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Наше ће сјене ходат по Бечу [Gavrilo Princip Pesma]

Gavrilo Princip
Langue: serbe


Gavrilo Princip

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Naše će sjene hodati po Beču [Gavrilo Princip Pesma]
[2015]

Песма / Poesia / A Poem by / Poème / Runo :
Gavrilo Princip [Гаврило Принцип]

Музика / Musica / Music / Musique / Sävel:
Dubravka Tomić [Дубравка Томић]




Gavrilo Princip [Гаврило Принцип]

Gavrilo Princip nacque a Obljaj , un villaggio bosniaco prossimo al confine con la Croazia. Studiò a Belgrado dove venne a contatto con elementi dell’ultranazionalismo serbo. Fu membro del gruppo Giovane Bosnia (cfr. i paragrafi successivi e le note biografiche). A diciannove anni fu l’esecutore materiale dell’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico, il 28 Giugno 1914 a Sarajevo. Francesco Ferdinando rimase ucciso insieme alla moglie Sofia.
Princip morì affetto da tubercolosi, una mano amputata, in pessime condizioni di salute, pare anche maltrattato, nel carcere ceco di Terezin ( allora Theresienstad) nel 1918, a 23 anni.
Eroe per i Serbi, terrorista per i Bosniaci e per gli Austriaci, sulla sua figura i giudizi sono nettamente divergenti ancora oggi. Portò un peso molto più grande della sua statura. Pochi hanno manifestato interesse per l’uomo, per il giovane Princip con le sue ombre e le sue luci. È più comodo additarlo come un capro espiatorio attribuendogli ipocritamente o ingenuamente la colpa di avere scatenato la I Guerra mondiale o farne un gadget per compiacere i settori serbi proni all’ultranazionalismo.




L’attentato

Per la descrizione delle organizzazioni nazionaliste si rimanda al paragrafo successivo.
I congiurati che presero direttamente parte all’attentato furono in 7, tutti affiliati alla Giovane Bosnia: Danilo Ilić,27 anni, l’organizzatore, Gavrilo Princip,19 anni, Nedeljko Čabrinović,19 anni, Trifko Grabež,19 anni, Vaso Čubrilović, 17 anni, Cvjetko Popović,18 anni, Muhamed Mehmedbašić, 27 anni. Tra I favoreggiatori: Lazar Djukic , Ivo Kranjcevic, Mitar Kerović, Neđo Kerović, Miško Jovanović, Jakov Milović, Veljko Čubrilović (fratello di Vaso).
I sette cospiratori ricevettero in dotazione 6 bombe, 4 pistole, e 4 caricatori. Li fornì a Princip, Čabrinović e Grabež l’agente serbo Milan Ciganović a Belgrado. Avevano con sé anche del cianuro per suicidarsi dopo l’attentato ( di scarsa qualità, come vedremo). Proprio l’inefficacia del veleno fa propendere per l’ipotesi che non sia stato Ciganović a fornirlo ma un amico di Vaso Čubrilović, tale Kalember, farmacista di Sarajevo.

I tre raggiunsero Sarajevo partendo da Belgrado: 300 km percorsi in 9 giorni attraverso montagne e territori disagiati. Passarono la frontiera tra Serbia e Bosnia con la complicità di gendarmi acquiescenti verso la Giovane Bosnia, sotto il controllo della Mano Nera. Per passare il confine si servirono del contrabbandiere Milović. Chiesero aiuto a Veljko Čubrilović, insegnante di Priboj, agente di Narodna Obrana. Questi li mise in contatto con il contadino Mitar Kerovic, 65 anni, per il trasporto a Tuzla in un carretto. Presero contatto con Miško Jovanović, 36 anni, imprenditore di Tuzla, che li aiutò a nascondere le armi. Da Tuzla Princip, Grabež e Čabrinović presero il treno per Sarajevo il 5 Giugno. Qui si divisero per 3 settimane: Princip alloggiò a casa della madre di Danilo Ilić, Čabrinović a casa sei suoi mentre Grabez dimorò a casa dei genitori a Pale, vicino Sarajevo. A metà Giugno Ilić , dopo avere recuperato le armi da Jovanovic con spostamenti rocamboleschi, cambiò idea desistendo dall’attentato. Si dice che avesse ricevuto un ordine in tal senso da Dimitrijević, figura apicale dei Servizi serbi, trait d’union della Mano Nera. Il contrordine di via libera all’attentato sarebbe arrivato dallo stesso personaggio pochi giorni dopo.

