This is our country,
and we will defend it.
They killed us,
they finished us,
they took our animals
and our belongings.
And you, Omar al-Bashir:
This is our country,
and we will defend it,
and we will die dignified.
All the sudden,
the Janjaweed comes,
and they rape us.
But the government
says we are not Sudanese,
we are Chadian.
But no, we are not.
This is our land.
They rape us,
and they kill us.
Who can we depend on
to help us?
We can only depend on Allah,
the Creator.
We are Daju.
We give our land
to these people.
Now they turn around
and look at us as stones.
They treat us like
we are not human beings.
We are being killed.
We are being raped.
We are sad that these
people disrespect us.
We depend on Allah.
and we will defend it.
They killed us,
they finished us,
they took our animals
and our belongings.
And you, Omar al-Bashir:
This is our country,
and we will defend it,
and we will die dignified.
All the sudden,
the Janjaweed comes,
and they rape us.
But the government
says we are not Sudanese,
we are Chadian.
But no, we are not.
This is our land.
They rape us,
and they kill us.
Who can we depend on
to help us?
We can only depend on Allah,
the Creator.
We are Daju.
We give our land
to these people.
Now they turn around
and look at us as stones.
They treat us like
we are not human beings.
We are being killed.
We are being raped.
We are sad that these
people disrespect us.
We depend on Allah.
envoyé par Marcia Rosati - 17/9/2007 - 16:27
Langue: italien
Versione italiana di Kiocciolina
CANZONE DELLE VITTIME DI VIOLENZA DARFURIANE
Questo è il nostro paese,
e lo difenderemo.
Ci hanno ucciso,
ci hanno finito,
si sono presi i nostri animali
e i nostri effetti personali.
E tu, Omar al-Bashir:
Questo è il nostro paese
E lo difenderemo,
E moriremo dignitosamente.
Ad un tratto,
giungono i Janjaweed,
e ci violentano.
Ma il Governo
dice che non siamo Sudanesi,
siamo
But the government
says we are not Sudanese,
siamo del Ciad.
Ma no, noi non lo siamo.
Questa è la nostra terra.
Ci violentano,
e ci uccidono.
Da ci possiamo dipendere
per un aiuto?
Possiamo solo dipendere da Allah,
il Creatore.
Noi siamo Daju.
Diamo questa terra
a questa gente.
Adesso si voltano
e ci fissano come pietre.
Ci trattano come
se non fossimo esseri umani.
Ci stanno uccidendo.
Ci stanno violentando.
Ci rattrista che queste
persone non ci portino rispetto.
Dipendiamo da Allah.
Questo è il nostro paese,
e lo difenderemo.
Ci hanno ucciso,
ci hanno finito,
si sono presi i nostri animali
e i nostri effetti personali.
E tu, Omar al-Bashir:
Questo è il nostro paese
E lo difenderemo,
E moriremo dignitosamente.
Ad un tratto,
giungono i Janjaweed,
e ci violentano.
Ma il Governo
dice che non siamo Sudanesi,
siamo
But the government
says we are not Sudanese,
siamo del Ciad.
Ma no, noi non lo siamo.
Questa è la nostra terra.
Ci violentano,
e ci uccidono.
Da ci possiamo dipendere
per un aiuto?
Possiamo solo dipendere da Allah,
il Creatore.
Noi siamo Daju.
Diamo questa terra
a questa gente.
Adesso si voltano
e ci fissano come pietre.
Ci trattano come
se non fossimo esseri umani.
Ci stanno uccidendo.
Ci stanno violentando.
Ci rattrista che queste
persone non ci portino rispetto.
Dipendiamo da Allah.
envoyé par Kiocciolina - 19/12/2007 - 17:11
Il procuratore della Corte penale internazionale ha chiesto il mandato contro il presidente del Sudan per scongiurare nuovi omicidi delle milizie arabe
L'Aja, chiesto l'arresto per Bashir "Genocidio e crimini di guerra"
L'Onu: "Sospensione a tempo indeterminato delle attività nella regione"
Da La Repubblica
L'AJA - Il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Luis Moreno Ocampo, ha chiesto che la Camera della Corte chieda il mandato d'arresto per il presidente del Sudan, Omar Hassan al Bashir, per genocidio e crimini di guerra. La richiesta verrà valutata dai giudici del tribunale dell'Aja, che non forniranno una risposta prima di sei settimane.
