The dead lay rotting in their beds,
On the road, piled beside their half-dug graves
For now they outnumber the living
And soon the living will carry the dead
As the relentless Winter closes colder
There is little of food and less of warmth
As the cursed lay untended and thrashing in filth
In the depth of the darkest days
The huddle in black cold, alone or in pairs
By the weakening flames of a fading fire
As they await the dire marks of the curse
And they shiver into the throes of deadly fever
In their lonely death, in the cold dark days
They will never know if they were the last
Empty vistas of moor and mountain
Embrace this valley of burgeoning green
Where amongst the silent houses
The crops have gone to seed
And the foul'd have fled the coup
A door hangs ajar, beats lowly in the breeze
The wood rots slowly in the swirling wind
In the endless silence, every child of this place
Every mother, father, friend and fiend
Is cursed now with the same grim face
Of sunken eye and putrid skin
Shrivelled lips bare grinning teeth
And in the lonely silence, there is not a soul
To remember that here, there once was life.
On the road, piled beside their half-dug graves
For now they outnumber the living
And soon the living will carry the dead
As the relentless Winter closes colder
There is little of food and less of warmth
As the cursed lay untended and thrashing in filth
In the depth of the darkest days
The huddle in black cold, alone or in pairs
By the weakening flames of a fading fire
As they await the dire marks of the curse
And they shiver into the throes of deadly fever
In their lonely death, in the cold dark days
They will never know if they were the last
Empty vistas of moor and mountain
Embrace this valley of burgeoning green
Where amongst the silent houses
The crops have gone to seed
And the foul'd have fled the coup
A door hangs ajar, beats lowly in the breeze
The wood rots slowly in the swirling wind
In the endless silence, every child of this place
Every mother, father, friend and fiend
Is cursed now with the same grim face
Of sunken eye and putrid skin
Shrivelled lips bare grinning teeth
And in the lonely silence, there is not a soul
To remember that here, there once was life.
envoyé par Riccardo Venturi - 4/6/2019 - 21:15
Langue: italien
Traduzione italiana / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös:
Riccardo Venturi, 04-06-2019 21:20
Riccardo Venturi, 04-06-2019 21:20
GIORNI OSCURI
I morti giacevano marcendo nei loro letti.
Per strada, ammassati accanto alle loro fosse scavate a metà
Perché, adesso, superano i vivi per quantità
E presto i vivi porteranno i morti
Mentre avanza più freddo l'inesorabile Inverno
C'è poco da mangiare, e di calore ancora meno
Mentre i colpiti dalla maledizione
Giacevano incustoditi dimenandosi nel sudiciume
Nel profondo dei giorni più oscuri
La ressa nel gelo nero, gente sola o in coppia
Presso le fiamme morenti di un fuoco evanescente
Mentre attendono gli orrendi segni della maledizione
E tremano negli spasimi della febbre mortale
Morendo soli, nei freddi giorni oscuri
Non sapranno mai se erano gli ultimi
Vuote vedute di brughiere e montagne
Abbracciano questa valle di verzura che sboccia
Dove, tra le case che tacciono
I semi sono germogliati
E gli appestati sono fuggiti via
Una porta si spalanca, sbatte piano nella brezza
Il legno marcisce lentamente nel vento turbinante
Nel silenzio infinito, ogni bambino del posto
Ogni madre, ogni padre, ogni amico e nemico
Reca ora la maledizione con la stessa ghigna
D'occhi infossati e di pelle imputridita
Labbra raggrinzite, denti scoperti e digrignanti
E nel silenzio dell'abbandono, nemmeno un'anima
A ricordare che qua, un tempo, c'era la vita.
I morti giacevano marcendo nei loro letti.
Per strada, ammassati accanto alle loro fosse scavate a metà
Perché, adesso, superano i vivi per quantità
E presto i vivi porteranno i morti
Mentre avanza più freddo l'inesorabile Inverno
C'è poco da mangiare, e di calore ancora meno
Mentre i colpiti dalla maledizione
Giacevano incustoditi dimenandosi nel sudiciume
Nel profondo dei giorni più oscuri
La ressa nel gelo nero, gente sola o in coppia
Presso le fiamme morenti di un fuoco evanescente
Mentre attendono gli orrendi segni della maledizione
E tremano negli spasimi della febbre mortale
Morendo soli, nei freddi giorni oscuri
Non sapranno mai se erano gli ultimi
Vuote vedute di brughiere e montagne
Abbracciano questa valle di verzura che sboccia
Dove, tra le case che tacciono
I semi sono germogliati
E gli appestati sono fuggiti via
Una porta si spalanca, sbatte piano nella brezza
Il legno marcisce lentamente nel vento turbinante
Nel silenzio infinito, ogni bambino del posto
Ogni madre, ogni padre, ogni amico e nemico
Reca ora la maledizione con la stessa ghigna
D'occhi infossati e di pelle imputridita
Labbra raggrinzite, denti scoperti e digrignanti
E nel silenzio dell'abbandono, nemmeno un'anima
A ricordare che qua, un tempo, c'era la vita.
