Partito dai miei monti
Lontano dalle genti
Il nuovo continente mi cambiò
Tra i libri e nelle strade
Con nuove idee lottavo
I miei orizzonti si schiusero
"Come un falco sulla preda
La morte sfidai
Per chi la mia dignità ha rubato
Io non conosco pietà"
Tonache nere e drappi
Distrussero i miei giorni
Scambiati ciecamente per pazzia
Gli amici miei lontani
Accanto ho solo vili
Nella taverna di Belial
Senza padroni né un dio
Rifugio i monti saran
Orme di una vendetta in attesa
Con ferro e fuoco vi sfido
Un nuovo inizio di vita
La mia giustizia farò
"Come un falco sulla preda
La morte sfidai
A chi la mia dignità ha rubato
Grido -Non mi avrete mai!-"
Tu nei racconti vivi
Leggenda è diventata
Immersa nella nostalgia che fu
Tu che cammini ancora
Nascosto tra le cime
A respirar la tua libertà.
Lontano dalle genti
Il nuovo continente mi cambiò
Tra i libri e nelle strade
Con nuove idee lottavo
I miei orizzonti si schiusero
"Come un falco sulla preda
La morte sfidai
Per chi la mia dignità ha rubato
Io non conosco pietà"
Tonache nere e drappi
Distrussero i miei giorni
Scambiati ciecamente per pazzia
Gli amici miei lontani
Accanto ho solo vili
Nella taverna di Belial
Senza padroni né un dio
Rifugio i monti saran
Orme di una vendetta in attesa
Con ferro e fuoco vi sfido
Un nuovo inizio di vita
La mia giustizia farò
"Come un falco sulla preda
La morte sfidai
A chi la mia dignità ha rubato
Grido -Non mi avrete mai!-"
Tu nei racconti vivi
Leggenda è diventata
Immersa nella nostalgia che fu
Tu che cammini ancora
Nascosto tra le cime
A respirar la tua libertà.
Contributed by Riccardo Venturi - 2020/4/18 - 23:22
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Testo e musica / Lyrics and music / Paroles et musique / Sanat ja sävel: Folkstone
Album / Albumi: Il confine
Fà de Pianetti
di Riccardo Venturi, 18 aprile 2020.
Il giovane Simone Pianetti non è propriamente, come si suol dire, un “bravo ragazzo”: ha un carattere parecchio sanguigno e aggressivo. Giunto all'età della ragione, entra in conflitto con il padre per questioni d'eredità e fa pochi discorsi: un giorno spara al genitore una bella fucilata, però mancandolo -non si sa se volutamente o per cattiva mira. In seguito a tale lieve controversia familiare, decide, come tanti altri del resto, di sparire e di emigrare in America. Arriva quindi a New York in cerca di fortuna.
Dopo aver praticato ogni sorta di lavoro, entra in contatto con gli ambienti anarchici della città. Con un amico, Antonio Ferrari, fonda una società d'importazione di vino e frutta, incontrando quasi subito problemi con la mafia locale, allora conosciuta come Mano Nera (quella, insomma, contro la quale combatté il famoso poliziotto Joe Petrosino), la quale esigeva il pagamento del “pizzo” in cambio di protezione. Simone Pianetti, anarchico della Val Brembana, non si lasciò intimidire: fatto assai insolito per via dei rischi cui andava incontro, denunciò immediatamente gli estorsori alla Polizia newyorkese, allora comandata dal comandante Shirley e dall'ispettore francese Lacassagne. Denuncia che portò all'arresto di una decina di mafiosi (tutti regolarmente insospettabili) e che costò la vita a Antonio Ferrari, assassinato dalla Mano Nera. Simone Pianetti sarebbe stato il prossimo della lista, un “dead man walking”; lo scrittore H. Ashton Wolfe, che collaborava con Shirley e Lacassagne, lo conobbe di persona e ne narrò le vicende in un capitolo del suo libro intitolato Crimini di violenza e vendetta. Simone Pianetti fu costretto per un periodo ad assumere false generalità e a lasciare New York; ad un certo punto, tornò in Italia e andò a rifinire in Val Brembana.
