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Latru gintilomu e giustizzeri

Turíddu Bella
Language: Sicilian


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(Otello Profazio)
Portella della Ginestra
(Ignazio Buttitta)
Giuliano#2 ~ Purtedda Dâ Ginestra
(Turíddu Bella)


[1944-1951]
Testo di Salvatore Bella
Musica di Orazio Strano
Album: Turi Giuliano [1961]
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Caposcuola e autorità indiscussa, Orazio Strano è stato il più famoso cantastorie della Sicilia orientale, considerato da molti il padre dei cantastorie siciliani. Era paralitico, ma questa sua condizione non gli impediva di spostarsi col suo asinello di città in città, di paese in paese, di contrada in contrada; si esibiva seduto sul carrozzino accompagnandosi con la sua inseparabile chitarra e alle volte con un mandolino. La sua carriera inizia nel secondo dopoguerra, narrando e cantando vicende e fatti realmente avvenuti. Le sue narrazioni raccontano di gente umile costretta a sopportare gli avvenimenti ed il fato avverso.
Fu il primo cantastorie a portare in giro la prima versione di “La storia di Salvatore Giuliano Rè di li briganti” scritta in collaborazione con Turíddu Bella e che poi musicò.
La prima volta che la eseguì fu a Montelepre, quando Salvatore Giuliano era ancora in vita.
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Turìddu Bella (a sinistra) e Aràziu Stranu (al centro con l'inseparabile chitarra).

Una nota di cronaca ci informa che lo stesso don Aràziu (per una forma di delicatezza e tatto), mandò il cantastorie Giacomo Saso di Trabia a parlare al padre di Giuliano, affinché gli concedesse il permesso di cantarla. Quest'ultimo di tal richiesta si entusiasmò molto, tanto che gli permise di esibirsi nella strada sottostante la sua abitazione.
Con queste ballate Orazio Strano contribuì molto ad elevare a leggenda le gesta e la saga di Salvatore Giuliano, raccontato come un vero e proprio Robin Hood nostrano, che toglieva ai ricchi per dare ai poveri.
Montelepre (Munčilèbbru in siciliano), suo paese natale, è un piccolo paesino su un colle nella Sicilia occidentale vicino Palermo e aveva sempre covato il seme della ribellione e dell’insofferenza al potere imposto con la forza fin dai tempi della carboneria mazziniana.
La seconda guerra mondiale aveva lasciato tanta miseria e le elezioni italiane del giugno 1946 metteranno la DC con il governo De Gasperi alla guida del paese: ovunque in Sicilia serpeggiava il malcontento della popolazione, affamata e senza lavoro, che si fece sentire da più parti; il contrabbando era spesso l'unica alternativa di sopravvivenza. Così inizia la storia di Salvatore Giuliano.
Dopo essersi dato alla macchia in seguito all'uccisione del carabiniere Antonino Mancino, che voleva sequestrargli un carico di grano quando ancora la Sicilia era governata dall'A.M.G.O.T. (Allied Military Government for Occupied Territories), accadde che, secondo gli stessi criteri del regime fascista, suoi parenti e amici venissero arrestati e incarcerati come suoi complici. Nella notte tra il 30 e il 31 gennaio 1944 costoro riuscirono ad evadere dal carcere di Monreale in cui erano stati rinchiusi, e costituirono il primo nucleo della banda. Aveva Giuliano certamente molti sostenitori in paese e iniziò ad aggregare attorno alla sua carismatica figura, quelli che in breve diventarono i componenti della più temuta banda che insanguinò le campagne dell'isola. Trascorsi i primi due anni alla latitanza e resosi protagonista di più imprese banditesche, cominciò a formarsi una nuova coscienza, quella del “bandito guerrigliero”.

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Una sorta di giustiziere, capace di attaccare le forze dell'ordine, intere colonne di militari, le sezioni del pci, ma anche di uccidere noti mafiosi come Santo Fleres, capomafia di Partinico, avvenuta in pieno centro città il 17 luglio del 1948: prima di allora era un fatto molto inconsueto assassinare un capomafia per dei banditi, i quali fino a quel momento avevano diviso i proventi delle loro rapine e dei loro delitti con essi.
Non aveva allora chiari obiettivi politici, né la capacità di progettare o mettere in atto strategie che mirassero ad un progetto a più lungo termine.
Animato da una confusa aspirazione alla "giustizia sociale", credeva nella risposta armata alle angherie da parte dei vari potenti, ma a poco a poco cominciò a convincersi di svolgere un ruolo politico di primaria importanza, che lo vedeva contrapposto allo Stato italiano, per sconfiggere il quale, s'illuse di poter utilizzare la propria banda, trasformandola in un esercito.
La banda costituita da Salvatore Giuliano a principio nella sua natìa Montelepre, operò dal 1943 al 1950 e su di essa si è accumulata copiosa letteratura, dalle testimonianze di congiunti, di ex banditi, di partecipanti alla guerriglia separatista e di altri, alle analisi e alle narrazioni di protagonisti delle vicende politiche e poliziesche, alle ricostruzioni di storici e giornalisti, oltre ai testi di narratori, poeti e cantastorie, fino al teatro e al cinema.

Le forze dell'ordine continueranno ad essere bersaglio di Giuliano nei mesi successivi: il 16 settembre 1944, nel corso di uno scontro a fuoco con dei militari, uccise il tenente Felice Testa. La fama del bandito cominciò ad andare ben presto oltre il territorio in cui operava, e appare a tutti come l'ennesima reincarnazione dell'epico ribelle che toglie ai ricchi per dare ai poveri e nella sua attività epistolare, che comincia fin dai primi tempi della latitanza, si presenta come un difensore di quanti erano della sua stessa condizione. Ecco cosa scrive al maresciallo di Montelepre, Giuseppe Calandra, al suo arrivo in paese: “Vi avviso di non operare arresti ingiustamente. Fate sì che noi si viva in pace (…) quel piccolo contrabbandiere che porta un tozzo di pane per sfamare la sua famiglia (…). Se qualcosa d'increscioso è dovuto succedere tra me i vostri militi è dovuto agli atti disumani e gradasseschi che hanno commesso (…). Vi preciso che mi trovo in queste condizioni per avere onestamente portato un tozzo di pane alla mia famiglia” (Calandra, inedito, p. 97). Un povero, ribelle a nome di altri poveri. Ma da lì a qualche tempo si troverà coinvolto in un gioco che va oltre la storia di un povero fuorilegge.
Il tutto, in un contesto di sangue, monti, brulla terra di Sicilia, fughe e agguati. Cresceva così, nell'immaginario collettivo, la figura di un brigante dal cuore buono.
Purtroppo, così non era per chi era mandato a combattere una guerra non voluta, subendo agguati e assalti nel corso dei quali non si evitavano certo inutili spargimenti di sangue.
Molti furono i tentativi da parte dello Stato di catturare l'imprendibile bandito, ma a nulla valse né il numero di uomini inviati nelle campagne, né le tante operazioni di rastrellamento condotte alla ricerca di Giuliano e la sua banda.
Non solo il “Re di Montelepre”, com'era definito, sembrava imprendibile come un fantasma, ma ad ogni azione condotta dai militari, corrispondeva sempre un'azione di rappresaglia da parte dei banditi, che continuavano a lasciarsi alle spalle una scia di sangue che si allungava di giorno in giorno.

Per schematizzare, nell'azione della banda Giuliano si possono distinguere tre fasi: la prima fase può essere considerata come banditismo sociale, la seconda è dominata dal coinvolgimento con il movimento separatista e la formazione dell'E.V.I.S. (Esercito Volontari per l'Indipendenza della Sicilia), la terza, a fianco delle forze anticomuniste, è segnata dalla strage di Portella della Ginestra. Ma ricerche recenti tendono a considerare la carriera di Giuliano e della sua banda fin da principio legata a vicende politiche.

Le ricostruzioni e valutazioni del separatismo nelle testimonianze dei suoi protagonisti (Finocchiaro Aprile 1966, Paternò Castello 1977) e negli studi di vari autori (Di Matteo 1967, Barbagallo 1974, Renda 1976, Marino 1979, Nicolosi 1981, Attanasio 1984, Santino 1977, 1997, Cimino 1988) oscillano tra due poli: il movimento indipendentista sarebbe il prodotto di “un profondo smarrimento e di una gravissima confusione” (Renda 1976, p. 23) oppure un “arroccamento tattico” e una “rottura fittizia”, funzionali al conseguimento di un'autonomia regionale favorevole agli interessi dei proprietari terrieri e dei partiti conservatori, rigidamente chiusa a sinistra (Santino 1977, p. 11; 1997, p. 58).

