Ecco, se mi adattassi a una poesia ragionevole,
se fossi previdente,
se provassi a portare una coscienza
che non comprende o non ricorda niente,
se potessi mentire
prudentemente armato di buonsenso,
rispondere a domande,
se potessi parlare, commentare
con opportuno distacco e leggerezza,
sostenere il discorso,
e un finale accettabile che ignora
quelle angosce oscurate…
Di che vi preoccupate?
Un moderno governo muscoloso
si fa misura di ogni sfondo.
E lo oscura, e il margine dispone,
e lo rinnova, e dopo si riposa
nella nostra ignoranza.
La perdita di un margine
non si distingue nell'oscurità.
Tutti i giorni si perdono parole
per implacata gravità.
Qui è l'occidente
che sta affondando con la mia realtà.
Sto fermo, sono stato fermato,
sto con le spalle al muro
nell’attrito di giorni
che continuo a vedere imprigionati
nelle sconfitte d’innocenza.
Non accettarle e trascinare l'ultima
fino alla prossima illusione
era un vantaggio che ormai mi è stato tolto.
Chiedo soltanto
di avere forze per non arretrare.
Senti? Oggi cosa si celebra?
Morale? Civiltà? Si perdona all’infamia?
Penso che qui convenga non gridare.
Ma non temere
se anche non parlassi
nascerebbe comunque una tempesta.
Perché ancora il cuore si contorce
producendo l’amore
che giorno e notte suggerisce voce.
Perché portiamo una parola intatta
che avvolga dolcemente in un abbraccio
almeno quei bambini.
E tua madre, o soldato,
intanto immagina una festa
fra i ciechi muri in fuga.
Ma se qualcuno un giorno arriverà
gli dirò: - Entra, non nasconderti più...
Non ora, non ancora!
Dimmi tu cosa vedi
guardando nei grandi teleschermi?
Io vedo solo colori della morte, vedo
carneficine, campi di tempeste,
rovine, e una bocca senza voce.
Se c’è l’eco di pietre
vedo anche la mia lingua,
vedo le tracce stanche del ricordo.
Ma scriverle è sospetto.
In segreto la stanza è il mio riposo.
Anch'io ho vissuto replicando
radici leggendarie.
Ne ho avuto tutto e dunque anche il ricordo.
Ma nonostante cambi il panorama
qui non si cambia.
Nasciamo come polvere. In Kossovo...
curdi, bosniaci, baschi,
armeni, sardi... oggi
tutti vestiti da palestinesi
con l'odore del sole
nascosto nelle vesti.
se fossi previdente,
se provassi a portare una coscienza
che non comprende o non ricorda niente,
se potessi mentire
prudentemente armato di buonsenso,
rispondere a domande,
se potessi parlare, commentare
con opportuno distacco e leggerezza,
sostenere il discorso,
e un finale accettabile che ignora
quelle angosce oscurate…
Di che vi preoccupate?
Un moderno governo muscoloso
si fa misura di ogni sfondo.
E lo oscura, e il margine dispone,
e lo rinnova, e dopo si riposa
nella nostra ignoranza.
La perdita di un margine
non si distingue nell'oscurità.
Tutti i giorni si perdono parole
per implacata gravità.
Qui è l'occidente
che sta affondando con la mia realtà.
Sto fermo, sono stato fermato,
sto con le spalle al muro
nell’attrito di giorni
che continuo a vedere imprigionati
nelle sconfitte d’innocenza.
Non accettarle e trascinare l'ultima
fino alla prossima illusione
era un vantaggio che ormai mi è stato tolto.
Chiedo soltanto
di avere forze per non arretrare.
Senti? Oggi cosa si celebra?
Morale? Civiltà? Si perdona all’infamia?
Penso che qui convenga non gridare.
Ma non temere
se anche non parlassi
nascerebbe comunque una tempesta.
Perché ancora il cuore si contorce
producendo l’amore
che giorno e notte suggerisce voce.
Perché portiamo una parola intatta
che avvolga dolcemente in un abbraccio
almeno quei bambini.
E tua madre, o soldato,
intanto immagina una festa
fra i ciechi muri in fuga.
Ma se qualcuno un giorno arriverà
gli dirò: - Entra, non nasconderti più...
Non ora, non ancora!
Dimmi tu cosa vedi
guardando nei grandi teleschermi?
Io vedo solo colori della morte, vedo
carneficine, campi di tempeste,
rovine, e una bocca senza voce.
Se c’è l’eco di pietre
vedo anche la mia lingua,
vedo le tracce stanche del ricordo.
Ma scriverle è sospetto.
In segreto la stanza è il mio riposo.
Anch'io ho vissuto replicando
radici leggendarie.
Ne ho avuto tutto e dunque anche il ricordo.
Ma nonostante cambi il panorama
qui non si cambia.
Nasciamo come polvere. In Kossovo...
curdi, bosniaci, baschi,
armeni, sardi... oggi
tutti vestiti da palestinesi
con l'odore del sole
nascosto nelle vesti.
envoyé par Dq82 - 13/1/2020 - 09:30
Khader Adnan è deceduto in carcere dopo quasi tre mesi di sciopero della fame rifiutando esami e cure mediche
UN PRIGIONIERO PALESTINESE E’ MORTO IN SCIOPERO DELLA FAME
Gianni Sartori
Il prigioniero palestinese Khader Adnan (45 anni), è morto in carcere nella notte tra il 1 e il 2 maggio. Il decesso è stato la fatale conseguenza di un lungo sciopero della fame di quasi tre mesi (era iniziato il 5 febbraio) per protestare contro la sua detenzione in Israele.
Originario della Cisgiordania, era stato arrestato varie volte e aveva già protestato con altri scioperi della fame.
Rinvenuto privo di sensi, l’esponente della Jihad islamica in Cisgiordania (organizzazione classificata come terrorista, oltre che Israele, anche da Stati Uniti e Unione Europea) veniva trasportato in un vicino ospedale dove i medici non potevano che confermarne la morte. Nella mattinata di martedì, all’annuncio della sua tragica fine, dalla Striscia di Gaza venivano lanciati alcuni razzi contro Israele, ma senza causare vittime.
Stando al comunicato dell’amministrazione penitenziaria, il militante palestinese avrebbe rifiutato sia di sottoporsi a esami medici, sia di ricevere assistenza e cure adeguate.
Come aveva confermato la moglie, Randa Moussa, il 28 aprile. Aggiungendo però che il marito era “rinchiuso in cella in condizioni molto dure” e che le autorità israeliane “si erano rifiutate di trasferirlo in un ospedale civile e non avevano consentito una visita del suo avvocato”.
Per Qaddoura Fares, portavoce dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele, si tratterebbe del primo detenuto palestinese morto in sciopero della fame in un carcere israeliano.
Gianni Sartori
UN PRIGIONIERO PALESTINESE E’ MORTO IN SCIOPERO DELLA FAME
Gianni Sartori
Il prigioniero palestinese Khader Adnan (45 anni), è morto in carcere nella notte tra il 1 e il 2 maggio. Il decesso è stato la fatale conseguenza di un lungo sciopero della fame di quasi tre mesi (era iniziato il 5 febbraio) per protestare contro la sua detenzione in Israele.
Originario della Cisgiordania, era stato arrestato varie volte e aveva già protestato con altri scioperi della fame.