Durante quel periodo l’organizzatore, Danilo Ilić, reclutò altri 3 cospiratori: gli studenti Vaso Čubrilović, Cvjetko Popović a Sarajevo e Muhamed Mehmedbašić a Mostar. Ivo Kranjcevic, studente, fu contattato dai primi due che gli chiesero di nascondere le armi dopo l’attentato.
Pochi giorni prima dell’attentato il capo della polizia di Sarajevo, Gerde,e il vicepresidente del parlamento bosniaco, Sunaric, avevano avvertito il governatore della Bosnia, Potiorek, di voci su preparativi di un attentato all’arciduca, ma non furono presi sul serio.

Il 27 Giugno i sei cospiratori ricevettero le armi da Ilić. Domenica 28 Giugno ciascuno dei 6 cospiratori si era appostato in un luogo indicato da Ilić sul lungofiume Appel, ma ad ognuno fu data facoltà di variarlo. Il piano stabilito fu fallimentare. Mehmedbašić non intervenne forse perché indeciso sull’auto del corteo dove si trovava l’arciduca. Čabrinović lanciò la bomba senza attendere i regolari 12 secondi, l’autista si accorse del lancio e accelerò. La bomba rimbalzò sull’auto dell’arciduca ed esplose sulla macchina successiva: rimasero feriti due militari sull’auto e una ventina di astanti. Čabrinović fu subito preso. Il corteo accelerò, perciò Grabez e Princip non poterono attuare la loro parte.
Dopo un discorso al municipio, l’arciduca decise di andare a visitare i suoi due aiutanti feriti in ospedale. Il corteo si mosse in fretta sul lungofiume. Anche stavolta Grabez non potè intervenire. Il caso volle che l’autista dell’arciduca non fosse stato informato della variazione di percorso per motivi di sicurezza. Quando il corteo girò, anziché procedere sul lungofiume, Potiorek intimò all’autista di fermarsi per cambiare direzione. Sempre il caso volle che nel punto in cui l’auto si fermò, angolo via Franz Josef con il Ponte Latino, Princip si trovasse a uscire dal caffé “Schiller’s delicatessen”. Prontamente salì sul predellino della Gräf & Stift, su cui viaggiava l’arciduca, sparò due colpi ferendolo mortalmente al collo e uccidendo la moglie Sofia raggiunta da un colpo all’addome. Princip tentò di suicidarsi sparandosi ma fu acciuffato prima del tentativo. Cercò anche di avvelenarsi con il cianuro, ma senza effetto, probabilmente la concentrazione del veleno non era adeguata. Princip dichiarerà nel processo che non era sua intenzione uccidere la donna.
Nel pomeriggio iniziarono i pogrom contro i serbi di Sarajevo, organizzati da cattolici croati e musulmani, con incendi e saccheggi. Seguì il coprifuoco e l’applicazione della legge marziale.



La polizia si mosse subito arrestando decine di serbi . Princip e Čabrinović si dichiararono responsabili ma non fecero il nome di nessun altro. Ilić invece fece i nomi dei cospiratori e degli aiutanti. L’unico che la fece franca fu Mehmedbašić; riuscì a riparare in Serbia, si arruolò nell’esercito come addestratore mantenendo i contatti con Dimitrijević.



