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Il pescatore del 2100

Beppe Chierici
Langue: italien


Beppe Chierici

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2022
Nuovo Cantacronache n°7
Testi/ lyrics: Beppe Chierici
Musica / Music / Musique / Sävel: Giuseppe Mereu (Doc Pippus)
Nuovo Cantacronache n°7

Beppe Chierici ci ha abituati con le sue canzoni ribelli, colme di intelligenza, di ironia e di occhi sul presente, a riflettere su chi siamo, come siamo cambiati e verso quale direzione l’umanità stia navigando. Non è un viaggio pacifico, quello che raccontano queste canzoni. L’autore ci restituisce la realtà di un mondo devastato da ignoranza e odio verso l’altro. Un mondo svuotato di valori, governato da spietato consumismo, guerre di conquista, sopraffazione in tutte le sue forme: fisica, culturale, ideologica. Un mondo privo di fratellanza e dignità. Diventato tossico, senza solidarietà, né amore. Un mondo in cui il mare è una tomba. Ha affogato sogni, persone, culture, desideri. Quel mare un giorno si è vendicato dell’orrore di cui è stato testimone. Con un’onda ha ingoiato colpevoli e innocenti, città e palazzi. Ma questa è solo una leggenda, pensa il pescatore dell’anno 2100, che cala le sue reti e di nulla si preoccupa. Invece, ci sono le macerie. E sulla loro polvere resta il segno della Storia, dei grandi e dei piccoli eventi. La polvere, unica sopravvissuta alla distruzione di ecosistemi, per le scelte scellerate di chi li abita irrispettosamente. Un’umanità mostrificata. Quella fanatica di Trump, delle cui gesta inqualificabili la canzone si fa testimonianza storica; quella ingannevole di chi ha imbevuto le menti fragili di menzogne, costringendo la povera gente a costruire templi smisurati invece di predicare rispetto e convivenza. Quella insulsa degli opportunisti, di chi finge di non sapere, di chi non vuole vedere e legittima azioni orripilanti e sciagurate. Un’umanità irresponsabile e vile in cui tutti siamo lo stronzo di qualcuno, perché è meglio incolpare il prossimo di ogni nefandezza, invece di prendersi una responsabilità. Un’umanità irretita da messaggi degenerati. Quelli delle pubblicità, che deformano, manipolano, costruiscono falsità con l’unico scopo di trasformare le persone in consumatori. Sordi ai sentimenti, ciechi alle verità, impotenti alle scelte. Fantasmi. Ma è anche un viaggio in cui la musica benevola dell’amico e complice Giuseppe Mereu, solleva e dà sollievo.
Viaggio in cui l’autore, cantastorie contemporaneo, parla dell’oggi accompagnato dalle melodie e dagli strumenti del folk più autentico. Racconta storie incantando, deride, dileggia, induce a pensare. Un viaggio che cerca un porto sicuro in cui attraccare. E portare in salvo ciò che di buono è rimasto. La voce del saggista francese Jacques Lacarriére. Quella di Louise Michel, combattente anarchica già cantata da Paul Verlaine, Victor Hugo. Condannata, deportata in esilio, da sempre in lotta contro ogni tirannide. Prima femminista, a favore dell’emancipazione, del divorzio, del diritto all’istruzione. E poi la voce dello spagnolo Blas Otero, che evoca il parlare antico, i detti contadini, le espressioni sincere e autentiche. Un mondo di valori perduti. Infine la voce dell’autore che in “Il mio tempo” scrive la sua autobiografia. Una riflessione sul tempo di una vita, quello che rimane, un tempo che spinge furiosamente in avanti. Che nel correre veloce e lontano, a ogni passo si alleggerisce di qualcosa: i pesanti vestiti del passato, i ricordi di ieri e di mille anni fa, le storie e la Storia. Si spoglia di tutto per arrivare all’essenza. E così affrontare il futuro.
il cenacolo di Ares


Lento ed assorto il pescatore
asciuga il proprio viso dal sudore
col fazzoletto che ha sulla fronte
mentre il tramonto infuoca l’orizzonte.

Respira il pescatore quel suo mare
e cala giù le reti per pescare
pesci d’opale, giada e di seta
pesci caduti da una coda di cometa.

Lenta dai flutti si alza la luna
e il pescatore diventa d’argento,
la barca dondola come una cuna
sotto i dolci sussurri del vento.

La placida notte stende una rete
di stelle su quel mare addormentato,
sonnecchia il pescatore nella quiete
di quel mare possente e smisurato.

Ignora il Pescatore che sul fondo,
sotto quella barca che lo culla
morì annegato un angolo di mondo
e che una civiltà finì nel nulla.

Lui non lo sa che sotto quelle onde
riposano città, lidi marini
baie, arenili, porti e sponde
di un popolo dai tragici destini.

Vivevano laggiù dei pescatori,
figli come lui del grande mare,
ignari che diabolici untori
potessero il pianeta avvelenare.

Si ribellò il clima, la natura,
si sciolsero gli iceberg e il mare
s’ingigantì e sommerse a dismisura
nazioni, civiltà e sacre are.

L’oceano si scosse da milioni
di sacrilegi e di sfregi dolorosi
e i suoi marosi simili a dragoni
spietati si abbatterono rabbiosi.

Il mare scatenò ogni sua furia,
non distinse colpevoli e innocenti,
volle vendicarsi dell’ingiuria
di società avide e dementi.

Il pescatore cala le sue reti
e crede che il racconto di quel mare
che un giorno si è voluto vendicare
sia solo una leggenda dei poeti.

Poi lento, come assorto il pescatore
si asciuga il sudore dalla fronte
e tira su le reti nel chiarore
del sole che risorge all’orizzonte.

envoyé par Dq82 - 8/3/2022 - 17:03




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