Rinvenuto privo di sensi, l’esponente della Jihad islamica in Cisgiordania (organizzazione classificata come terrorista, oltre che Israele, anche da Stati Uniti e Unione Europea) veniva trasportato in un vicino ospedale dove i medici non potevano che confermarne la morte. Nella mattinata di martedì, all’annuncio della sua tragica fine, dalla Striscia di Gaza venivano lanciati alcuni razzi contro Israele, ma senza causare vittime.
Stando al comunicato dell’amministrazione penitenziaria, il militante palestinese avrebbe rifiutato sia di sottoporsi a esami medici, sia di ricevere assistenza e cure adeguate.
Come aveva confermato la moglie, Randa Moussa, il 28 aprile. Aggiungendo però che il marito era “rinchiuso in cella in condizioni molto dure” e che le autorità israeliane “si erano rifiutate di trasferirlo in un ospedale civile e non avevano consentito una visita del suo avvocato”.
Per Qaddoura Fares, portavoce dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele, si tratterebbe del primo detenuto palestinese morto in sciopero della fame in un carcere israeliano.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 2/5/2023 - 10:44
Alluvione Al-Aqsa così si chiama l operazione lanciata da Hamas. Sono andato a cercarmi alcuni recenti perché sia stato scelto il nome della grande moschea. Condivido con voi questo articolo ben documentato dell' aprile scorso.
Israele, perché la moschea Al-Aqsa è un nervo scoperto della Gerusalemme contesa
Ora gli abitanti di Gaza non hanno dove fuggire ricordava Galeano che sono come topi in trappola.
Israele, perché la moschea Al-Aqsa è un nervo scoperto della Gerusalemme contesa
Ora gli abitanti di Gaza non hanno dove fuggire ricordava Galeano che sono come topi in trappola.
Paolo Rizzi - 9/10/2023 - 10:03
Da pochi giorni e uscito questo libro
Palestina – The Passenger
Sono tutti articoli recentissimi del 2023. Su Gaza hanno fatto un errore scrivendo che con una popolazione di 2 milioni e 300 Milà abitanti nascono 50.000 bambini al mese. Ho segnalato la svista e verrai corretta nella ristampa.
Lo scorso anno sono nati 56.000 bambini ora anche loro sono in attesa dell'operazione israeliana via terra.
Morti civili che si aggiungeranno moltiplicati x 100 ai ragazzi israeliani del Rave
Palestina – The Passenger
Sono tutti articoli recentissimi del 2023. Su Gaza hanno fatto un errore scrivendo che con una popolazione di 2 milioni e 300 Milà abitanti nascono 50.000 bambini al mese. Ho segnalato la svista e verrai corretta nella ristampa.
Lo scorso anno sono nati 56.000 bambini ora anche loro sono in attesa dell'operazione israeliana via terra.
Morti civili che si aggiungeranno moltiplicati x 100 ai ragazzi israeliani del Rave
Paolo rizzi - 9/10/2023 - 10:46
Anche se le complesse vicende mediorientali (il “groviglio” di cui parlava Zero calcare) sembrano aver collocato il popolo curdo e quello palestinese su fronti “geopoliticamente” opposti, la loro condizione rimane sostanzialmente la stessa.
Quella di due Nazioni senza Stato: umiliate, calpestate e offese.
Quella di due Nazioni senza Stato: umiliate, calpestate e offese.
CURDI, ARMENI, PALESTINESI…
POPOLI SEMPRE SOTTO TIRO. USQUE TANDEM?
Gianni Sartori
Come già scritto in precedenza*rimango convinto che - nonostante le complicate vicende mediorientali (teledirette, almeno in parte, dall’Occidente) abbiano collocato - temporaneamente, apparentemente? - curdi e palestinesi (e forse ancor più gli Armeni abbandonati da tutti) in campi contrapposti, la loro condizione di Nazioni oppresse sia sostanzialmente la medesima.
A volte alcune coincidenze (sincroniche?) sembrerebbero confermarlo.
Due giornalisti morti in zona di guerra (rispettivamente un anno fa e in questi giorni) avevano lo stesso nome: “ Issam Abdullah”.
Uno era curdo ed è rimasto ucciso a causa di un bombardamento turco in Rojava il 20 novembre 2022. L’altro, libanese, a causa di un bombardamento israeliano il 13 ottobre 2023. Non era quindi propriamente palestinese, ma comunque vittima del pluridecennale conflitto tra Israele e palestinesi.
Il padre del giornalista curdo ha scritto ai familiari di quello libanese:
“Sono il padre del martire Issam Abdullah, il giornalista ucciso in seguito ai bombardamenti dell’occupazione turca sulle regioni del nord-est della Siria il 20/11/2022. Porgo le mie condoglianze alla famiglia del martire giornalista libanese Issam Abdallah (….). Sono stato colto da una grande tristezza e rammarico di fronte alla perdita di questo eroico giornalista che portava lo stesso nom e di mio figlio (…)”.
Intanto l’ONG Human Rights Watch (HRW), tramite il portavoce Lama Fakih,ha denunciato che l’esercito israeliano utilizzerebbe fosforo bianco** sia nella striscia di Gaza che in Libano.
Segnalando che “ogni volta che si utilizza il fosforo in aree abitate si rischia di provocare bruciature, ustioni dolorosissime (brucia direttamente la carne utilizzando l’ossigeno dell’aria nda) e grandi sofferenza oltre ainnescare incendi. Con danni atroci per i civili”.
Stando alle testimonianze raccolte da HRW tale sostanza sarebbe stata utilizzata soprattutto nella giornata di martedì 10 ottobre in territorio libanese (in zone frontaliere) e nella giornata di mercoledì 11 in territorio palestinese (il porto di Gaza).
In particolare, l’utilizzo del fosforo bianco sulla striscia di Gaza, una delle aree più popolate del pianeta, viola apertamente le norme del Diritto Internazionale Umanitario.
Pur tra mille contraddizioni e difficoltà (per chi scrive Hamas era e rimane un’organizzazione di fanatici criminali, del resto “irrorata e coltivata” - anche da chi oggi la combatte - per frantumare il movimento palestinese) in questi giorni le manifestazioni a sostegno della popolazione palestinese hanno goduto di una certa attenzione da parte dei media.
Meno risalto invece è stato dato alle numerose proteste in sostegno della popolazione curda del Rojava sottoposta da anni a bombardamenti e pulizia etnica.
In Germania soprattutto, nonostante le proibizioni.
Il 14 ottobre curdi e solidali sono scesi in strada a Heilbronn, Marburgo, Hamburgo, Múnich, Bremen, Erfurt, Hannover e Oberhausen.
A Heilbronn la manifestazione è stata indetta dal Centro sociale Democratico Curdo per condannare, oltre all’occupazione turca, il silenzio di Europa e Stati Uniti sui crimini di guerra commessi da Ankara.
A Marburgo, dopo un minuto di silenzio in memoria delle vittime, è stato letto un comunicato affinché il Rojava non sia lasciato solo.
Così a Monaco e a Brema, scandendo slogan come “Solidarietà al Rojava” e “Basta con la guerra di aggressione contro Bashur e Rojava”.
A Oberhausen l’iniziativa è stata organizzata dal Centro sociale Democratico e dal PYD (Partito dell’Unione Democratica).
