Sulla nave in quella baia siam saliti in centinaia,
la destinazione Italia, tra il Lazio e la Campania.
Lavoriamo all'aria aperta oppure in galleria,
adesso il progresso si chiama ferrovia.
Nel nostro cantiere siamo sindacalizzati
da anni e anni di miniere e non accettiamo ricatti
per pagare il pizzo alla camorra di laggiù,
1911: questo è il profondo Sud...
Mentre a Formia c'è già la Lega degli Operai,
a Itri forse si fa, qui non c'è stata mai,
questo è un paese che non sa cos'è una sollevazione,
legato sempre a un vecchio retaggio feudale.
Mercoledì sera, oggi è giorno di paga,
fuori dal bar per la strada, l'invito, no, non si nega,
passa un tipo con un carro e sulla gente sbanda,
parte subito la rissa e arrivano i caramba.
È una provocazione, ci son arresti e tensione,
andiamo in delegazione dal prefetto a far pressione
perché in prigione son finiti solamente sardi
mentre al Caffè Centrale stanno accumulando armi.
Quando passi in treno sulla linea ferroviaria
che va da Roma fino al sud Italia
ricorda i giorni del massacro,
ricorda la caccia al sardo.
Il sindaco fa chiudere tutti i posti di ritrovo
nella piazza principale: un solco, noi e loro.
Quando Melis di Cabras gli urla “siete dei codardi!”
parte un colpo di fucile: è caccia ai sardi!
Con pistole, con accette, con pugnali e baionette,
assediati nelle case e nelle stradine strette
e il sindaco distribuisce armi a sua volta
e fa suonare le campane per chiamare a raccolta,
chi ci spara alle spalle, chi a un fianco ci accoltella
e c'è chi viene linciato dalla folla inferocita
aizzata dagli sgherri e dalle guardie dei magnati,
un altro sardo muore a terra con la testa fracassata
mentre siamo disarmati e non possiamo fare niente...
niente... niente...
Morti in continente, colpevoli di nulla,
non torneranno a casa... colpevoli di cosa?
Mentre non si conta neanche un ferito tra i locali,
“gravi scontri tra operai” leggi scritto sui giornali
e il prefetto di Caserta ci fa rimpatriare tutti,
siam feriti siam privati del lavoro e umiliati
e due morti forse li hanno seppelliti di nascosto,
è una strage ma i mandanti tutti quanti al loro posto.
Il razzismo sulla propria pelle,
l'accusa di rubare il lavoro alla gente,
cercavano futuro hanno trovato guerra
per non aver obbedito alla camorra.
Se la storia si nasconde allora non si impara niente,
dopo un secolo ritorna come un treno nel presente.
Rosarno, Sud Europa, due zero uno zero,
ancora caccia all'emigrante, caccia allo straniero.
Nella terra della 'Ndrangheta la schiavitù c'è ancora
lavorando, raccogliendo agrumi a due euro l'ora,
vivendo all'addiaccio dentro case diroccate
sotto la minaccia delle mafie organizzate.
Un giorno alla fermata quattro spari all'improvviso,
quattro colpi di pistola a un ivoriano e a un marocchino,
allora parte la rivolta degli schiavi della piana,
mi ricorda un'altra volta quella linea ferroviaria.
la destinazione Italia, tra il Lazio e la Campania.
Lavoriamo all'aria aperta oppure in galleria,
adesso il progresso si chiama ferrovia.
Nel nostro cantiere siamo sindacalizzati
da anni e anni di miniere e non accettiamo ricatti
per pagare il pizzo alla camorra di laggiù,
1911: questo è il profondo Sud...
Mentre a Formia c'è già la Lega degli Operai,
a Itri forse si fa, qui non c'è stata mai,
questo è un paese che non sa cos'è una sollevazione,
legato sempre a un vecchio retaggio feudale.
Mercoledì sera, oggi è giorno di paga,
fuori dal bar per la strada, l'invito, no, non si nega,
passa un tipo con un carro e sulla gente sbanda,
parte subito la rissa e arrivano i caramba.
È una provocazione, ci son arresti e tensione,
andiamo in delegazione dal prefetto a far pressione
perché in prigione son finiti solamente sardi
mentre al Caffè Centrale stanno accumulando armi.
Quando passi in treno sulla linea ferroviaria
che va da Roma fino al sud Italia
ricorda i giorni del massacro,
ricorda la caccia al sardo.
Il sindaco fa chiudere tutti i posti di ritrovo
nella piazza principale: un solco, noi e loro.
