beaucoup plus récente aussi, Jeanneke Pis est une grande conquête de l'égalité entre genres...
Moi, ce que j'en dis, c'est pour faire avancer la chose...
et puis, un monument à ces jeunes, c'est quand même moins con et plus pacifique ...
Et plus vrai...
Et comme disait Boris Vian (légèrement modifié)... mais ça donne bien le sens de ces artistes populaires :
C'est que ça m'amuse et je vous pisse au nez !
Lucien Lane
Moi, ce que j'en dis, c'est pour faire avancer la chose...
et puis, un monument à ces jeunes, c'est quand même moins con et plus pacifique ...
Et plus vrai...
Et comme disait Boris Vian (légèrement modifié)... mais ça donne bien le sens de ces artistes populaires :
C'est que ça m'amuse et je vous pisse au nez !
Lucien Lane
Lucien Lane - 11/5/2012 - 10:37
Pour conclure avec cette histoire de pisseurs qui sont les vrais représentants des gens d'Europe en colère contre les mesures délirantes qui leur sont imposées... « VOYEZ CE QU'ILS FONT AUX GRECS, ILS VOUS LE FERONT DEMAIN ! »...
Donc, suivant en cela Vian, Jeanneke disait à ces sombres canailles qui veulent régenter nos vies et imposer notre misère afin d'augmenter leurs profits et leurs richesses : « Je vous pisse au nez !» et elle avait bien raison...
Manneken Pis arrosait consciencieusement leurs mollets en signifiant d'un coup d'oeil malicieux : « Je vous pisse sur la jambe »...
Mais, j'avais oublié le troisième pisseur, le Zinneke Pis, qui n'est autre qu'un chien bâtard des rues de la capitale de l'Europe, lequel en tirant la langue, s'écrie : « Je vous pisse sur les pieds ! »
Telle est la réponse des petits monuments aux grands exacteurs des peuples d'Europe et d'ailleurs.
Lucien Lane
Donc, suivant en cela Vian, Jeanneke disait à ces sombres canailles qui veulent régenter nos vies et imposer notre misère afin d'augmenter leurs profits et leurs richesses : « Je vous pisse au nez !» et elle avait bien raison...
Manneken Pis arrosait consciencieusement leurs mollets en signifiant d'un coup d'oeil malicieux : « Je vous pisse sur la jambe »...
Mais, j'avais oublié le troisième pisseur, le Zinneke Pis, qui n'est autre qu'un chien bâtard des rues de la capitale de l'Europe, lequel en tirant la langue, s'écrie : « Je vous pisse sur les pieds ! »
Telle est la réponse des petits monuments aux grands exacteurs des peuples d'Europe et d'ailleurs.
Lucien Lane
Lucien Lane - 11/5/2012 - 19:46
Quand je vous disais qu'il existait une version où on lui élève finalement un monument au tonton-bricoleur qui a sauvé la France...
En voici une et même deux...
Une dame Olivia Ruiz (version de 2009) et les Charlots - version 1969.
Moi ce qui me botte, c'est surtout celle des Charlots (la deuxième) et puis, là, on trouve cette référence à Michel Simon qui me plaît tant, mais encore différente de celle que j'avais précédemment entendue - et qui devait être de Reggiani...
Donc, ayant reçu son monument, Tonton dit :
"Un monument... Un monument... Mais j'ai une sale gueule sur ce monument... Remarquez... Il vaut mieux avoir une sale gueule que pas de gueule du tout..."
Une belle vérité...
À tous présents et à venir, salut !
Lucien Lane
En voici une et même deux...
Une dame Olivia Ruiz (version de 2009) et les Charlots - version 1969.
Moi ce qui me botte, c'est surtout celle des Charlots (la deuxième) et puis, là, on trouve cette référence à Michel Simon qui me plaît tant, mais encore différente de celle que j'avais précédemment entendue - et qui devait être de Reggiani...
Donc, ayant reçu son monument, Tonton dit :
"Un monument... Un monument... Mais j'ai une sale gueule sur ce monument... Remarquez... Il vaut mieux avoir une sale gueule que pas de gueule du tout..."
