Emmu vintu a battaglia
emmu vintu a De Ferrari
i fascisti e i sé cumpari
han piggiôu de priuné
Vegnì a quattru a quattru
sci ben che ghei u baccu
vegnì a ottu a ottu
sci ben che ghei u s-cioppu
Semmu du meu
purtemmu a maggia russa
guai chi ne tucca
u pigemmu a priuné
emmu vintu a De Ferrari
i fascisti e i sé cumpari
han piggiôu de priuné
Vegnì a quattru a quattru
sci ben che ghei u baccu
vegnì a ottu a ottu
sci ben che ghei u s-cioppu
Semmu du meu
purtemmu a maggia russa
guai chi ne tucca
u pigemmu a priuné
envoyé par Riccardo Venturi - 17/8/2007 - 19:39
Langue: italien
La versione italiana:
CANZONE DEL 30 GIUGNO
Abbiamo vinto la battaglia
abbiamo vinto a de ferrari
i fascisti e i loro compari
hanno preso delle pietrate
Venite a quattro a quattro
sebbene abbiate il bastone
venite a otto a otto
sebbene abbiate il fucile
Siamo del molo
portiamo la maglia rossa
guai chi ci tocca
lo prendiamo a pietrate
Abbiamo vinto la battaglia
abbiamo vinto a de ferrari
i fascisti e i loro compari
hanno preso delle pietrate
Venite a quattro a quattro
sebbene abbiate il bastone
venite a otto a otto
sebbene abbiate il fucile
Siamo del molo
portiamo la maglia rossa
guai chi ci tocca
lo prendiamo a pietrate
envoyé par Riccardo Venturi - 17/8/2007 - 19:40
GALLERIA FOTOGRAFICA
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Tutte le foto, così come quella nell'introduzione, sono tratte da Linearossa.
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Tutte le foto, così come quella nell'introduzione, sono tratte da Linearossa.
Riccardo Venturi - 17/8/2007 - 20:20
"E POI POI POI CI CHIAMAVANO TEDDY BOYS"
- Cosi è la vita / Banda di Salsomaggiore Terme
- E poi poi ci chiamavano teddy boys / gruppo di giovani genovesi
- Grida in piazza del Duomo prima del discorso
- Discussioni in piazza del Duomo durante il discorso del Presidente della Repubblica
- Grida di Vietnam libero subito dopo la fine del discorso
Le registrazioni sono dovute a Rudy Assuntino e Cesare Bermani
La seguente canzone, ancora sui fatti del 30 giugno 1960 a Genova, è usualmente definita "canzone popolare" da tutte le testimonianze che ancora la riportano (Canti di lotta, La musica dell'altra Italia ecc.). In realtà alcuni sospettano che ci possa essere la mano di un giovanissimo Fabrizio De André. Le strofette sono da cantarsi sull'"aria del Bombacè" cioè la stessa de "La moglie di Cecco Beppe" o "Il general Cadorna".
Fascisti e missini col capo Michelini
appoggiati da Tambroni facevan da padroni
E poi poi poi ci chiamavano teddy boys
Teatro Margherita volean fare il congressone
ma c'eran i genovesi armati di bastone
E poi poi poi ci chiamavano teddy boys
Le strade e le traverse tutte erano sbarrate
per proteggere i fascisti e le loro buffonate
E poi poi poi ci chiamavano teddy boys
E piazza de Ferrari in un attimo fu presa
fascisti e celerini chiedevano la resa
E poi poi poi ci chiamavano teddy boys
Il 30 giugno è un giorno che passerà alla storia
perché la Resistenza coperta fu di gloria
E poi poi poi ci chiamavano teddy boys
- Cosi è la vita / Banda di Salsomaggiore Terme
- E poi poi ci chiamavano teddy boys / gruppo di giovani genovesi
- Grida in piazza del Duomo prima del discorso
- Discussioni in piazza del Duomo durante il discorso del Presidente della Repubblica
- Grida di Vietnam libero subito dopo la fine del discorso
Le registrazioni sono dovute a Rudy Assuntino e Cesare Bermani
La seguente canzone, ancora sui fatti del 30 giugno 1960 a Genova, è usualmente definita "canzone popolare" da tutte le testimonianze che ancora la riportano (Canti di lotta, La musica dell'altra Italia ecc.). In realtà alcuni sospettano che ci possa essere la mano di un giovanissimo Fabrizio De André. Le strofette sono da cantarsi sull'"aria del Bombacè" cioè la stessa de "La moglie di Cecco Beppe" o "Il general Cadorna".
Fascisti e missini col capo Michelini
appoggiati da Tambroni facevan da padroni
E poi poi poi ci chiamavano teddy boys
Teatro Margherita volean fare il congressone
ma c'eran i genovesi armati di bastone
E poi poi poi ci chiamavano teddy boys
Le strade e le traverse tutte erano sbarrate
per proteggere i fascisti e le loro buffonate
E poi poi poi ci chiamavano teddy boys
E piazza de Ferrari in un attimo fu presa
fascisti e celerini chiedevano la resa
E poi poi poi ci chiamavano teddy boys
Il 30 giugno è un giorno che passerà alla storia
perché la Resistenza coperta fu di gloria
E poi poi poi ci chiamavano teddy boys
Riccardo Venturi - 18/8/2007 - 08:58
"GENOVA 30 GIUGNO 1960"
Poesia di "Barbaro" - anonimo poeta genovese
La seguente poesia fu composta da un anonimo poeta genovese e circolò dopo il 30 giugno 1960 sotto lo pseudonimo di "Barbaro". Al di là del suo valore di testimonianza, è curiosa perché sembra ricuperare e riappropriarsi della tradizione storica di "Balilla", ovvero Giambattista Perasso, il ragazzo genovese del rione di Portoria che nel 1746, con il suo famoso gesto del lancio del sasso ("che l'inse?", ovvero: "che devo cominciare?" "comincio?"), diede l'avvio alla rivolta antiasburgica. Tale tradizione, come noto, era stata sfruttata ampiamente dal regime fascista, che era arrivato a chiamare "Balilla" i ragazzi dai 6 ai 14 anni inquadrati nelle organizzazioni giovanili. E "Balilla" si chiamò anche la prima famosa utilitaria della Fiat.
Dalle città e provincie d'Italia
S'alza un grido di sdegno e dolor!
Vuol riunirsi la vile teppaglia
Che vendette il paese e l'onor!
Di un congresso è il vile pretesto...
Ma calpestar non sol voglion quel suol
Che di martire è stato il capestro
E l'emblema d'immenso valor !
Su scattiam! Dall’officina, dalle aule,
dai campi e dal mar scattiam!
Su è la madre che chiama;
libertà è il sol grido che val!
Il balilla è con noi, su compagni!
Tradizion vuole che il vile opressor
Fuor di Genova, fuor dei suoi scagni
Che di sangue superbo inondò!
Di Portoria le gesta continuan
Sol che uno più solo non è:
Insiem tutti siam, tutti balilla
Il padron per ragione non v'è!