*da sx: fila 1 Trifko Grabež, Nedeljko Čabrinović, Gavrilo Princip , Danilo Ilić, Veliko Čubrilović
fila 2 Miško Jovanović, Jakov Milović

Il processo fu aperto il 12 Ottobre e si concluse il 23. Gli imputati furono 25; per tutti, cospiratori e favoreggiatori le accuse furono di alto tradimento e favoreggiamento in alto tradimento. L’accusa di omicidio non venne formulata a bella posta dato che la massima pena prevista per l’omicidio dalla legge austriaca era l’ergastolo. La maggior parte degli avvocati assegnati agli imputati non fecero neppure una difesa di circostanza. Gli imputati direttamente coinvolti nell’assassinio si dichiararono patrioti serbi e non criminali per avere compiuto un gesto politico. Il loro scopo, dissero, era di aiutare la causa slava e di liberare la Bosnia, non avevano nulla di personale contro l’Imperatore o la persona di Francesco Ferdinando. Fecero di tutto per sollevare da responsabilità quanti li avevano aiutato. Al tribunale e al governo austriaco interessava soprattutto fare emergere un collegamento tra i cospiratori e il governo serbo, ma le deposizioni furono reticenti su tale aspetto. Emersero tuttavia le responsabilità del maggiore serbo Tankosić e soprattutto dell’agente Milan Ciganović.

Il verdetto fu di 5 condanne a morte per impiccagione, un ergastolo, 10 pene variabili da nove a venti anni di carcere ai lavori forzati, 9 assoluzioni. I tre imputati principali, Princip, Čabrinović e Grabež scamparono dalla condanna a morte data l’età inferiore a 20 anni. La legge austriaca escludeva la sentenza capitale per i condannati sotto i 20 anni. Delle 5 condanne a morte ne furono eseguite 3: Danilo Ilić, Veliko Čubrilović, Miško Jovanović. A Neđo Kerović la pena di morte fu commutata in 20 anni di carcere, a Jakov Milovićin in ergastolo. Le impiccagioni furono eseguite dal boia Alois Syfried il 3 Febbraio 1915 nel cortile della fortezza di Sarajevo.
Le autorità temevano che le tombe degli impiccati diventassero un luogo di pellegrinaggio per i giovani bosniaci, come nel caso di Žerajić. Il presidente del tribunale di Sarajevo, Ilinicki, ha prima autorizzato i familiari dei giustiziati a seppellirli ma il capo della polizia Ivasjuk ha protestato con il governo del Land affermando che questo potrebbe incoraggiare le persone a celebrarli come eroi e martiri
Il governo nazionale si schierò con Ivasjuk. Così, Ilic, Čubrilović, Jovanović furono sepolti in segreto nella notte tra il 3 e il 4 febbraio. L'ubicazione delle loro tombe fu scoperta da Mane Krnić, insegnante di disegno di Ilić. Il vecchio pittore una volta giunse nei pressi del villaggio di Nahoreva, lì apprese dai contadini che un giovane, aveva visto i poliziotti di Sarajevo scavare nella notte tra il 3 e il 4 febbraio. Krnić intuì che la tomba del suo studente Ilic e dei suoi amici poteva essere lì. Quando la guerra finì, Krnić informò le autorità delle sue conoscenze. Le loro ossa furono trasferite nella fossa comune dei “giovani bosniaci” a Koševo, a Sarajevo.

Anche Trifko Grabež morì di tubercolosi a Terezin nel 1918 a 22 anni. Nedeljko Čabrinović morì anche lui di tubercolosi a Terezin nel 1916, a 21 anni. Neđo Kerović e suo padre Mitar morirono nel carcere di Möllersdorf, a sud di Vienna, nel 1916 . Cvjetko Popović fu liberato alla fine della guerra, divenne professore di filosofia e supervisore della sezione di Etnografia al museo di Sarajevo. Anche Vaso Čubrilović fu scarcerato nel 1918 dagli Alleati. Divenne professore universitario a Belgrado, fu arrestato e internato dalla Gestapo nel 1941. Fu collaboratore di Tito, ministro dell’Agricoltura nel dopoguerra.