Il tema ha alle spalle la vicenda del sicilianismo e dell'ideologia sicilianista (Marino 1971) che rimonta al XVIII secolo, come reazione al riformismo borbonico da parte dei baroni che vedevano messo in crisi il loro dominio. Si può dire che il ricorso al sicilianismo abbia avuto una costante: esso “rigermina ogni volta che classi o frazioni di classe dominanti in Sicilia hanno da difendere o da far valere i loro interessi” (U.Santino 1997, p. 43). E il gioco si ripete con l'appello a tutta la popolazione in nome dell'“unità nazionale” siciliana e della “Patria siciliana”. Così c'era stata una rifioritura sicilianista in veste antigiolittiana, quando le cose si mettevano male per gli agrari isolani, e durante il fascismo come reazione della proprietà latifondistica alla politica agraria del regime. Nel 1941 il barone Lucio Tasca aveva pubblicato il libretto Elogio del latifondo, che diventò il manifesto della reincarnazione del sicilianismo. Tasca sarà nominato dall'A.M.G.O.T. sindaco di Palermo.
Il C.I.S. (Comitato per l'Indipendenza della Sicilia) si costituisce nel luglio del '43 e, quando arrivano a Palermo gli Alleati, fa affiggere manifesti in cui si chiede “il concorso delle grandi Nazioni Unite al fine della costituzione del nuovo Stato di Sicilia” (in Marino 1979, p. 19). Successivamente redige un Memorandum in cui si afferma che il popolo siciliano aspira all'indipendenza e alla sovranità nazionale.
I capi del movimento che avevano già stabilito collegamenti con i capimafia, (al convegno a casa Tasca a Mondello, la spiaggia di Palermo, del 6 dicembre 1943, a cui partecipò anche il famigerato don Calò Vizzini (colonnello onorario nell'esercito americano) ora ritengono che per dare corpo all'EVIS bisogna ingaggiare le bande armate, e in particolare quella dei niscemesi di Rosario Avila e la banda Giuliano.
Nel 1945, Turi Giuliano si avvicina al Movimento Indipendentista Siciliano (M.I.S.), inconsapevole del fatto, che sta iniziando a scrivere l'epilogo della sua storia. Nel M.I.S. si incrociano varie anime: di gran lunga prevalente è l'anima conservatrice, ma c'è anche un'anima democratica rappresentata nella Sicilia occidentale da Nino Varvaro (che nel febbraio del 1947 si stacca dal M.I.S. e fonda il M.I.S.D.R., Movimento per l'Indipendenza della Sicilia democratico e repubblicano, poi passerà al PCI), e un'altra con aspirazioni rivoluzionarie, incarnata dall'avv. Antonio Canepa. Sua l'iniziativa di costituire i primi gruppi armati che formeranno l'E.V.I.S., che nacque nel febbraio 1945 a Catania, come gruppo di lotta armata, ma anche primo nucleo di quello che sarebbe dovuto diventare l’esercito regolare di una futura Repubblica Siciliana. La sua costituzione, essendo clandestina, non verrà ufficialmente riconosciuta dal MIS. Organizzato in gruppi, inizialmente formato da circa cinquanta giovani; si riuniva e operava in clandestinità.
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Il modello applicato era quello dell’Esercito popolare di liberazione dei partigiani jugoslavi, ma Canepa, purtroppo non ne ebbe il tempo di organizzarsi, perché presto scomparirà dalla scena: infatti insieme a cinque compagni, fu intercettato il 17 giugno del 1945 da una pattuglia di carabinieri in contrada Murazzo Rotto, vicino Randazzo (CT) e fu ucciso in un conflitto a fuoco insieme ad altri due militanti, in circostanze non del tutto chiare e ancora oggi al centro di un dibattito scaturito dalle interpretazioni delle diverse versioni dei verbali ufficiali. Insieme a lui morirono il braccio destro Carmelo Rosano di 22 anni e Giuseppe Lo Giudice di 18 anni. Nella sparatoria – conclusa con l’esplosione di una bomba a mano – Lo Giudice morì sul colpo, Rosano e Canepa in ospedale. Nando Romano sarebbe riuscito a sopravvivere, Antonino Velis e Pippo Amato, fuggirono nelle campagne circostanti. Secondo recenti studi si fa strada l’idea che nell’omicidio del leader dell’EVIS vi sia la mano combinata di servizi segreti internazionali perché gli accordi di Yalta avevano già stabilito che la Sicilia dovesse far parte dell’Italia pertanto era necessario neutralizzare i focolai separatisti. Con la sua morte, l’EVIS subì uno sbandamento. Il comando fu affidato brevemente a un altro leader del MIS, Attilio Castrogiovanni, e dopo il suo arresto, a Concetto Gallo (pseudonimo Secondo Turri o Turri II). Gallo, con i vertici del Mis, sia i separatisti catanesi come Andrea Finocchiaro Aprile, legati ai nobili Guglielmo e Ernesto Paternò Castello di Carcaci e Paternò Castello – Marchese di San Giuliano, sia dell’ala palermitana, dove emergevano il barone Lucio Tasca Bordonaro d’Almerita, il barone Stefano La Motta di Monserrato e il principe Giovanni Alliata Di Montereale. Giuliano entrò a far parte dell'E.V.I.S. spinto anche dall'Intelligence americana e da un colonnello dell'esercito americano, che gli alimentarono l'illusione che la Sicilia avrebbe potuto essere annessa addirittura agli U.S.A., L'EVIS operò contro l'esercito italiano nel biennio 1945/ 46.
L'incontro tra Giuliano e i capi separatisti Concetto Gallo, nuovo comandante dell'EVIS, il duca Franz di Carcaci e Attilio Castrogiovanni, avvenne a fine maggio 1945. L'idea dei dirigenti del MIS era di fare spostare la banda nel catanese per congiungerla alla banda Avila-Rizzo, ma Giuliano vuole rimanere nel territorio che conosce bene, il suo: “Supra 'i lastrùni scíđđicu” (Sul lastricato scivolo) obietta. Viene nominato colonnello dell'EVIS, rimarrà in provincia di Palermo e comincerà la sua guerra con le forze dell'ordine in nome del separatismo. Diventò quindi un guerrigliero, un combattente che affascinava e riusciva ad ottenere consenso tra la popolazione, in particolar modo tra i contadini, che vedevano in lui una speranza del riscatto da una vita di stenti e di soprusi. La prima operazione fu un attacco, fallito, alla caserma di Pioppo, frazione di Monreale. Sarà il primo di una lunga serie.




Il primo ottobre alcuni capi separatisti, tra cui il fondatore Andrea Finocchiaro Aprile e Antonino Varvaro vengono arrestati e inviati al confino nell'isola di Ponza. A fine dicembre il gruppo comandato da Giuliano, che ora comprende anche tanti giovani indipendentisti, assedia le caserme dei carabinieri di Bellolampo e Grisì, il 18 gennaio del '46 tende un'imboscata e uccide quattro militari: Angelo Lombardi, Vittorio Epifani, Vitangelo Cinquepalmi, Imerio Piccini.
D'accordo con la mafia (pare che sia stato affiliato formalmente) compie rapine, estorsioni e sequestri di persona per finanziare il movimento. Fonda un Movimento per l'Annessione della Sicilia alla Confederazione Americana (M.A.S.C.A.) autoproclamandosi capo e sui muri di paesi e città compare un manifesto in cui un uomo taglia la catena che lega la Sicilia all'Italia mente un'altra catena la lega agli Stati Uniti. Con la scritta: “A morte i sbirri succhiatori del popolo siciliano e perché sono i principali radici fascisti, viva il separatismo della libertà”. E sottolineato il suo nome: Giuliano.

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Ma il mito di Giuliano, era già nella sua fase discendente. Da lì a poco infatti, il M.I.S., entrerà nella legalità e otterrà la garanzia del riconoscimento dello Statuto Speciale Siciliano da parte di re Umberto II, e Giuliano, che non accettò l'accordo e continuò con la sua banda a fare guerra allo Stato italiano, diventava per tutti un criminale comune. Lucio Tasca, che era stato tra i più convinti sulla necessità di arruolare i banditi, dichiarò che il movimento non aveva alcun rapporto con l'E.V.I.S.; Finocchiaro Aprile nel marzo del '46 lascia il confino e dichiara che gli aderenti al MIS intendono restare italiani. Sono cominciate le grandi manovre che porteranno i separatisti nell'alveo istituzionale, con la presentazione alle elezioni per l'Assemblea costituente, con l'elezioni di quattro di loro, e con l'amnistia per i reati politici. Ma sono esclusi i responsabili di reati comuni, come i componenti delle bande armate. Tra cui una delle più attive continua ad essere quella di Giuliano.
A fine anno un rapporto ufficiale traccia un bilancio pesantissimo delle vittime della banda Giuliano e di altre bande: 56 carabinieri deceduti in conflitti con malviventi, 45 in altre operazioni di servizio, 169 feriti in conflitti a fuoco, 588 in altre operazioni.
In un testo rimasto a lungo inedito e solo da poco pubblicato in volume, Girolamo Li Causi, segretario regionale del pci, parla di una certa confusione politica fra alcuni strati di giovani compagni, specie in provincia di Palermo, che tendevano ad identificare gli obiettivi perseguiti dal bandito (Giuliano) con quelli del movimento comunista; di questo si ebbe prova a Piana degli Albanesi dove una famiglia di dirigenti comunisti, rivelatisi poi agenti provocatori, imbastiva dimostrazioni popolari per un'alleanza politica e di lotta armata tra la banda Giuliano e il movimento comunista stesso. "A questo proposito è da sottolineare la ferma, decisa, intransigente azione del nostro partito in Sicilia contro qualsiasi commistione del movimento rivendicativo delle masse lavoratrici sul terreno politico e sociale con il banditismo" (G.Li Causi 2008, p. 49). Tale “confusione” poteva esserci stata all'inizio della carriera banditesca di Giuliano, poiché le sue scelte furono ben presto, o saranno da lì a qualche tempo, apertamente anticomuniste. Negli ultimi anni, sulla scorta dei documenti dissecretati dei servizi segreti inglesi e americani, si è ricostruito un quadro di quel periodo, in cui si incrociano gruppi nazifascisti, mafia e banditismo. Tra i gruppi nazifascisti figurano i FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria), l'ECA (Esercito Clandestino Anticomunista), le SAM (Squadre Azione Mussolini), la Decima Mas di Julio Valerio Borghese, le Brigate Nere, congiunti in una Rete Invasione per rioccupare le zone conquistate dagli Alleati, a cui si sarebbero aggiunti successivamente i servizi segreti americani O.S.S. (Organization Strategic Services) e italiani SIM (Servizio Informazioni Militari) per organizzare la reazione a un'eventuale conquista del potere da parte dei comunisti e a un'invasione sovietica.
Giuliano avrebbe fatto parte di questa Rete fin dal 1943 dopo l'assassinio del carabiniere Mancino si sarebbe già messo sotto l'ala protettiva del principe Valerio Pignatelli, uno dei capi nazifascisti (Casarrubea-Cereghino 2009, p. 84), sarebbe stato arruolato nella Decima Mas e avrebbe incontrato in varie località, lontane dalla Sicilia, capi del neofascismo. La sua sarebbe una banda eversiva agli ordini dei capi nazifascisti.
Per quanto riguarda la mafia, decisivo sarebbe stato il ruolo di Lucky Luciano, in Sicilia dal maggio al giugno del 1947 (Ivi, p. 194). Luciano avrebbe convinto la mafia a partecipare alla strage di Portella e in quello stesso periodo sarebbe nata l'organizzazione Cosa nostra, tra Sicilia e Stati Uniti.
Il fronte anticomunista mirava a organizzare “incidenti” che avrebbero dovuto spingere il pci alla rivolta, che a sua volta avrebbe innescato la repressione e il colpo di stato. Sarebbero le premesse per l'organizzazione Gladio o Stay behind.