Quando Melis di Cabras gli urla “siete dei codardi!”
parte un colpo di fucile: è caccia ai sardi!
Con pistole, con accette, con pugnali e baionette,
assediati nelle case e nelle stradine strette
e il sindaco distribuisce armi a sua volta
e fa suonare le campane per chiamare a raccolta,
chi ci spara alle spalle, chi a un fianco ci accoltella
e c'è chi viene linciato dalla folla inferocita
aizzata dagli sgherri e dalle guardie dei magnati,
un altro sardo muore a terra con la testa fracassata
mentre siamo disarmati e non possiamo fare niente...
niente... niente...
Morti in continente, colpevoli di nulla,
non torneranno a casa... colpevoli di cosa?
Mentre non si conta neanche un ferito tra i locali,
“gravi scontri tra operai” leggi scritto sui giornali
e il prefetto di Caserta ci fa rimpatriare tutti,
siam feriti siam privati del lavoro e umiliati
e due morti forse li hanno seppelliti di nascosto,
è una strage ma i mandanti tutti quanti al loro posto.
Il razzismo sulla propria pelle,
l'accusa di rubare il lavoro alla gente,
cercavano futuro hanno trovato guerra
per non aver obbedito alla camorra.
Se la storia si nasconde allora non si impara niente,
dopo un secolo ritorna come un treno nel presente.
Rosarno, Sud Europa, due zero uno zero,
ancora caccia all'emigrante, caccia allo straniero.
Nella terra della 'Ndrangheta la schiavitù c'è ancora
lavorando, raccogliendo agrumi a due euro l'ora,
vivendo all'addiaccio dentro case diroccate
sotto la minaccia delle mafie organizzate.
Un giorno alla fermata quattro spari all'improvviso,
quattro colpi di pistola a un ivoriano e a un marocchino,
allora parte la rivolta degli schiavi della piana,
mi ricorda un'altra volta quella linea ferroviaria.
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da La Nuova Sardegna
Itri è una cittadina tra Gaeta e Formia, patria del leggendario brigante Fra Diavolo, diventato poi colonnello dell'esercito borbonico.Nel 1911 occorrevano sudore e braccia per la costruzione del quinto tronco della ferrovia Roma-Napoli. Venne così reclutato un migliaio di lavoratori sardi. Si trattava di uomini provenienti un po' da tutta la Sardegna, ma quasi tutti erano passati nell'inferno delle miniere del Sulcis. Molti fuggivano dalle campagne, da una vita senza speranza. All'inizio dell'estate del 1911 circa 500 sardi lavoravano in un cantiere a pochi chilometri da Itri, in una zona che, per ironia del destino è chiamata “Terra di lavoro”. Gli itriani guardavano con ostilità e sospetto quella umanità dolente che sopportava orari impossibili e viveva in condizioni estreme. Erano anni in cui i sardi erano perseguitati dai pregiudizi alimentati da una classe dirigente che ricorreva perfino alle teorie pseuoscientifiche di Lombroso e di Niceforo. Basti pensare cosa aveva scritto dei sardi il responsabile della cancelleria sabauda Joseph De Maistre: «Sono più selvaggi dei selvaggi perché il selvaggio non conosce la luce, il sardo la odia... Razza refrattaria a tutti i sentimenti, a tutti i gusti e a tutti i talenti che onorano l'umanità».
E quei “selvaggi” avevano un'altra colpa: con il loro orgoglio e la loro dignità non rispettavano la “legge del pizzo” imposta dalla camorra. E furono gruppi camorristici a soffiare l'odio su quel clima già teso, coinvolgendo in un sentimento di rancore collettivo e di odioso razzismo anche le autorità locali. Tutto fa pensare a un complotto, a un'aggressione programmata. La tragedia scoppia il 12 luglio quando un lavoratore sardo viene provocato (e ferito) nella piazza di Itri. E' come una scintilla che fa divampare l'incendio di follia e di violenza. Centinaia di itriani si riversano armati nella piazza Incoronazione e assalgono i sardi al grido: «Morte ai sardegnoli». E' un linciaggio. Intervengono anche i carabinieri, ma sparano sui sardi. La caccia riprende l'indomani con inaudita violenza. Alla fine i morti saranno 8 e 60 i feriti. C'è poi la tragica beffa: alcuni sardi vengono arrestati e altri espulsi. Nel processo sui fatti di Itri, che si celebrerà a Napoli nel 1914, un avvocato sosterrà l'incredibile tesi della «legittima difesa di una folla».