Perché d'oro hai sul sen la medaglia,
Difendiam la tua terra, la nostra
Sacra città ! Darem battaglia
A chi in catene ti volle ai pie' prostra
Forza o Perasso, di Portoria, di De Ferrari,
Popolo di tutta Genova farem la storia
Per un mondo che men non s'attende!
Mai più o madre avrai da temere
Che il Fascio i suoi pie’ posi profani,
Su questa terra non avran più a godere
Chi del tuo sangue lorde ha le man!
Noi ricordiamo i fratelli, i compagni
I padri nostri, chi sui monti lottò.
I sacrifici di lor non saran più vani
E' nato un popolo e la pietra scagliò!
Poesia di "Barbaro" - anonimo poeta genovese
La seguente poesia fu composta da un anonimo poeta genovese e circolò dopo il 30 giugno 1960 sotto lo pseudonimo di "Barbaro". Al di là del suo valore di testimonianza, è curiosa perché sembra ricuperare e riappropriarsi della tradizione storica di "Balilla", ovvero Giambattista Perasso, il ragazzo genovese del rione di Portoria che nel 1746, con il suo famoso gesto del lancio del sasso ("che l'inse?", ovvero: "che devo cominciare?" "comincio?"), diede l'avvio alla rivolta antiasburgica. Tale tradizione, come noto, era stata sfruttata ampiamente dal regime fascista, che era arrivato a chiamare "Balilla" i ragazzi dai 6 ai 14 anni inquadrati nelle organizzazioni giovanili. E "Balilla" si chiamò anche la prima famosa utilitaria della Fiat.
Dalle città e provincie d'Italia
S'alza un grido di sdegno e dolor!
Vuol riunirsi la vile teppaglia
Che vendette il paese e l'onor!
Di un congresso è il vile pretesto...
Ma calpestar non sol voglion quel suol
Che di martire è stato il capestro
E l'emblema d'immenso valor !
Su scattiam! Dall’officina, dalle aule,
dai campi e dal mar scattiam!
Su è la madre che chiama;
libertà è il sol grido che val!
Il balilla è con noi, su compagni!
Tradizion vuole che il vile opressor
Fuor di Genova, fuor dei suoi scagni
Che di sangue superbo inondò!
Di Portoria le gesta continuan
Sol che uno più solo non è:
Insiem tutti siam, tutti balilla
Il padron per ragione non v'è!
Perché d'oro hai sul sen la medaglia,
Difendiam la tua terra, la nostra
Sacra città ! Darem battaglia
A chi in catene ti volle ai pie' prostra
Forza o Perasso, di Portoria, di De Ferrari,
Popolo di tutta Genova farem la storia
Per un mondo che men non s'attende!
Mai più o madre avrai da temere
Che il Fascio i suoi pie’ posi profani,
Su questa terra non avran più a godere
Chi del tuo sangue lorde ha le man!
Noi ricordiamo i fratelli, i compagni
I padri nostri, chi sui monti lottò.
I sacrifici di lor non saran più vani
E' nato un popolo e la pietra scagliò!
Riccardo Venturi - 18/8/2007 - 09:10
Langue: italien
Domani è il 30 giugno, 50° anniversario della rivolta di Genova contro i fascisti del "gerarchetto" Arturo Michelini, fondatore dell'MSI, e contro la celere mandata dal presidente del Consiglio Fernando Tambroni a proteggere i missini.
I poliziotti furono malmenati, i fascisti non fecero il loro congresso e Tambroni dovette dimettersi...
Purtroppo non ci riuscì di fare altrettanto nel 2001: i poliziotti ci massacrarono, uccisero Carlo Giuliani, i potenti dela terra tennero regolarmente il loro congresso e il gerarca Berlusconi è ancora lì a fare danni.
Vorrei dedicare alla giornata di domani una versione più estesa di "E poi poi poi ci chiamavano teddy boy" dall'EP "Canti della Resistenza italiana vol.10", a cura di Cesare Bermani, edizioni I dischi del sole, 1965.
I poliziotti furono malmenati, i fascisti non fecero il loro congresso e Tambroni dovette dimettersi...
Purtroppo non ci riuscì di fare altrettanto nel 2001: i poliziotti ci massacrarono, uccisero Carlo Giuliani, i potenti dela terra tennero regolarmente il loro congresso e il gerarca Berlusconi è ancora lì a fare danni.
Vorrei dedicare alla giornata di domani una versione più estesa di "E poi poi poi ci chiamavano teddy boy" dall'EP "Canti della Resistenza italiana vol.10", a cura di Cesare Bermani, edizioni I dischi del sole, 1965.
E POI POI POI CI CHIAMAVANO TEDDY BOYS
Fascisti e missini
con a capo Michelini
appoggiati da Tambroni
facevan da padroni.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Teatro Margherita
volean fare il congressone
ma c'erano i genovesi
armati di bastone.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Marescialli e tenentini
coi loro galoppini
volevano proteggere
gli eredi di Mussolini.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Le strade e le traverse
tutte erano sbarrate
per proteggere i fascisti
e le loro buffonate.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Con estrema decisione
entravano in azione
credevano di darci
una salutar lezione.
E poi poi poi
gliel'abbiamo data noi
e poi poi poi
gliel'abbiamo data noi.
Facevan caroselli
lanciando candelotti
ma noi a pietronate
li abbiamo mal ridotti.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
E piazza De Ferrari
in un attimo fu, presa
fascisti e celerini
ci chiesero la resa.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Il trenta giugno è un giorno
che passerà alla storia
perché la Resistenza
coperta s'è di gloria.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Guardatevi o padroni
dal premere i talloni
che torneremo un giorno
a prendere i bastoni.
E poi poi poi
ci direte teddy boy
e poi poi poi
ci direte teddy boy.
Fascisti e missini
con a capo Michelini
appoggiati da Tambroni
facevan da padroni.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Teatro Margherita
volean fare il congressone
ma c'erano i genovesi
armati di bastone.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Marescialli e tenentini
coi loro galoppini
volevano proteggere
gli eredi di Mussolini.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Le strade e le traverse
tutte erano sbarrate
per proteggere i fascisti
e le loro buffonate.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Con estrema decisione
entravano in azione
credevano di darci
una salutar lezione.
E poi poi poi
gliel'abbiamo data noi
e poi poi poi
gliel'abbiamo data noi.
Facevan caroselli
lanciando candelotti
ma noi a pietronate
li abbiamo mal ridotti.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
E piazza De Ferrari
in un attimo fu, presa
fascisti e celerini
ci chiesero la resa.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Il trenta giugno è un giorno
che passerà alla storia
perché la Resistenza
coperta s'è di gloria.
E poi poi poi
ci chiamavano teddy boy
e poi poi poi
ci chiamavano teddy boy.
Guardatevi o padroni
dal premere i talloni
che torneremo un giorno
a prendere i bastoni.