Nella ridente valle bergamasca, che all'epoca non rideva per niente, era tutt'altro che amato, e il suo ritorno non provocò salti di gioia. Trovò un ambiente chiuso, quando non addirittura ostile. Nel 1904 le cose sembrano cambiare: sfruttando le acque termali della vicina San Pellegrino, note fin dal Medioevo e che già dal XVIII secolo venivano usate a scopi terapeutici, fu aperto uno stabilimento per passare le acque con il relativo afflusso di turisti, seguito dall'apertura di un casinò e di un grand-hôtel. Simone Pianetti, feroce anticlericale, diviene amico del locale deputato liberale di destra Bortolo Belotti (anche giurista e letterato) in nomedella contrapposizione al blocco cattolico-conservatore che detta legge sia in Val Brembana che in tutto il bergamasco. Simone Pianetti si sposa con tale Carlotta Marini, con cui mette al mondo nove figli; con qualche soldo messo da parte, apre una taverna appena fuori dal paese di Camerata Cornello, in cui si poteva anche ballare; i primi tempi gli affari vanno abbastanza bene, poi il suo paesello natale lo serve a puntino cominciando a mettere in giro tutta una serie di maldicenze. Prima viene bollato come libertino, anarchico e anticlericale; poi, nei confronti della sua taverna, viene operato un vero e proprio boicottaggio. Gli avventori vengono messi in guardia dalle autorità politiche ed ecclesiastiche del paese: frequentare quella taverna era contrario alla morale e al buoncostume. Alla fine, Simone Pianetti la deve chiudere per mancanza di clienti. Gli rimane ancora qualche soldo; si trasferisce con la famiglia a San Giovanni Bianco, un comune vicino, per evitare i contatti con la gente del suo paese, ed apre un'attività all'avanguardia per quei tempi: un mulino elettrico.
Non passa molto tempo, che Simone Pianetti comincia ad essere additato come portatore di maledizioni e malattie, un vero e proprio untore; con una facilissima metafora, il suo prodotto viene chiamato nella zona la Farina del Diavolo. Il mulino va quindi in rovina e Simone Pianetti, stavolta, è davvero sul lastrico assieme a tutta la sua famiglia. E si arriva a una data che, in Val Brembana, se la ricordano ancora dopo centosei anni: il 13 luglio 1914.
Simone Pianetti comincia a manifestare “comportamenti anomali”. Prima dichiara ad alcuni suoi amici di volersi suicidare; poi le intenzioni suicide si tramutano in collera e propositi di vendetta nei confronti di chi, a suo parere, gli aveva fatto torto e lo aveva ridotto in miseria. Il 28 giugno 1914, il nazionalista serbo Gavrilo Princip uccide a Sarajevo l'Arciduca d'Austria Francesco Ferdinando e sua moglie; la notizia dell'episodio (che darà l'avvio alla I Guerra mondiale) arriva anche in Val Brembana, e Simone Pianetti ne rimane impressionato. E stila una lista con alcuni nomi.
La mattina del 13 luglio 1914 esce di casa, col suo fucile a tre canne, e si dirige verso la piccola valle di Sentino; sono circa le 9 e mezza. Nascosto in un cespuglio, aspetta il primo della sua lista: il medico condotto dei paesi di Camerata Cornello e San Giovanni Bianco, il dottor Domenico Morali (il quale soleva passare di lì per recarsi alla propria uccellanda). Secondo Simone Pianetti, il dottor Morali è colpevole di non avergli curato bene uno dei suoi figli, Aristide, che era morto qualche tempo prima. Il medico passa, e viene ammazzato con due fucilate.