Le preoccupazioni dell'ONU.
La missione militare congiunta di Onu e Unione Africana (Unamid) in Sudan ha annunciato la "sospensione a tempo indeterminato" delle sue attività come forma precauzionale di fronte al rischio di un'eventuale ondata di violenze. In un comunicato diffuso a Khartum, l'Unamid ha chiesto ai suoi rappresentanti nel Darfur che non escano dalle case e ha elevato il livello d'allerta al grado 3, appena sotto quello massimo. Fonti dell'Onu hanno reso noto che, nell'ambito delle misure preventive, alcuni degli impiegati a Khartum sono già stati trasferiti a Juba, la capitale nel sud del Sudan. All'aeroporto di Khartum intanto gli occidentali stanno lasciando il Paese; inoltre la missione dei 'caschi blu' nel sud del Sudan ha sospeso le attività proprio per il timore di un'eventuale reazione da parte dei seguaci di Beshir. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, in un'intervista concessa al quotidiano francese "Le Figaro": si è detto preoccupato riguardo l'incriminazione di Al Bashir perché potrebbe ''portare a serie conseguenze nelle operazioni di mantenimento di pace nella regione e nel processo politico''. ''Sono molto preoccupato, ma nessuno puo' sottrarsi alla giustizia'', ha concluso il Segretario generale delle nazioni Unite.
Il mandato di arresto.
Il procuratore ha chiesto alla Corte il mandato di arresto contro il presidente del Sudan per scongiurare nuovi omicidi da parte della milizie arabe dei Janjaweed (diavoli a cavallo) sostenute dal governo. Per il procuratore il genocidio è ancora in corso nella regione occidentale del Paese e deve essere fermato.
Le prove.
"Il procuratore Luis Moreno-Ocampo ha presentato delle prove che dimostrano che il presidente del Sudan, Omar Hassan Al Bashir ha commesso i crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra in Darfur", informa la Cpi.
Le prove raccolte dal procuratore dimostrano che il presidente del Sudan "ha diretto e applicato un piano per distruggere in modo sostanziale i gruppi Fur, Masalit e Zaghawa, sulla base della loro etnia", completa la nota.
"I suoi motivi erano largamente politici. Il suo alibi è stata l'insurrezione. Il suo intento è stato il genocidio" ha spiegato Moreno-Ocampo, per il quale le "forze e gli agenti" che agivano sotto il controllo di Al Bashir hanno ucciso almeno 35 mila civili e causato la morte di un numero di persone compreso tra 80.000 e 265.000 che sono state sradicate dalle loro case.
"Per cinque anni le forze armate e la milizia Janjaweed, sotto gli ordini di Al Bashir, hanno attaccato e distrutto villaggi. Poi attaccavano i sopravvissuti nel deserto. Quelli che raggiungevano i campi erano soggetti a condizioni messe in atto in modo calcolato allo scopo di distruggerli".
Le reazioni in Africa.
In allarme anche l'Unione Africana: il mandato d'arresto per Omar al-Beshir potrebbe minare gli sforzi di pace nel Paese. "La posizione dell'Ua e' che non dovrebbe essere fatto nulla che possa mettere in pericolo il processo di pace in Sudan" ha spiegato El-Ghassim Wane, portavoce della commissione dell'Ua, il principale organo esecutivo dell'organizzazione panafricana.