E poi poi poi
ci direte teddy boy
e poi poi poi
ci direte teddy boy.
envoyé par The Lone Ranger - 29/6/2010 - 23:36
Langue: italien
Altra versione trovata in questa pagina Facebook
Mariuccia L'èmmo vinta a battaggia
l'èmmo vinta a De Ferrari,
i fascisti co-i compari
l'èmmo missi a priunæ.
Vegnivan quattro a quattro
co-o mitra e co-o bacco,
vegnivan a eutto a eutto
co-o mitra e co-o sccieuppo
Ma o l'è arivòu o Balilla
e a l'è sâtâ a scintilla:
valanghe de priunæ
che l'èmmo assotterræ.
Ean vegnûi pe fâ o congresso
i fascisti con Basile,
æn scappè co-o môro pesto
e no retorniàn mai ciù.
Ai fascisti do Tambroni
quattro calci nei... rognoni,
quattro câsci into panê
che ne fàn ancòn mâ i pê.
Vegnivan quattro a quattro
co-o mitra e co-o bacco,
vegnivan a eutto a eutto
co-o mitra e co-o sccieuppo
Ma o l'è arivòu o Balilla
e a l'è sâtâ a scintilla:
valanghe de priunæ
che l'èmmo assotterræ.
L'èmmo vinta a battaggia
l'èmmo vinta a De Ferrari,
i fascisti co-i compari
l'èmmo missi a priunæ.
l'èmmo vinta a De Ferrari,
i fascisti co-i compari
l'èmmo missi a priunæ.
Vegnivan quattro a quattro
co-o mitra e co-o bacco,
vegnivan a eutto a eutto
co-o mitra e co-o sccieuppo
Ma o l'è arivòu o Balilla
e a l'è sâtâ a scintilla:
valanghe de priunæ
che l'èmmo assotterræ.
Ean vegnûi pe fâ o congresso
i fascisti con Basile,
æn scappè co-o môro pesto
e no retorniàn mai ciù.
Ai fascisti do Tambroni
quattro calci nei... rognoni,
quattro câsci into panê
che ne fàn ancòn mâ i pê.
Vegnivan quattro a quattro
co-o mitra e co-o bacco,
vegnivan a eutto a eutto
co-o mitra e co-o sccieuppo
Ma o l'è arivòu o Balilla
e a l'è sâtâ a scintilla:
valanghe de priunæ
che l'èmmo assotterræ.
L'èmmo vinta a battaggia
l'èmmo vinta a De Ferrari,
i fascisti co-i compari
l'èmmo missi a priunæ.
envoyé par adriana - 30/6/2010 - 09:11
La strada bruciata delle magliette a strisce
di Marco Philopat
Fonte:Carmilla
Sono passati esattamente cinquant'anni dalla rivolta dei ragazzi in maglietta a strisce scesi piazza a Genova per impedire un congresso di neofascisti. Un convegno voluto anche dall'allora governo del democristiano Tambroni, che da pochi mesi era diventato presidente del Consiglio grazie ai 14 voti dei parlamentari dell'Msi. La determinazione dei manifestanti fecero fallire quel tentativo di sdoganare, per la prima volta dal dopoguerra, gli eredi del tragico ventennio. Quel convegno fu infatti annullato. Nell'estate del 1960 ci fu un terremoto, di quelli imprevisti, violento e allo stesso tempo liberatorio. In prima fila negli scontri di piazza, da Genova a Catania, da Reggio Emilia a Palermo, da Roma a Bologna, c'erano giovani sui vent'anni, operai figli di operai che pagarono cara la loro voglia di farsi sentire. La pagarono con il sangue. In undici rimasero sull'asfalto, crivellati dalle sventagliate dei mitra e dai colpi di pistola. Altre centinaia finirono in ospedale o sul banco degli imputati come pericolosi sovversivi e condannati a scontare anni di carcere. Sapevano di rischiare grosso eppure scesero in piazza convinti che andasse fatto, che quello era il loro dovere, l'unico modo per dire no al ripetersi della storia. Per questo motivo i ragazzi con le magliette a strisce rimasero impresse nel mio cervello appena ne venni a conoscenza.
Sentii parlare di loro, per la prima volta in vita mia, quando indossavo con orgoglio la mia nera corazza punk. Fu il libraio Primo Moroni che mi spiegò bene cosa accadde il 30 giugno 1960 a Genova. “Andammo sulle barricate a fare a cazzotti con i celerini e carabinieri che difendevano i fascisti. Eravamo tutti giovani, generosi e intransigenti, portavamo i jeans, avevamo il mito dell'America e siccome i soldi in tasca erano pochi ci vestimmo con delle magliette comprate per trecento lire nei grandi magazzini. Non ci interessava una vita passata solo lavorando, preferivano guadagnare meno ma avere più tempo libero, però quando ci fu da protestare non ci tirammo certo indietro.” Era uno dei suoi strepitosi racconti orali che per noi ventenni di allora rappresentava una specie di rappresentazione cinematografica a dir poco epica, con i moti dei movimenti operai come protagonisti. C'era stato anche lui a Genova quando aveva 24 anni e partecipò agli scontri in prima fila dopo aver mal interpretato una telefonata del responsabile del servizio d'ordine di una sezione della Fgci milanese alla quale era iscritto. Inutile dire che per noi punk, che consideravamo i nostri vestiti come uno dei pochi strumenti per esprimere rabbia e ribellione, quelle magliette a strisce furono una precisa indicazione sui nostri futuri doveri. D'altronde, come tentò sempre di sottolinearci Primo, non avevamo inventato proprio niente. Già il grande poster incorniciato che il libraio teneva alla sue spalle ci consigliava di guardare un po' oltre la nostra divisa. Era infatti una foto d'epoca che ritraeva la Banda Bonnot, anarchici francesi nonché rapinatori di banca che vestivano in nero come noi, che vivevano in una comune ed erano vegetariani come noi. (Ai quei tempi noi punk stavamo tutti al Virus di via Correggio). A Milano poi c'erano stati i giubbotti di pelle della Volante Rossa, i capelloni beat che inneggiavano al libero amore, gli studenti con l'eskimo e infine i trench bianchi della famosa banda Bellini...
Le magliette a strisce orizzontali bianche e blu o bianche e rosse furono un segno distintivo che riunì i giovani contro il ritorno del fascismo, in una lotta fino all'ultimo sangue come quello dei Morti di Reggio Emilia, (7 luglio 1960), immortalati nella celebre canzone di Fausto Amodei.
Cosa portò alcuni ragazzi a scegliere un indumento come simbolo di una rivolta contro l'autorità costituita? Cosa li mosse? Non erano bandiere rosse quelle che sventolavano, erano semplici magliette comprate al discount. Ma soprattutto perché dopo il 1960 non ci fu più niente di così dirompente nel rapporto tra i simboli della rivolta e l'impegno politico?