Al momento della concentrazione, in prossimità della stazione ferroviaria, la polizia aveva cercato di disperdere i manifestanti, ma grazie alla determinazione die militanti curdi l’evento si è svolto ugualmente.
Anche a Erfurt le proteste venivano ostacolate. In particolare proibendo l’esposizione delle bandiere di YPG e YPJ.
Altre iniziative a Berlino (Hermannplatz) e a Wuppertal.
Gianni Sartori
*Nota 1:
(http://www.ristretti.it/commenti/2019/...), (https://www.panoramakurdo.it/2021/05/1...), (https://www.osservatoriorepressione.in...), (https://bresciaanticapitalista.com/202...),
** Nota 2:
tanto per capirci, quello abbondantemente sparso dagli USA a Falluja nel novembre 2004 (in gergo militare “Willie Pete”). Insieme a NK-77, nuova versione del famigerato napalm. Sostanze entrambe proibite dalle Convenzioni internazionali.
POPOLI SEMPRE SOTTO TIRO. USQUE TANDEM?
Gianni Sartori
Come già scritto in precedenza*rimango convinto che - nonostante le complicate vicende mediorientali (teledirette, almeno in parte, dall’Occidente) abbiano collocato - temporaneamente, apparentemente? - curdi e palestinesi (e forse ancor più gli Armeni abbandonati da tutti) in campi contrapposti, la loro condizione di Nazioni oppresse sia sostanzialmente la medesima.
A volte alcune coincidenze (sincroniche?) sembrerebbero confermarlo.
Due giornalisti morti in zona di guerra (rispettivamente un anno fa e in questi giorni) avevano lo stesso nome: “ Issam Abdullah”.
Uno era curdo ed è rimasto ucciso a causa di un bombardamento turco in Rojava il 20 novembre 2022. L’altro, libanese, a causa di un bombardamento israeliano il 13 ottobre 2023. Non era quindi propriamente palestinese, ma comunque vittima del pluridecennale conflitto tra Israele e palestinesi.
Il padre del giornalista curdo ha scritto ai familiari di quello libanese:
“Sono il padre del martire Issam Abdullah, il giornalista ucciso in seguito ai bombardamenti dell’occupazione turca sulle regioni del nord-est della Siria il 20/11/2022. Porgo le mie condoglianze alla famiglia del martire giornalista libanese Issam Abdallah (….). Sono stato colto da una grande tristezza e rammarico di fronte alla perdita di questo eroico giornalista che portava lo stesso nom e di mio figlio (…)”.
Intanto l’ONG Human Rights Watch (HRW), tramite il portavoce Lama Fakih,ha denunciato che l’esercito israeliano utilizzerebbe fosforo bianco** sia nella striscia di Gaza che in Libano.
Segnalando che “ogni volta che si utilizza il fosforo in aree abitate si rischia di provocare bruciature, ustioni dolorosissime (brucia direttamente la carne utilizzando l’ossigeno dell’aria nda) e grandi sofferenza oltre ainnescare incendi. Con danni atroci per i civili”.
Stando alle testimonianze raccolte da HRW tale sostanza sarebbe stata utilizzata soprattutto nella giornata di martedì 10 ottobre in territorio libanese (in zone frontaliere) e nella giornata di mercoledì 11 in territorio palestinese (il porto di Gaza).
In particolare, l’utilizzo del fosforo bianco sulla striscia di Gaza, una delle aree più popolate del pianeta, viola apertamente le norme del Diritto Internazionale Umanitario.
Pur tra mille contraddizioni e difficoltà (per chi scrive Hamas era e rimane un’organizzazione di fanatici criminali, del resto “irrorata e coltivata” - anche da chi oggi la combatte - per frantumare il movimento palestinese) in questi giorni le manifestazioni a sostegno della popolazione palestinese hanno goduto di una certa attenzione da parte dei media.
Meno risalto invece è stato dato alle numerose proteste in sostegno della popolazione curda del Rojava sottoposta da anni a bombardamenti e pulizia etnica.
In Germania soprattutto, nonostante le proibizioni.
Il 14 ottobre curdi e solidali sono scesi in strada a Heilbronn, Marburgo, Hamburgo, Múnich, Bremen, Erfurt, Hannover e Oberhausen.
A Heilbronn la manifestazione è stata indetta dal Centro sociale Democratico Curdo per condannare, oltre all’occupazione turca, il silenzio di Europa e Stati Uniti sui crimini di guerra commessi da Ankara.
A Marburgo, dopo un minuto di silenzio in memoria delle vittime, è stato letto un comunicato affinché il Rojava non sia lasciato solo.
Così a Monaco e a Brema, scandendo slogan come “Solidarietà al Rojava” e “Basta con la guerra di aggressione contro Bashur e Rojava”.
A Oberhausen l’iniziativa è stata organizzata dal Centro sociale Democratico e dal PYD (Partito dell’Unione Democratica).
Al momento della concentrazione, in prossimità della stazione ferroviaria, la polizia aveva cercato di disperdere i manifestanti, ma grazie alla determinazione die militanti curdi l’evento si è svolto ugualmente.
Anche a Erfurt le proteste venivano ostacolate. In particolare proibendo l’esposizione delle bandiere di YPG e YPJ.
Altre iniziative a Berlino (Hermannplatz) e a Wuppertal.
Gianni Sartori
*Nota 1:
(http://www.ristretti.it/commenti/2019/...), (https://www.panoramakurdo.it/2021/05/1...), (https://www.osservatoriorepressione.in...), (https://bresciaanticapitalista.com/202...),
** Nota 2:
tanto per capirci, quello abbondantemente sparso dagli USA a Falluja nel novembre 2004 (in gergo militare “Willie Pete”). Insieme a NK-77, nuova versione del famigerato napalm. Sostanze entrambe proibite dalle Convenzioni internazionali.
Gianni Sartori - 16/10/2023 - 09:21
Per Cemil Batik “quello che difendiamo per il popolo curdo ugualmente lo difendiamo per il popolo palestinese”
ESISTE LA POSSIBILITA’ DI UNA “SOLUZIONE POLITICA ALLA SUDAFRICANA” ANCHE PER IL KURDISTAN E PER LA PALESTINA ?
Gianni Sartori
Difficile ipotizzare a chi si dovrebbe attribuire il Primo Premio del “Campionato mondiale dell’Ipocrisia”.
Personalmente propendo per un onesto pareggio. Quello che emerge nel surreale scambio di accuse tra Erdogan (che paragona il premier israeliano a Hitler) e “Bibi” Netanyahu (che rinfaccia a quello turco il massacro sistematico a danno dei curdi) è la constatazione che in fondo hanno ragione entrambi.
Da più parti - oltre alla formula forse improponibile dei “Due Popoli e Due Stati - si avanza l’ipotesi di una “soluzione sudafricana”. Ossia di una convivenza tra israeliani e palestinesi in un’unica entità magari di stampo federale. Utopia allo stato puro? Non è detto. Anche il modello sudafricano appariva alquanto improbabile all’epoca di Botha e della repressione più efferata contro i neri. Si dirà che ai palestinesi manca un “Mandela”, ma anche questo non è vero. Almeno uno esiste, in carcere ovviamente. Quel Marwān Barghūthī che sta dietro le sbarre dal 2002. Oppure il comunista palestinese Georges Ibrahim Abdallah (esponente del FPLP) detenuto in Francia nel carcere di Lannemezan dal1984 (nonostante sia “formalmente scarcerabile” dal 1999).