Anche a livello nazionale, le cose cominciavano a cambiare e con il primo referendum istituzionale, cade la monarchia, per lasciare posto alla Repubblica. Nel frattempo il movimento contadino, che sperava in un cambiamento e nella riforma agraria, iniziava una dura lotta in difesa dei diritti della categoria, che portava all'uccisione di sindacalisti come Accursio Miraglia, Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale, dei cui delitti non è mai stata fatta giustizia. Il nuovo governo italiano aveva però nel frattempo stretto rapporti con la mafia, della quale si trasforma presto nel braccio armato
Gli incontri tra Giuliano e uomini delle istituzioni, come l'alto funzionario di PS Ciro Verdiani e il procuratore generale Emanuele Pili, come pure l'ispettore polizia Ettore Messana, hanno fatto molto discutere, alimentando il sospetto che dietro le gesta del bandito e dietro la sua stessa fine, si celi ben più di un mistero e tante responsabilità, sulle quali si è sempre preferito tacere.
Prima delle elezioni, Turi aveva deciso di appoggiare la candidatura di Nino Varvaro, esponente del M.I.S. e aveva a tal scopo raggiunto un accordo con il comunista Girolamo Li Causi, ma l'esito della competizione elettorale, evidenziò come Giuliano fosse stato ingannato da quest'ultimo.
Deciso a dare una lezione al Li Causi, che servisse da monito anche agli altri, Giuliano ne progettò il sequestro, nel corso della festa del 1° maggio, che si sarebbe svolta a Portella della Ginestra.

Una folla festante invade la campagna di Portella della Ginestra, nei pressi di Piana degli Albanesi (PA), quando all'improvviso, l'atmosfera festosa è rotta dal crepitio di una mitragliatrice, seguita da un numero imprecisato di colpi sparati con armi di vario genere. Riversi nel loro sangue, tra le zolle dei campi, restano 11 persone, compreso due bambini, mentre 56 vengono ferite. Colpevole: Salvatore Giuliano, detto Turíddu, e la sua banda.
Ma come poteva Giuliano, amico dei contadini e amato e aiutato dagli stessi nella sua latitanza, aver dato l'ordine di compiere il massacro? Non poteva. E infatti, come verrà appurato successivamente, gli ordini di Giuliano erano stati precisi: sparare in aria per creare il panico e poter sequestrare Li Causi. Cosa che non sarebbe potuta comunque accadere, poiché sia Li Causi che i sindaci comunisti di Piana degli Albanesi e di San Giuseppe Jato, avvertiti prontamente, non si erano recati a Portella della Ginestra!
Ma chi avvisò Li Causi e gli altri? E perché nessuno avvisò i contadini? Tra i partecipanti alla manifestazione per il 1° maggio '47 ci fu chi si ricordò di aver sentito alcuni giorni prima, in paese, mormorare una frase premonitrice: "Partirete cantando, tornerete piangendo". Altre ricostruzioni hanno ipotizzato che i colpi mortali siano stati esplosi da personaggi mescolati tra la folla e non dalle alture che circondano Portella. Altre ancora hanno parlato di una serie di esplosioni, che però non hanno mai trovato riscontro nei rilievi della polizia. Qualcuno ha messo in campo l'ipotesi che in realtà a sparare fosse stata la mafia per far ricadere la colpa su Giuliano, diventato ormai troppo ambizioso e ingestibile.
Giuseppe Passatempo, detto 'u boja, addetto alla mitragliatrice, aveva violato gli ordini di Giuliano e deliberatamente sparato ad altezza d'uomo. Giuliano, in seguito avrebbe voluto punirlo per averlo reso colpevole di un gesto da lui non voluto, ma l'intercessione di Salvatore Passatempo e poi la mediazione di Antonino Terranova, lo convinsero a cercare di superare l'accaduto. Ma non era stato né un incidente, né la sola azione arbitraria del Passatempo. Infatti, secondo alcune fonti, la strage era stata programmata da tempo e sarebbe dovuta avvenire nel caso in cui le sinistre avessero avuto la maggioranza. “Ero la vedetta di Salvatore Giuliano, andavo a prendere il pane, gli portavo le sigarette e Giuliano non ha mai sparato a Portella della Ginestra. L’ho visto Giuliano a Portella: l’ho visto quando è andato e l’ho visto quando è tornato, lui era un bandito, non era cattivo, se aveva un pezzo di pane lo dava a chi aveva più fame di lui”. Così riferisce Giacomo Bommarito, la vedetta di Giuliano, "'u piccjuttèđđu", oggi ultraottantenne.. Secondo lui la strage venne ordinata dalla mafia e dalla politica di allora –“per mettere il popolo siciliano contro Giuliano, la mafia doveva consegnare alla giustizia Giuliano morto, perché sapeva troppe cose”.
Nel '47, dopo la vittoria delle sinistre alle prime elezioni regionali siciliane, con 29 seggi alle sinistre e 21 alla DC, a Giuliano venne promesso un lasciapassare per l'America in cambio di un'azione che servisse da monito a tutti e che fu fortemente voluta dalla DC e dagli americani.
Secondo altre ricostruzioni, l’America inviò agenti segreti dell'O.S.S. (quella che poi diverrà l’attuale CIA), muniti di lancia granate, a lanciare sulla folla le “Special Weapons” (Atti desecretati della CIA La Repubblica Anno 10 N°6 del 10/02/2003), le cui schegge, vennero fuori dagli esami necroscopici e dagli interventi sui feriti.
Ad oggi, non si può comunque affermare che il mandante della strage fosse politico, ma quello che è certo, è il fatto che la DC, abbarbicata al Governo con la Presidenza del Consiglio, i suoi Ministri, i servizi segreti e un apparato dello Stato che aveva collegamenti con i servizi segreti americani e direttamente o indirettamente anche con la mafia, avrebbe dovuto conoscere il piano di Portella della Ginestra.

Questo, lascia spazio ad inquietanti interrogativi sull’operato di alcuni dirigenti comunisti, che non si preoccuparono neppure delle sorti di quei poveri disgraziati che caddero in un’imboscata voluta dall’alto e che vide nella presenza di Giuliano e la sua banda il capro espiatorio perfetto, al quale addebitare la carneficina.
Giuliano, dopo questi fatti, divenne un personaggio scomodo per tutti.
Gli americani, dopo l’accordo tra il movimento separatista e il governo italiano, con la concessione di autonomia alla Sicilia, avevano già abbandonato l’E.V.I.S. e Giuliano.
La mafia, accortasi del fallimento del Movimento Indipendentista, non tardò a schierarsi con chi, più forte, poteva dare maggiori garanzie per il futuro, tentando prima con le sinistre e alleandosi in seguito con le forze centriste, quando le stesse furono messe nelle condizioni di poter vincere le elezioni.
Ad avvalorare la tesi che la strage di Portella fu portata a termine anche da uomini estranei alla banda di Giuliano e appartenenti alla mafia, il fatto che le vittime furono colpite da proiettili cal. 9, mentre gli uomini di Giuliano, avevano in dotazione armi di cal. 6,5.
Da alcune ricostruzioni, pare che sei mitra Beretta calibro 9 furono consegnati a sei mafiosi di San Giuseppe Jato dall’ispettore di polizia Messana. (da rifondazione alatri) e questo lascia pensare sullo scellerato patto che mafia e Stato raggiunsero pur di sotterrare per sempre i fervori dei separatisti siciliani.
I lanciagranate cui si fa riferimento negli atti desecretati dalla CIA, potrebbero essere stati utilizzati da ex componenti del battaglione Vega della Decima Mas, arruolati dai servizi segreti americani. È infatti risaputo che Junio Valerio Borghese, finita la guerra, venne aggregato ai servizi segreti americani, al fine di creare una struttura in grado di arginare un’eventuale espansione comunista nell’Isola e che non fu il solo, che messosi a servizio degli americani, entrò in contatto con la vicenda siciliana.
Fu a quel punto, che Giuliano tentò di giocarsi la sua ultima carta: il “Memoriale sui fatti di Portella della Ginestra”.
Scrisse dunque ai giornali, sostenendo di essere in possesso di documenti che avrebbero dimostrato chi erano i veri colpevoli della strage, ma animato da sentimenti di vendetta, avrebbe anche voluto rapire Bernardo Mattarella, allora sottosegretario del ministero dei Trasporti e don Calò Vizzini, che era stato imposto come sindaco di Villalba dagli americani, quale segno di riconoscimento nei confronti della mafia, per i servigi resi dalla stessa durante e dopo lo sbarco in Sicilia.