Dopo tanti anni si potrebbe anche affermare che noi non siamo stati capaci di tramandare l'importanza dell'adottare nuovi simboli in grado di rappresentare un'opposizione intransigente alle attuali derive totalitarie. Resta il fatto che i ragazzi con le magliette a strisce non furono mai così irrimediabilmente ostacolati dai loro rappresentanti istituzionali come invece capitò alla mia generazione. Per farvi un esempio vi vorrei riportare le parole che l'allora deputato del Psi Sandro Pertini, pronunciò a Genova il 28 giugno 1960. Sarà ricordato come “u brighettu”, il fiammifero, a significare che accese la fiamma della sollevazione popolare. Sandro Pertini arrivò attraversò Piazza della Vittoria a Genova strinse la mano ai vecchi compagni partigiani e salì sul palco accolto dall'ovazione di trentamila antifascisti. “Le autorità romane sono impegnate a trovare quelli che ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazione di antifascismo” gridò con tutto il fiato che aveva in gola. “Non c'è bisogno che s'affannino. Lo dirò io chi sono i nostri sobillatori. Eccoli qui: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell'Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della Casa dello studente, che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime e delle risate sadiche dei torturatori.” Gli applausi lo interruppero per diversi minuti. Poi Pertinì continuò. “Io nego che i missini abbiano il diritto di tenere a Genova il loro congresso. Ogni iniziativa. ogni atto, ogni manifestazione di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo. Si tratta, del resto, di un congresso qui convocato, non per discutere ma per provocare e contrapporre un passato vergognoso ai valori politici e morali della Resistenza” Pertini chiese a tutti di scendere in piazza per tutelare la libertà conquistata con il sacrificio di migliaia di innocenti. “Oggi i fascisti la fanno da padroni, sono di nuovo al governo, giungono addirittura a qualificare come un delitto l'esecuzione di Mussolini. Ebbene, io mi vanto di aver ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri membri del CLN non abbiamo fatto altro che firmare una condanna a morte, pronunciata dal popolo italiano vent'anni prima.” Pertini comunque non fu il solo a stare a fianco dei ragazzi in rivolta, lo dimostra il fatto che al processo sui fatti di Genova e quelli siciliani o di Reggio Emilia, gli imputati per gli scontri furono difesi dai migliori avvocati dell'apparato del Pci, tra cui Umberto Terracini che aveva redatto la Costituzione e il capo partigiano Giovanbattista Lazagna. Inoltre i vertici del partito togliattiano cominciarono una seria autocritica interna per capire lo scollamento tra il movimento spontaneo e la strategia del Pci. “Non bisogna perdere il contatto con le masse entrate in lotta” dicevano. Le testimonianze che dimostrano tutta la lacerazione di quel dibattito sono riportate da molti libri. Il primo è uscito da qualche settimana e s'intitola Al tempo di Tambroni di Annibale Paloscia per Mursia, poi c'è lo stupendo romanzo del 2008, L'estate delle magliette a strisce di Diego Colombo per Sedizioni e infine un capitolo del breviario di racconti orali di Cesare Bermani, Il nemico interno per Odradek, dove potete trovare le ragioni della telefonata mal interpretata da Primo Moroni. Vedere i dirigenti del Pci barcamenarsi tra i Teddy boy e le magliette a strisce presumibilmente usate da personaggi trasgressivi come Picasso e Brigitte Bardot, fa oggi morire dal ridere. Emilio Sereni s'interrogava sulla “gioventù sotto una direzione che non è la nostra.” E in effetti le iscrizioni alla Fgci erano in calo mostruoso (365 mila nel '56, 229 mila nel 1960). C'era chi accusava i giovani di aver subito una “deteriore influenza dal clericalismo e dall'americanismo” e chi invece sosteneva il dialogo, certamente non fu facile per tutti loro controbattere alle tesi dello scrittore Carlo Levi apparse sul settimanale “ABC”. “Spingere con la forza e non tacere. Dovete usare la vostra forza per sovvertire, protestare. Fatelo voi che siete giovani.” diceva Levi e quindi, rivolto ai dirigenti del Pci notava. “Questi fatti impongono a tutti un esame approfondito, e l'elaborazione, o la modificazione di programmi e di metodi: lo studio preciso di fini concreti, nati dalla coscienza popolare. La fiducia, rinata attraverso l'azione, è un bene prezioso che non può essere deluso e dissipato”. Su quelle magliette a strisce, e in senso più ampio sulla passione per i modelli trasgressivi dell'american way of life trasmessi dai film come The Wild one o con le scosse del Rock 'n' Roll, nessuno dei dirigenti comunisti o socialisti riuscì mai a capirci qualcosa. Eppure non erano in pochi quelli che avevano compreso quanto quei modelli erano sedimentati tra i giovani e quanti immaginari di società diverse e vissuti generazionali affascinanti avessero sprigionato.
Negli ultimi 50 anni i partiti che avrebbe dovuto rappresentare i diritti dei lavoratori e delle fasce più deboli della società si sono trasferiti piano piano dall'altra parte della barricata, ormai è palese. Durante gli anni Settanta furono impegnati a spegnere ogni fuoco possibile che nasceva spontaneo tra le masse diseredate, ripiegando sulla criminalizzazione dei sobillatori, come a dire: “Se non ci fossero gli estremisti di sinistra, il mondo sarebbe perfetto.” Poi, dopo essersi battuti soprattutto per dimostrare di essere all'altezza della modernità, di essere persone raffinate e di buone maniere e amici del business globale, hanno raggiunto l'apice nel dopo G8 2001, (ancora una volta a Genova), con la deleteria questione della nonviolenza. E lì è crollata la maschera.
È vero che da parte nostra, e intendo ragionare sui quei pochi punk e autonomi che restarono a galla durante gli anni del riflusso, non ci fu la capacità di smontare i meccanismi di cancrena sociale che si svilupparono attorno alle nostre roccaforti liberate. Forse non capimmo bene ciò che si nascondeva dietro la gelateria dei gusti colorati e degli stili di vita che stava prendendo piede nelle nuove generazioni. Non capimmo neanche la danza degli spettri dei rave nel limbo fluorescente di una bolla destinata prima o poi a scoppiare, senz'altro fummo travolti dal bling bling degli anni '00 con il luccicare delle fibbie dolcegabbana a simboleggiare la resa definitiva del nostro futuro. Non sta a me provare a fare analisi, sono solo un grande appassionato delle magliette a strisce e di tutte le creature simili che si sono susseguite nel corso del tempo. Però di una cosa ne sono sicuro, noi fummo contrastati in primo luogo da ciò che rimaneva dell'apparato dell'ex partito comunista italiano teso nella sempre più spasmodica ricerca di un paese normale...
Purtroppo oggi l'orologio della storia è ritornato brutalmente indietro e i fascisti non solo sono stati ampiamente sdoganati, ma hanno addirittura riconquistato il potere e l'egemonia culturale. Ora che l'insolente corruzione dei politicanti e la tracotanza padronale hanno dilagato, sono ancora pochi coloro disposti a non naufragare di fronte alla paura nei confronti della passione per la libertà e l'uguaglianza. E noi continuiamo a essere orfani di quelle magliette strisce, che oltre a difendere i diritti già acquisiti, riuscirono a rilanciare sul futuro per conquistarne nuovi.