Sicuramente candidabile anche un’altra esponente del FPLP, la deputata femminista Khalida Jarrar arrestata a Ramallah - per l’ennesima volta - in questi giorni.
Un altro “Mandela” poi è sicuramente il leader curdo Abdullah Öcalan (in carcere dal1999), sempre che sia ancora in vita.
Ovviamente non è che in Sudafrica tutto sia stato risolto con la fine dell’apartheid. Se è vero (come mi aveva spiegato Sol Jacob) che “le promesse di Mandela erano le sue speranze”, è anche altrettanto vero che in gran parte non sono state mantenute. La “corruzione endemica” dei vertici dell’ANC (una nuova “casta” di privilegiati) ha prodotto effetti devastanti per il Paese e soprattutto per le condizioni di vita di gran parte della popolazione. Come ha recentemente denunciato un militante storico dell’ANC, Mavuso Msimang. Tuttavia (fermo restando che si poteva e doveva far di meglio) l’esperimento sudafricano, il processo di riconciliazione tra due comunità “l’una contro l’altra armate” per decenni, rimane una delle poche, se non l’unica, uscita di sicurezza per una situazione come quella del conflitto israelo-palestinese. Ormai indescrivibile, ai limiti del genocidio.
Una auspicabile “soluzione politica” potrebbe avvalersi positivamente dell’altro “esperimento”. quello curdo del Confederalismo democratico già operativo in Rojava e - in parte almeno - nel Bakur.
Le complesse vicende storiche mediorientali (il “groviglio” zerocalcariano) hanno, apparentemente almeno, sospinto due popoli ugualmente oppressi e perseguitati come quello curdo e quello palestinese, su rive opposte.
Dove un autocrate come Erdogan si permette di rivestire i panni del difensore della causa palestinese mentre stermina metodicamente i curdi. E un altro personaggio impresentabile come Netanyahu talvolta si candida a potenziale sostenitore dei curdi (ma solo apparentemente, in ogni caso strumentalmente, sia chiaro).
Resta il fatto che - se pur su sponde talvolta opposte - curdi e palestinesi rimangono affratellati dalla comune condizione di popoli oppressi, umiliati e offesi.
E presumibilmente ben consapevoli di questa sostanziale affinità.
O almeno questo è quanto emerge da una recente intervista a Cemil Bayik, uno dei fondatori del PKK e attualmente co-presidente del Consiglio esecutivo della Confederazione dei Popoli del Kurdistan (KNK).
“Quello che difendiamo per il popolo curdo - ha dichiarato - ugualmente lo difendiamo per il popolo palestinese”.
Premesso che “le politiche di guerra e genocidio” di Israele contro il popolo palestinese non sono una novità, ma si perpetuano ormai da decenni, Batik sostiene che “la mancanza attuale di soluzione non può durare all’infinito (…) e questa realtà non si può eliminare con dichiarazioni di guerra e perpetrando altri massacri, il genocidio”.
Fermo restando che “le forze della modernità capitalistica, le potenze globali e regionali, in particolare lo Stato di Israele, invece di risolvere i problemi in Medio oriente li aggravano”.
Se l’obiettivo principale di Israele rimane quello di “allontanare definitivamente i palestinesi dai loro territori storici” (come confermano gli attacchi a Gaza di questi giorni), ciò dipende anche “dalla mentalità statalista tradizionale”.
Ricordando e ribadendo che “il popolo palestinese non è mai stato antisemita, ma ha lottato contro lo Stato e la mentalità che crearono e perpetuarono l’occupazione e il genocidio e ha individuato la possibile salvezza nel superamento di tale mentalità”. Convinto inoltre che “poco a poco sta nascendo nel popolo israeliano un approccio diverso e che si sta prendendo atto della realtà”.
A sostegno di questa impressione, le proteste durate vari mesi contro l’amministrazione Natanyahu. Proteste che esprimevano la consapevolezza della priorità imprescindibile di una soluzione politica per la “questione palestinese”.
Batik ritiene che l’amministrazione Netanyahu stia “cercando di utilizzare le azioni di Hamas contro i civili per modificare questo atteggiamento del popolo israeliano.”.
Ed è fondamentale che “nonostante tutto questo bellicismo imperante il popolo israeliano mantenga una posizione a favore di una soluzione democratica”.
“La giusta causa del popolo palestinese - ha proseguito - gode del sostegno di tutti i popoli oppressi, dei movimenti socialisti, democratici e libertari” che rafforzano la lotta per una soluzione democratica (…). Invece l’atteggiamento degli Stati e delle forze sottoposte alla loro influenza ottiene l’effetto contrario, amplificando il problema e rendendo più difficile la soluzione. In quanto intervengono in base a interessi politici ed economici”.
Con un esplicito riferimento a Stati Uniti, Unione Europea, Turchia e Iran.
Come ha ampiamente analizzato Ocalan “in Medio oriente lo Stato è andato allontanandosi sempre più dalla società”. Inoltre “tanto gli Stati arabi che gli altri Stati regionali non posseggono una mentalità democratica. In questo contesto non è possibile affrontare correttamente la questione palestines , trovare una soluzione”.
Condannando energicamente il “brutale massacro in atto a Gaza”, Bayik afferma che “i popoli chiederanno conto a questi Stati e allo loro mentalità genocida”.
Tali Stati - sia a livello globale che regionale e nonostante le loro dichiarazioni - in realtà non sono amici né del popolo israeliano, né di quello palestinese. In quanto operano soltanto in nome dei loro interessi.
Ricorda anche che il popolo palestinese “è stato scacciato brutalmente dalle sue terre prima occupate e poi annesse. Milioni dei palestinesi vivono da decenni in esilio e questo si sta ora ripetendo a Gaza”. Dove è in atto un puro e semplice genocidio per cui non esiste alcuna giustificazione. Così come non esiste perquanto subisce il popolo curdo nel Rojava: “Nessun popolo dovrebbe essere costretto a lasciare la sua patria”.
Quanto all’attuale situazione del movimento palestinese, il problema non sarebbe rappresentato soltanto dalle contraddizioni tra Hamas, Fatah e le altre organizzazioni, ma piuttosto dalla debolezza, dalla frammentazione interna ai palestinesi (soprattutto in confronto agli anni sessanta e settanta). Conseguenza della repressione statale, ma non solamente.
Dovuta anche a "diverse ragioni ideologiche, politiche e storiche”. Tra cui non vanno dimenticate le responsabilità degli Stati arabi i quali proprio “a causa della loro mentalità statalista” non sarebbero in grado di fornire una soluzione adeguata.
Senza dimenticare che in Medio oriente gli Stati Uniti (ma non solo) hanno regolarmente appoggiato (in chiave “antisocialista”) le organizzazioni a ispirazione religiosa, arrivando addirittura a fondarle dove non esistevano. Alimentando in tal maniera la nascita dell’islamismo radicale, jihadista.