Une belle vérité...
À tous présents et à venir, salut !
Lucien Lane
Lucien Lane - 14/5/2012 - 18:45
Langue: portugais
Traduzione portoghese di Jorge Stolfi, professore d’informatica all’Università di Campinas, São Paulo, Brasile.
A JAVA DAS BOMBAS ATÔMICAS
Meu tio, jeitoso com ferramentas,
fazia como amador
umas bombas atômicas.
Sem nunca ter estudado nada,
era um verdadeiro gênio
em se tratando de trabalhos práticos.
Ele se trancava o dia todo
no fundo de sua oficina
para fazer experiências;
e ao anoitecer ele vinha para casa
e nos deixava boquiabertos
enquanto nos contava tudo.
"Para fabricar uma bomba A,
meninos, acreditem-me,
é na verdade moleza.
questão do detonador
a gente resolve em quinze minutos,
mas essas são de jogar fora.
E quanto à bomba H,
não é muito mais difícil.
Mas uma coisa me tormenta:
é que as de minha fabricação
tem apenas um raio de ação
de três metros e cinquenta!--
Tem algo fazendo barulho lá dentro;
tenho que voltar lá imediatamente!"
Ele trabalhou durante dias
procurando, com amor,
melhorar o modelo;
quando almoçava conosco
ele engolia de uma vez só
sua sopa de macarrãozinho.
Via-se, pelo seu olhar feroz,
que estava com um osso duro de roer,
mas não ousávamos dizer nada.
E enfim uma noite, durante o jantar,
eis que titio suspira,
e grita assim:
"À medida que envelheço
percebo cada vez mais,
tenho o cérebro que falha;
é sério, tenho que dizer,
não é nem mais um cérebro,
é como um monte de molho branco!
Há bons meses e anos
que tento aumentar
o alcance da minha bomba,
e eu nem me dei conta
que a única coisa que conta
é o lugar onde ela cai!
Tem algo fazendo barulho lá dentro;
tenho que voltar lá imediatamente!"
Ao saber que o resultado estava próximo,
todos os grandes chefes de Estado
fizeram-lhe uma visita.
Ele os recebeu, e se desculpou
por suas acomodações
serem tão pequenas.
Mas assim que todos entraram
ele os trancou,
dizendo, "comportem-se";
e, quando a bomba explodiu,
de todas essas personalidades
não sobrou nadinha.
Titio, face a este resultado,
não desanimou,
e se fez de bobo;
ao Tribunal o arrastaram,
e, diante dos jurados,
eis que ele diz gaguejando:
"Senhores, foi um acidente infeliz,
mas juro diante de Deus,
de minha alma e consciência,
que ao destruir todos esses babacas
eu estou firmemente convencido
de ter servido à França!"
Estavam numa sinuca;
então o condenaram,
e depois o anistiaram;
e o país, agradecido
o elegeu imediatamente
Chefe do governo!
Meu tio, jeitoso com ferramentas,
fazia como amador
umas bombas atômicas.
Sem nunca ter estudado nada,
era um verdadeiro gênio
em se tratando de trabalhos práticos.
Ele se trancava o dia todo
no fundo de sua oficina
para fazer experiências;
e ao anoitecer ele vinha para casa
e nos deixava boquiabertos
enquanto nos contava tudo.
"Para fabricar uma bomba A,
meninos, acreditem-me,
é na verdade moleza.
questão do detonador
a gente resolve em quinze minutos,
mas essas são de jogar fora.
E quanto à bomba H,
não é muito mais difícil.
Mas uma coisa me tormenta:
é que as de minha fabricação
tem apenas um raio de ação
de três metros e cinquenta!--
Tem algo fazendo barulho lá dentro;
tenho que voltar lá imediatamente!"
Ele trabalhou durante dias
procurando, com amor,
melhorar o modelo;
quando almoçava conosco
ele engolia de uma vez só
sua sopa de macarrãozinho.