"Per sua stessa natura la giovinezza è stata da sempre incaricata di rappresentare il futuro: la perenne caratterizzazione mediatica dell'adolescente come genio o mostro continua a veicolare le speranze e le paure degli adulti su quanto accadrà in futuro. Ignorare chi spicca come precursore a favore di chi resta fedele allo status quo significa rifiutare l'impegno preso con il futuro, se non addirittura equivocare la natura stessa della giovinezza. Io vado fiero del mio romanticismo in materia, quanto meno perché spero in un mondo migliore."
Jon Savage
L'invenzione dei giovani
Intervento dedicato a Valerio Marchi, storico, skinhead, ultrà della Roma, studioso del conflitto e fratello dei ragazzi di strada, che verrà ricordato in questi giorni nel suo quartiere San Lorenzo di Roma.
di Marco Philopat
Fonte:Carmilla
Sono passati esattamente cinquant'anni dalla rivolta dei ragazzi in maglietta a strisce scesi piazza a Genova per impedire un congresso di neofascisti. Un convegno voluto anche dall'allora governo del democristiano Tambroni, che da pochi mesi era diventato presidente del Consiglio grazie ai 14 voti dei parlamentari dell'Msi. La determinazione dei manifestanti fecero fallire quel tentativo di sdoganare, per la prima volta dal dopoguerra, gli eredi del tragico ventennio. Quel convegno fu infatti annullato. Nell'estate del 1960 ci fu un terremoto, di quelli imprevisti, violento e allo stesso tempo liberatorio. In prima fila negli scontri di piazza, da Genova a Catania, da Reggio Emilia a Palermo, da Roma a Bologna, c'erano giovani sui vent'anni, operai figli di operai che pagarono cara la loro voglia di farsi sentire. La pagarono con il sangue. In undici rimasero sull'asfalto, crivellati dalle sventagliate dei mitra e dai colpi di pistola. Altre centinaia finirono in ospedale o sul banco degli imputati come pericolosi sovversivi e condannati a scontare anni di carcere. Sapevano di rischiare grosso eppure scesero in piazza convinti che andasse fatto, che quello era il loro dovere, l'unico modo per dire no al ripetersi della storia. Per questo motivo i ragazzi con le magliette a strisce rimasero impresse nel mio cervello appena ne venni a conoscenza.
Sentii parlare di loro, per la prima volta in vita mia, quando indossavo con orgoglio la mia nera corazza punk. Fu il libraio Primo Moroni che mi spiegò bene cosa accadde il 30 giugno 1960 a Genova. “Andammo sulle barricate a fare a cazzotti con i celerini e carabinieri che difendevano i fascisti. Eravamo tutti giovani, generosi e intransigenti, portavamo i jeans, avevamo il mito dell'America e siccome i soldi in tasca erano pochi ci vestimmo con delle magliette comprate per trecento lire nei grandi magazzini. Non ci interessava una vita passata solo lavorando, preferivano guadagnare meno ma avere più tempo libero, però quando ci fu da protestare non ci tirammo certo indietro.” Era uno dei suoi strepitosi racconti orali che per noi ventenni di allora rappresentava una specie di rappresentazione cinematografica a dir poco epica, con i moti dei movimenti operai come protagonisti. C'era stato anche lui a Genova quando aveva 24 anni e partecipò agli scontri in prima fila dopo aver mal interpretato una telefonata del responsabile del servizio d'ordine di una sezione della Fgci milanese alla quale era iscritto. Inutile dire che per noi punk, che consideravamo i nostri vestiti come uno dei pochi strumenti per esprimere rabbia e ribellione, quelle magliette a strisce furono una precisa indicazione sui nostri futuri doveri. D'altronde, come tentò sempre di sottolinearci Primo, non avevamo inventato proprio niente. Già il grande poster incorniciato che il libraio teneva alla sue spalle ci consigliava di guardare un po' oltre la nostra divisa. Era infatti una foto d'epoca che ritraeva la Banda Bonnot, anarchici francesi nonché rapinatori di banca che vestivano in nero come noi, che vivevano in una comune ed erano vegetariani come noi. (Ai quei tempi noi punk stavamo tutti al Virus di via Correggio). A Milano poi c'erano stati i giubbotti di pelle della Volante Rossa, i capelloni beat che inneggiavano al libero amore, gli studenti con l'eskimo e infine i trench bianchi della famosa banda Bellini...
Le magliette a strisce orizzontali bianche e blu o bianche e rosse furono un segno distintivo che riunì i giovani contro il ritorno del fascismo, in una lotta fino all'ultimo sangue come quello dei Morti di Reggio Emilia, (7 luglio 1960), immortalati nella celebre canzone di Fausto Amodei.
Cosa portò alcuni ragazzi a scegliere un indumento come simbolo di una rivolta contro l'autorità costituita? Cosa li mosse? Non erano bandiere rosse quelle che sventolavano, erano semplici magliette comprate al discount. Ma soprattutto perché dopo il 1960 non ci fu più niente di così dirompente nel rapporto tra i simboli della rivolta e l'impegno politico?