Una politica conosciuta in ambito NATO come “Cintura Verde”. Così la Turchia venne accolta nella NATO (e i suoi quadri militari addestrati dalla stessa) per essere utilizzata contro i movimenti popolari, sociali e democratici. La Turchia contribuì poi alla nascita e sviluppo di organizzazioni a carattere religioso che avrebbero svolto funzioni analoghe a quelle delle squadre della morte e dei contras in America Latina (indipendentemente dalle loro attuali dichiarazioni di opposizione a USA, NATO e Israele).
Questo sarebbe avvenuto anche con Hamas, fondata con lo scopo dichiarato di dividere, indebolire, “distrarre” e sostanzialmente sviare (detourner) dai suoi scopi originari (di autodeterminazione) il movimento palestinese. Quella che attualmente assume l’aspetto di una improponibile “guerra di religione” sarebbe quindi il risultato di “immense menzogne, di grandi errori”. In buona parte reciproci.
Mentre il primo ministro israeliano va in televisione per sostenere che quanto sta avvenendo era già scritto nella Tōrāh, il presidente iraniano all’ONU afferma che il Mahdi è ritornato sulla Terra.
Ovviamente dietro tutta questa ridondante propaganda fide si celano, molto prosaicamente, precisi interessi materiali.
L’esempio curdo resta valido anche per la Palestina. In particolare con quanto è avvenuto in Turchia dove si è realizzata un’alleanza democratica, un “Fronte”, tra il popolo curdo e le forze democratiche turche (femministe, ambientalisti, socialisti…). Oppure nel Rojava con il dialogo, l’alleanza tra popolazioni curde e arabe sulla base del Confederalismo democratico. E segnali in tal senso provengono recentemente anche dal Rojhlat (Il Kurdistan sottoposto all’amministrazione iraniana).
Esiste comunque il pericolo che tale conflitto assuma aspetti ancora più vasti, una “terza guerra mondiale” (in qualche modo già avviata, se pur in maniera frammentaria) per il dominio tra le diverse forze della “modernità capitalista”. Un conflitto per appropriarsi delle fonti energetiche, ldele rotte commerciali, della Terra stessa.
Utilizzando qualsiasi mezzo e senza scrupoli, come da manuale.
Gianni Sartori
ESISTE LA POSSIBILITA’ DI UNA “SOLUZIONE POLITICA ALLA SUDAFRICANA” ANCHE PER IL KURDISTAN E PER LA PALESTINA ?
Gianni Sartori
Difficile ipotizzare a chi si dovrebbe attribuire il Primo Premio del “Campionato mondiale dell’Ipocrisia”.
Personalmente propendo per un onesto pareggio. Quello che emerge nel surreale scambio di accuse tra Erdogan (che paragona il premier israeliano a Hitler) e “Bibi” Netanyahu (che rinfaccia a quello turco il massacro sistematico a danno dei curdi) è la constatazione che in fondo hanno ragione entrambi.
Da più parti - oltre alla formula forse improponibile dei “Due Popoli e Due Stati - si avanza l’ipotesi di una “soluzione sudafricana”. Ossia di una convivenza tra israeliani e palestinesi in un’unica entità magari di stampo federale. Utopia allo stato puro? Non è detto. Anche il modello sudafricano appariva alquanto improbabile all’epoca di Botha e della repressione più efferata contro i neri. Si dirà che ai palestinesi manca un “Mandela”, ma anche questo non è vero. Almeno uno esiste, in carcere ovviamente. Quel Marwān Barghūthī che sta dietro le sbarre dal 2002. Oppure il comunista palestinese Georges Ibrahim Abdallah (esponente del FPLP) detenuto in Francia nel carcere di Lannemezan dal1984 (nonostante sia “formalmente scarcerabile” dal 1999).
Sicuramente candidabile anche un’altra esponente del FPLP, la deputata femminista Khalida Jarrar arrestata a Ramallah - per l’ennesima volta - in questi giorni.
Un altro “Mandela” poi è sicuramente il leader curdo Abdullah Öcalan (in carcere dal1999), sempre che sia ancora in vita.
Ovviamente non è che in Sudafrica tutto sia stato risolto con la fine dell’apartheid. Se è vero (come mi aveva spiegato Sol Jacob) che “le promesse di Mandela erano le sue speranze”, è anche altrettanto vero che in gran parte non sono state mantenute. La “corruzione endemica” dei vertici dell’ANC (una nuova “casta” di privilegiati) ha prodotto effetti devastanti per il Paese e soprattutto per le condizioni di vita di gran parte della popolazione. Come ha recentemente denunciato un militante storico dell’ANC, Mavuso Msimang. Tuttavia (fermo restando che si poteva e doveva far di meglio) l’esperimento sudafricano, il processo di riconciliazione tra due comunità “l’una contro l’altra armate” per decenni, rimane una delle poche, se non l’unica, uscita di sicurezza per una situazione come quella del conflitto israelo-palestinese. Ormai indescrivibile, ai limiti del genocidio.
Una auspicabile “soluzione politica” potrebbe avvalersi positivamente dell’altro “esperimento”. quello curdo del Confederalismo democratico già operativo in Rojava e - in parte almeno - nel Bakur.
Le complesse vicende storiche mediorientali (il “groviglio” zerocalcariano) hanno, apparentemente almeno, sospinto due popoli ugualmente oppressi e perseguitati come quello curdo e quello palestinese, su rive opposte.
Dove un autocrate come Erdogan si permette di rivestire i panni del difensore della causa palestinese mentre stermina metodicamente i curdi. E un altro personaggio impresentabile come Netanyahu talvolta si candida a potenziale sostenitore dei curdi (ma solo apparentemente, in ogni caso strumentalmente, sia chiaro).
Resta il fatto che - se pur su sponde talvolta opposte - curdi e palestinesi rimangono affratellati dalla comune condizione di popoli oppressi, umiliati e offesi.
E presumibilmente ben consapevoli di questa sostanziale affinità.
O almeno questo è quanto emerge da una recente intervista a Cemil Bayik, uno dei fondatori del PKK e attualmente co-presidente del Consiglio esecutivo della Confederazione dei Popoli del Kurdistan (KNK).
“Quello che difendiamo per il popolo curdo - ha dichiarato - ugualmente lo difendiamo per il popolo palestinese”.
Premesso che “le politiche di guerra e genocidio” di Israele contro il popolo palestinese non sono una novità, ma si perpetuano ormai da decenni, Batik sostiene che “la mancanza attuale di soluzione non può durare all’infinito (…) e questa realtà non si può eliminare con dichiarazioni di guerra e perpetrando altri massacri, il genocidio”.
Fermo restando che “le forze della modernità capitalistica, le potenze globali e regionali, in particolare lo Stato di Israele, invece di risolvere i problemi in Medio oriente li aggravano”.
Se l’obiettivo principale di Israele rimane quello di “allontanare definitivamente i palestinesi dai loro territori storici” (come confermano gli attacchi a Gaza di questi giorni), ciò dipende anche “dalla mentalità statalista tradizionale”.
Ricordando e ribadendo che “il popolo palestinese non è mai stato antisemita, ma ha lottato contro lo Stato e la mentalità che crearono e perpetuarono l’occupazione e il genocidio e ha individuato la possibile salvezza nel superamento di tale mentalità”. Convinto inoltre che “poco a poco sta nascendo nel popolo israeliano un approccio diverso e che si sta prendendo atto della realtà”.