Così, mentre Giuliano tenta un ultimo bluff, la mafia aveva già scritto la condanna a morte per un uomo diventato ormai troppo pericoloso per tutti e al cui memoriale non crede nessuno.
Il funzionario di PS Ciro Verdiani, avendo compreso che quello di Giuliano era un bluff, lo avvisò dicendo: “Guardati da tuo cugino” (alludendo chiaramente a Àspanu Pisciotta, braccio destro di Turi), ma a nulla servì l’avvertimento.
La storia del memoriale, non finirà comunque con la morte di Giuliano. Tra conferme, smentite, ulteriori conferme e colpi di scena, per tanto tempo ancora, si dubiterà se sia mai esistito e se è vero che lo possegga Maddalena Lo Giudice, la quale, prima per sua ammissione e poi smentendolo, affermò di essere stata l’amante del bandito negli ultimi mesi della sua vita.
Da quanto dichiarato ad un giornalista, Maddalena Lo Giudice, avrebbe avuto tre cose da Salvatore Giuliano: una cassetta colma di gioielli, un memoriale in cui Giuliano aveva scritto accordi, nomi, fatti, di coloro che, appartenenti alle istituzioni e non, lo avevano prima aiutato e protetto e poi tradito; infine un figlio, del quale non si seppe mai nulla.
Proprio per capire, o forse per timore, se realmente Giuliano avesse lasciato un memoriale, si tentò di appurare una delle presunte verità: Maddalena Lo Giudice, aveva o non aveva avuto un figlio?
Allo scopo, oltre all’invio da parte del Ministro degli Interni di un ispettore generale di polizia, per fare luce sulla vicenda, venne chiesto l’intervento di un celebre chirurgo per appurare se la donna avesse mai partorito.
Ma storie fitte di misteri, non possono mancare di ulteriori colpi di scena e così alla domanda se Maddalena avesse mai partorito, il chirurgo, soprappensiero rispose: “forse…”.
A completare l’enigma, la frase con la quale Maddalena termina l’intervista:
“Ecco, questa è la mia storia con Turiddu.
Però io non so ora se essa è vera, o se me la sono sognata tante volte fino a convincermi anch’io che essa è vera!”.
Dopo la strage di Portella della Ginestra, le forze dell’ordine, si avvalsero anche della mafia per chiudere il cerchio attorno a Giuliano e convincere Gaspare Pisciotta a collaborare.
L’ispettore Messana utilizzò un informatore di primo piano, Salvatore Ferreri, detto fra’ Diavolo, mentre il Comando forze repressione banditismo chiese collaborazione a Benedetto Minasola, capo mafia di Monreale pur di arrivare all’eliminazione di Giuliano. A capo delle forze antibanditismo, c’era il colonnello dei carabinieri Ugo Luca.
Mentre De Gasperi presiede il suo quarto Gabinetto, Einaudi è alla guida del Quirinale, il Ministro dell’Interno Mario Scelba, secondo Gaspare Pisciotta, avrebbe dato disposizioni al colonnello Ugo Luca, affinché accettasse un accordo con il Pisciotta stesso, che prevedesse la sua collaborazione per eliminare Giuliano, in cambio di interventi in suo favore, qualora fosse stato arrestato. Giuliano era infatti molto guardingo ed eliminarlo non sarebbe stato facile. Allo scopo, vennero incaricati uomini di notevole prestigio tra le forze dell’ordine, di cui alcuni avevano già lavorato con il prefetto Mori e che a quel tempo, si trovavano al servizio del Ministero degli Interni, presieduto dal ministro siciliano Scelba.
Il 5 luglio del ’50, viene ucciso Salvatore Giuliano e si organizza nel cortile dell’avvocato De Maria in via Mannone a Castelvetrano (TP) una messinscena allo scopo di simulare un conflitto a fuoco con i carabinieri.
La notizia, viene diffusa con toni trionfalistici ed è una bomba: Salvatore Giuliano è morto!
A scoprire che ad ucciderlo sarebbe stato il suo luogotenente, erroneamente definito cugino, Gaspare Pisciotta, sarà successivamente il giornalista Tommaso Besozzi che, sbugiardando i carabinieri, rivelerà la verità: Salvatore Giuliano, è stato ucciso da uno dei suoi “picciotti” per denaro e viltà.
Con due colpi di pistola, Gaspare Pisciotta, aveva scritto la parola fine alla storia dell’ultimo bandito siciliano che, forse più di ogni altro, aveva impersonificato le grandi contraddizioni di questa terra, creandosi fama di feroce bandito, ma anche di novello Robin Hood.
Con lui si chiudeva una delle pagine più sporche, ma insieme leggendarie e romantiche, della storia del banditismo in Sicilia.
Ma non finivano certo con lui, misteri e segreti così squallidi e orrendi, da dover essere per sempre taciuti e Gaspare Pisciotta, tratto in arresto, durante il processo di Viterbo dalla gabbia urlerà: “Siamo un corpo solo, banditi, polizia e mafia, come il padre, il figlio e lo spirito santo”.
Si riferiva al patto stretto con il colonnello Ugo Luca o a fatti ancor più gravi, come quello di Portella della Ginestra?

Questo non potremo mai saperlo, poiché prima che potesse concretizzare le sue accuse dinanzi al procuratore Pietro Scaglione (che verrà assassinato dalla mafia nel 1971), Pisciotta verrà ucciso all’interno del carcere dell’Ucciardone, tramite un caffè alla stricnina…
Se la messinscena dell’uccisione del bandito Turiddu Giuliano, aveva lo scopo di dimostrare che era stato il governo a vincere, non servì a nulla, poiché se il governo vinse, in realtà lo Stato perse.
Quello Stato, che promosse successivamente quei suoi servitori che, come i vari Luca, Perenze ed altri, a prescindere dai metodi usati, in verità, lo fece, come da copione, solo per coprire una delle pagine più vergognose della nostra storia.
Purtroppo, dopo Turi Giuliano, altre pagine sporche di sangue innocente e di vergogna, si sono aggiunte.
A cominciare dagli anni di piombo, con gli attentati terroristici dietro i quali spunta sempre una pista che porta a servizi deviati italiani e non, allo Stato, al potere politico, mafioso, imprenditoriale, per finire con le storie di mafia e pentiti e con le stragi come quelle di Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino.
Che Salvatore Giuliano sia stato bandito o eroe, lo lasciamo decidere a chi legge.
Quel che è certo, è il fatto che Giuliano non scelse motu proprio di diventar bandito, così come non lasciò agi domestici per abbracciare una bandiera ribelle.
Fu, è vero, il più famoso bandito siciliano della storia, ma lo diventò per tutta una serie di circostanze e venne poi utilizzato sia dalla mafia che dalla politica, senza neppure rendersi conto che gli unici veri innocenti (spesso inconsapevolmente utilizzati anche loro), erano proprio coloro che egli uccideva nel corso delle sue imprese, ritenendoli i nemici dei sogni di un popolo.
Sulla sua tomba, un mese dopo la sua morte, vennero scolpiti i versi che Maddalena Lo Giudice disse di avere avuto personalmente da Turíđđu:
“Poveri versi miei d’amor beati
nel meglio del gioir siete periti
sorgeste fieri ma sfortunati
e come uccello nei boschi siete spariti”.

Un dubbio: ma se i versi, furono veramente il testamento che Salvatore Giuliano lasciò a Maddalena, perché non potrebbe avere lasciato anche un memoriale? E cosa avrebbe scritto?
Molte risposte quando gli atti che riguardano Salvatore Giuliano e la sua banda non saranno più coperti dal “Segreto di Stato”.
[In corsivo i versi recitati]

1. Latru Gintilòmu
A la viulenza troppu sanguinusa
Turi Giulianu juncèva quarchi 'mprisa
di 'na buntà gentili e ginirùsa
ca la so fama finu in celu jìsa
e si parrava 'nda la Conca d'Oru
di lu so cori bonu a tutti a coru.
Ma Turi cu grannìzza e cu 'đđu coru
ajutàva li poveri davèru
e li trattava comu frati e soru
mentri era cu li ricchi tantu feru
e aspartèva dinàri in quantitati
ad urfanèđđi, vìduvi e malàti.

2. Giustizzèri
«Vui lu cibu tantu disïàti
e c'è cu nn'havi assàj quasi spliciti,
a ìđđi ci livàj troppi mancjàti
e li regàlu a vui ki fami avìti!»
dicìa Giulianu chi benificava
e mancjàri e dinàri ci purtava
e comu un ghjustizzèri pridicàva
di júrici e carnìfici facéva
cu di li puvirèđđi apprufittava
la so cunnànna, secúra l'avéva
e la ghjustízia so' pi primu prova
un drughjèri chiamatu Terranova,
[1]
kistu ci avìa frumèntu, pasta er ova
e pi l'usura e crèditu vinnèva
azziccànnu accussí pungenti kjòva
a li clienti pòviri c'aveva
e guadagnànnu lu milli pi centu
quannu vinnèva un kilu di frumèntu.