In festa, invece, i ribelli del Darfur. Per Mahgoub Hussein, portavoce di una fazione dell'Esercito di Liberazione del Sudan, è una "vittoria per l'umanità nel Darfur" e "l'inizio della libertà nel Sudan". I ribelli sono pronti a fare di tutto pur di "arrestare ed estradare i criminali di guerra alla Corte internazionale". Suleiman Sandal, comandante sul campo del Movimento per la Giustizia e l'Uguaglianza, ha raccontato come i suoi uomini hanno festeggiato la notizia: "Aspettavamo da tempo questo momento, e così oggi festeggiamo e siamo davvero felici: questa è una vittoria del mondo civile e della gente che soffre nel Darfur, e per tutto il Darfur. Ma adesso la comunità internazionale deve andare avanti e non fermarsi".
Soddisfatto anche Ahmed Diraige, presidente dell'Alleanza Democratica Federale del Sudan, un partito legato a tutte le maggiori fazioni ribelli, raggiunto telefonicamente a Londra: "La decisione da parte del Cpi incoraggerà Beshir a lavorare per la pace nel Darfur: è un passo positivo, quando tutti gli altri strumenti sono già stati tentati".
Il Sudan, comunque, non riconosce il Tribunale penale internazionale e ha minacciato conseguenze sul processo di pace in Darfur se il presidente verrà incriminato. Migliaia di persone sono scese ieri in piazza a Khartoum per sostenere Bashir.
Misure di sicurezza.
Il Dipartimento di Stato americano assicura di avere preso le "misure appropriate" per la sicurezza in Sudan, dopo aver ammesso che gli sforzi internazionali per l'arresto del presidente sudanese Omar al-Beshir potrebbero innescare una reazione violenta. "E' certamente una possibilità", ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato, Sean McCormack, riguardo ad un possibile contraccolpo, "noi stessi abbiamo deciso di prendere delle misure appropriate per la nostra gente presente a Juba e a Khartum", ha spiegato.
(14 luglio 2008)
L'Aja, chiesto l'arresto per Bashir "Genocidio e crimini di guerra"
L'Onu: "Sospensione a tempo indeterminato delle attività nella regione"
Da La Repubblica
L'AJA - Il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Luis Moreno Ocampo, ha chiesto che la Camera della Corte chieda il mandato d'arresto per il presidente del Sudan, Omar Hassan al Bashir, per genocidio e crimini di guerra. La richiesta verrà valutata dai giudici del tribunale dell'Aja, che non forniranno una risposta prima di sei settimane.
Le preoccupazioni dell'ONU.
La missione militare congiunta di Onu e Unione Africana (Unamid) in Sudan ha annunciato la "sospensione a tempo indeterminato" delle sue attività come forma precauzionale di fronte al rischio di un'eventuale ondata di violenze. In un comunicato diffuso a Khartum, l'Unamid ha chiesto ai suoi rappresentanti nel Darfur che non escano dalle case e ha elevato il livello d'allerta al grado 3, appena sotto quello massimo. Fonti dell'Onu hanno reso noto che, nell'ambito delle misure preventive, alcuni degli impiegati a Khartum sono già stati trasferiti a Juba, la capitale nel sud del Sudan. All'aeroporto di Khartum intanto gli occidentali stanno lasciando il Paese; inoltre la missione dei 'caschi blu' nel sud del Sudan ha sospeso le attività proprio per il timore di un'eventuale reazione da parte dei seguaci di Beshir. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, in un'intervista concessa al quotidiano francese "Le Figaro": si è detto preoccupato riguardo l'incriminazione di Al Bashir perché potrebbe ''portare a serie conseguenze nelle operazioni di mantenimento di pace nella regione e nel processo politico''. ''Sono molto preoccupato, ma nessuno puo' sottrarsi alla giustizia'', ha concluso il Segretario generale delle nazioni Unite.
Il mandato di arresto.
Il procuratore ha chiesto alla Corte il mandato di arresto contro il presidente del Sudan per scongiurare nuovi omicidi da parte della milizie arabe dei Janjaweed (diavoli a cavallo) sostenute dal governo. Per il procuratore il genocidio è ancora in corso nella regione occidentale del Paese e deve essere fermato.
Le prove.
"Il procuratore Luis Moreno-Ocampo ha presentato delle prove che dimostrano che il presidente del Sudan, Omar Hassan Al Bashir ha commesso i crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra in Darfur", informa la Cpi.