La canzone

Il testo della canzone è una poesia che Gavrilo Princip incise su una ciotola dl latta nella prigione di Terezin. Fu pubblicata nel 1919. La compositrice Dubravka Tomić ha inserito come ritornello i tre versi che Gavrilo Princip incise sul muro della cella. Il testo originale della poesia è costituito dalle 4 strofe riportate senza il rientro.
La canzone qui proposta non è molto nota. Si distacca nettamente da altre reperibili in rete, abbastanza diffuse, che non ci hanno convinto perché, se melodie e ritmi non sono male, ci danno dato l’impressione di non andare oltre la propaganda, di rivolgersi a ultras esaltati e nostalgici delle gesta scellerate delle Tigri di Arkan. Ad ogni modo, a chi volesse dare un’occhiata segnaliamo quella più gettonata, in stile turbo-folk, di Baja Mali Knindža


Il nazionalismo serbo e la I Guerra Mondiale

Semplificando, due furono i fattori determinanti nella genesi del nazionalismo serbo e, più in generale, dei nazionalismi nei Balcani: i moti del 1848 e la crisi dell’Impero Ottomano.
I moti del ’48 non risparmiarono nessuno stato in Europa, eccettuati il Regno Unito e l’impero russo per motivi divergenti. La classe dominante inglese aveva varato nel 1832 delle riforme per venire incontro alle esigenze della borghesia , allentando così gran parte delle tensioni sociali. In Russia invece non esistevano potenziali attori di tensioni, non c’erano le classi borghese e proletaria.
Invece per le classi borghesi e per le élites intellettuali dei paesi europei , rimasti ingessati al Congresso di Vienna del 1815, Il vestito si era fatto stretto. L’incipiente rivoluzione industriale, la crisi agricola e la recessione economica fecero emergere le contraddizioni; lo statu quo del 1815 non era più adeguato alle esigenze maturate verso la metà del secolo.

L’altro versante vedeva l’inesorabile declino dell’Impero Ottomano, il "Sick man of Europe" secondo una espressione azzeccata attribuita allo zar Nicola a colloquio con l’ambasciatore britannico Sir George Hamilton Seymour nel 1853 a San Pietroburgo. La frase intera del colloquio la dice lunga sull’interesse delle Grandi Potenze a mantenere in vita l’ammalato: "We have on our hands a sick man—a very sick man: it will be, I tell you frankly, a great misfortune if, one of these days, he should slip away from us, especially before all necessary arrangements were made." [ Parliamentary Papers- Eastern Papers, V. Session 31 January – 12 August 1854, Vol. LXXI]. Su tale tesi tutte le Grandi Potenze convenivano, era sugli arrangements che le politiche estere si dividevano. Peraltro l’ammalato versava in gravi condizioni in campo economico e sociale, ma era meno ammalato in campo militare di quanto avevano pronosticato i circoli inglesi interessati, come emergerà nella I Guerra mondiale.
Sino alla prima decade del Novecento le mire di Austria e Russia non erano soltanto quelle di accaparrarsi delle fette di territorio ottomano dei Balcani, erano anche di mantenere salda l’egemonia nei Balcani per evitare l’effetto domino dei moti del ’48.