Il secondo della lista sarebbe il sindaco di Camerata Cornello, Cristoforo Manzoni, esponente cattolico ligio ai dettami della Chiesa. Simone Pianetti si reca all'abitazione del sindaco, ma non lo trova; allora va in Municipio, trova il segretario comunale Abramo Giudici (ritenuto colpevole di avere redatto l'ordinanza di chiusura della sua taverna, e terzo della lista) e lo ammazza assieme a sua figlia Valeria (di 27 anni, quarta della lista, non si sa esattamente perché, forse perché anche lei aveva sparlato). Sono le 10,50. Dieci minuti dopo entra nella casa del calzolaio e giudice conciliatore Giovanni Ghilardi, suo avversario politico e grosso propagatore di maldicenze, e lo stende con un'altra fucilata.
A mezzogiorno di quella terribile mattinata, Simone Pianetti è in contrada Pianca, dove cerca l'oste Pietro Bottani, che ha partecipato attivamente al boicottaggio anche per stroncare un concorrente. Ma non lo trova. Dopo una mezz'ora, è invece a Cantalto, una frazione del paese, dove spara a Caterina Milesi, detta Nella, che non gli aveva mai pagato un debito di trenta lire. La cosa curiosa è che, per questo motivo, Simone Pianetti aveva citato la Milesi presso il giudice conciliatore, Giovanni Ghilardi, da lui ammazzato un'ora e mezzo prima. L'omicidio della donna avviene davanti al figlio di nove anni.
Quello della Milesi è l'ultimo omicidio della tremenda mattinata estiva di Simone Pianetti. E' l'ora di pranzo, e scappa nella frazione Cantiglio dove alcuni carbonai, del tutto ignari degli accaduti, gli danno qualcosa da mangiare come si usa tra gente di montagna. Simone Pianetti mangia, ringrazia e si dilegua verso il Monte Cancervo, una zona che conosceva benissimo per esservi andato decine di volte a caccia. Non passa molto tempo, che la notizia della strage si sparge in tutta la Val Brembana: a Camerata Cornello e a San Giovanni Bianco la gente si barrica nelle proprie case (“io resto a casa”, verrebbe da dire 106 anni dopo). I Regi Carabinieri fanno piantonare tutti gli scampati alla strage e chiunque abbia contenziosi aperti con Pianetti, e cominciano le ricerche del latitante sulle impervie montagne della zona. Arrivano anche una squadra di Guardie Forestali e una trentina di altri Carabinieri da Bergamo. La sera del 14 luglio, Simone Pianetti viene avvistato da sette militari; c'è uno scontro a fuoco, ma nessuno resta ferito e Pianetti scappa facendo perdere le proprie tracce.
Il 16 luglio arriva a Camerata Cornello l'amico di Pianetti, il senatore Bortolo Belotti, giurista e fine letterato; contemporaneamente, sulla sua testa viene messa una taglia di mille lire. Proprio mentre le ricerche si intensificano, Simone Pianetti incontra una donna, Giacomina Giupponi, e baratta con lei una pistola in cambio di cibo. A Simone Pianetti danno ora la caccia anche dei volontari (perlopiù parenti delle vittime), altri 40 Carabinieri e 170 soldati fatti arrivare da Firenze, dal 78° Reggimento di Fanteria “Lupi di Toscana”. In tutto, circa trecento persone stanno dando la caccia a un uomo solo; ma Pianetti non si trova.