Le prove raccolte dal procuratore dimostrano che il presidente del Sudan "ha diretto e applicato un piano per distruggere in modo sostanziale i gruppi Fur, Masalit e Zaghawa, sulla base della loro etnia", completa la nota.
"I suoi motivi erano largamente politici. Il suo alibi è stata l'insurrezione. Il suo intento è stato il genocidio" ha spiegato Moreno-Ocampo, per il quale le "forze e gli agenti" che agivano sotto il controllo di Al Bashir hanno ucciso almeno 35 mila civili e causato la morte di un numero di persone compreso tra 80.000 e 265.000 che sono state sradicate dalle loro case.
"Per cinque anni le forze armate e la milizia Janjaweed, sotto gli ordini di Al Bashir, hanno attaccato e distrutto villaggi. Poi attaccavano i sopravvissuti nel deserto. Quelli che raggiungevano i campi erano soggetti a condizioni messe in atto in modo calcolato allo scopo di distruggerli".
Le reazioni in Africa.
In allarme anche l'Unione Africana: il mandato d'arresto per Omar al-Beshir potrebbe minare gli sforzi di pace nel Paese. "La posizione dell'Ua e' che non dovrebbe essere fatto nulla che possa mettere in pericolo il processo di pace in Sudan" ha spiegato El-Ghassim Wane, portavoce della commissione dell'Ua, il principale organo esecutivo dell'organizzazione panafricana.
In festa, invece, i ribelli del Darfur. Per Mahgoub Hussein, portavoce di una fazione dell'Esercito di Liberazione del Sudan, è una "vittoria per l'umanità nel Darfur" e "l'inizio della libertà nel Sudan". I ribelli sono pronti a fare di tutto pur di "arrestare ed estradare i criminali di guerra alla Corte internazionale". Suleiman Sandal, comandante sul campo del Movimento per la Giustizia e l'Uguaglianza, ha raccontato come i suoi uomini hanno festeggiato la notizia: "Aspettavamo da tempo questo momento, e così oggi festeggiamo e siamo davvero felici: questa è una vittoria del mondo civile e della gente che soffre nel Darfur, e per tutto il Darfur. Ma adesso la comunità internazionale deve andare avanti e non fermarsi".
Soddisfatto anche Ahmed Diraige, presidente dell'Alleanza Democratica Federale del Sudan, un partito legato a tutte le maggiori fazioni ribelli, raggiunto telefonicamente a Londra: "La decisione da parte del Cpi incoraggerà Beshir a lavorare per la pace nel Darfur: è un passo positivo, quando tutti gli altri strumenti sono già stati tentati".
Il Sudan, comunque, non riconosce il Tribunale penale internazionale e ha minacciato conseguenze sul processo di pace in Darfur se il presidente verrà incriminato. Migliaia di persone sono scese ieri in piazza a Khartoum per sostenere Bashir.
Misure di sicurezza.
Il Dipartimento di Stato americano assicura di avere preso le "misure appropriate" per la sicurezza in Sudan, dopo aver ammesso che gli sforzi internazionali per l'arresto del presidente sudanese Omar al-Beshir potrebbero innescare una reazione violenta. "E' certamente una possibilità", ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato, Sean McCormack, riguardo ad un possibile contraccolpo, "noi stessi abbiamo deciso di prendere delle misure appropriate per la nostra gente presente a Juba e a Khartum", ha spiegato.
(14 luglio 2008)
Alessandro - 15/7/2008 - 10:11
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Informazioni tratte da questo articolo
La guerra è un crimine. Lo stupro è il peggior crimine dei crimini.
"Lo stupro è il processo consapevole di intimidazione grazie al quale tutti gli uomini tengono tutte le donne in stato di paura"
Susan Brownmiller.
