Testo e musica di Alessandro "Alle" Casappa.
Di canzoni sulla morte di Pino Pinelli ne esistono diverse, a partire dalla storica Ballata del Pinelli. Da qualche mese, grazie a "Alle" Casappa, sono in grado di formulare un giudizio che formulo assai di rado su una canzone. Vale a dire che questa è la più particolare e, al tempo stesso, la più bella di tutte. E non lo dico soltanto perche Alle Casappa è un mio caro amico, non lo dico soltanto perché ieri sera, mentre la cantava durante la "Piola Messicana" di Arcola (SP), sono salito sul palco assieme a lui per eseguire (male) il compito di reggergli il foglio con il testo. Perché Alle, come tutti gli scrittori di canzoni che valgono davvero qualcosa, ha un paio di caratteristiche: è schivo fino all'inverosimile, e non conosce a memoria i testi delle proprie canzoni. Una caratteristica condivisa, solo per fare due nomi fra i tanti, da Georges Brassens e da Violeta Parra. E così eccola questa canzone, il cui titolo è una data. Il quindici dicembre. Il giorno in cui morì Pinelli. Strane cose, le date, davvero strane. Il foglio che reggevo a Alle mentre cantava, me lo ha regalato. Da quello ricopio il testo. Con un grazie, e rimandando all'album di canzoni che Alle Casappa sta preparando. Mi sento di utilizzare per l'ennesima volta una famosa frase di Francesco Senia: Non venderà un cazzo. Ma noi ci abbiamo in testa un nostro piano. Se e quando moriremo (la cosa è insicura). [RV]
Poverino che a cadere da qui in alto,
poverino avrà fatto un gran bel salto
che sfrontato, sostituire il davanzale
ai gradini elicoidali delle scale
quale assurda ignorante presunzione
creder d'esser trapezista
da tendone
Ma sua madre, ma sua madre -che sventura-
fare un figlio con la testa così dura
da pretender di sfidare il cornicione
senza il tempo di slacciarsi uno scarpone,
fare un figlio incompiuto in quasi tutto
da cader senza destar
nessun sospetto
Che abbiamo fatto, invece noi, del nostro meglio
noi lo abbiam preso e coccolato come un figlio
Ma lo zelo in malafede vien confuso
da chi, spesso, finge d'essere persuaso
E siam buoni e bravi almeno fino a quando
non sentiam quel che vogliamo...
Cascasse il mondo.
"Figlio mio", gli abbiam parlato ad una voce
"sarebbe bello inchiodarti ad una croce,
sulla piazza di San Babila al tramonto
o su un tram addebitabile a tuo conto.
Ma per legge i nostri modi son garbati
che siam tutti, o quasi tutti,
laureati."
"Figlio mio", gli sussurrammo in un orecchio
"non guardar dalla finestra, il trucco è vecchio.
Non distrarti, pensa a chi ti sta vicino
e s'ammira contemplandoti assassino.
Su, coraggio, contentiamo il commissario
che non ride mai dall'occhio
suo meno serio."
E che è difficile, si sa, per noi garanti
saper resistere ai rimedi sacrosanti.
Che i soggiorni in una patria galera,
vitto e alloggio, culo asciutto mane e sera
sono come fosse sempre un po' Natale,
mentre noi qui, al quarto piano,
a tribolare.
Commissario, commissario...la iattura
fu aver cuore e non lasciargli la paura,
l'indiziato ha messo le ali alle caviglie
ignorando i nostri placidi consigli,
l'incosciente ha scelto infine la sua via
calmierando il prezzo a quella
sua utopia.
E qualcuno avrà senz'altro da ridire
per il gusto di volerci importunare,
per capire ciò che è chiuso in questa stanza
e nel lucido tempismo d'ambulanza.
Ma alla fine fu soltanto un gran bel botto:
se s'affaccia può veder
com'è ridotto
Che c'è una fine -poi si sa- per tutti quanti
e non è detto che s'arrivi da coerenti
lui pretese di arrivarci da aviatore
e dimenticò in un colpo il suo mestiere
confondendo finestrone con binario
dica pure, parli chiaro, commissario,
dica se per caso abbiamo scritto male:
fu suicidio involontario accidentale
Fu suicidio
involontario
accidentale.
poverino avrà fatto un gran bel salto
che sfrontato, sostituire il davanzale
ai gradini elicoidali delle scale
quale assurda ignorante presunzione
creder d'esser trapezista
da tendone
Ma sua madre, ma sua madre -che sventura-
fare un figlio con la testa così dura
da pretender di sfidare il cornicione
senza il tempo di slacciarsi uno scarpone,
fare un figlio incompiuto in quasi tutto
da cader senza destar
nessun sospetto
Che abbiamo fatto, invece noi, del nostro meglio
noi lo abbiam preso e coccolato come un figlio
Ma lo zelo in malafede vien confuso
da chi, spesso, finge d'essere persuaso
E siam buoni e bravi almeno fino a quando
non sentiam quel che vogliamo...
Cascasse il mondo.
"Figlio mio", gli abbiam parlato ad una voce
"sarebbe bello inchiodarti ad una croce,
sulla piazza di San Babila al tramonto
o su un tram addebitabile a tuo conto.
Ma per legge i nostri modi son garbati
che siam tutti, o quasi tutti,
laureati."
"Figlio mio", gli sussurrammo in un orecchio
"non guardar dalla finestra, il trucco è vecchio.
Non distrarti, pensa a chi ti sta vicino
e s'ammira contemplandoti assassino.
Su, coraggio, contentiamo il commissario
che non ride mai dall'occhio
suo meno serio."
E che è difficile, si sa, per noi garanti
saper resistere ai rimedi sacrosanti.
Che i soggiorni in una patria galera,
vitto e alloggio, culo asciutto mane e sera
sono come fosse sempre un po' Natale,
mentre noi qui, al quarto piano,
a tribolare.
Commissario, commissario...la iattura
fu aver cuore e non lasciargli la paura,
l'indiziato ha messo le ali alle caviglie
ignorando i nostri placidi consigli,
l'incosciente ha scelto infine la sua via
calmierando il prezzo a quella
sua utopia.
E qualcuno avrà senz'altro da ridire
per il gusto di volerci importunare,
per capire ciò che è chiuso in questa stanza
e nel lucido tempismo d'ambulanza.
Ma alla fine fu soltanto un gran bel botto:
se s'affaccia può veder
com'è ridotto
Che c'è una fine -poi si sa- per tutti quanti
e non è detto che s'arrivi da coerenti
lui pretese di arrivarci da aviatore
e dimenticò in un colpo il suo mestiere
confondendo finestrone con binario
dica pure, parli chiaro, commissario,
dica se per caso abbiamo scritto male:
fu suicidio involontario accidentale
Fu suicidio
involontario
accidentale.
envoyé par Riccardo Venturi - 7/10/2007 - 22:24
×