Sono già iniziate le polemiche e le querelles tra le testate giornalistiche, in particolare tra “Il Secolo” e “L'Eco di Bergamo”. Il primo quotidiano, liberale e anticlericale, dipinge Pianetti come una sorta di liberatore dall'oppressione e dalle vessazioni dei “feudatari” del paese, come il sindaco, il medico e il parroco; il secondo, espressione (allora come ora) della Curia di Bergamo, lo dipinge come un assassino, amorale e senzadìo. Il 20 luglio 1914, “Il Secolo” riporta la testimonianza di un abitante di Camerata Cornello:
Tra la gente (magari anche tra la stessa che fino a poco tempo prima aveva messo in giro maldicenze su di lui, vallo a sapere...), Simone Pianetti comincia ad essere considerato un eroe ed un liberatore; sui muri della zona compaiono scritte a lui inneggianti, tipo: ”W Pianetti, ce ne vorrebbe uno in ogni paese”. Le ricerche rimangono lettera morta; il 29 luglio 1914, il Prefetto di Bergamo, Antonio Molinari, aumenta la taglia a 5000 lire: risultati, zero. Il 27 luglio le autorità autorizzano il figlio, Nino Pianetti, a recarsi tra i monti per incontrare il padre e convincerlo a costituirsi; il ragazzo trova il genitore e gli consegna due lettere, una della moglie e una di Bortolo Belotti, che gli consigliano di consegnarsi. Simone Pianetti risponde alla lettera di Belotti, e scrive una commovente lettera d'addio alla moglie, dove si mostra pentito di quel che ha fatto; ma dice al figlio di andarsene, con questa frase: “Non mi troveranno mai, né vivo, né morto.” E' l'ultima volta in cui si hanno notizie documentate di Simone Pianetti, che è un uomo già di cinquantasei anni. La sua latitanza nelle montagne della Val Brembana viene aiutata da carbonai e pastori che vivevano ad alta quota; il fatto è certo. Lo considerano come un giustiziere, e gli offrono cibo e riparo. Due mandriani, i fratelli Giorgio e Carlo Manzoni, lo ospitano nella loro baita dal 20 luglio al 2 agosto, ne coprono la fuga e mentono ai Carabinieri: si beccano tutti e due un anno di galera.
Poi arriva la guerra anche in Italia. Di Simone Pianetti non si hanno notizie, e la sua vicenda scompare dalle cronache; ben altri avvenimenti incombono. Le ricerche vengono sospese, anche la la giustizia prosegue il suo corso: il 25 maggio 1915, vale a dire esattamente il giorno dopo l'inizio delle ostilità in Italia e il passaggio del Piave, la Corte d'Assise di Bergamo condanna in contumacia Simone Pianetti all'ergastolo con cinque anni di segregazione cellulare continua (cioè all'isolamento senza ora d'aria), nonché all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, alla perdita della patria potestà e dell'autorità maritale e, infine, all'interdizione legale con conseguente annullamento del suo testamento. E viene emesso un nuovo ordine di cattura. Ma Simone Pianetti non viene mai ritrovato, né tanto meno catturato.
Le ipotesi sulla sua sorte sono, da allora, tante. Di lui non viene mai ritrovato neppure il corpo; la famiglia afferma che sarebbe morto tra i monti Cancervo e Venturosa pochi giorni dopo l'incontro col figlio Nino; ma la versione non convince gli abitanti della zona, e viene probabilmente fornita per acquietare un po' gli animi e per permettere un po' di tranquillità ai congiunti. Ad un certo punto, spunta l'immancabile America: una donna originaria di San Giovanni Bianco, Domenica Milesi, anarchica emigrata in Venezuela, sostiene di aver conosciuto Simone Pianetti e di averlo incontrato a Ciudad Bolívar assieme al di lei marito. La Milesi (omonima di una delle vittime di Pianetti, così come omonima di un'altra vittima era la donna che aveva barattato un po' di cibo con una pistola) racconta di essere entrata in contatto con il latitante tramite un “commerciante siciliano residente a Pittsburgh” il quale, recatosi in Venezuela per affari, le aveva comunicato di aver fatto conoscenza con un suo conterraneo, tale Pianetti. La Milesi chiede allora al commerciante di potersi mettere in contatto con lui; dopo neanche un mese, secondo la testimonianza della donna, Simone Pianetti compare a Ciudad Bolívar, consegnandole alcune lettere e un po' di soldi da inviare alla sua famiglia in Val Brembana. Racconta anche di essere riuscito a fuggire, prima nascondendosi tra i fasci di legna trasportati in un carretto, e poi, con l'aiuto di una “persona molto influente nella zona” (il Belotti?) all'Ufficio Visti della Questura di Bergamo, che gli avrebbe fornito un passaporto con generalità false con il quale poté imbarcarsi su una nave diretta nelle Americhe. In pratica: Simone Pianetti sarebbe stato aiutato dalle autorità stesse. Data la simpatia e la popolarità che stava riscuotendo negli strati più bassi della popolazione, la sua cattura avrebbe potuto provocare reazioni incontrollate nonché aumentarne ancora la fama e la leggenda. Ma altre testimonianze sostengono che Simone Pianetti sarebbe stato visto in Svizzera, nel Cantone dei Grigioni, nel quale sarebbe fuggito dopo aver passato le Orobie e la Valtellina.