Via-se, pelo seu olhar feroz,
que estava com um osso duro de roer,
mas não ousávamos dizer nada.
E enfim uma noite, durante o jantar,
eis que titio suspira,
e grita assim:
"À medida que envelheço
percebo cada vez mais,
tenho o cérebro que falha;
é sério, tenho que dizer,
não é nem mais um cérebro,
é como um monte de molho branco!
Há bons meses e anos
que tento aumentar
o alcance da minha bomba,
e eu nem me dei conta
que a única coisa que conta
é o lugar onde ela cai!
Tem algo fazendo barulho lá dentro;
tenho que voltar lá imediatamente!"
Ao saber que o resultado estava próximo,
todos os grandes chefes de Estado
fizeram-lhe uma visita.
Ele os recebeu, e se desculpou
por suas acomodações
serem tão pequenas.
Mas assim que todos entraram
ele os trancou,
dizendo, "comportem-se";
e, quando a bomba explodiu,
de todas essas personalidades
não sobrou nadinha.
Titio, face a este resultado,
não desanimou,
e se fez de bobo;
ao Tribunal o arrastaram,
e, diante dos jurados,
eis que ele diz gaguejando:
"Senhores, foi um acidente infeliz,
mas juro diante de Deus,
de minha alma e consciência,
que ao destruir todos esses babacas
eu estou firmemente convencido
de ter servido à França!"
Estavam numa sinuca;
então o condenaram,
e depois o anistiaram;
e o país, agradecido
o elegeu imediatamente
Chefe do governo!
envoyé par Bernart Bartleby - 6/10/2015 - 08:35
Langue: italien
LA JAVA DELLE BOMBE ATOMICHE :
Mio zio che era un noto amante anche se dilettante delle bombe atomiche.
E senza aver studiato si era preparato nelle questioni pratiche
Lui si rinchiuse un giorno con nessuno intorno a fare degli esperimenti
ed alla sera quando poi lui rincasava ci stupiva e raccontava:
"Per fabbricar la Bomba "A" è una banalità non c'è bisogno di arte.
Per la questione strana del detonatore ho già una soluzione a parte.
La Bomba "H"poi, non mi fa paura ma una cosa mi tormenta:
quelle che produco fanno, certo, un buco,ma di un metro e quasi trenta.
C'è qualcosa che non va, ma ora si rimedierà".
Per giorni poi ha lavorato certo ha migliorato i primi suoi modelli.
E se da noi pranzava spesso trangugiava zuppa con i vermicelli.
E se dall'aria ch'era triste a volte si capiva, mai nessun fiatava.
Finchè una sera con un gran sospiro il nostro amato Zio disse così:
"Nella misura in cui divento vecchio il mio cervello sempre più vacilla.
Diciamoci la verità: più che un cervello sembra quasi besciamella.
Per una vita ho sempre ricercato di aumentar gli effetti e la portata
Ora mi rendo conto che quello che conta è solo il posto dove cade.
C'è qualcosa che non va, ma ora si rimedierà".
Avvicinandosi al risultato, i Vertici di Stato chiesero una visita.
Quel gruppo ha convocato poi lui si è scusato per l'officina piccola.
Dicendo poi "Adesso fate i bravi" chiuse tutti dentro bene a chiave.
La bomba dello zio scoppiò, di quei personaggi nulla ci restò.
Lo zio a quel risultato non s'è scoraggiato ed ha giocato allora forte.
In Tribunale lui non ha tremato confessando poi a quella Corte:
"Egregi miei Signori è stato un incidente e non accampo delle scuse.
Col botto di quegli svitati ho servito bene, certo, il mio Paese".
Ci fu un verdetto imbarazzante : metà condanna e per metà assolvente.
E così, riconoscente il Paese ha eletto mio zio Presidente.
Mio zio che era un noto amante anche se dilettante delle bombe atomiche.