Probabilmente le aspirazioni delle élites e le esigenze della classe borghese che si stava formando negli stati balcanici non sarebbero andate molto lontano se nell’Impero Ottomano non si fosse verificato un mutamento economico conseguente al riformismo, il cosiddetto Tanzimat , nel periodo che intercorre dall’editto di Gülhane del 1839 sino al 1876 , anno in cui fu varata la costituzione ottomana.
Il Tanzimat cercò di modernizzare l’impero ottomano in tutti i campi; ci riuscì solo in parte. L’ammodernamento dell’esercito e della macchina statuale richiedevano riforme fiscali indifferibili di vasta portata. Semplificando, i contadini dei territori balcanici, usi a pagare le imposte in natura, si trovarono costretti a pagare le imposte in denaro e quindi a vendere quote crescenti della produzione agricola per ricavare denaro. Il risultato per i piccoli proprietari fu un netto peggioramento delle condizioni di vita e la precarietà del sostentamento familiare. Per un altro verso, i cristiani erano da secoli soggetti al pagamento della jizya, un’imposta sulla libertà personale e di culto che gravava sui sudditi non musulmani. Pure per loro, che costituivano sino all’80% della popolazione in alcuni territori, la riforma fiscale comportò un impoverimento intollerabile.
Ecco quindi che il malessere, di diversa natura e origine, saldò borghesi, contadini ed intellettuali in una massa coesa in funzione anti-ottomana. Si aggiunga il peso della tradizione, il retaggio della vecchia Serbia, mai sopito, della battaglia della Piana dei Merli (Kosovo) del 1389, simbolo fortissimo del Nation building tuttora attivo, e si comprenderà come di ingredienti per il brodo di coltura del nazionalismo serbo ce n’erano d’avanzo.

Naturalmente anche altri fattori, secondari a parere di chi scrive, contribuirono al consolidamento del nazionalismo. Prima di allora nei territori balcanici sotto il dominio ottomano non mancavano elementi identitari anche forti. Non si trattava di identità su base nazionale ma su basi religiose: cristiani e ortodossi (greci, secondo la denominazione dell’epoca) contrapposti all’establishment musulmano. Si assiste quindi ad un cambiamento di paradigma di cui si stenterebbe a cogliere il senso senza un’analisi in termini di conflitto tra mezzi e rapporti di produzione, cioè su base economica mediata da fattori culturali.
Detto in altri termini, dai secoli in cui era lo Stato a fondare la Nazione si passa alla modernità, iniziata con la Rivoluzione francese e il periodo napoleonico, in cui è la Nazione a fondare lo Stato. Il nazionalismo serbo fu ad un tempo la risposta necessitata, il cemento, di strati con interessi divergenti non soltanto per scrollarsi di dosso il giogo ottomano ma anche una misura per tenere a bada gli appetiti delle Grandi Potenze nei Balcani. Un mix che avrebbe avuto ricadute impensabili anche dopo la definitiva dissoluzione dell’Impero ottomano alla fine della I Guerra mondiale. Infatti, andando oltre, avrebbe prodotto guerre e massacri in tempi recenti quando i nazionalismi sono stati strumentalizzati insieme alle religioni per stravolgere assetti e allineamenti geostrategici nei Balcani.
Alla base di tanti nazionalismi dalle conseguenze nefaste ha aleggiato sempre la connotazione grande, un Grande Progetto, un Grande Ideale. Nel caso del nazionalismo serbo prese il nome di Grande Serbia, in serbo Velica Srbija [Велика Србија], una nazione che ambiva a comprendere Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Kosovo, Macedonia, Croazia, Slovenia e per alcuni spiriti radicali anche Albania, Grecia, Ungheria. La giustificazione di stampo etnico dell’ideologia panslavista era che in tali territori l’elemento serbo era presente se non prevalente.

Occorre accennare agli sviluppi storici più importanti per cogliere l’evoluzione del nazionalismo serbo. Nel 1903 ufficiali dell’esercito serbo che propugnavano la Grande Serbia attuarono un colpo di stato e uccisero il re Alessandro della dinastia Obrenović , filoaustriaca. Misero sul treno il re Pietro della dinastia rivale, Karadjordjeviċ . Il suo regno sarà condizionato dai nazionalisti della Grande Serbia infiltrati nelle posizioni chiave. Tuttavia Pietro riuscì ad imprimere una svolta liberale emanando la costituzione e abolendo la censura della stampa. La sua politica valse la simpatia dei popoli slavi dei Balcani verso la Serbia. In politica estera Pietro allentò decisamente la situazione di dipendenza dall’Austria dato che gli scambi commerciali erano monopolizzati da decenni da Vienna. Le reazioni dell’Austria-Ungheria non si fecero attendere. La carne di maiale serba, fonte primaria delle esportazioni fu boicottata dall’Impero ma alla fine i Serbi la spuntarono.
Anche in questo caso fu l’indipendenza economica a stimolare l’indipendenza politica e la diffusione del panslavismo appoggiato in modo discreto dal sovrano.