Dopo tanti anni si potrebbe anche affermare che noi non siamo stati capaci di tramandare l'importanza dell'adottare nuovi simboli in grado di rappresentare un'opposizione intransigente alle attuali derive totalitarie. Resta il fatto che i ragazzi con le magliette a strisce non furono mai così irrimediabilmente ostacolati dai loro rappresentanti istituzionali come invece capitò alla mia generazione. Per farvi un esempio vi vorrei riportare le parole che l'allora deputato del Psi Sandro Pertini, pronunciò a Genova il 28 giugno 1960. Sarà ricordato come “u brighettu”, il fiammifero, a significare che accese la fiamma della sollevazione popolare. Sandro Pertini arrivò attraversò Piazza della Vittoria a Genova strinse la mano ai vecchi compagni partigiani e salì sul palco accolto dall'ovazione di trentamila antifascisti. “Le autorità romane sono impegnate a trovare quelli che ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazione di antifascismo” gridò con tutto il fiato che aveva in gola. “Non c'è bisogno che s'affannino. Lo dirò io chi sono i nostri sobillatori. Eccoli qui: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell'Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della Casa dello studente, che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime e delle risate sadiche dei torturatori.” Gli applausi lo interruppero per diversi minuti. Poi Pertinì continuò. “Io nego che i missini abbiano il diritto di tenere a Genova il loro congresso. Ogni iniziativa. ogni atto, ogni manifestazione di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo. Si tratta, del resto, di un congresso qui convocato, non per discutere ma per provocare e contrapporre un passato vergognoso ai valori politici e morali della Resistenza” Pertini chiese a tutti di scendere in piazza per tutelare la libertà conquistata con il sacrificio di migliaia di innocenti. “Oggi i fascisti la fanno da padroni, sono di nuovo al governo, giungono addirittura a qualificare come un delitto l'esecuzione di Mussolini. Ebbene, io mi vanto di aver ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri membri del CLN non abbiamo fatto altro che firmare una condanna a morte, pronunciata dal popolo italiano vent'anni prima.” Pertini comunque non fu il solo a stare a fianco dei ragazzi in rivolta, lo dimostra il fatto che al processo sui fatti di Genova e quelli siciliani o di Reggio Emilia, gli imputati per gli scontri furono difesi dai migliori avvocati dell'apparato del Pci, tra cui Umberto Terracini che aveva redatto la Costituzione e il capo partigiano Giovanbattista Lazagna. Inoltre i vertici del partito togliattiano cominciarono una seria autocritica interna per capire lo scollamento tra il movimento spontaneo e la strategia del Pci. “Non bisogna perdere il contatto con le masse entrate in lotta” dicevano. Le testimonianze che dimostrano tutta la lacerazione di quel dibattito sono riportate da molti libri. Il primo è uscito da qualche settimana e s'intitola Al tempo di Tambroni di Annibale Paloscia per Mursia, poi c'è lo stupendo romanzo del 2008, L'estate delle magliette a strisce di Diego Colombo per Sedizioni e infine un capitolo del breviario di racconti orali di Cesare Bermani, Il nemico interno per Odradek, dove potete trovare le ragioni della telefonata mal interpretata da Primo Moroni. Vedere i dirigenti del Pci barcamenarsi tra i Teddy boy e le magliette a strisce presumibilmente usate da personaggi trasgressivi come Picasso e Brigitte Bardot, fa oggi morire dal ridere. Emilio Sereni s'interrogava sulla “gioventù sotto una direzione che non è la nostra.” E in effetti le iscrizioni alla Fgci erano in calo mostruoso (365 mila nel '56, 229 mila nel 1960). C'era chi accusava i giovani di aver subito una “deteriore influenza dal clericalismo e dall'americanismo” e chi invece sosteneva il dialogo, certamente non fu facile per tutti loro controbattere alle tesi dello scrittore Carlo Levi apparse sul settimanale “ABC”. “Spingere con la forza e non tacere. Dovete usare la vostra forza per sovvertire, protestare. Fatelo voi che siete giovani.” diceva Levi e quindi, rivolto ai dirigenti del Pci notava. “Questi fatti impongono a tutti un esame approfondito, e l'elaborazione, o la modificazione di programmi e di metodi: lo studio preciso di fini concreti, nati dalla coscienza popolare. La fiducia, rinata attraverso l'azione, è un bene prezioso che non può essere deluso e dissipato”. Su quelle magliette a strisce, e in senso più ampio sulla passione per i modelli trasgressivi dell'american way of life trasmessi dai film come The Wild one o con le scosse del Rock 'n' Roll, nessuno dei dirigenti comunisti o socialisti riuscì mai a capirci qualcosa. Eppure non erano in pochi quelli che avevano compreso quanto quei modelli erano sedimentati tra i giovani e quanti immaginari di società diverse e vissuti generazionali affascinanti avessero sprigionato.
Negli ultimi 50 anni i partiti che avrebbe dovuto rappresentare i diritti dei lavoratori e delle fasce più deboli della società si sono trasferiti piano piano dall'altra parte della barricata, ormai è palese. Durante gli anni Settanta furono impegnati a spegnere ogni fuoco possibile che nasceva spontaneo tra le masse diseredate, ripiegando sulla criminalizzazione dei sobillatori, come a dire: “Se non ci fossero gli estremisti di sinistra, il mondo sarebbe perfetto.” Poi, dopo essersi battuti soprattutto per dimostrare di essere all'altezza della modernità, di essere persone raffinate e di buone maniere e amici del business globale, hanno raggiunto l'apice nel dopo G8 2001, (ancora una volta a Genova), con la deleteria questione della nonviolenza. E lì è crollata la maschera.
È vero che da parte nostra, e intendo ragionare sui quei pochi punk e autonomi che restarono a galla durante gli anni del riflusso, non ci fu la capacità di smontare i meccanismi di cancrena sociale che si svilupparono attorno alle nostre roccaforti liberate. Forse non capimmo bene ciò che si nascondeva dietro la gelateria dei gusti colorati e degli stili di vita che stava prendendo piede nelle nuove generazioni. Non capimmo neanche la danza degli spettri dei rave nel limbo fluorescente di una bolla destinata prima o poi a scoppiare, senz'altro fummo travolti dal bling bling degli anni '00 con il luccicare delle fibbie dolcegabbana a simboleggiare la resa definitiva del nostro futuro. Non sta a me provare a fare analisi, sono solo un grande appassionato delle magliette a strisce e di tutte le creature simili che si sono susseguite nel corso del tempo. Però di una cosa ne sono sicuro, noi fummo contrastati in primo luogo da ciò che rimaneva dell'apparato dell'ex partito comunista italiano teso nella sempre più spasmodica ricerca di un paese normale...
Purtroppo oggi l'orologio della storia è ritornato brutalmente indietro e i fascisti non solo sono stati ampiamente sdoganati, ma hanno addirittura riconquistato il potere e l'egemonia culturale. Ora che l'insolente corruzione dei politicanti e la tracotanza padronale hanno dilagato, sono ancora pochi coloro disposti a non naufragare di fronte alla paura nei confronti della passione per la libertà e l'uguaglianza. E noi continuiamo a essere orfani di quelle magliette strisce, che oltre a difendere i diritti già acquisiti, riuscirono a rilanciare sul futuro per conquistarne nuovi.
"Per sua stessa natura la giovinezza è stata da sempre incaricata di rappresentare il futuro: la perenne caratterizzazione mediatica dell'adolescente come genio o mostro continua a veicolare le speranze e le paure degli adulti su quanto accadrà in futuro. Ignorare chi spicca come precursore a favore di chi resta fedele allo status quo significa rifiutare l'impegno preso con il futuro, se non addirittura equivocare la natura stessa della giovinezza. Io vado fiero del mio romanticismo in materia, quanto meno perché spero in un mondo migliore."
Jon Savage
L'invenzione dei giovani
Intervento dedicato a Valerio Marchi, storico, skinhead, ultrà della Roma, studioso del conflitto e fratello dei ragazzi di strada, che verrà ricordato in questi giorni nel suo quartiere San Lorenzo di Roma.
adriana - 30/6/2010 - 11:46
Probabilmente la canzone è fondata su di un'altra più antica, pre-risorgimentale. Anche se non sono ancora riuscito a trovarne il testo, in Rete ci sono tracce di una "Emmo vinto 'na battaggia" che si riferisce alla rivolta di Genova del 1746 contro gli austriaci, quella del "Balilla" per intenderci, il soprannome del ragazzetto che si dice diede inizio all'insurrezione...