E senza aver studiato si era preparato nelle questioni pratiche
Lui si rinchiuse un giorno con nessuno intorno a fare degli esperimenti
ed alla sera quando poi lui rincasava ci stupiva e raccontava:
"Per fabbricar la Bomba "A" è una banalità non c'è bisogno di arte.
Per la questione strana del detonatore ho già una soluzione a parte.
La Bomba "H"poi, non mi fa paura ma una cosa mi tormenta:
quelle che produco fanno, certo, un buco,ma di un metro e quasi trenta.
C'è qualcosa che non va, ma ora si rimedierà".
Per giorni poi ha lavorato certo ha migliorato i primi suoi modelli.
E se da noi pranzava spesso trangugiava zuppa con i vermicelli.
E se dall'aria ch'era triste a volte si capiva, mai nessun fiatava.
Finchè una sera con un gran sospiro il nostro amato Zio disse così:
"Nella misura in cui divento vecchio il mio cervello sempre più vacilla.
Diciamoci la verità: più che un cervello sembra quasi besciamella.
Per una vita ho sempre ricercato di aumentar gli effetti e la portata
Ora mi rendo conto che quello che conta è solo il posto dove cade.
C'è qualcosa che non va, ma ora si rimedierà".
Avvicinandosi al risultato, i Vertici di Stato chiesero una visita.
Quel gruppo ha convocato poi lui si è scusato per l'officina piccola.
Dicendo poi "Adesso fate i bravi" chiuse tutti dentro bene a chiave.
La bomba dello zio scoppiò, di quei personaggi nulla ci restò.
Lo zio a quel risultato non s'è scoraggiato ed ha giocato allora forte.
In Tribunale lui non ha tremato confessando poi a quella Corte:
"Egregi miei Signori è stato un incidente e non accampo delle scuse.
Col botto di quegli svitati ho servito bene, certo, il mio Paese".
Ci fu un verdetto imbarazzante : metà condanna e per metà assolvente.
E così, riconoscente il Paese ha eletto mio zio Presidente.
envoyé par dq82 - 16/11/2015 - 12:12
Il est intéressant d'aller voir sur You Tube les très nombreuses versions françaises de cette Java des Bombes atomiques, qui est toujours reprise et reprise...
Par exemple :
ou
ou, ou, ou...
Il suffit de chercher un peu
Ainsi parlait Lucien Lane
Par exemple :
ou
ou, ou, ou...
Il suffit de chercher un peu
Ainsi parlait Lucien Lane
Lucien Lane - 9/8/2018 - 18:40
Langue: italien
Versione italiana di Gerardo Balestrieri
Mio zio, amando il fai da te
Una passione in sé
Aveva per l'atomica
E senza avere mai studiato
Aveva ormai imparato
Che è questione pratica
Lui se ne stava tutto il dì
Nel suo bell'atelier
A fare non so che
E poi la sera, su da lui
Meravigliava tutti
Raccontando che
Per fabbricare la bomba
Fanciulli miei, si sa
Che non ci vuole tanto
Per il detonatore poi
Un quarto d'ora e vai
E parti per l'incanto
Riguardo poi la bomba a idrogeno
Non è l'ossigeno, ma mi tormenta
Saper che la dolce invenzion
Ha un suo raggio d'azion
Di tre metri e cinquanta
C'è qualcosa che non va
Vado, ma ritorno qua
Sono stato tutti questi anni
Dietro alla mia bomba
E alla sua forma ovalica
E senza avere mai studiato
Ormai ho imparato
Che è questione pratica
Io me ne stavo tutto il dì
Nel mio bell'atelier
A fare non so che
E poi la sera, su da lui
Meravigliavo tutti
Raccontando che
Man mano che ci si fa vecchi
Senza usar gli specchi
Il cervello arranca
Diciamo pure è cosa seria
Che più che materia
È una salsa stanca
Son stato tutti questi anni
Dietro alla mia bomba ed alla sua portata
E non mi sono reso conto
Conta per il mondo
Dove va tirata
C'è qualcosa di cui dubito
Vado, ma ritorno subito
Sapendo del suo risultato
I capi di ogni stato
Vennero a cercarlo
Lui accolse tutti, escluso sé
Ché l'umile atelier
Era piuttosto piccolo
Appena entraron tutti, rise
E con la chiave chiuse
Urlando: "State attenti"
A volte, se il gioiello brilla