Un evento gravido di conseguenze sugli avvenimenti che portarono alla I Guerra mondiale fu l’annessione della Bosnia-Erzegovina all’Impero Austroungarico. Per la Serbia fu un duro colpo, ma senza il supporto della Russia, sfibrata dalla guerra russo-giapponese, nulla poté. La partita, si sa, fu solo rimandata di sei anni.
Nel 1912 scoppia la 1^ Guerra Balcanica che vede Serbia, Bulgaria e Grecia coalizzati nella Lega balcanica contro l’Impero ottomano che è costretto a cedere la maggior parte dei territori ai vincitori. Nel 1913 ha luogo la 2^ Guerra Balcanica in cui Serbia, Grecia, Romania e Impero ottomano sono contrapposti alla Bulgaria che è costretta a cedere gran parte della Macedonia e il Kosovo alla Serbia. In soli due anni il territorio a sovranità serba passò da 48mila a 87mila kmq. La popolazione da circa 3 milioni crebbe sino a circa 4,5 milioni.

Le politiche dell’Austria-Ungheria e della Serbia erano entrate in rotta di collisione. L’Austria vedeva la Serbia come l’antesignano dell’indipendenza dei popoli che l’impero faceva fatica a governare. La Serbia era ossessionata, non senza motivo, delle mire egemoniche austriache e della sua politica estera espansionista nei Balcani, a sua volta contrapposta a quella della Russia, da sempre tutore della Serbia. Per uscire dall’impasse Francesco Ferdinando, erede al trono austroungarico, intendeva riorganizzare l’Impero su basi federali o, secondo altri, su tre componenti etniche: tedesche, magiare, slave. La sua politica fu avversata dai panslavisti per i quali il disegno si opponeva al loro piano di una Grande Serbia.
Di mantenere alte le tensioni sino alla rottura se ne fecero carico i movimenti ultranazionalisti. La Storia offre un’ampia casistica di gruppi artificiosi, sparute minoranze che grazie al sostegno e ad accorte regie si fanno interpreti delle pulsioni della maggioranza per poi canalizzarle sfruttando avvenimenti eclatanti orchestrati ad arte. Una volta raggiunto l’obiettivo per cui sono stati usati scompaiono come meteore lasciando in genere pochi riferimenti a venire. Anche il nazionalismo serbo si avvalse di formazioni ultranazionaliste tollerate e talvolta incoraggiate dall’establishment.
Citiamo le più importanti, in ordine cronologico: Ujedinjena omladina srpska [Уједињена омладина српска]/ Gioventù serba unita , Mlada Bosna [Млада Босна]/ Giovane Bosnia , Narodna Odbrana [Народна обрана] / La Difesa del Popolo confluita poi in Crna Ruka [Црна рука] / La Mano nera.

Gioventù serba unita fu un movimento fondato a Novi Sad in Vojvodina, allora sotto controllo ungherese, nel 1866. Trasse ispirazione dalla Giovane Italia mazziniana. Fu attivo tra il 1866 e il 1872.

Giovane Bosnia nacque nel 1908 a seguito dell’annessione della Bosnia all’Austria. Fu costituita da studenti che si erano emancipati a contatto con i nazionalisti slavi durante i loro studi a Praga, Vienna, Zagabria, Belgrado e Istanbul. Erano presenti due tendenze panslaviste, una a favore degli slavi del sud volta a unificare la Bosnia in una Jugoslavia federale, l’altra favorevole ad una Grande Serbia. Furono 10 i membri di Giovane Bosnia che presero parte all’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando il 28 Giugno 1914 a Sarajevo. Gli esecutori materiali furono membri della Giovane Bosnia ma la mente fu un nucleo dei Servizi militari dell’esercito serbo noto come La Mano Nera.