Quannu sæppi 'stu fattu ndo un mumèntu,
Turi Giulianu ci fici lu cuntu
lu strascinàu in kïàzza sanza stentu
e la sintènza ci liggíu a 'đđu puntu
poi quannu 'na prihèra ricitàu
cu li so manu lu gjustiziàu.
A un certu Nardu Gritti [1] c'arrubbàu
'na vacca a un puvirèđđu e si nni jìu
dicènnu: «Giulianu mi mannàu»,
a corpa di pistola lu finìu
e a tagghju lu cadàviri di Gritti
lassàu quattru palori chiari scritti.
Quattru palori santi e binirìtti
c'arristàru p'isæmpju di fatti
Giulianu 'un arròbba maj l'afflítti
però li ricchi si, quannu c'ammàtti
e a cu sæppi o liggíu tali biglièttu
pinsàu ca lu so agíri era currèttu.
P'avìri avútu spissu lu difettu
di ngannàri li genti 'ncuttu 'ncuttu

un tali Turi Abbati [2] pocu rettu
vinni ammazzàtu comu un farabúttu:
Turi Giulianu ci fici la festa
un corpu di pistola nda la testa
picchì fu 'na pirsùna sdisonèsta
k'essènnu officiàli di la posta
s'apprufittàva cu 'na mossa lesta
supra certi dinàri misi in sosta
e mannàti di li genti paisàni
imigràti nda terr'assàj luntani...

Uŋ jòrnu chi vardava vađđi e kjani
lu so cannucchiali visti infini
du' piccilìđđi figghj di viđđàni
ca ciancèvanu forti li miskíni.
Turi Giulianu si ci avvicinàu
e cuntu di 'đđu kjàntu dumannàu.
«Un brigànti li sordi n'arrubbàu –
unu di li carúsi rispunníu –
li sordi ca me matri n'affidàu
p'accattàri la spisa, santu Dìu!
Eranu quattrumíla e rutti liri!
e nun putèmu a la putía cchjù ghjíri!»
Turi si commuvíu sintènnu diri
ca li carúsi avevanu 'a turnàri
sænza la spisa!
pi lu dispiacìri
p'avìrici arrubbàti li dinàari
ficcàu la manu nda la so sacchètta
e ci desi 'i dinàri in tutta fretta:
«Turnàti a vostra matri ca v'aspètta,
jìti tranquilli pi la strata tutta
ca guaj a cu vi fa quarki etikètta
a la pistola mìa li mettu sutta!»
E li du' piccilíđđi si nni jeru
surridenti e filíci pi daveru.

La duchissa ci fu di Pradimenu [3],
ricca di terri, di giujèlli e granu
ca un jornu in casa so nentidimènu
davanti ci spuntàu Turi Giulianu,
vistùtu cu eliganza veramenti
e cu l'aspettu allegru e risulenti.
E ci fici l'inchinu lestamenti,
vasànnuci la manu 'nda 'đđ'istànti,
comu si stila tra nobili genti
quanni a 'na dama si ci sta davanti:
«Vossía, duchìssa, m'hav'a pirdunari
s'iđđu mancu mi fici annunziari.
Ed allura mi vogghju presentari:
sugnu Giulianu e ci lu vogliu diri».
«O caru amicu miu lu to parràri
mi fa daveru un immensu piacìri.
To patri comu sta, lu generali
lu gran simpaticùni e giniàli?»
«Ma no, duchìssa, nun sugnu 'đđu tali
amicu ca ci pari e mi nni doli,

ìju sugnu lu briganti tali e quali
ca d'accussì lu me distínu voli:
Turi Giulianu, 'ntisu lu banditu,
circàtu di la liggi in ogni situ».
«Ma non skirzàri, giovanottu arditu,
non crìu 'nzoccu dici arrisalùtu».
«Dicu la viritàti e la cumplìtu
dicènnici picchì sugnu vinútu:
vinni pi avìri li giujèlli tutti,
si non voli suffríri peni brutti».
La duchissa sbattíu l'occhi cchjù 'ncutti
e janca addivintàu comu lu latti
di po' arrispùsi cu paroli rutti:
«Li me giujèlli nun ci l'haju difatti,
sunnu a Palermu 'ndi la casciafòrti
a lu secúru d'ogni brutta sorti».
«Mi risulta però, e lu dicu forti,
ca li giojelli su' a nn'àutra parti
precisamenti c'arrèri nni 'đđi porti
e kjusi in un locali fattu ad arti».
«Ìju inveci vi ripetu e v'assicúru
ca non su' nna 'sta casa, vi lu gjuru!»
«E allura mi nni vaju e non mi curu,
però l'avvertu e ci lu dicu chjaru:

ca li me genti cu lu cori duru
di già lu so nipùti s'arrubbàru
e si Voscènza non voli cchjù dannu
mi duna li giojelli e ci li mannu».
La duchìssa arristàu tutta trimàannu [4]
a 'đđu parràri r'accussì trimènnu
e s'arrinnìu di Turi a lu cumànnu,
mentri lu cori so' jeva chjancènnu
e li so perli, cullàni e brillanti
finèru nda la tasca di un briganti.

3. Lu Separatísimu
C'era in Sicilia un granni muvimentu
ca cchiù si sviluppava in ogni cantu,
era guidatu d'omini d'intèntu
dicísi a tuttu e privi d'ogni scantu
pi la Sicilia nostra siparàri
e un novu statu líbbiru furmari
però c'era bisognu d'alluttàri
se indipinnènza si voleva avìri
nesciri l'ugna, fàrisi ammazzari
cu l'arma in manu soffriri e patiri
e a tali scopu quindi si furmàu
n'esercitu che EVIS
[5] si kiamàu
e Turi Giulianu s'intusiasmàu,
l'idea ci parsi bona e l'accuglíu
«Si la Sicilia è libera – pinsàu –
di certu cància lu destinu mìu
e ci sarà n'amministía secúru
e lu passatu si cancella puru
ed'ìj 'un arrèstu un pirsunaggiu scuru,
diventu un pezzu forti pi davèru,
forsi un ministru
e la famiglia onùru
e non briganti ca nun vali un zeru.
Ritòrnu 'n'omu rispettatu e onestu,
líbbiru senza macchia prestu prestu».
Pinsànnu chissu fici un manifèstu
ca lu fici appizzàri in ogni postu [6]
e fu pi tanti daveru funèstu
pi la manèra comu fu cumpostu
da Giulianu apríu n'arrulamentu
p'arrinfurzàri lu so reggimèntu
E suddisfattu fu, restù cuntentu
ca tanti e tanti ci dèsiru cuntu,
rispùsuru a l'appellu a centu a centu
pi fari regnu la Sicilia appuntu
cu 'ntusiasmu cu curaggiu e fidi
picchì un beni futuru ognunu cridi
e Giulianu c'accussì si vidi
capu supremu di 'đđi genti e godi
certu di la vittoria e surrídi
sintènnu ca ci fannu tanti lodi,
di colunnellu vesti la divisa
[7]
e si disponi pi 'đđa nova imprisa.
La lotta 'ncumincjàu dura e decisa
e sutta la bannera gialu-rosa
[8]
un bruttu distinu supra tanti pisa
ca la morti di ncođđu si ci posa,
ma vana fu la lotta e puru vanu
lu sognu fattu di Turi Giulianu.
Pirdíu la battaglia 'n manu a manu
a Muntilampu ci fu un corpu in chinu
mubilitàu l'esercitu isulanu
ca d'accussì dicísi lu distinu
e Giulianu sempri sveltu r'anca
tajàu la corda e si la fici franca.
[1] Si tratta del droghiere di Montelepre Giuseppe Terranova, che vendeva a prezzi troppo alti e praticava usura. Giuliano lo trascinò in piazza e ivi lo giustiziò. Stessa sorte toccò a Leonardo Gritti e a quant'altri rubavano fingendo di appartenere alla banda Giuliano.

[2] Salvatore Abbate, ufficiale postale di Montelepre, che si appropriava impunemente di quattrini e pacchi provenienti dall'America ai familiari degli emigrati.

[3] il feudo di Pratameno, cioè di Vallelunga. La nascita del feudo “Vallislonge” in siciliano VađđiLòŋŋa si può far risalire alla prima metà del 300, come riportato in un atto notarile del 3 aprile 1349. Durante la signoria dei Notarbartolo verso la fine del 1500, sorsero nel feudo le prime case dei coloni venuti dai paesi vicini a coltivare le terre dei nuovi signori. Fu Don Pietro Marino (nobile di Termini Imerese), attratto dalla fertilità di quelle terre e dall’amenità del luogo, a ottenere il 3 settembre 1633 dal viceré Duca di Ayala la “licentia populandi”. Il nome Pratameno (Prato ameno) fu aggiunto per la presenza del giardino nel feudo Magasenaccio. Il paese prosperò e si ingrandì sotto la baronia dei Papè, che vi realizzarono alcune opere per renderlo più accogliente. Nel 1777 venne perfino creato, dalle famiglie più ricche del paese, un deposito di frumento destinato al prestito in favore dei poveri. Il frumento depositato ogni anno cresceva oltre misura, segno che la fertilità del terreno assicurava alla popolazione condizioni di vita decenti e accettabili. Nel 1652, pochi anni dopo la fondazione, Vallelunga contava già 500 abitanti. Nel 1798 gli abitanti raggiunsero i 3897 che però decrebbero in concomitanza con la nascita del comune di Villalba. Nel 1951 Vallelunga raggiunse 7289 abitanti.

[4] Il duca di Pratameno era uno dei più ricchi proprietari terrieri residenti in Sicilia e per la sua protezione pagava regolarmente la mafia, da qui la meraviglia e la costernazione di sua moglie.
Questo che possiamo considerare l'exploit più famoso di Turi Giuliano, si è verificato all'inizio della sua carriera, nel 1944: lui e i suoi uomini si intrufolarono nella tenuta di Calatubo (fra Alcamo e Partinico) inosservati, e Giuliano zompò nel salone prima che la duchessa capisse cosa stava succedendo. Le baciò la mano e mostrò rispetto per il suo nobile status, ma poi chiese tutti i suoi gioielli. Di fronte al rifiuto, Giuliano la minacciò di rapire i suoi figli. Dopo aver avuto consegnato il bottino, prese dalla mano di lei un anello di brillanti, che che porterà al dito per il resto della sua vita, e, prima di andarsene, sottrasse dalla ricca biblioteca il libro di John Steinbeck Il coraggio degli ultimi, che fu restituito con una nota rispettosa una settimana dopo.

