Salute, umanità!
Benché posso capire
che sentirvelo dire
da me vi urterà.
Scusatemi anche se
nel vostro feudalesimo
finanziario ho un pessimo
costume anch’io da re.
Volevo dirvi un po’
di cose per iscritto,
ché avrò anch'io il diritto
di replica, o no?
Voi maledite me
come se oggi casco
dal cielo, ma io nasco
dal mondo come è;
dalle vostre città
che la natura mangiano,
e le bestie si arrangiano
in vostra attiguità;
la folle cecità
con cui ne fate il lercio
e macabro commercio
ancor vive a metà;
dalla ricerca che
v’impegna per creare
la termonucleare,
le B-83;
la vostra sanità
che avete trucidato
nel nome del mercato
e dell’austerità.
Non sono niente più
che l’ultimo sviluppo
di quello stesso gruppo,
SARS, MERS, HIV;
tutti quei virus da
cui fugge via la gente
dall’Africa o da Oriente,
e non volete qua.
Nella calamità,
verrete più imparando
(o me lo raccomando)
la solidarietà.
Io non sarei chissà
quale assassino o mostro,
se non foste di vostro
malati tutti già.
Cercate il Gengis Khan
in me; ma esso si chiama
Profitto, e si dirama
da Bergamo a Wuhan.
Il profitto che ha
un clan di farabutti
sulla vita di tutti
e solo i guai ne fa.
E non capisco, a ciò,
cosa vi tenga fermi!
Ma oltre a dispiacermi,
io sono io però.
E nella povertà
o tra i più gran bastardi,
non posso aver riguardi,
né far disparità.
Un virus volontà
non ha, ma prima o dopo
sa, dall’ala d’un topo,
saltar di qualità.
Ognuno al mondo sta
alla sua evoluzione.
Tu, alla rivoluzione,
che aspetti, società?
Che alla normalità,
perciò, che vi ho distrutto,
non ritorniate: tutto
partì proprio da là.
Sperando, più per voi,
che mettiate giudizio.
O io sarò l’inizio.
Il peggio verrà poi.
Benché posso capire
che sentirvelo dire
da me vi urterà.
Scusatemi anche se
nel vostro feudalesimo
finanziario ho un pessimo
costume anch’io da re.
Volevo dirvi un po’
di cose per iscritto,
ché avrò anch'io il diritto
di replica, o no?
Voi maledite me
come se oggi casco
dal cielo, ma io nasco
dal mondo come è;
dalle vostre città
che la natura mangiano,
e le bestie si arrangiano
in vostra attiguità;
la folle cecità
con cui ne fate il lercio
e macabro commercio
ancor vive a metà;
dalla ricerca che
v’impegna per creare
la termonucleare,
le B-83;
la vostra sanità
che avete trucidato
nel nome del mercato
e dell’austerità.
Non sono niente più
che l’ultimo sviluppo
di quello stesso gruppo,
SARS, MERS, HIV;
tutti quei virus da
cui fugge via la gente
dall’Africa o da Oriente,
e non volete qua.
Nella calamità,
verrete più imparando
(o me lo raccomando)
la solidarietà.
Io non sarei chissà
quale assassino o mostro,
se non foste di vostro
malati tutti già.
Cercate il Gengis Khan
in me; ma esso si chiama
Profitto, e si dirama
da Bergamo a Wuhan.
Il profitto che ha
un clan di farabutti
sulla vita di tutti
e solo i guai ne fa.
E non capisco, a ciò,
cosa vi tenga fermi!
Ma oltre a dispiacermi,
io sono io però.
E nella povertà
o tra i più gran bastardi,
non posso aver riguardi,
né far disparità.
Un virus volontà
non ha, ma prima o dopo
sa, dall’ala d’un topo,
saltar di qualità.
Ognuno al mondo sta
alla sua evoluzione.
Tu, alla rivoluzione,
che aspetti, società?
Che alla normalità,
perciò, che vi ho distrutto,
non ritorniate: tutto
partì proprio da là.
Sperando, più per voi,
che mettiate giudizio.
O io sarò l’inizio.
Il peggio verrà poi.
envoyé par Salvo Lo Galbo - 20/4/2020 - 23:47
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Musica: Malva Marina Rizzato