A sostegno di questa impressione, le proteste durate vari mesi contro l’amministrazione Natanyahu. Proteste che esprimevano la consapevolezza della priorità imprescindibile di una soluzione politica per la “questione palestinese”.
Batik ritiene che l’amministrazione Netanyahu stia “cercando di utilizzare le azioni di Hamas contro i civili per modificare questo atteggiamento del popolo israeliano.”.
Ed è fondamentale che “nonostante tutto questo bellicismo imperante il popolo israeliano mantenga una posizione a favore di una soluzione democratica”.
“La giusta causa del popolo palestinese - ha proseguito - gode del sostegno di tutti i popoli oppressi, dei movimenti socialisti, democratici e libertari” che rafforzano la lotta per una soluzione democratica (…). Invece l’atteggiamento degli Stati e delle forze sottoposte alla loro influenza ottiene l’effetto contrario, amplificando il problema e rendendo più difficile la soluzione. In quanto intervengono in base a interessi politici ed economici”.
Con un esplicito riferimento a Stati Uniti, Unione Europea, Turchia e Iran.
Come ha ampiamente analizzato Ocalan “in Medio oriente lo Stato è andato allontanandosi sempre più dalla società”. Inoltre “tanto gli Stati arabi che gli altri Stati regionali non posseggono una mentalità democratica. In questo contesto non è possibile affrontare correttamente la questione palestines , trovare una soluzione”.
Condannando energicamente il “brutale massacro in atto a Gaza”, Bayik afferma che “i popoli chiederanno conto a questi Stati e allo loro mentalità genocida”.
Tali Stati - sia a livello globale che regionale e nonostante le loro dichiarazioni - in realtà non sono amici né del popolo israeliano, né di quello palestinese. In quanto operano soltanto in nome dei loro interessi.
Ricorda anche che il popolo palestinese “è stato scacciato brutalmente dalle sue terre prima occupate e poi annesse. Milioni dei palestinesi vivono da decenni in esilio e questo si sta ora ripetendo a Gaza”. Dove è in atto un puro e semplice genocidio per cui non esiste alcuna giustificazione. Così come non esiste perquanto subisce il popolo curdo nel Rojava: “Nessun popolo dovrebbe essere costretto a lasciare la sua patria”.
Quanto all’attuale situazione del movimento palestinese, il problema non sarebbe rappresentato soltanto dalle contraddizioni tra Hamas, Fatah e le altre organizzazioni, ma piuttosto dalla debolezza, dalla frammentazione interna ai palestinesi (soprattutto in confronto agli anni sessanta e settanta). Conseguenza della repressione statale, ma non solamente.
Dovuta anche a "diverse ragioni ideologiche, politiche e storiche”. Tra cui non vanno dimenticate le responsabilità degli Stati arabi i quali proprio “a causa della loro mentalità statalista” non sarebbero in grado di fornire una soluzione adeguata.
Senza dimenticare che in Medio oriente gli Stati Uniti (ma non solo) hanno regolarmente appoggiato (in chiave “antisocialista”) le organizzazioni a ispirazione religiosa, arrivando addirittura a fondarle dove non esistevano. Alimentando in tal maniera la nascita dell’islamismo radicale, jihadista.
Una politica conosciuta in ambito NATO come “Cintura Verde”. Così la Turchia venne accolta nella NATO (e i suoi quadri militari addestrati dalla stessa) per essere utilizzata contro i movimenti popolari, sociali e democratici. La Turchia contribuì poi alla nascita e sviluppo di organizzazioni a carattere religioso che avrebbero svolto funzioni analoghe a quelle delle squadre della morte e dei contras in America Latina (indipendentemente dalle loro attuali dichiarazioni di opposizione a USA, NATO e Israele).
Questo sarebbe avvenuto anche con Hamas, fondata con lo scopo dichiarato di dividere, indebolire, “distrarre” e sostanzialmente sviare (detourner) dai suoi scopi originari (di autodeterminazione) il movimento palestinese. Quella che attualmente assume l’aspetto di una improponibile “guerra di religione” sarebbe quindi il risultato di “immense menzogne, di grandi errori”. In buona parte reciproci.
Mentre il primo ministro israeliano va in televisione per sostenere che quanto sta avvenendo era già scritto nella Tōrāh, il presidente iraniano all’ONU afferma che il Mahdi è ritornato sulla Terra.
Ovviamente dietro tutta questa ridondante propaganda fide si celano, molto prosaicamente, precisi interessi materiali.
L’esempio curdo resta valido anche per la Palestina. In particolare con quanto è avvenuto in Turchia dove si è realizzata un’alleanza democratica, un “Fronte”, tra il popolo curdo e le forze democratiche turche (femministe, ambientalisti, socialisti…). Oppure nel Rojava con il dialogo, l’alleanza tra popolazioni curde e arabe sulla base del Confederalismo democratico. E segnali in tal senso provengono recentemente anche dal Rojhlat (Il Kurdistan sottoposto all’amministrazione iraniana).
Esiste comunque il pericolo che tale conflitto assuma aspetti ancora più vasti, una “terza guerra mondiale” (in qualche modo già avviata, se pur in maniera frammentaria) per il dominio tra le diverse forze della “modernità capitalista”. Un conflitto per appropriarsi delle fonti energetiche, ldele rotte commerciali, della Terra stessa.
Utilizzando qualsiasi mezzo e senza scrupoli, come da manuale.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 31/12/2023 - 10:39
GAZA MUORE E IL MONDO SOSTANZIALMENTE SE NE FREGA
(DIECI A UNO NON BASTA?)
Gianni Sartori
Per chi volesse davvero comprendere cosa sta realmente accadendo a Gaza, è consigliata l’attenta lettura delle 84 pagine di “domande” inoltrate dal Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) nel dicembre 2023. In sostanza, una circostanziata e non velata accusa di genocidio nei confronti di Israele. In riferimento alle operazioni belliche nella Striscia dopo il 7 ottobre 2023 si denuncia che sarebbero “intese a portare alla distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese nella Striscia di Gaza”.
Ossia - in soldoni - che rientrerebbero a buon diritto nella definizione di genocidio della Convenzione di Ginevra (sottoscritta da Israele).
La maggior parte degli eventi riportati nel documento sudafricano erano già stati riferiti da parte dei media. Ma è rilevante (con un effetto sconvolgente per chi legge ritrovandoli tutti qui riuniti) averli riportati in maniera così ampia e completa.
Riassumendo (e tenendo conto che comunque le cifre andrebbero aggiornate di ora in ora) in data 7 gennaio 2024 questo sarebbe il tragico bilancio.
Almeno 22mila e seicento palestinesi uccisi (tra cui novemila bambini e 5300 donne). 57910 palestinesi feriti e almeno settemila al momento scomparsi, dispersi tra e sotto le macerie (da aggiungere probabilmente a quelli deceduti). incalcolabile il numero degli amputati.
Gli aiuti (cibo, medicinali…) rimangono ampiamente insufficienti, le strade devastate risultano in buona parte impraticabili (per i camion, non per i carri armati), i presidi sanitari, ospedali in primis, ripetutamente attaccati. Così come gli sfollati in un primo tempo respinti a sud (circa l’85% della popolazione). Per non parlare della mancanza di elettricità e della possibilità di comunicare.