[5] E.V.I.S. cioè Esercito Volontari per l'Indipendenza della Sicilia.

[6] Il testo del manifesto con la firma di Giuliano, affisso sui muri di decine di paesi della provincia di Palermo era il seguente: "Popolo, centomila lire al mese a chi vuole arruolarsi nella mia banda. Nel nuovo esercito di liberazione che si costituirà al solo scopo di lottare contro i nemici della libertà dei siciliani. In tale lotta possono partecipare anche le donne. Io non vi prometto niente, né vi faccio dei castelli in aria, solo in caso di vittoria vi saranno riconosciuti i sacri diritti umanitari, sociali e morali dell’uomo. State attenti e bocca chiusa, poiché molte spie possono insinuarsi per scoprirmi. Il modo di venire a me è quello di cercare la via fra amici che si riconoscono degni di appartenere a me". La risposta alla "chiamata" fu immediata, ma certamente non era la massa che Turíddu si aspettava. Comunque, furono almeno duecento i giovani neo indipendentisti che scelsero la via tracciata da Giuliano. L'adozione dell’idea separatista complica ancor più la latitanza del bandito-guerrigliero: ora è davvero in pericolo, egli non si sente più sicuro neppure sulle sue montagne e teme che qualche traditore lo possa consegnare alle forze dell'ordine.

[7] per esser precisi fu nominato tenente colonnello dell'EVIS, carica che gli fu assegnata su proposta di uno dei capi del separatismo, il duca Franz di Cardaci. Concetto Gallo, chiamato anche "Secondo Murri", aveva ereditato il comando supremo dell'EVIS dopo l'uccisione di Antonio Canepa (Mario Murri).

[8] la bandiera dell'EVIS formata da 9 strisce orizzontali (rappresentanti le 9 province dell'Isola), 4 rosse e 5 gialle con nel quadrante superiore dal lato dell'asta un rettangolo blu con il Triscele (gr. τρισκελής, Triquetra per i romani, che aggiunsero ai serpenti della Medusa le spighe) o Trinacria.

bandiera evis


(I colori rosso e giallo sono quelli delle città di Palermo e Corleone che il 3 aprile del 1282 dinnanzi il notaio Benedetto da Palermo stipularono un vero e proprio rogito notarile nel quale, oltre agli accordi di natura militare, fu decisa l’istituzione di un vessillo unico che ricordasse quel patto di alleanza. Nacque così quella che ricordiamo ai giorni nostri la bandiera giallo-rossa col Triscele (di diretta origine popolare) più antica al mondo – la bandiera siciliana.

bandiera siciliana


La bandiera, issata in occasione della Rivoluzione del Vespro, da allora fu adottata da tutti i siciliani come loro simbolo di unità e libertà contro gli Angioini).

Contributed by giorgio - 2020/5/28 - 21:00


@ giorgio

A parte che della lunghissima, eccessiva, introduzione non citi le fonti... A caso ne individuo almeno due: www.culturasiciliana.it e www.centroimpastato.com... o sbaglio?

Poi, agli Admins chiedo: ma 'ste due o tre canzoni su Giuliano che stanno sul sito, hanno davvero senso di esistere qui?
Ma 'sto maledetto assassino stragista di Giuliano, massacratore di gente inerme e contadini comunisti non solo a Portella della Ginestra ma in tante altre località del Palermitano, ma 'sto schifoso è giusto che venga celebrato su queste pagine?

Contesto questa (ennesima) provocazione di giorgio, ma chiedo al tempo stesso di verificare se la presenza stessa di canzoni celebrative o accondiscendenti del bandito Giuliano non sia da aborrire su questo sito.

Oppure se domani trovo qualche canzone celebrativa di Fioravanti e della Mambro, o di Totò Riina, la posso contribuire?

Solo per sapere, neh!

Ciao a tutti!

B.B. - 2020/5/28 - 22:49


Marò, Alissà: m'hai messo sul tuo banco degli imputàt ..e arrringhi come il più minaccioso dei PM... (altro che Catone il Censore!).
Le fonti, laddove erano necessarie son citate (Calandra, Di Matteo, Barbagallo, Renda, Marino, Nicolosi, Attanasi, Santino, Cimino, Casarrubea-Cereghino, etc. etc.). alcune inedite..

Avrei intenzione di continuare con la saga di Turiddu Bella su Giuliano. Ma se devi continuare a fiatarmi sul collo, lascio perdere..
Diventa admin, così mi potrai cassare le canzoni a vista! (Bello, no?)

giorgio - 2020/5/29 - 09:18


Ahò, giorgio!
Non arrrrringo proprio una fava!
Hai fatto una copiaincollone illeggibile da diverse fonti senza citarle.

Quanto a Turiddu, ho chiesto agli Admins se sia il caso di avere questa come le altre canzoni a lui dedicate su questo sito, in considerazione del fatto che si è trattato di un assassino, di uno stragista, di un servo violento e sciocco del potere di allora, non di un brigante pre o post unitario, o di un bandito rurale o di un partigiano o di un Robin Hoood siculo.

Saluti

B.B. - 2020/5/29 - 11:15


@ BB @Giorgio
PAX NOSTRA COSA EST

BB, leggi bene, hai idea di quanto tempo è stato impiegato per mettere insieme tutto quel papello ? Il papello è un miscuglio di titoli , illazioni e fatti “distorti”. Li per li avevo cominciato a intravedere l’ombra di una sceneggiatura rossobruna. Macché, dalle non poche affermazioni oniriche ho capito subito dopo che é una burla insieme ad un ossequio eccessivo al folk locale da parte di un appassionato che si è fatto prendere la mano, magari in modo pesante perché far ridere con i morti di mezzo è cosa davvero difficile, cabaret ad alto livello. Ho così potuto aggiornarmi, ignoravo lo spin-off di una nuova forma letteraria: da cantastorie a cantaminchiate.

Un suggerimento voglio bonariamente darlo all’incauto contributore, se me lo permette e se lo accoglie: quello di fare caso alle tecniche di disinformazione dato che la maggior parte di certe affermazioni fatte passare per verità storiche sono “carte canusciute”. Per disinformare occorre prima informarsi bene e tanto , fare combaciare gli intarsi con prove e controprove, nei casi eclatanti ricorrere all’algebra booleana spinta con l’impiego di mezzi informatici come sanno bene i professionisti : pentiti eccellenti, burattinai, gestori dei pentiti, Servizi, magistrati perennemente a rischio di farsi incastrare etc. Altrimenti si fa prima a fare il download di Pirandello e rappresentare l’opera “Questa sera si recita a soggetto”. Ovvero: per vendere patacche occorre studiare seriamente da pataccari, non basta scucire pezzetti di qua e di là da libri, giornali, pubblicazioni online e mettere insieme fanti e santi . A proposito, siamo sicuri che Santino gradirebbe l’umorismo, dopo avere letto il papello?

@Giorgio: ti prego, non volermene, non ho la minima intenzione di recarti offesa. Il fatto è che sulle cose che hai scritto ho trascorso tantissimo tempo, per me sono una piaga aperta. Ho una discreta collezione di scritti (compresi parecchi dei libri che hai citato, di Lupo, Mangiameli, del discusso Casarrubea etc. di cui alcune affermazioni sono state fatte proprie da qualcuna delle fonti che hai consultato).
Fare di Giuliano una specie di Robin Hood o di ingenuo, dai… Settant’anni dopo, hai fatto due passi a Montelepre ? Il Messico dei narcos al confronto è una giostra per bambini. E Partinico? Trentamila abitanti, prova ad entrare in una delle due cartolibrerie e chiedere un libro qualunque di Casarrubea , nato e vissuto lì sino al 2015. Ti guardano come un contagiato da coronavirus.

E la minchiata colossale delle carte da desecretare ? Sono trascorsi 70 anni e non c’è nulla da desecretare, frattaglie per cronachisti. Quello che si poteva trovare è stato setacciato da Cereghino a College Park e a Kew Gardens più di vent’anni fa. Non c’è altro e non ci sarà altro. Però per inquadrare la verità storica ne sappiamo abbastanza. I farabutti prima che alla Cia , al MI6 etc bisognava avere il coraggio di additarli tra quelli di casa nostra, sempre pronti a depistare verso l’estero e i poteri occulti. Ma non vogliamo tirare le somme, inseguiamo il sensazionalismo quando invece ciò che è stato assodato è drammaticamente grave e dovrebbe bastare ad orientarci. Questo cercare ossessivo , rifugiarsi nella fantastoria, nei serial della Piovra non giova al progresso civile, allontana la storia anziché farla prossima.

Facciamoci su quattro risate, lietamente, e andiamo avanti.

@ BB : da sospettoso mi verrebbe da pensare che la "causale convergente" di questi commenti sia l'animazione di un dibattito, forse per diversificare il palinsesto. Se così fosse non varrebbe la pena di farne un caso, ma soltanto di allargare la cerchia delle risate dalla Dora all'Arno.


Firmato: P.C. [no, non il partito di quelli che non si preoccuparono neppure delle sorti di quei poveri disgraziati che caddero in un’imboscata (da qualche parte in Sicilia codeste si chiamerebbero “minchiate orbe” ancora prima che calunnie)].