Bernart Bartleby - 10/10/2014 - 13:38
EMMO VINTO 'NA BATTAGGIA
Fonte : Canti Popolari di Genova, ET903 (Etnofon) di Edward D.N. Neill
Emmo vinto 'na battaggia
l'emmo vinta in scia gaea
i tudeschi co-a bandea
l'emmo missi a prionnae.
Sciortî a trei a trei,
sciortî a quattro a quattro
sci ben che g'hei o bacco
v'ôu femmo redoggiâ.
Invece quella presentata sul volume “E mi ve lascio a bonn-a Seja, Trallaleri e Canti Popolari” di Mauro Manciotti (Sagep editore, 1973) è leggermente più “estesa”:
Emmo vinta 'na battaggia
Emmo vinta 'na battaggia
l'emmo vinta in scià giaea,
i tedeschi co-a bandëa
l'emmo missi a prionnae!
Vegnì a quattro a quattro
scibbèn che gh'éi o bacco,
vegnî a êutto a êutto
scibbèn che gh'éi o sccêuppo,
vegnî a seze a seze
ve tiêmo de corezze!
Abbiamo vinto una battaglia/ l’abbiamo vinta sul greto, / i tedeschi con la bandiera / li abbiamo presi a sassate! / Venite a quattro a quattro / per quanto abbiate il bastone, / venite a otto a otto / per quanto abbiate il fucile, / venite a sedici a sedici / vi prenderemo a pernacchie!
Commento :
Il canto, di epoca risorgimentale, dimostra la scarsa propensione del popolo genovese per gli invasori stranieri: eserciti francesi, spagnoli, tedeschi (nuovi e vecchi, come nel caso specifico) oppure per i bersaglieri piemontesi che all’epoca misero a ferro e fuoco la città.
Non starò a citare le svariate incursioni “saracene”, mi limiterò a segnalare che tutti questi simpatici ospiti, giungendo sulla costa e non potendo espugnare la città, protetta da un numero sempre crescente di cinta murarie, si limitavano a “saccheggiare” la vicina “Sampierdarena”, fuori le mura.
La “antipatia” congenita ormai dopo l’esperienza di tanti secoli, si manifesta anche dopo l’8 settembre ’43 nei confronti dell’esercito occupante tedesco (che in teoria non era neppure nemico ma semplicemente alleato del legittimo governo italiano, avente per primo ministro tale P.Badoglio)
Non a caso i tedeschi erano alquanto restii a girare per la città ligure, anche per via delle imprese delle “gap” e in particolare del dimenticato Partigiano, medaglia d’oro al valore militare, Giacomo Buranello, nativo di Sampierdarena.
Tornando al canto in oggetto, presente in due versioni, entrambe “curate” da Edward Neill, musicologo genovese ormai scomparso, posso dire che era eseguito dalle squadre di canto genovesi come Trallalero, che i frequentatori del sito ben conosceranno e quindi non starò a dilungarmi.
Mi limiterò a far notare che:
- la “giaea” è il greto del “fiume” Bisagno dove i genovesi anche oggi hanno perso l’ennesima battaglia.
- le “corezze” sono un tipo di pernacchie molto particolari.
Emmo vinto 'na battaglia : 30 giugno 1960
A 15 anni dalla fine della guerra, i genovesi ricordavano i 2250 operai genovesi deportati nei campi di concentramento della Germania, i suoi 1863 caduti, le atrocità commesse nella “casa dello Studente”, i martiri del Forte di San Martino, della Benedicta e del Turchino. E ricordavano pure che queste eroiche imprese erano sì state messe in atto dagli invasori tedeschi, ma sponsorizzate quando non esplicitamente richieste dai fascisti genovesi, in primo luogo dal prefetto e capo della provincia Barone Carlo Emanuele Basile. (vedi foto sottostante)
Senza volermi addentrare in un territorio ormai esplorato da decenni (o che almeno avrebbe dovuto esserlo) potrei affermare che la cattiveria dei tedeschi in Liguria avrebbe potuto essere più contenuta, in quanto non si trattava di un territorio interessato -direttamente- dalla guerra: in quel caso sì che i tedeschi sarebbero stati spietati, come avvenne sulla linea Gustav e sulla linea gotica.
Quindi deduco che la efferatezza delle stragi nazi-fasciste in Liguria sia dovuto principalmente all’intervento dell’alleato italiano, ed in primo luogo al simpatico barone di cui sopra.
Ma tutto questo era ben chiaro, alla fine del giugno 1960, anche alla popolazione genovese che aveva ancora sulla propria pelle le ferite della guerra e che scese in piazza alla notizia (pubblicata dal «Secolo d’Italia») del ritorno alla grande a Genova di Basile, uscito indenne dai processi del dopoguerra come tanti altri criminali:
Processo 16 giugno 1945 a Milano : condanna a morte ridotta a 20 anni di reclusione in quanto l’imputato, nella guerra 15-18 aveva avuto tre medaglie al valor militare.
Processo 29 agosto 1947 a Napoli : l’imputato è assolto dal delitto di collaborazionismo in quanto il reato è estinto per amnistia e scarcerato.
Processo per omicidio 14 giugno 1950 a Perugia: assolto dai reati di omicidio “ostando la cosa giudicata” e liberato immediatamente. (N.b. l’arringa dell’accusa conferma quando detto sopra dal sottoscritto)
Fonte : Canti Popolari di Genova, ET903 (Etnofon) di Edward D.N. Neill
Emmo vinto 'na battaggia
l'emmo vinta in scia gaea
i tudeschi co-a bandea
l'emmo missi a prionnae.
Sciortî a trei a trei,
sciortî a quattro a quattro
sci ben che g'hei o bacco
v'ôu femmo redoggiâ.
Invece quella presentata sul volume “E mi ve lascio a bonn-a Seja, Trallaleri e Canti Popolari” di Mauro Manciotti (Sagep editore, 1973) è leggermente più “estesa”:
Emmo vinta 'na battaggia
Emmo vinta 'na battaggia
l'emmo vinta in scià giaea,
i tedeschi co-a bandëa
l'emmo missi a prionnae!
Vegnì a quattro a quattro
scibbèn che gh'éi o bacco,
vegnî a êutto a êutto
scibbèn che gh'éi o sccêuppo,
vegnî a seze a seze
ve tiêmo de corezze!
Abbiamo vinto una battaglia/ l’abbiamo vinta sul greto, / i tedeschi con la bandiera / li abbiamo presi a sassate! / Venite a quattro a quattro / per quanto abbiate il bastone, / venite a otto a otto / per quanto abbiate il fucile, / venite a sedici a sedici / vi prenderemo a pernacchie!
Commento :
Il canto, di epoca risorgimentale, dimostra la scarsa propensione del popolo genovese per gli invasori stranieri: eserciti francesi, spagnoli, tedeschi (nuovi e vecchi, come nel caso specifico) oppure per i bersaglieri piemontesi che all’epoca misero a ferro e fuoco la città.
Non starò a citare le svariate incursioni “saracene”, mi limiterò a segnalare che tutti questi simpatici ospiti, giungendo sulla costa e non potendo espugnare la città, protetta da un numero sempre crescente di cinta murarie, si limitavano a “saccheggiare” la vicina “Sampierdarena”, fuori le mura.
