…E dopo aver libato vino e miele
Partimmo il 6 aprile a mezzanotte
Ricordo molto bene quella data
Il cielo equinoziale[1] era pulito
Ornato di pendagli scintillanti
Precipitava l’odore del monte
Sui ruderi del faro di Livada[2]
Urlante, solitario, abbarbicato
A rocce nere, combuste, infernali.
Rivolti i seni astrali verso il cielo
La portatrice del nome celeste [3]
Spalancò il suo foulard sopra la testa
A braccia tese nel vento e volò
Lanciando un grido come di gabbiano
Applaudita dal mare fra i due mondi
L’Egeo prendeva i colori del Nord
Diventava una pallida banchisa
O tundra strapazzata dalle raffiche
Con venature innevate di schiuma…
Partimmo il 6 aprile a mezzanotte
Ricordo molto bene quella data
Il cielo equinoziale[1] era pulito
Ornato di pendagli scintillanti
Precipitava l’odore del monte
Sui ruderi del faro di Livada[2]
Urlante, solitario, abbarbicato
A rocce nere, combuste, infernali.
Rivolti i seni astrali verso il cielo
La portatrice del nome celeste [3]
Spalancò il suo foulard sopra la testa
A braccia tese nel vento e volò
Lanciando un grido come di gabbiano
Applaudita dal mare fra i due mondi
L’Egeo prendeva i colori del Nord
Diventava una pallida banchisa
O tundra strapazzata dalle raffiche
Con venature innevate di schiuma…
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[2] Nell’isola di Tinos, arcipelago delle Cicladi
[3] Europa, giovane fuggiasca siriana, indicata nel poema anche con gli epiteti Nostra Signora del Mediterraneo, Progenitrice, Regina madre, Chioma ala di corvo,