Non si tratta di un atto incontrollato. Lo stupro viene commesso dopo essere stato vagheggiato, pianificato, vagliato, preparato ed è un atto che cerca simbolicamente la morte della propria vittima, ovvero che essa desideri essere morta. Lo stupro in guerra è anche uno strumento di esilio forzato, di distruzione di una comunità, di un gruppo o di un popolo. Lo stupro è infine spettacolo: qualcosa che deve essere visto e sentito e raccontato agli altri.
L'orrore palese del conflitto armato si somma alle violazioni conseguenti nel campo dei diritti umani; la guerra distrugge o limita severamente i diritti di base sociali, economici e politici di uomini e donne: mentre eserciti e/o milizie avanzano, le scuole chiudono, i servizi sanitari spariscono o diminuiscono, l'economia vacilla e la disoccupazione cresce.
La violenza sessuale è il primo timore di una donna durante la guerra.
Era il 1992 quando in riferimento a ciò che accadeva in Bosnia ed Erzegovina si cominciò a parlare di stupro di massa come arma da guerra. Durante il conflitto armato nella ex Jugoslavia lo stupro come intervento di guerra si rivelò persino più "efficace" dell'uccisione dei nemici. Entrare in un piccolo paese, raggruppare le donne, violentarle di fronte a tutti era un mezzo sicuro per liberare il terreno: dopo gli stupri, la popolazione si spostava spontaneamente, fuggiva, e l'area poteva essere occupata in tutta tranquilità. Sia i carnefici sia le vittime erano entrambi sicuri delle implicazioni culturali legate alla violenza sessuale. Le condividevano.
Le donne dei Balcani spesso si sposano in età molto giovane, hanno bimbi presto e ricevono solo un'istruzione di tipo primario. La società le percepisce come "inferiori" agli uomini e ci si aspetta da loro che siano umili e obbedienti, a casa e sul posto di lavoro. Questo subdolo e persistente non rispetto delle donne ha lastricato la strada che portò a stupri di massa.
Lo scopo dei violentatori era di umiliare le donne così profondamente da far divenire i ricordi legati alla loro casa una sorgente di estrema sofferenza e paura, tenendole lontane da abitazioni e dai villaggi in cui erano vissute. In questo senso, si può parlare di "stupro etnico", poichè finalizzato alla "pulizia etnica" di un'area.
Ma le aggressioni in Bosnia presero anche un altro aspetto che definisce lo "stupro etnico" come assimilazione forzata ad un gruppo: lo stupro fu infatti usato per ingravidare le donne. I violentatori serbi pensavano di creare una Grande Serbia etnicamente omogenea facendo partorire bambini nati dallo stupro a donne musulmane.
Si stima che circa 60.000 donne, nell'ex-Jugoslavia, siano state violentate, troppe non sono più qui per raccontare la loro triste storia. La cifra, rispetto al conflitto in Ruanda, raggiunge e forse supera il mezzo milione. La maggior parte delle vittime di stupro ruandesi sono state anche mutilate, in relazione alle loro caratteristiche "razziali": i nasi appuntiti e le dita lunghe, che generalmente caratterizzano i corpi delle donne Tutzi, sono stati tagliati via. I seni venivano amputati come ulteriore punizione. Numerose fra loro sono quelle che, sopravvissute alla prima ondata di violenza ma scopertesi incinte dei "figli dello stupro", si sono suicidate od hanno addiritura pagato altre persone affinchè le uccidessero. Il 70% delle restanti contrasse il virus HIV, e oggi molte sono già morte di Aids.
Violenza sessuale, schiavitù sessuale e prostituzione forzata sono fattori presenti da sempre nei conflitti armati. La violenza sessuale è una parte significativa del conflitto, un modo per terrorizzare intere comunità ed implementare politiche di genocidio e "pulizia etnica".
Oggi il diritto internazionale stabilisce che la violenza sessuale durante un conflitto è crimine di guerra, e che l'uso dello stupro è un crimine contro l'umanità. Il processo di tale sviluppo legislativo parte addiritura dal 14° secolo (con gli editti di Riccardo II d'Inghilterra) e passa attraverso il Codice Leiber della guerra civile americana, per arrivare alle Convenzioni dell'Aja e di Ginevra. Quet'ultima attesta che "le donne dovranno essere protette specificamente contro ogni attacco al loro onore, in particolare contro lo stupro, la prostituzione forzata od ogni tipo di forma di assalto indecente".
