Filosofo e pescatore, omaggio a papà [1]
C'è uno scaffale in libreria
Dove i libri non son di costa
Di copertina la fotografia
E la storia dentro nascosta
Uomini e donne in bianco e nero
Come i caratteri della scrittura
Lo sguardo dritto come il pensiero
La fronte aperta sulla cultura
Tra loro un uomo non c'è cognome
Sembra distinto ha su gli occhiali
Le sue opere conosco eccome
Mai letto libri neanche giornali
È mio padre classe ventitré
Nel Polesine della depressione
Di elementari ne ha fatte tre
Poi a bottega a fare il garzone
Troppo piccolo per la campagna
Ruba le uova dentro il pollaio
Spago e lesina la sua compagna
E mani buone da calzolaio
L' otto settembre era soldato
Ha fatto un viaggio da ricordare
In Germania l han deportato
Lavoro e fame per non cambiare
Poi a Milano coi sacrifici
Lei sarta in casa riposo mai
Fanno tre figli e son felici
Lui va in fabbrica con gli operai
Dentro il cuore c'è sempre il fiume
Ci sono i pesci ne sa l'odore
L Adige il Po' le loro brume
È filosofo e pescatore.
[1] Vi segnalo i siti di due fondazioni nazionali per ricordare gli internati IMI
- sito del museo nazionale dell’internamento IMI di Padova
- Il sito di ANED
I militari italiani, catturati con l’inganno e senza quasi resistenza, vennero subito defraudati dai tedeschi del loro status naturale di prigionieri di guerra (KGF) e delle conseguenti tutele, e vennero marcati come internati militari (I.M.I., una qualifica arbitraria non prevista dalle convenzioni internazionali) e considerati falsamente come disertori badogliani e potenziali soldati del duce in attesa di ravvedimento e impiego.
La resistenza degli I.M.I., nota come l’altra resistenza (o senz’armi, silenziosa, bianca) si attuò a rischio di morte con il sabotaggio, la non collaborazione e il lavoro rallentato fino anche a metà o un terzo della norma dell’operaio tedesco e, indirettamente, consumando risorse e distogliendo per venti mesi dai fronti, per custodia, più di 60.000 soldati tedeschi. La resistenza degli I.M.I. non fu inerme, né moralmente meno eroica di quella armata.
I 613.000 I.M.I. irriducibili vennero sfruttati come schiavi, anzi come esseri subumani o pezzi numerati di magazzino (come li definivano i nazisti), in miniere, fabbriche e campi o a scavare macerie e trincee, sempre sotto minaccia delle armi, tra violenze, degrado, fame, malattie non curate e dei bombardamenti alleati. Le loro speranze di vita erano di pochi mesi poiché lavoravano da settanta a cento ore alla settimana con un consumo giornaliero di 2300/3300 calorie, non compensato dalla dieta di 900-1700 calorie. La sopravvivenza degli I.M.I. si deve a qualche pacco da casa, un po’ di riso e gallette del SAI fascista e soprattutto a furti di patate, svendite del poco non rapinato nelle perquisizioni e anche bruciando decine di chili di risorse corporee.
Umberto Zanolli, Wietzendorf 1944
- sito del museo nazionale dell’internamento IMI di Padova
- Il sito di ANED
I militari italiani, catturati con l’inganno e senza quasi resistenza, vennero subito defraudati dai tedeschi del loro status naturale di prigionieri di guerra (KGF) e delle conseguenti tutele, e vennero marcati come internati militari (I.M.I., una qualifica arbitraria non prevista dalle convenzioni internazionali) e considerati falsamente come disertori badogliani e potenziali soldati del duce in attesa di ravvedimento e impiego.
La resistenza degli I.M.I., nota come l’altra resistenza (o senz’armi, silenziosa, bianca) si attuò a rischio di morte con il sabotaggio, la non collaborazione e il lavoro rallentato fino anche a metà o un terzo della norma dell’operaio tedesco e, indirettamente, consumando risorse e distogliendo per venti mesi dai fronti, per custodia, più di 60.000 soldati tedeschi. La resistenza degli I.M.I. non fu inerme, né moralmente meno eroica di quella armata.
I 613.000 I.M.I. irriducibili vennero sfruttati come schiavi, anzi come esseri subumani o pezzi numerati di magazzino (come li definivano i nazisti), in miniere, fabbriche e campi o a scavare macerie e trincee, sempre sotto minaccia delle armi, tra violenze, degrado, fame, malattie non curate e dei bombardamenti alleati. Le loro speranze di vita erano di pochi mesi poiché lavoravano da settanta a cento ore alla settimana con un consumo giornaliero di 2300/3300 calorie, non compensato dalla dieta di 900-1700 calorie. La sopravvivenza degli I.M.I. si deve a qualche pacco da casa, un po’ di riso e gallette del SAI fascista e soprattutto a furti di patate, svendite del poco non rapinato nelle perquisizioni e anche bruciando decine di chili di risorse corporee.
PRIGIONIERO
Quattrocentoventisei – ottantasette
Non più uomo: numero.
Bucce di marce patate
rape bianche gialle e rosse
– da foraggio, –
margarina minerale
– qualche grammo –
pan di paglia triturata
– segatura d’alti fusti iperborei –
acqua e sale.
Poco perché tu viva.
Troppo perché tu muoia.
Dura, prigioniero.
Quattrocentoventisei – ottantasette
Non più uomo: numero.
Bucce di marce patate
rape bianche gialle e rosse
– da foraggio, –
margarina minerale
– qualche grammo –
pan di paglia triturata
– segatura d’alti fusti iperborei –
acqua e sale.
Poco perché tu viva.
Troppo perché tu muoia.
Dura, prigioniero.
Umberto Zanolli, Wietzendorf 1944
Contributed by Resistenza, deportazione - 2023/2/14 - 18:23
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Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel: Paolo Rizzi
Gli ho dedicato questa canzone ricordando la sua vita di sacrifici e la sua giovinezza di garzone calzolaio.
Le cose di cui mi parlava di più della sua giovinezza erano la fame e la deportazione in Germania dopo l'8 settembre.
Dedico questa canzone anche a tutti gli IMI, gli Internati Militari italiani. [Paolo Rizzi]