Di tutti i potenti non rimane nulla
Davanti allo stato di cose
Lui non si scompose
Fece il finto tonto
In tribunale trascinato
Al giudice togato
Farfugliò convinto:
"Signori della corte
Io lo giuro innanzi a Dio
Con anima e coscienza
- Sono bene convinto
E grido di aver ben servito
La mia amata Francia -"
Sorte della sua ironia
Prima la condanna e dopo l'amnistia
E il paese riconoscente
Lo elesse come presidente
Una passione in sé
Aveva per l'atomica
E senza avere mai studiato
Aveva ormai imparato
Che è questione pratica
Lui se ne stava tutto il dì
Nel suo bell'atelier
A fare non so che
E poi la sera, su da lui
Meravigliava tutti
Raccontando che
Per fabbricare la bomba
Fanciulli miei, si sa
Che non ci vuole tanto
Per il detonatore poi
Un quarto d'ora e vai
E parti per l'incanto
Riguardo poi la bomba a idrogeno
Non è l'ossigeno, ma mi tormenta
Saper che la dolce invenzion
Ha un suo raggio d'azion
Di tre metri e cinquanta
C'è qualcosa che non va
Vado, ma ritorno qua
Sono stato tutti questi anni
Dietro alla mia bomba
E alla sua forma ovalica
E senza avere mai studiato
Ormai ho imparato
Che è questione pratica
Io me ne stavo tutto il dì
Nel mio bell'atelier
A fare non so che
E poi la sera, su da lui
Meravigliavo tutti
Raccontando che
Man mano che ci si fa vecchi
Senza usar gli specchi
Il cervello arranca
Diciamo pure è cosa seria
Che più che materia
È una salsa stanca
Son stato tutti questi anni
Dietro alla mia bomba ed alla sua portata
E non mi sono reso conto
Conta per il mondo
Dove va tirata
C'è qualcosa di cui dubito
Vado, ma ritorno subito
Sapendo del suo risultato
I capi di ogni stato
Vennero a cercarlo
Lui accolse tutti, escluso sé
Ché l'umile atelier
Era piuttosto piccolo
Appena entraron tutti, rise
E con la chiave chiuse
Urlando: "State attenti"
A volte, se il gioiello brilla
Di tutti i potenti non rimane nulla
Davanti allo stato di cose
Lui non si scompose
Fece il finto tonto
In tribunale trascinato
Al giudice togato
Farfugliò convinto:
"Signori della corte
Io lo giuro innanzi a Dio
Con anima e coscienza
- Sono bene convinto
E grido di aver ben servito
La mia amata Francia -"
Sorte della sua ironia
Prima la condanna e dopo l'amnistia
E il paese riconoscente
Lo elesse come presidente
envoyé par Alberto Scotti - 16/3/2021 - 00:37
Langue: portugais
Versione portoghese di Sérgio Salvia Coelho
A JAVA DAS BOMBAS ATÔMICAS
Meu tio, notório inventor
Era contrafeitor de bombas nucleares
Sem ter graduação formal
Era o maioral em manutenção dos lares
Trancado dias em surdina
Em sua oficina, para experiências;
E à noite com o seu relato
Punha a audiência em estado estupefato
Para fazer uma Bomba A
Podem acreditar é uma molezinha
A questão do detonador é um parto sem dor
Eu faço na cozinha
No que toca à Bomba H
Eu vou mais devagar mas o que me atormenta
É que as de minha fabricação
Têm um raio de ação de só três e cinquenta
Algo aqui não está bom
Volto já pro meu porão
Camelou dias a fio
Com seu desafio de melhorar o modelo
No café da manhã
Comia com afã seu mingau de farelo
A gente pela sua careta
Via a coisa preta, mas ninguém dava um pio
E uma noite no jantar
Titio deu um suspiro e passou a declarar:
À medida que envelheço
Agora eu reconheço, o dano é diário
Isto nem é mais cabeça, por incrível que pareça
Está mais para minhocário
Pois já faz bem mais de ano
Que eu me desengano com o alcance do aparato
Sem ter consideração que a real questão
É seu local de impacto
Algo aqui não está bom
Volto já pro meu porão
Na véspera do resultado
Grandes chefes de Estado vieram para a festa
Meu tio ao recepcionar
Mandou não reparar na sua casa modesta
Mas vendo todos presentes
Lhes passou a corrente dizendo: quietinhos!