Come è facile notare, nel 1949 lo stupro viene ancora definito come lesione all'onorabilità ed alla decenza e non come lesione alla persona umana che lo subisce. Saranno i tribunali speciali internazionali per l'ex Jugoslavia ed il Ruanda, nella seconda metà degli anni '90 dello scorso secolo, a stabilire una visione diversa.
Nel 1998 il Tribunale internazionale per il Ruanda condannerà Akayesu, ex sindaco della città di Taba, per aver pianificato gli orrori degli stupri di massa nel distretto della sua competenza: il verdetto è il primo a punire la violenza carnale come atto di genocidio, perpetrato con l'intento di distruggere un gruppo mirato.
Tre anni dopo, nel febbraio del 2001, sarà il Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia ad emettere una seconda sentenza storica. Zoran Vukovic, Radomir Kovac e Dragoljub Kunarac vengono riconosciuti colpevoli di numerosi stupri (alcuni commessi su bambine di 12 anni) e di aver venduto o affittato donne e ragazze a scopo di prostituzione ad altri soldati serbi. La Corte li condanna per crimini contro l'umanità, ed è la prima volta che la schiavitù sessuale viene definita entro tale cornice.
Dove lo stupro non è perseguito con nettezza neppure dalla legge ordinaria, o viene considerato una "tradizione culturale" o un'offesa minore, diventa difficile operare. Ove ad esempio si pensa che le donne non abbiano il diritto di rifiutare atti sessuali all'interno del matrimonio, i loro stupratori si considerano pienamente legittimati qualora le tengano in qualità di "mogli".
"In Sierra Leone, i perpetratori hanno una visione molto ristretta di cosa sia una violenza sessuale. Se catturano o rapiscono una donna, la costringono a stare nella loro casa e le danno del cibo, credono di avere tutto il diritto di stuprarla. Portati davanti ai tribunali negano l'addebito se viene formulato come stupro, ma quando si chiede loro se avevano donne a disposizione per soddisfarsi rispondono di sì", dice Maxine Marcus, che ha partecipato come avvocata delle vittime al Tribunale speciale internazionale per la Sierra Leone, "Qui l'odio tribale non c'entra: le Forze di Difesa Civile, e cioè le milizie pro-governative, assalivano donne del loro stesso gruppo. Le consideravano "razioni di guerra", risorse naturali di cui disporre a piacimento.
C'è voluto molto tempo per costruire rapporti di fiducia con le testimoni sopravvissute: queste donne venivano stigmatizzate dalle loro stesse comunità, svilite e insultate da parenti e vicini di casa. Non erano in grado di cominciare a rielaborare il trauma subito, perché il contesto attorno a loro non considerava lo stupro un'offesa alle loro persone."
Nella Repubblica Democratica del Congo, decine di migliaia di donne sono state stuprate pubblicamente dagli uomini delle varie fazioni combattenti, in quelle che Juliane Kippenberg di Human Rights Watch ha definito "cerimonie rituali di violenza", ma un numero ancora maggiore è stato assalito in strada o nella propria casa.
Mentre scrivo (marzo 2007), attorno all'ospedale Panzi a Bukavu bivaccano circa 250 donne, in attesa di essere ricoverate per sottoporsi ad interventi di chirurgia: i loro genitali sono stati devastati dagli stupri di miliziani e soldati governativi. "Non abbiamo letti e spazio a sufficenza." racconta il primario, il dottor Denis Mukwege Mukengere, "Ricoveriamo in media dodici minorenni violentate al giorno. Il mese scorso circa trecento fra donne e bambine si sono sottoposte ad interventi di chirurgia riparativa. La loro età va dai tre anni agli ottanta. Molte sono state contagiate dall'Hiv."