Sarebbero ancora nove (su 36) gli ospedali di Gaza tuttora parzialmente in grado di funzionare e 19 (su 72) i centri di pronto soccorso parzialmente operativi. Migliaia i palestinesi gravemente malati o feriti che dovrebbero essere evacuati. Si calcola che circa 500mila persone soffrano di turbe mentali (comprensibilmente data la situazione), almeno 200mila di ipertensione, circa 50mila di malattie cardiovascolari, 71mila di diabete e alcune migliaia quelle colpite da tumori. Oltre 360mila i casi di malattie infettive registrati nei campi profughi.
Tra le vittime più fragili di questa situazione, i neonati (soprattutto quelli prematuri) e le donne incinte.
Nel frattempo, mentre sembrano cadere nel nulla -almeno per ora -i tentativi di accordi con il Congo (e senza dimenticare il trasferimento già in atto di palestinesi nelle aree occupate dalla Turchia del nord e dell’est della Siria, v. https://bresciaanticapitalista.com/202...), funzionari governativi israeliani sarebbero in trattative con il Ruanda e il Ciad per “ospitare” i palestinesi espulsi dalla Striscia (v. sul sito israeliano Zman Yisrael - Times of Israel).
Un primo accordo per proseguire nei colloqui (a cui prenderebbero parte sia il Ministero degli Esteri che il Mossad) sarebbe già stato raggiunto.
Ovviamente si va con i piedi di piombo in quanto: “dobbiamo stare molto attenti alle reazioni nel mondo e anche al timore che venga interpretato come un trasferimento e non come una migrazione volontaria” come avrebbe dichiarato una fonte- anonima -istituzionale.
Pongo solo una domanda. Quando intendono fermarsi, porre fine a questa indiscriminata rappresaglia? Dieci a uno non basta?
Gianni Sartori
(DIECI A UNO NON BASTA?)
Gianni Sartori
Per chi volesse davvero comprendere cosa sta realmente accadendo a Gaza, è consigliata l’attenta lettura delle 84 pagine di “domande” inoltrate dal Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) nel dicembre 2023. In sostanza, una circostanziata e non velata accusa di genocidio nei confronti di Israele. In riferimento alle operazioni belliche nella Striscia dopo il 7 ottobre 2023 si denuncia che sarebbero “intese a portare alla distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese nella Striscia di Gaza”.
Ossia - in soldoni - che rientrerebbero a buon diritto nella definizione di genocidio della Convenzione di Ginevra (sottoscritta da Israele).
La maggior parte degli eventi riportati nel documento sudafricano erano già stati riferiti da parte dei media. Ma è rilevante (con un effetto sconvolgente per chi legge ritrovandoli tutti qui riuniti) averli riportati in maniera così ampia e completa.
Riassumendo (e tenendo conto che comunque le cifre andrebbero aggiornate di ora in ora) in data 7 gennaio 2024 questo sarebbe il tragico bilancio.
Almeno 22mila e seicento palestinesi uccisi (tra cui novemila bambini e 5300 donne). 57910 palestinesi feriti e almeno settemila al momento scomparsi, dispersi tra e sotto le macerie (da aggiungere probabilmente a quelli deceduti). incalcolabile il numero degli amputati.
Gli aiuti (cibo, medicinali…) rimangono ampiamente insufficienti, le strade devastate risultano in buona parte impraticabili (per i camion, non per i carri armati), i presidi sanitari, ospedali in primis, ripetutamente attaccati. Così come gli sfollati in un primo tempo respinti a sud (circa l’85% della popolazione). Per non parlare della mancanza di elettricità e della possibilità di comunicare.
Sarebbero ancora nove (su 36) gli ospedali di Gaza tuttora parzialmente in grado di funzionare e 19 (su 72) i centri di pronto soccorso parzialmente operativi. Migliaia i palestinesi gravemente malati o feriti che dovrebbero essere evacuati. Si calcola che circa 500mila persone soffrano di turbe mentali (comprensibilmente data la situazione), almeno 200mila di ipertensione, circa 50mila di malattie cardiovascolari, 71mila di diabete e alcune migliaia quelle colpite da tumori. Oltre 360mila i casi di malattie infettive registrati nei campi profughi.
Tra le vittime più fragili di questa situazione, i neonati (soprattutto quelli prematuri) e le donne incinte.
Nel frattempo, mentre sembrano cadere nel nulla -almeno per ora -i tentativi di accordi con il Congo (e senza dimenticare il trasferimento già in atto di palestinesi nelle aree occupate dalla Turchia del nord e dell’est della Siria, v. https://bresciaanticapitalista.com/202...), funzionari governativi israeliani sarebbero in trattative con il Ruanda e il Ciad per “ospitare” i palestinesi espulsi dalla Striscia (v. sul sito israeliano Zman Yisrael - Times of Israel).
Un primo accordo per proseguire nei colloqui (a cui prenderebbero parte sia il Ministero degli Esteri che il Mossad) sarebbe già stato raggiunto.
Ovviamente si va con i piedi di piombo in quanto: “dobbiamo stare molto attenti alle reazioni nel mondo e anche al timore che venga interpretato come un trasferimento e non come una migrazione volontaria” come avrebbe dichiarato una fonte- anonima -istituzionale.
Pongo solo una domanda. Quando intendono fermarsi, porre fine a questa indiscriminata rappresaglia? Dieci a uno non basta?
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 8/1/2024 - 07:33
LA RECENTE MORTE DI ALTRI DUE PRIGIONIERI PALESTINESI RICORDA QUELLA DEL MEDICO Adnan al-Bursh, VITTIMA DELLA TORTURA
La lista si allunga. Non solo a Gaza e in Cisgiordania, ma anche nelle carceri israeliane.
Altri due prigionieri palestinesi – tra il 14 e il 15 novembre - sono deceduti a causa della detenzione, dei maltrattamenti e degli abusi.
Samih Suleiman Muhammad Aliwi (61anni) e Anwar Shaaban Muhammad Aslim (44). Per il suo avvocato, Aliwi è rimasto vittima di “torture, negliglenza sanitaria e per essere stato sotto-alimentato”.
Il suo assistito gli aveva confidato che “gli erano state rifiutate le cure, di aver subito aggressioni e umiliazioni”. Inoltre il detenuto era diinuito di circa 40 chili dall'ultima visita.
Uno scenario che riporta alla mente quanto era accaduto il 19 aprile a Adnan al-Bursh, chirurgo dell'ospedale Al-Shifa di Gaza.
Fin dall'inizio della guerra, il medico (50 anni, responsabile della medicina ortopedica dell’ospedale al-Shifa) informava e denunciava pubblicamante in merito alle terribili ferite che aveva dovuto curare in condizioni sempre più proibitive. Denunciando anche il brutale assedio subito dal suo ospedale nel novembre 2023, così come la conseguente forzata evacuazione.
Divenuto un simbolo per il suo impegno, anche dopo aver raggiunto un altro ospedale, aveva continuato a documentare e denunciare (postando immagini sui social) quanto avveniva. In particolare la disastrosa situazione sanitaria dovuta ai sistematici attacchi israeliani nei confronti di ospedali e ambulatori.
Tra gli altri, gli attacchi contro un ospedale di Beit Lahia, dove i bombardamente israeliani avevano ucciso una dozzina di pazienti.