E quando a bomba explodiu
Todos esses cretinos, ninguém nunca mais viu.
Diante desse resultado
Titio foi bom soldado e alegou demência
Levado aos tribunais ele gaguejou mais
E falou à Imprensa:
Senhores foi um baita azar
Mas devo declarar em meu juízo profundo
Que detonando o topo
Eu encontrei um modo de salvar o mundo.
Confundindo os jurados
Meu tio foi condenado depois anistiado
E em grande comoção
Venceu a eleição de chefe da nação
Meu tio, notório inventor
Era contrafeitor de bombas nucleares
Sem ter graduação formal
Era o maioral em manutenção dos lares
Trancado dias em surdina
Em sua oficina, para experiências;
E à noite com o seu relato
Punha a audiência em estado estupefato
Para fazer uma Bomba A
Podem acreditar é uma molezinha
A questão do detonador é um parto sem dor
Eu faço na cozinha
No que toca à Bomba H
Eu vou mais devagar mas o que me atormenta
É que as de minha fabricação
Têm um raio de ação de só três e cinquenta
Algo aqui não está bom
Volto já pro meu porão
Camelou dias a fio
Com seu desafio de melhorar o modelo
No café da manhã
Comia com afã seu mingau de farelo
A gente pela sua careta
Via a coisa preta, mas ninguém dava um pio
E uma noite no jantar
Titio deu um suspiro e passou a declarar:
À medida que envelheço
Agora eu reconheço, o dano é diário
Isto nem é mais cabeça, por incrível que pareça
Está mais para minhocário
Pois já faz bem mais de ano
Que eu me desengano com o alcance do aparato
Sem ter consideração que a real questão
É seu local de impacto
Algo aqui não está bom
Volto já pro meu porão
Na véspera do resultado
Grandes chefes de Estado vieram para a festa
Meu tio ao recepcionar
Mandou não reparar na sua casa modesta
Mas vendo todos presentes
Lhes passou a corrente dizendo: quietinhos!
E quando a bomba explodiu
Todos esses cretinos, ninguém nunca mais viu.
Diante desse resultado
Titio foi bom soldado e alegou demência
Levado aos tribunais ele gaguejou mais
E falou à Imprensa:
Senhores foi um baita azar
Mas devo declarar em meu juízo profundo
Que detonando o topo
Eu encontrei um modo de salvar o mundo.
Confundindo os jurados
Meu tio foi condenado depois anistiado
E em grande comoção
Venceu a eleição de chefe da nação
envoyé par Sérgio Salvia Coelho - 5/1/2022 - 00:21
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[1955]
Paroles de Boris Vian
Musique d'Alain Goraguer
Testo di Boris Vian
musica di Alain Goraguer
# Boris Vian (1955), # Jan et Rod (1957)
# Elsa Popping et sa musique sidérante (1957)
# Pauline Julien (1966)
# Serge Reggiani:
# Les Charlots (1969)
# Serge et Stéphane Reggiani (1975)
# Mouloudji (1976)
# Bernard Lavilliers (1982)
# Liselotte Hamm, Jean-Marie Hummel (1995)
# Stéphane Aubry (2003)
Cette chanson eut les honneurs de la publication en première page du 'Canard enchaîné' du 13 juin 1955.
La canzone fu onorata della pubblicazione in prima pagina del 'Canard enchaîné', la notissima rivista satirica francese, del 13 giugno 1955.