Che uomo fu mio padre!
Lui ignorò la luna
e abbracciò la terra,
ne fece sua madre,
ne fece la sua cuna,
ne fece la sua serra.
La misurò coi passi,
fertilizzò i suoi sassi.
Sapeva trasformare
un arido terreno
in campo da arare,
in un giardino ameno.
D’ un gesto della mano
creava la rugiada
che dissetava il grano,
la segale e la biada.
In casa c’era tutto:
un fuoco sempre acceso
un pane, un vino, un frutto
per l’ospite inatteso.
Nell’aia risuonava
l’allegro ritornello
del gallo che cantava
e l’agnello che belava.
Mi disse: “Devi stare
su questa nostra terra,
e non l’abbandonare
anche se c’è la guerra.
Chi parte, chi si esilia
chi fugge, chi abiura,
si arrende e si umilia,
mai avrà sepoltura.
Gli chiesi all’improvviso:
“Ma posso bestemmiare
il Dio che m’ha irriso,
e mi vuol umiliare?”
E lui con un sorriso
mi volle raccontare
quello che Giobbe fece:
“Cambiò la rabbia in prece”.
Quando ci fu la guerra
mi disse fermamente
“Difendi la tua terra,
non cedere al potente,
ché se patria non hai
sepolcro mai avrai.”
Lo sento ancora dire:
“Ti vieto di partire!”
Lui ignorò la luna
e abbracciò la terra,
ne fece sua madre,
ne fece la sua cuna,
ne fece la sua serra.
La misurò coi passi,
fertilizzò i suoi sassi.
Sapeva trasformare
un arido terreno
in campo da arare,
in un giardino ameno.
D’ un gesto della mano
creava la rugiada
che dissetava il grano,
la segale e la biada.
In casa c’era tutto:
un fuoco sempre acceso
un pane, un vino, un frutto
per l’ospite inatteso.
Nell’aia risuonava
l’allegro ritornello
del gallo che cantava
e l’agnello che belava.
Mi disse: “Devi stare
su questa nostra terra,
e non l’abbandonare
anche se c’è la guerra.
Chi parte, chi si esilia
chi fugge, chi abiura,
si arrende e si umilia,
mai avrà sepoltura.
Gli chiesi all’improvviso:
“Ma posso bestemmiare
il Dio che m’ha irriso,
e mi vuol umiliare?”
E lui con un sorriso
mi volle raccontare
quello che Giobbe fece:
“Cambiò la rabbia in prece”.
Quando ci fu la guerra
mi disse fermamente
“Difendi la tua terra,
non cedere al potente,
ché se patria non hai
sepolcro mai avrai.”
Lo sento ancora dire:
“Ti vieto di partire!”
envoyé par Dq82 - 1/12/2020 - 17:24
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[2020]
Nuovo Cantacronache 6. Esilio, Esodo, Eccidio, Erranza…
Testi/ lyrics: Beppe Chierici
Musica / Music / Musique / Sävel: Giuseppe Mereu (Doc Pippus)
Questo disco richiede un esercizio di immaginazione. Proiettatevi in una qualunque cittadina mediterranea, meglio se lambita da questo mare, che a guardarlo da est sembra poi più un golfo che un mare. Ci siete? Bene. Ora date aria alle vostre gambe, vagabondate in qualche vicolo fuori dalle rotte turistiche. Vi chiedo di prediligere, potendo scegliere, quelli in cui scorgete panni stesi ad asciugare, tra muro e muro, casa e casa, famiglia e famiglia. Panni che sono già un trattato non scritto, ma ben più saldo, di amicizia. Ecco, ora fermatevi un attimo: vi siete accorti che da una delle finestre esce una voce di donna, una voce fuori dal tempo, una voce che fluisce con naturale noncuranza, così come di chi canti facendo altro. Non potete che restare ancora un poco e tendere voi stessi, non dico l’orecchio, dico proprio voi stessi, tutto quello che siete, verso quella finestra. Quelle canzoni, quelle note, quelle parole sono lì per voi. Sono melodie che vi sembra di aver sempre sentito, eppure ve le siete scordate, persi in altri traffici, in altre frettolose incombenze, tutte le volte che avete cercato disperatamente di sentirvi contemporanei. Per questo siete ancora lì, a seguire con il pensiero queste canzoni che invece non hanno né fretta di finire presto nei 3 minuti a cui vi hanno abituato le vostre radio, né paura di non essere alla moda. Talvolta riconoscete un’altra voce, vi sembra che abbia una certa aria di familiarità con la prima, potrebbe essere la figlia, azzardate. Intanto le parole vi stanno raccontando storie antiche, ma che a voi sembrano così nitidamente chiare, vive. Vi dicono di Gerusalemme e del suo strazio, di lampioni in lutto per una città che va in fiamme, di un mondo che rotola giù verso il suo oscuro precipizio, ma anche di padri e di madri, di amori difficili, di religioni in guerra che, prima ancora degli altri, uccidono sé stesse. Soprattutto vi parlano di esilio, quello che da secoli, ovunque, i vincitori impongono ai perdenti, quello che diventa un destino da trascinarsi dietro, sempre, ovunque. Voi non siete esiliati, i vostri bimbi a scuola devono temere solo brutti voti, non una bomba che in un attimo spazzi via tutto, eppure quelle canzoni, lo sentite bene, vi stanno dicendo qualcosa di voi, di chi eravate, e di chi siete. Forse, chissà, anche di chi sarete. Perché quelle di Mireille Safa e di sua figlia Chloé sono voci di rabdomanti: attraverso l’intensa poesia di Mahmoud Darwish, poeta palestinese amorevolmente volto in italiano dal grande vecchio Beppe Chierici, esse sembrano risvegliare qualcosa in voi, sono venute a cercarvi. Lasciatevi trovare.
cenacolodiares