Passa una guerra, e dopo una ventina e passa d'anni ne scoppia un'altra ancor peggiore. In pieno 1943, alcuni abitanti della Val Brembana sostengono di avere incontrato un vecchio che si aggirava tra i monti Cancervo e Venturosa (gli stessi tra i quali la famiglia, nei giorni successivi ai fatti, aveva affermato che Simone Pianetti sarebbe morto), a poca distanza da contrada Cespedosio. C'è un rapido scambio di battute, dal quale emerge che il vecchio è Simone Pianetti, che dovrebbe avere all'epoca ottantacinque anni. Una delle persone con cui avrebbe avuto lo scambio di battute sarebbe stata una sua coetanea; dopo l'incontro, da vero fantasma, Simone Pianetti scompare di nuovo nei boschi.
Il figlio, Nino Pianetti, l'ultima persona ad avere incontrato certamente il padre, dopo la guerra vive a Milano. Ad alcuni conoscenti confida che il padre sarebbe davvero emigrato nelle Americhe, per poi tornare in Italia sotto falsa identità per trascorrere la vecchiaia. Nell'abitazione del figlio a Milano, tenuto nascosto, sarebbe morto nel 1952 all'età di novantaquattro anni. Già poco dopo la strage del 13 luglio 1914, circolavano fogli volanti con ballate popolari ispirate a quell'evento. Più di una, ed alcune non soltanto in Val Brembana e nel bergamasco; alcune circolavano ben oltre, persino nelle grandi città.
In Val Brembana, Simone Pianetti è tuttora ricordato come un vendicatore, un raddrizzatore di torti, un inafferrabile eroe avverso ai “poteri forti”; in pratica, è stato “robin-hoodizzato”. Il piano tragico e criminale della vicenda è stato (aggiungo: rapidamente, con un procedimento tipico della tradizione popolare) sopraffatto dall'aspetto romantico e ribelle. Il giorno del 90° anniversario della sua strage, il 13 luglio 2004, si è svolto a Camerata Cornello un incontro i cui partecipanti riportavano aneddoti, testimonianze e dicerie relative alla vicenda, parlandone tutti con rispetto e, in alcuni casi, con autentico timore reverenziale (quasi Simone Pianetti avesse a spuntar lì da un momento all'altro, con un fucile a tre canne in mano). La figura di Simone Pianetti torna d'attualità grazie anche ad alcune pubblicazioni, sia storiche che romanzate, che ripercorrono gli eventi del13 luglio 1914. Delle ballate popolari e da fogli volanti si è già detto; in tempi molto recenti, alcune band bergamasche, come i Folkstone e le Cucine SCS, scrivono canzoni su di lui (e questa che trovate nella presente pagina ne è una). L'8 gennaio 2019, tanto per restare sul lato musicisti e cantanti, Enrico Ruggeri racconta la storia di Simone Pianetti alla trasmissione radiofonica Il falco e il gabbiano in onda su radio 24; a partire dal 25 marzo 2019, a cura di Andrea Morbio e Riccardo Giacconi, le vicende del fuorilegge della Val Brembana vengono raccontate nell'audiodocumentario Il ritorno del vendicatore per la trasmissione Tre soldi in onda su RAI Radio 3. Per le edizioni Corponove viene pubblicata una biografia completa di Simone Pianetti: Cronaca di una vendetta. La vera storia di Simone Pianetti; l'autore è Denis Pianetti, pronipote di Simone.
Sembra che in Val Brembana, e nel bergamasco in generale, si usi ancora una minaccia che non lascia per nulla indifferente chi la riceve: Fà de Pianetti, fare come Pianetti. [RV]