La “antipatia” congenita ormai dopo l’esperienza di tanti secoli, si manifesta anche dopo l’8 settembre ’43 nei confronti dell’esercito occupante tedesco (che in teoria non era neppure nemico ma semplicemente alleato del legittimo governo italiano, avente per primo ministro tale P.Badoglio)
Non a caso i tedeschi erano alquanto restii a girare per la città ligure, anche per via delle imprese delle “gap” e in particolare del dimenticato Partigiano, medaglia d’oro al valore militare, Giacomo Buranello, nativo di Sampierdarena.
Tornando al canto in oggetto, presente in due versioni, entrambe “curate” da Edward Neill, musicologo genovese ormai scomparso, posso dire che era eseguito dalle squadre di canto genovesi come Trallalero, che i frequentatori del sito ben conosceranno e quindi non starò a dilungarmi.
Mi limiterò a far notare che:
- la “giaea” è il greto del “fiume” Bisagno dove i genovesi anche oggi hanno perso l’ennesima battaglia.
- le “corezze” sono un tipo di pernacchie molto particolari.
Emmo vinto 'na battaglia : 30 giugno 1960
A 15 anni dalla fine della guerra, i genovesi ricordavano i 2250 operai genovesi deportati nei campi di concentramento della Germania, i suoi 1863 caduti, le atrocità commesse nella “casa dello Studente”, i martiri del Forte di San Martino, della Benedicta e del Turchino. E ricordavano pure che queste eroiche imprese erano sì state messe in atto dagli invasori tedeschi, ma sponsorizzate quando non esplicitamente richieste dai fascisti genovesi, in primo luogo dal prefetto e capo della provincia Barone Carlo Emanuele Basile. (vedi foto sottostante)
Senza volermi addentrare in un territorio ormai esplorato da decenni (o che almeno avrebbe dovuto esserlo) potrei affermare che la cattiveria dei tedeschi in Liguria avrebbe potuto essere più contenuta, in quanto non si trattava di un territorio interessato -direttamente- dalla guerra: in quel caso sì che i tedeschi sarebbero stati spietati, come avvenne sulla linea Gustav e sulla linea gotica.
Quindi deduco che la efferatezza delle stragi nazi-fasciste in Liguria sia dovuto principalmente all’intervento dell’alleato italiano, ed in primo luogo al simpatico barone di cui sopra.
Ma tutto questo era ben chiaro, alla fine del giugno 1960, anche alla popolazione genovese che aveva ancora sulla propria pelle le ferite della guerra e che scese in piazza alla notizia (pubblicata dal «Secolo d’Italia») del ritorno alla grande a Genova di Basile, uscito indenne dai processi del dopoguerra come tanti altri criminali:
Processo 16 giugno 1945 a Milano : condanna a morte ridotta a 20 anni di reclusione in quanto l’imputato, nella guerra 15-18 aveva avuto tre medaglie al valor militare.
Processo 29 agosto 1947 a Napoli : l’imputato è assolto dal delitto di collaborazionismo in quanto il reato è estinto per amnistia e scarcerato.
Processo per omicidio 14 giugno 1950 a Perugia: assolto dai reati di omicidio “ostando la cosa giudicata” e liberato immediatamente. (N.b. l’arringa dell’accusa conferma quando detto sopra dal sottoscritto)
gianfranco - 11/10/2014 - 16:08
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Il testo è tratto dal Deposito, nostro "sito gemello". È la canzone, in genovese, dei ragazzi del centro storico che furono in prima linea a piazza De Ferrari contro la celere inviata da Tambroni il 30 giugno 1960 per permettere lo svolgimento del congresso del MSI.
da Linearossa
Nel giugno del 1960 il MSI intende tenere il suo congresso a Genova. È chiaro alle forze della Resistenza e a tutti gli antifascisti che questo congresso a Genova, medaglia d'oro della Resistenza rappresenta un momento determinante per il reinserimento del fascismo nel potere politico ufficiale. Genova antifascista, partigiana e proletaria insorge e dice no al fascismo! La città si mobilita, i giovani con le loro magliette a righe (allora indossate non certo per seguire la moda, ma perchè erano un capo di abbigliamento a buon mercato [in vendita specialmente nei mercatini del centro storico genovese], diventeranno l'emblema, il simbolo giovanile del 30 Giugno 60) si uniscono ai reduci partigiani; la polizia [di Spataro] carica i manifestanti, seguono violenti scontri con i scelbotti (così vennero ribatezzati il 14 Luglio del 48 (attentato a Togliatti) i poliziotti usati contro gli operai insorti [allora furono formati questi speciali "reparti celere" della polizia, dall'allora ministro DC Mario Scelba [dal cui cognome trae l'origine il termine], e così continuarono a chiamarli in quei giorni di maggio i giovani antifascisti ) ma, nonostante la polizia abbia uomini addestrati e ben equipaggiati, non riesce a debellare la sommossa popolare e viene sonoramente battuta dai giovani antifascisti! E...mentre in piazza De Ferrari i giovani antifascisti e i partigiani erano impegnati a respingere le provocazioni poliziesche, un altro reparto di polizia, in pieno assetto di guerra proteggeva i gerarchi fascisti permettendogli di sfuggire indisturbati. In seguito si venne a sapere che furono messi su un treno speciale che partì dalla stazione di Genova Nervi (nota località turisticà climatica genovese) e, dove si erano rifugiati nella speranza di tenere lì il loro congresso .
Il 30 Giugno 1960 Genova è la capitale dell'antifascismo italiano. Il fascismo non passò!
Non tardò comunque ad arrivare la repressione. Avvalendosi di delazioni e false testimonianze, nonchè basandosi su alcune fotografie, scattate dal solito intraprendente fotoreporter (pare di un noto quotidiano locale) nei pressi della Piazza De Ferrari, vennero arrestati numerosi antifascisti, (specialmente si cercò di colpire la gioventù antifascista), seguirono processi e dure condanne.
Quei giovani valorosi hanno dovuto subire ogni angheria e sopruso (vennero reclusi nel carcere di Regina Coeli); la cartolina che vedete è una delle centinaia di migliaia che furono inviate, in occasione del 2° Anniversario del 30 Giugno, al Presidente della Repubblica, appunto per chiedere la liberazione di tutti gli antifascisti. Scarcerati, quasi tutti, chi dopo tre, altri dopo quattro anni di duro carcere, anche perchè vi furono sinceri Comunisti che mai li abbandonarono, come il Comp. Terracini che fu il loro avvocato e li difese con risolutezza e tenacia o come il Comp.Pietro Secchia (allora senatore); ritornati in libertà alla maggior parte di questi giovani il reinserimento stabile nel mondo del lavoro venne negato ed oggi che hanno passato la sessantina vivono malati e in solitudine, dimenticati dalle istituzioni, con i pochi soldi di una misera pensione!