Narodna Odbrana fu fondata a Belgrado nel 1908 come reazione all’annessione della Bosnia-Erzegovina. Fu un’organizzazione paramilitare che offriva di sé l’immagine di un movimento culturale per celare il programma reale imperniato su sabotaggi e attentati. Fu accusata di gravi crimini contro le popolazioni macedoni che resistevano all’assimilazione serba dopo la 2^ guerra balcanica. Nel 1911 l’ala più oltranzista dell’organizzazione prese il sopravvento sugli attendisti e confluì nell’ organizzazione segreta Mano Nera.

Mano Nera fu fondata nel 1911 con il motto Ujedinjenje ili smrt [Уједињење или смрт] / Unificazione o Morte. Come si vede, anche per tale movimento come per tutti i nazionalismi esasperati, la morte fa parte del programma, è un valore aprioristico. Con il trascorrere del tempo i movimenti nazionalistici balcanici si trasformano: dagli obiettivi panslavistici nati su basi culturali, ideali e, presumiamo, anche sociali come Gioventù serba unita e altri circoli, si passa ad organizzazioni paramilitari eterodirette con obiettivi violenti per attuare azioni che oggi si definirebbero di “guerra asimmetrica”. Anche se la componente studentesca era rilevante, il potere era in mano a militari dell’esercito serbo, più precisamente alla Intelligence. Sempre secondo la terminologia recente si potrebbe dire che si trattava di “servizi deviati” se non fosse che la deviazione più che un’eccezione costituisce una regola o, per meglio dire, una zona borderline in cui è difficile se non impossibile risalire alla catena di comando e alla contiguità con le istituzioni. In effetti anche nel caso della Mano Nera si sa che godette in qualche misura della copertura del re Pietro. D’altronde al vertice del gruppo c’era il colonnello Dragutin Dimitrijević, lo stesso che aveva attuato il colpo di stato del 1903 per mettere sul trono Pietro con l’obiettivo di virare la politica estera per staccarla dall’influenza austriaca e portarla sotto l’influenza russa. Altre due figure di spicco furono il maggiore Vojislav Tankosić e Milan Ciganović. Dimitrijević , noto come Apis, al vertice dell’Intelligence militare serba, e il suo collaboratore Tankosić furono i registi dell’attentato di Sarajevo nel 1914, causa occasionale dello scoppio della I Guerra mondiale.

Dopo l’assassinio di Francesco Ferdinando il governo serbo dovette prendere le distanze dalla Mano Nera e sciolse il gruppo divenuto ingombrante e inutile. Dimitrijević fu arrestato nel 1916, accusato ingiustamente di avere cospirato per uccidere il reggente Alessandro. L’accusa fu smontata postuma, nel 1953. Fu fucilato a Salonicco nel 1917.
[Riccardo Gullotta]
Наше ће сјене ходати по Бечу,[1]
лутати по двору,
плашити господу“.

Тромо се време вуче
И ничег новог нема,
Данас све ко јуче
Сутра се исто спрема

И место да смо у рату
Док бојне трубе јече,
Ево нас у камазату,
На нама ланци звече

Наше ће сјене ходати по Бечу,
лутати по двору,
плашити господу

Наше ће сјене ходати по Бечу,
лутати по двору,
плашити господу

Наше ће сјене ходати по Бечу,
лутати по двору,
плашити господу

Наше ће сјене ходати по Бечу,
лутати по двору,
плашити господу

Сваки дан исти живот
Погажен, згњечен и стрт.
Ја нијесам идиот –
Па то је за мене смрт

Ал’ право је рекао пре
Жерајић соко сиви:
“Ko хоће да живи нек мре,
Ko хоће да мре нека живи!