Pasquale Cafiero
A.P. Ucciardone- distaccato al Garante per l’Informazione

Pasquale - 2020/5/29 - 12:08


Ciao Pasquale Cafiero,

innazitutto permettimi di dirti che mi dispiace che su questo sito di canzoni contro la guerra ci siano due o tre canzoni su Salvatore Giuliano e non ci sia (ancora) "Don Raffaè" di De Andrè... una grossa contraddizione da sanare.

Per il resto, capisco che tu e giorgio siate, ognuno per parte sua, due esperti degli argomenti in discussione. Io non lo sono. Non per questo non ho una mia opinione: Salvatore Giuliano era un assassino, uno stragista, un uomo di merda. Mi spiace per questo vederlo ripetutamente "celebrato" o anche solo sdoganato su queste pagine.

Nella forma, ho contestato a giorgio - tanto più alla luce di considerazioni fatte a margine di un suo recentissimo contributo - che le pagine, secondo me, qui non vanno confezionate a quel modo e che la farina che non è del proprio sacco va sempre precisamente dichiarata.

Nel merito, ho chiesto agli Admins - "I 5 dell'Oca Selvaggia", o "I Magnifici 5" - di aprire una valutazione sulla necessità ed opportunità della presenza sulle CCG/AWS di canzoni celebrative o nostalgiche o revisioniste sul bandito Giuliano.

Tutto qua. Mi dispiace che giorgio la prenda sempre un po' sul personale, arrivando qui addirittura a darmi del PM minaccioso che gli sta col fiato sul collo, proprio a lui... Detto che trovo che gioverebbe ad ogni PM essere integerrimo, purtroppo non sono altro che un modesto contributore di CCG e faccio poco altro nella mia triste ed inutile vita...

Grazie per il tuo contributo, Pasquale Cafiero.

Un saluto

B.B. - 2020/5/29 - 13:01


Ciao BB,
vedo che ne fai una questione di principio. Che il bandito Giuliano non sia stato affatto né un giustiziere né un gentiluomo è fuori discussione. Se vogliamo continuare a scherzarci, possiamo pure farlo, sapendo però con certezza come stanno le cose. Quello che scrive Santino parlando di Portella e del doppio stato non fa che confermare. Se poi facciamo dire agli autori cose diverse….

Dici di non essere un esperto, beh anch’io non è che ne veda di esperti in questa occasione. Comunque convengo con te che non bisogna essere esperti per avere opinioni e formulare giudizi. Altrimenti saremmo tutti bloccati , basta non fare il passo più grande della gamba. Sappi che in nessuno dei libri che troverai citati avanti c’è il minimo accenno ad una giustificazione delle azioni di Giuliano né della persona, c'é invece una condanna senza riserve. A mio parere il mito fu creato con poca spesa e pochi mezzi in un’epoca in cui la radio era un bene raro, l’avversione verso lo stato faceva premio su tutto il resto, l’accondiscendenza verso gli uomini di “rispetto” una necessità a meno di non avere la vocazione per il martirio. I cantastorie raccontavano ciò che alla gente piaceva sentire e piaceva credere ( anche prima della televisione icone e meme esistevano in forme e addentellati tipici del luogo e del tempo).
Non mi sento di farne una colpa allora ad una popolazione di emarginati, tagliati fuori dalla storia e a rischio fame sino al “miracolo economico”. Naturalmente già da cinquant’anni non è più così e certe confusioni, e, peggio, certe indifferenze, vanno bollate senza se e senza ma.Se mai ti potesse interessare o farti piacere concordo in pieno con te circa il giudizio sul bandito e sull’obbrobrio di certe esecuzioni.Punto.

Il problema che tu vuoi sollevare è ben più ampio: sino a che punto si può dare voce a chi sta da un’altra parte. Dico da un’altra , fosse dall’altra sarebbe più facile. E’ ovvio che in certi casi la scelta è scontata, ma in altri casi potrebbe configurarsi come una censura. Quando si comincia non si sa dove si va a finire. Non ho elementi e non vorrei parlare al posto di altri, ma qualcosa mi dice che nel fare certe scelte i 4 (rammenta : il film è “ I 4 dell’oca selvaggia”, non 5 e per una coincidenza fortuita mi pare che agli effetti pratici il numero sia corretto) non è che non ci abbiano pensato, ne avranno pure discusso con divergenze di opinioni ( ma è una mia visione onirica ).
Allora io una proposta per il piemunteis tutto d’un pezzo ( é un complimento), per Gio-cherellone appiccicapixel e tosto (in siciliano vuol dire monello) e quelli del pollaio ce l’avrei: in certi casi, da ridurre davvero al minimo possibile, si potrebbe mantenere la canzone proposta in sospeso in attesa di raccogliere commenti purché accompagnati da argomentazioni serie. La quantità e la qualità dei commenti darebbero qualche criterio in più ai 4 dell’apocalisse (chiamarli magnifici senza il n.7 sarebbe come JamesBond agente 004, uno sconcio), cui naturalmente spetta l’ultima parola, sia quando ci fa piacere, sia quando ci farebbe incazzare.

Infine BB, già Bernardo, Vicolocieco, Alex, Lessandromagno e chissà quanti altri (come l’orda di Gengis Khan) , perché di tanto in tanto ti prende lo sconforto ? Ogni tanto fa bene anche sapersi arrendere alla leggerezza dell’essere, suma d’accordi ? Ma quale “modesto” contributore ? Sai bene di essere un pilastro con una quantità e qualità di contributi impressionante. Quanto alla “triste e inutile”, che, ci vuoi prendere per i fondelli come il Gio-cherellone ?
Comunque, non abbiatevene a male, ma i compaesani del trio Ghelarducci / Luridiana / Ferrucci non li potrete battere mai, loro hanno un quid in più: il tocco d’artista.

Seguono testi che, se avrai tempo, sono davvero interessanti, dicono molto di più delle frasi ad effetto citate malamente e a sproposito dai tanti webzine e blog:

Lupo- Storia della Mafia

Lupo- Trattativa

Besozzi- La vera storia

Chilanti- Tre bandiere

Vasile- Bandito a stelle e strisce

Renda- Giuliano,biografia storica

Casarrubea- La scomparsa di Giuliano

E con ciò, dopo averti dedicato un bel po’ di tempo e informato, distindamende ti saluta do Coffee corner dell’Ucciardone

Pasquale Cafiero o Brigatiero
Ufficio do Garande dell'Infurmazzione

Pasquale - 2020/5/29 - 17:51


Ciao Pasquale,

quello che suggerisci è ciò che accade normalmente per i contributi controversi. Proprio perchè controversi, se vengono valorizzati o svalorizzati da qualche intervento, se una discussione si accende, difficile che vengano cestinati dai nostri 5 perfidi ma giusti Admins...
Tutt'al più li mettono negli Extra o li bollinano con il "Bleah!".

Riccardo ci tiene in modo particolare al "Niente è sacro, tutto si può dire" di Raoul Vaneigem...

Non era nemmeno mia intenzione sollevare una discussione sulla censura o impedire la voce di chicchessia...

Le cose sono molto più semplici:

1) in generale, non mi piacciono i contributi raffazzonati, poco leggibili, mal formattati e, soprattutto, i copiaincolla, specie se giganteschi e "papellosi", senza citare le fonti.

2) nello specifico, non vedo la possibilità che su questo sito coesistano canzoni come Portella della Ginestra e questa e altre canzoni in qualche modo celebrative o elogiative o commemorative o giustificative di colui che fu l'autore di quella terribile strage e di tante altre nefandezze.