Lo stupro in sé è già un'orribile esperienza, ma le sopravvissute ad esso continuano a subire gli effetti anche dopo. Spesso soffrono di gravi problemi di salute fisica e mentale. Le donne sposate che sono sopravvissute alla violenza possono essere rigettate dai loro mariti ed in alcuni casi devono darsi alla prostituzione per poter vivere. Le sopravvissute nubili possono non riuscire più a sposarsi, perché i membri delle loro comunità le considerano "guastate". Le testimonianze rivelano che sovente le donne stuprate hanno paura di cercare rifugio nei campi profughi, perché temono l'ostracismo dei loro stessi parenti che vi si trovano; inoltre la cronica carenza, in tali campi, di cure mediche e psicologiche tende ad aggravare la situazione piuttosto che a migliorarla. Molte donne, temendo ritorsioni contro a causa dei tabù che circondano la violenza sessuale, non denunciano gli abusi subiti neppure quando questo si rende possibile.
Nel 2004, una donna del Darfur, in Sudan, ha detto ai ricercatori di Amnesty International: "Nascondono questa vergogna nei loro cuori." Nella regione decine di migliaia di persone sono morte a causa del conflitto interno che in tre anni ha prodotto due milioni e mezo di rifugiati. Il governo di Khartoum si è rifiutato di investigare sulle accuse di crimini contro l'umanità commessi da eseciti e milizie, così questo lavoro lo sta facendo un Tribunale internazionale delle NU.
Il principale pubblico ministero, Luis Moreno-Ocampo, inizialmente dichiarò che le accuse di stupro non sarebbero state vagliate, ma l'evidenza delle testimonianze dirette (più di 100) e le migliaia di documenti raccolti lo hanno indotto a cambiare idea. Halima Bashir è una delle sopravvissute che probabilmente il giudice ascolterà. Nello scorso dicembre è stata torturata e ha subito stupri di gruppo per aver denunciato un attacco congiunto delle milizie islamiste (Janjawid) e dei soldati governativi ad una scuola elementare femminile. Durante l'aggressione, finalizzata ad una violenza carnale di massa, sono state violate bambine dagli otto ai tredici anni.
"Erano sotto shock", racconta Halima, "Sanguinanti, piangevano e gridavano. Era terribile. Poiché ho detto pubblicamente quanto era accaduto, le autorità mi hanno arrestata. Te lo facciamo vedere noi cos'è uno stupro, mi hanno detto mentre mi picchiavano. Sono stata battuta e battuta. La notte, tre uomini mi hanno violentata. Il giorno dopo è andata allo stesso modo, solo che gli uomini erano differenti. Tortura e stupro, ogni giorno, tortura e stupro."
In Darfur, generalmente, una donna stuprata è una donna rovinata: il biasimo dell'atto violento ricade su di lei, ed in molti casi viene espulsa dal nucleo familiare di cui ha causato la "vergogna".
Molti bimbi nati dalle violenze carnali vengono abbandonati. Gli stupri di massa nella regione si sono rivelati il mezzo più efficace per terrorizzare comunità tribali, spezzare la loro volontà di resistenza e farne dei profughi.
La realtà è che durante ogni guerra le donne e le ragazze divengono letteralmente il bersaglio dei combattenti. Non si tratta solo di genocidio riproduttivo, di sgomberare aree e ridurre in frantumi aggregazioni umane: qualsiasi fantasia di violenza e tortura può essere effettivamente messa in opera. Soldati regolari ed irregolari sanno alla perfezione che, nel dopoguerra, le loro azioni saranno sì biasimate, ma all'interno di una nozione culturale largamente diffusa, ovvero che gli uomini fanno cose irrazionali durante un conflitto armato. Inoltre, potranno usare un tipo di difesa abbastanza consueta: obbedivo agli ordini. Tristemente, non è neppure una menzogna: nei tribunali internazionali molti generali hanno attestato che ciò è stato fatto per "alzare il morale dei nostri combattenti".