Наше ће сјене ходати по Бечу,
лутати по двору,
плашити господу

Наше ће сјене ходати по Бечу,
лутати по двору,
плашити господу

Наше ће сјене ходати по Бечу,
лутати по двору,
плашити господу

Наше ће сјене ходати по Бечу,
лутати по двору,
плашити господу
[1] Latinica

Naše će sjene hodati po Beču,
lutati po dvoru,
plašiti gospodu

Tromo se vreme vuče
I ničeg novog nema,
Danas sve ko juče
Sutra se isto sprema.

I mesto da smo u ratu
Dok bojne trube ječe,
Evo nas u kazamatu,
Na nama lanci zveče.

Naše će sjene hodati po Beču,
lutati po dvoru,
plašiti gospodu

Naše će sjene hodati po Beču,
lutati po dvoru,
plašiti gospodu

Naše će sjene hodati po Beču,
lutati po dvoru,
plašiti gospodu

Naše će sjene hodati po Beču,
lutati po dvoru,
plašiti gospodu

Svaki dan isti život
Pogažen, zgnječen i strt.
Ja nijesam idiot –
Pa to je za mene smrt.

Al' pravo je rekao pre
Žerajić soko sivi:
"Ko hoće da živi nek mre,
Ko hoće da mre nek živi!"

Naše će sjene hodati po Beču,
lutati po dvoru,
plašiti gospodu

Naše će sjene hodati po Beču,
lutati po dvoru,
plašiti gospodu

Naše će sjene hodati po Beču,
lutati po dvoru,
plašiti gospodu

Naše će sjene hodati po Beču,
lutati po dvoru,
plašiti gospodu

envoyé par Riccardo Gullotta - 26/7/2022 - 19:12



Langue: italien

Итальянский перевод / Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös :
automatica, con limitato intervento di Riccardo Gullotta
LE NOSTRE OMBRE ANDRANNO A SPASSO PER VIENNA [LA CANZONE DI GAVRILO PRINCIP]

Il tempo scorre lento
e non c'è niente di nuovo,
Oggi tutto ciò che era ieri
si prepara domani.

Anche se siamo in guerra
Mentre le trombe di battaglia stanno ululando,
Qui siamo in una fortezza,
Su di noi sbattono le catene.

Le nostre ombre andranno a spasso per Vienna,
vagheranno nel Palazzo,
semineranno spavento tra i signori

Le nostre ombre andranno a spasso per Vienna,
vagheranno nel Palazzo,
semineranno spavento tra i signori

Le nostre ombre andranno a spasso per Vienna,
vagheranno nel Palazzo,
semineranno spavento tra i signori

Le nostre ombre andranno a spasso per Vienna,
vagheranno nel Palazzo,
semineranno spavento tra i signori


Ogni giorno la stessa vita
calpestata, schiacciata e schiacciata.
Non sono un idiota -
Beh, questa è la morte per me.

Ma giustamente Žerajić [1] ha detto davanti al falco grigio:
"Chi vuole vivere, lascialo morire,
chi vuole morire, lascialo vivere!"

Le nostre ombre andranno a spasso per Vienna,
vagheranno nel Palazzo,
semineranno spavento tra i signori

Le nostre ombre andranno a spasso per Vienna,
vagheranno nel Palazzo,
semineranno spavento tra i signori

Le nostre ombre andranno a spasso per Vienna,
vagheranno nel Palazzo,
semineranno spavento tra i signori

Le nostre ombre andranno a spasso per Vienna,
vagheranno nel Palazzo,
semineranno spavento tra i signori
[1] Bogdan Žerajić [Богдан Жерајић] : serbo dell’Erzegovina, studente all’università di Zagabria. Tentò di assassinare il governatore della Bosnia Marijan Varešanin in segno di rivolta contro l’annessione della Bosnia all’Austria –Ungheria. Sparò cinque colpi che mancarono il governatore. Con il sesto si suicidò.
La sua influenza sui nazionalisti della Giovane Bosnia fu notevole.
Princip, Čabrinović e Ilić si recarono alla sua tomba il 27 Giugno 1914, la vigilia dell’attentato.

envoyé par Riccardo Gullotta - 27/7/2022 - 08:19




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