Saluti

B.B. - 2020/5/29 - 20:15


Visto che vengo tirato in ballo, cosa legittima in quanto “Admin”, dico solo due cose con la massima concisione possibile ma non a discapito della chiarezza. Gli “Admin” di questo sito sono stati definiti spesso “perfidi”, ma a nessuno mai è venuto di definirci santi. Invece abbiamo, ovviamente tenendo sempre conto che si tratta di un imperfettissimo sito di canzoni e di storia, una discreta dose di santità, di pazienza e, mi si lasci per una volta dirlo, di equilibrio. Quindi cercherò di parlare con equilibrio, senza neppure nominare “situazionismi” e altre cose del genere che, a mio parere, c'entrano come il cavolo a merenda (che magari è pure buonissimo e sano per una merendina, condito con olio e sale). Questo sito è pieno di canzoni controverse, e spesso controverse assai. Canzoni, ad esempio, che parlano di una figura controversa come Salvatore Giuliano; ai tempi della famosa canzone dei Del Sangre la discussione fu feroce, e ben prima che questo sito nascesse (non parlo per sentito dire, è una discussione cui partecipai direttamente a suo tempo in luoghi che non esistono più). Senza la contraddizione, però, non nasce niente. Arrivo a dire che mi spiace persino che non esista, per citare BB, una canzone su Totò Riina: sarebbe interessante vedere come se ne sarebbe parlato, specie a livello popolare. Oppure una canzone non necessariamente agiografica su Falcone, Borsellino e altri magistrati o poliziotti periti nella lotta alla maphia (← José Saramago, Le intermittenze della morte), se questa testimoniasse qualcosa di sinceramente eterodosso e non imposto da un pensiero unico e obbligatorio. Nel sito c'è una canzone dove San Carlo Alberto Dalla Chiesa è messo tra i "buoni"; d'accordo, nessuno ha mai pensato di toglierla anche se è meglio che mi astenga dal dichiarare di che cosa io pensi di Dalla Chiesa, altrimenti vengo arrestato. Non è questione che non ci sia niente di sacro e che tutto si possa dire: la questione mi sembra esattamente contraria, anzi. Sembra che non parlare di certe figure e di certi fatti “in un certo modo” sia veramente un sacrilegio, un dichiararsi mafiosi o assassini di povera gente inerme e via discorrendo. Invece a me piace, in diversi casi, sentire e conoscere anche l'”altra campana”, specie quando si tratta di una percezione che ha dato luogo a un sentire diffuso. Mi piace conoscere perché questa percezione si è comunque diffusa a livello storico, quali ne sono le radici, quali fatti la hanno fatta nascere e favorita, confrontare ipotesi e analisi storiche tenendo magari conto anche del background di chi certe cose le ha scritte e magari pure cantate senza dargli dell'imbecille o del complice di un assassino. Per chiarire la cosa, la figura di Salvatore Giuliano piace molto poco pure a me, e non sono tra quelli che lo considera un “gentiluomo” o un “giustiziere” (parola, peraltro, che aborro). Quando ci sono di mezzo i banditi, poi, è una cosa vecchia quanto il mondo; si pensi solo alla percezione popolare (espressa in non so quante canzoni, peraltro) su Stefano Pelloni, il famoso “Passatore” romagnolo. In realtà tutte le fonti storiche oramai concordano si trattasse di un emerito schifoso, per nulla “gentiluomo” (si pensi soltanto all'episodio di Forlimpopoli, quando con la sua banda assaltò il teatro municipale violentando diverse donne tra cui la sorella di Pellegrino Artusi, che impazzì) e per nulla interessato al “rubare ai ricchi per dare ai poveri”. Oppure si pensi a tutti i “Robin Hood” della storia e della parastoria passate in leggenda. La questione è: che cosa porta a preferire tali figure, e persino la mafia, la camorra o altre forme di criminalità più o meno organizzata, allo “stato”, alle sue leggi, ai suoi campioni, ai suoi fedeli servitori e quant'altro? E tutta la questione del “brigantaggio” meridionale postunitario, dove la mettiamo, visto che presenta parecchi punti di contatto? Oppure mettiamo una bella canzone che santifica il prefetto Cesare Mori? Magari la mettiamo, se c'è, sempre però facendo un'analisi storica, copiaincollata o di produzione autonoma che sia. Per quel che mi riguarda, devo dire che non mi è mai piaciuto granché lo zhdanovismo, e stop. Poi, naturalmente, e relativamente a questo sito, in decine di casi, e spesso su precisa segnalazione, ho eliminato di persona con le mie sante (o perfide) manine decine di canzoni che non ci stavano affatto per i più disparati motivi oggettivi e prive di una qualsiasi giustificazione e/o discussione anche contraddittoria. Nessun problema a farlo, e penso che me ne sarà dato atto. Ma questa qui, e le altre su Salvatore Giuliano (ivi comprese quelle che ne parlano come un assassino, un pezzo di merda e un servo della mafia), per quel che mi riguarda, non ho nessuna intenzione di toglierle dal sito. Ripeto: personalmente. Se poi gli altri Admin, a maggioranza, dicono che invece vanno tolte, verranno tolte perché tutto vorrei fare fuorché “dettare la linea”, e spero di essere stato chiaro. I perfidi e/o santi Admin del sito sono cinque, e se tre su cinque mi dicono di togliere questa canzone dal sito, ci metto due secondi pigliandomene la responsabilità, le critiche, gli insulti, i sarcasmi, gli applausi e quant'altro. Saluti cari a tutti e buona giornata.

PS. Non interverrò oltre nell'eventuale prosieguo della discussione. Se verrà deciso di eliminare questa canzone lo comunicherò, lascerò la comunicazione per un giorno e toglierò la pagina assieme alla relativa discussione.

Riccardo Venturi - 2020/5/30 - 09:41


Ciao Riccardo,

quello che scrivi coincide perfettamente con quello che ho scritto all'inizio del mio ultimo intervento (29/05 - h. 20.15)

In passato ho chiesto l'eliminazione di alcune pagine, perchè personalmente ritenevo che non avessero nessun senso sulle CCG... La maggior parte di quelle pagine, quelle almeno il cui contributore o altri hanno minimamente interagito, manifestando posizioni diverse dalla mia, quelle pagine sopravvivono tranquillamente sulle CCG, magari negli Extra, o col "Bleah!", o con l'avvertenza dei lavori in corso, o tout court... Non mi sono mai sognato di pretendere che la mia opinione trionfasse.

Per me va benissimo che anche questa, come altre pagine (penso a quella recentissima relativa a Trooper's Lament di Barry Sadler, altra chiarissima "provocazione" di giorgio), sopravviva, proprio per conservare la memoria della discussione. E' l'esistenza della discussione stessa, la controversia, che rende questo genere di pagine non assimilabile alle altre. Per me questo è sufficiente.

Ricordo che nella vecchia IndyMedia anche il cestino sopravviveva sempre ed era consultabile da chiunque, ma questa non è la soluzione adottata dagli Admins delle CCG/AWS.

Detto questo, disdegno profondamente le provocazioni mal poste, le pagine brutte (anche esteticamente e per leggibilità), i copiaincolla senza citare le fonti, le accuse personalistiche se appena si manifesta dissenso, e questo vale per qualunque contributo di chicchessia.

Vedere sopravvivere questa pagina, che celebra non un brigante ottocentesco ma un assassino seriale, uno stragista politico che ha operato fino a non molti decenni fa, mi farà sempre male, ma me ne farò una ragione. Continuerò comunque sempre a chiedermi, senza saper rispondere, cosa spinga certuni a prediligere contributi del genere.

Saluzzi

PS Rivendico la paternità dell'espressione "perfidi admins", ma ti ricordo he ormai da anni l'aggettivo "perfidi" si accompagna a "giusti". Quanto a "santi" non l'ho mai pensato, e lo considererei quasi un insulto, al pari di "eroi" o roba così...

B.B. - 2020/5/30 - 13:50


Carissimo BB,

La tua attività di verifica su questo sito, secondo me (io parlo sempre al singolare non tanto da "situazionista", quanto proprio da stirneriano de' noantri) è preziosa. Non è un caso che nel 90% dei casi ti dia ragione perché, a ragion veduta, sei molto più attento di me e dei perfidi Admin. Poi interviene anche una cosa squisitamente personale, vale a dire quella -e non è uno scherzetto, te lo garantisco- di fare violenza a me stesso. Nel senso: io nel sangue ci ho la libertà assoluta, senza compromessi, senza fronzoli e in dispregio totale delle indulgenze agli economismi, e non c'entrano né i situazionaioli, né le filosofie di questa ceppa mentulae, né le politiche, ma solo la spremuta di quel che sono nel profondo io e tutti i miei mestessi, anonimi, lavavetri, scoccianti e quant'altro. E non immagini nemmeno quanti ancora, senza far offesa a mio fratello Pessoa Fernando.

Con questo, do notizia (con la massima sincerità) che la votazione relativa a questa canzone è stata effettuata tra i cinque Admin perfidissimi, e che il risultato finale è stato di 4-1. Vale a dire: hanno votato a favore del mantenimento di questa pagina 4 Admin su 5. Ha votato a favore dell'eliminazione l'Admin DonQuijote 82: hanno votato per il mantenimento Adriana, Daniela -k.d., il sottoscritto e il webmaster Lorenzo Masetti.

La pagina viene quindi mantenuta in modo assolutamente democratico, specificando che il Webmaster Lorenzo Masetti aveva proposto di non accettare più, in futuro, canzoni o comunque brani che parlassero del sig. Giuliano Salvatore, di professione bandito siciliano controverso e fucilatore di portelle e ginestre. Qui ci sarà da decidere ulteriormente, perché non sono d'accordo. Ad ogni modo, in attesa (celere) di una decisione vorrei pregare Giorgio di fare una cosa abbastanza logica, cioè di mettere una traduzione italiana del testo di questa canzone. Si capisce abbastanza bene, però non per tutti il siciliano è immediato.

Fine della cosa e vorrei tornare, una volta fatta una pennichella perché passare giornate intere all'ospedale perché mia mamma piscia sangue non è il massimo della vita e vi pregherei di tenerne moderatamente conto, e sono stanco, e continuo a studiare il turco e non sono più un ragazzo, e vorrei molto levarmi dal cazzo e stare con la Daniela, i gatti e la majalaccia della madonna anarchica e dio cane impestato sul pero su uno scoglio e farvi a tutti ciao ciao con la manina nell'attesa di diventare concime. E dio non esiste!

Comunque non mi riuscirebbe mai di diventare un bandito nel senso classico del termine. I banditi sono i più propensi ai buffi compromessi, compresi i compromessi delle leggende popolari. Caro BB piemontese, caro Giorgio siciliano, vi sia detto questo da un livornese che non capirete mai a meno che non vi siate davvero imbattuti in Pierino der Ciampi.

Con ossequi democratici perché quel che vi ho testè detto corrisponde alla più assoluta verità oggettiva e niente è frutto di invenzione. Portate pazienza e continuate a seguire questo sitacchione perché difficilmente ne trovereste l'eguale negli interstizi tra Felona e Sorona. Vi voglio molto bene a tutti e tutte. Vo a dormire. O meu ensaio sobre a lucidez.

Riccardo Venturi - 2020/5/30 - 15:59


Grazie Riccardo, nonostante tutto sono molto contento dell'esito di questa vicenda.
Saluto tutti i perfidi ma giusti Admins di questo magnifico, strano, enorme, sorprendente sito.
Un abbraccio a te e a tutti voi, e uno particolare forte forte alla tua mamma.

Saluzzi

B.B. - 2020/5/30 - 18:45


Aggiungo solo che, dopo tutto 'sto scarmazzo, da giorgio - che saluto - non mi aspetto solo la traduzione italiana, ma qualcosa di più...

B.B. - 2020/5/30 - 19:17




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