Ci si può ovviamente chiedere quanto conti e quanto conterà in futuro l'aver definito gli stupri durante i conflitti armati come "crimini di guerra" (la guerra è di per sé un crimine, il peggiore che l'umanità infligge a se stessa) o che tipo di compensazione i tribunali internazionali possano fornire alle vittime. Le donne e le ragazze violate non dimenticheranno mai le atrocità subite. Depressione, paura degli uomini, sfiducia e disistima sono esperienze comuni a chi sopravvive allo stupro. Per molti secoli esso è stato definito non come un attacco violento alla donna, ma come l'ingiuria alla "proprietà" di un altro uomo. Sino ad ora è stata l'esperienza maschile a costruire le norme considerate ingiuste in tempo di guerra. Il fatto che una nuova cornice giuridica nasca dalla narrazione dell'esperienza femminile, e demistifichi l'oggettificazione delle donne, ha un valore simbolico assai profondo. Il diritto internazionale è, naturalmente, lungi dall'essere perfetto, ma le donne come Bakira Hasecic dicono che continueranno a testimoniare e presentarsi nei tribunali affinché chi ha loro inflitto tanto dolore venga posto di fronte alle sue responsabilità: "All'inizio ti chiedi perché dovresti andare dai giudici a rivivere quegli orrori in pubblico, ma dopo averlo fatto ti senti meglio. Guardare in faccia il proprio violentatore e costringerlo ad affrontare la verità è tutta la giustizia che possiamo avere."
tratto dal sito NONVIOLENTI.ORG Lo stupro come arma da guerra contro le donne a cura di Maria G.Di Rienzo
DARFUR, lo stupro come arma
Le milizie janjaweed, attive nel Darfur con il sostegno del governo sudanese, sono responsabili di stupri sistematici, violenze di gruppo e altre atrocità nei confronti di donne tra gli otto e gli ottanta anni. Amnesty International ha censito almeno 250 casi in cui i predoni arabi avrebbero abusato di donne e di bambine, spesso in pubblico, con una violenza estrema, senza risparmiare donne incinte. Da quanto emerge dai racconti citati dal rapporto fatto dall'organizzazione in difesa dei diritti umani, diverse ragazze sarebbero state rapite, ridotte in schiavitù e utilizzate dai janjaweed come oggetti sessuali.
articolo da "Il Manifesto"
SUDANESE WIELD RAPE AS A WEAPON OF WAR
By Ann Curry
NBC News
CHAD - As the sun sets, through the haze the shadows of the women appear, coming back as they have for centuries from gathering firewood. This simple task has always been women's work, but now just collecting sticks and branches is dangerous. Women, young and old, risk being hunted down by the Janjaweed and raped.
The Janjaweed, the Arab militia aligned with the Sudanese government, have used rape as a weapon of war to ethnically cleanse Darfur and eastern Chad of blacks.
Last month, 17-year-old Aziza and six other women went in search of firewood in the bush.
Suddenly, three armed men rode up on horseback and chased her down. One man caught her, then he bit her arm and neck to "mark" her as a rape victim.
She told us: "He tied my veil around my neck. He was wearing a Sudanese uniform. He was an Arab. He wanted to know what tribe I belonged to and if we had any land. He said, 'You are black. You have no place here. We will push you out of here. This land will remain for us.'"
Then, she says, he grabbed her tightly and raped her. Aziza would not look at his face.
Talking about rape is an act of courage here. Aziza has been shunned by her friends.
Other women understand too well Aziza's terror. In a land where people are admired for their stoicism, tears.
They sing a song about what the Janjaweed did to them.
Most of these women have been raped by Janjaweed soldiers, some by several men at a time.
Human Rights Watch estimates thousands of black women and girls have been sistematically raped in the last three years.
"Often, women are scared," says Eric Reeves, a Sudan analyst at Smith College in Northampton, Mass. "They have tendons cut, so as to mark them as having being raped. And, thus, unsuitable as brides and compromised as mothers and wives."
Aziza doesn't know yet if she is pregnant. What she does know is that she may never get the chance to marry.
While her mothers, sisters and aunts stand by her, Aziza is still too terrified to go back into the bush, since the one moment when gathering firewood changed her life for ever.