Arrestato dall'Idf (insieme ad altri operatori sanitari e pazienti) in dicembre mentre lasciava l'ospedale indonesiano Al-Awda (ugualmente sotto assedio), veniva rinchiuso nel campo di prigionia (in cui si sospetta venga praticata la tortura) della base militare di Sde Teiman. Successivamente (aprile 2024) era stato trasferito nella sezione 23 del carcere di Ofer, non lontano da Gerusalmme.
Stando a quanto riferirono altri detenuti, al momento del suo arrivo presentava visose ferite in varie parti del corpo ed era completamente nudo dalla vita in giù (presumibilmente era statao violentato). Gettato in mezzo al cortile, incapace di sollevarsi, il Dr Adnan Al-Bursh era stato aiutatato da un altro detenuto che lo aveva accompagnato alla sua cella.
Ma nel giro di qualche minuto, dopo aver lanciato grida di dolore, era deceduto. Un altro nome da aggiungere alla lista degli operatori sanitari (ormai oltre 500) uccisi nella Striscia dall'inizio dell'invasione israeliana. Nelle stesse ore moriva un altro detenuto palestinese, Ismail Khader (33 anni). Sempre – stando alle dichiarazioni della Commissione per gli affari dei prigionieri- a causa “dei pestaggi e delle torture subite”.
Molti dei palestinesi arrestati (qualche centinaio) sono rinchiusi in basi militari e campi di detenzione nel Neghev. Qui, come è stato denunciato anche da ong israeliane per i diritti umani, vengono tenuti in condizioni degradanti. A causa delle torture e degli abusi alcuni avrebbero perso la vita (erano 27 quelli accertati ancora in aprile). Per protestare contro tale situazione, sempre in aprile, militanti della sinistra israeliana avevano organizzato una manifestazione davanti alla base dell'aviazione di Sde Taiman (dove era stato rinchiuso e torturato Adnan al-Bursh). Qui, come denunciavano ex detenuti e medici, si sarebbero verificati i fatti più gravi. Alcuni avvocati israeliani che avevano avuto modo di conoscerla, non esitavano nel paragonarla a Abu Ghraib o a Guantanamo.
Gianni Sartori
La lista si allunga. Non solo a Gaza e in Cisgiordania, ma anche nelle carceri israeliane.
Altri due prigionieri palestinesi – tra il 14 e il 15 novembre - sono deceduti a causa della detenzione, dei maltrattamenti e degli abusi.
Samih Suleiman Muhammad Aliwi (61anni) e Anwar Shaaban Muhammad Aslim (44). Per il suo avvocato, Aliwi è rimasto vittima di “torture, negliglenza sanitaria e per essere stato sotto-alimentato”.
Il suo assistito gli aveva confidato che “gli erano state rifiutate le cure, di aver subito aggressioni e umiliazioni”. Inoltre il detenuto era diinuito di circa 40 chili dall'ultima visita.
Uno scenario che riporta alla mente quanto era accaduto il 19 aprile a Adnan al-Bursh, chirurgo dell'ospedale Al-Shifa di Gaza.
Fin dall'inizio della guerra, il medico (50 anni, responsabile della medicina ortopedica dell’ospedale al-Shifa) informava e denunciava pubblicamante in merito alle terribili ferite che aveva dovuto curare in condizioni sempre più proibitive. Denunciando anche il brutale assedio subito dal suo ospedale nel novembre 2023, così come la conseguente forzata evacuazione.
Divenuto un simbolo per il suo impegno, anche dopo aver raggiunto un altro ospedale, aveva continuato a documentare e denunciare (postando immagini sui social) quanto avveniva. In particolare la disastrosa situazione sanitaria dovuta ai sistematici attacchi israeliani nei confronti di ospedali e ambulatori.
Tra gli altri, gli attacchi contro un ospedale di Beit Lahia, dove i bombardamente israeliani avevano ucciso una dozzina di pazienti.
Arrestato dall'Idf (insieme ad altri operatori sanitari e pazienti) in dicembre mentre lasciava l'ospedale indonesiano Al-Awda (ugualmente sotto assedio), veniva rinchiuso nel campo di prigionia (in cui si sospetta venga praticata la tortura) della base militare di Sde Teiman. Successivamente (aprile 2024) era stato trasferito nella sezione 23 del carcere di Ofer, non lontano da Gerusalmme.
Stando a quanto riferirono altri detenuti, al momento del suo arrivo presentava visose ferite in varie parti del corpo ed era completamente nudo dalla vita in giù (presumibilmente era statao violentato). Gettato in mezzo al cortile, incapace di sollevarsi, il Dr Adnan Al-Bursh era stato aiutatato da un altro detenuto che lo aveva accompagnato alla sua cella.
Ma nel giro di qualche minuto, dopo aver lanciato grida di dolore, era deceduto. Un altro nome da aggiungere alla lista degli operatori sanitari (ormai oltre 500) uccisi nella Striscia dall'inizio dell'invasione israeliana. Nelle stesse ore moriva un altro detenuto palestinese, Ismail Khader (33 anni). Sempre – stando alle dichiarazioni della Commissione per gli affari dei prigionieri- a causa “dei pestaggi e delle torture subite”.
Molti dei palestinesi arrestati (qualche centinaio) sono rinchiusi in basi militari e campi di detenzione nel Neghev. Qui, come è stato denunciato anche da ong israeliane per i diritti umani, vengono tenuti in condizioni degradanti. A causa delle torture e degli abusi alcuni avrebbero perso la vita (erano 27 quelli accertati ancora in aprile). Per protestare contro tale situazione, sempre in aprile, militanti della sinistra israeliana avevano organizzato una manifestazione davanti alla base dell'aviazione di Sde Taiman (dove era stato rinchiuso e torturato Adnan al-Bursh). Qui, come denunciavano ex detenuti e medici, si sarebbero verificati i fatti più gravi. Alcuni avvocati israeliani che avevano avuto modo di conoscerla, non esitavano nel paragonarla a Abu Ghraib o a Guantanamo.
Gianni Sartori
Gianni Sartori - 19/11/2024 - 23:57
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Scrivo. E nel frattempo a Gaza vanno all'appuntamento con la tragedia
quotidiana. Nella loro terra sono estranei, separati, senza domani, senza
protezioni, esplorano i margini del dolore. Maledetti dall’odio del custode che
stamattina si è svegliato più vorace. Serrati dalla sua legge, una macchina che
scava, devasta, frantuma, distrugge costruzioni e chiama a una lenta discesa
disperata in quella voragine che resta sempre aperta.
Muoiono, sospesi all'ingresso di un cielo stordito, scorticato dal filo spinato
che corrode anche la vista negata di bambini invisibili, ma con addosso ancora
l'accento della vita, che in loro risale con affanno per venire alla luce illegale
che li circonda nel fumo di una civiltà morente.
Quei loro sogni, infranti nello specchio, in me scorrono come nuvole
periodiche contaminate da rabbia inefficace. E voleranno eterni in lenti
intervalli di memoria che non saranno mai raffigurati perché state
abbandonando il libro che si chiude sulle loro vite.
E ne ho sentito esplodere i drammi sovrumani. Stanno tra gli obiettivi delle
bombe.
17 luglio 2014