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Lyrics and music / Testo e musica / Paroles et musique / Sanat ja sävel: The Slow Death
Album: The Slow Death
Dopo sette secoli, parlarne fa ancora paura. La Yersinia pestis e i suoi topi sono ben lungi dall'essere scomparsi dall'immaginario collettivo; sto parlando, naturalmente, della Peste Nera, l'epidemia che, tra il 1348 e il 1353, devastò e spopolò l'Europa intera dalla Grecia alla Scandinavia facendo decine di milioni di morti (tra i venticinque e i cinquanta, secondo stime più o meno al rialzo o al ribasso). Si dovette attendere la Spagnola del 1918, che era un'epidemia d'influenza, per rivedere una cosa del genere, nonostante epidemie di altre malattie e, beninteso, altre pestilenze colpissero periodicamente il continente.
“Guerra, peste, carestia”. La triade delle piaghe più terribili, in ultima analisi, ha più o meno sempre a che fare con la prima di esse, la guerra. Anche se non si trattava di una pestilenza, la Spagnola del 1918 riuscì a devastare tutta l'Europa proprio per le condizioni (sanitarie, igieniche, sociali, alimentari e quant'altro) indotte dalla guerra mondiale appena terminata; la Peste Nera del 1348 ebbe invece origine da un fatto bellico ben preciso. Sviluppatasi probabilmente da un ceppo in Asia centrale per una moria di roditori dovuta alla scarsità di cibo e all'irrigidimento delle condizioni climatiche (in mancanza di topi, le pulci che veicolano il bacillo della peste cominciarono a attaccare l'uomo e altri mammiferi), profittò ben presto sia delle terribili condizioni igieniche delle città medievali, sia dell'efficiente sistema di comunicazioni dell'Impero mongolo. Verso il 1338 o 1339, la pestilenza aveva già raggiunto le comunità nestoriane presso il lago Issyk-Kul, nel Kirghizistan; le prime testimonianze si ritrovano proprio presso questo lago, che era una tappa obbligata sulla Via della Seta. Nel 1345 vi furono i primi casi a Sarai, sul Volga meridionale, e in Crimea; nel 1346 si ebbero le prime vittime a Astrachan'.
Nel 1347, l'Orda d'Oro, guidata da Ganī Bek, assediava Caffa, in Crimea (l'odierna Feodosia), capoluogo della ricca colonia genovese della Gazaria e scalo sulla Via dell'Oriente; la peste raggiunse la città proprio al seguito dell'Orda d'Oro. Secondo una cronaca anonima, ma attribuita al frate francescano Michele da Piazza, gli assedianti, per stroncare la resistenza della città, si misero a gettare con le catapulte i cadaveri degli appestati entro le mura della città; gli abitanti di Caffa avrebbero immediatamente gettato i corpi in mare, ma la peste entrò comunque. Una volta entrata il Caffa, la peste fu messa subito in circolo nella vasta rete commerciale dei genovesi, che si estendeva in tutto il Mediterraneo. A bordo delle navi genovesi, la peste arrivò a Costantinopoli, la prima città europea contagiata; da lì, raggiunse Messina e nel corso dei successivi tre anni flagellò tutta l'Europa fino alla Polonia e alla Scandinavia. Sebbene in misura minore, attraverso l'Egitto giunse fino alla Nubia e all'Africa centrale.
Le conseguenze della Peste Nera furono incalcolabili sotto ogni punto di vista; tant'è che molti, e a ragione, considerano proprio quegli anni tra il 1348 e il 1353 come spartiacque tra il Medioevo e l'Età Moderna. Nacquero, ad esempio, molti movimenti religiosi estremi che sfidarono il monopolio della Chiesa in materia spirituale e terrena. L'economia non resse più l'urto dell'epidemia, con la distruzione totale della manodopera; per moltissimi, non ebbe più senso continuare a lavorare i campi se comunque dovevano morire, e l'intera agricoltura europea andò in rovina. Crollò l'autorità della Chiesa e dello Stato, anche e soprattutto per l'inefficienza delle misure messe in campo contro il contagio; e, naturalmente, si trovarono immediatamente dei capri espiatori. Soprattutto in Germania l'epidemia fu accompagnata da una gravissima persecuzione degli ebrei, probabilmente la più grave fino alla Shoah. I pogrom ebbero inizio quando la popolazione esasperata cercava un colpevole e ve lo trovò appunto negli ebrei che, nonostante il forte calo nel traffico delle lane, continuavano a pretendere le imposte in quanto molti di loro erano esattori. Le autorità tentarono di arginare le violenze. Già nel 1348 papa Clemente VI definiva "inconcepibili" le accuse che gli ebrei diffondessero la peste avvelenando i pozzi, perché l'epidemia infuriava anche dove non c'erano ebrei, e laddove vi erano ebrei, anch'essi finivano vittime del contagio. Il papa invitava il clero a porre gli ebrei sotto la sua protezione. Clemente VI vietò di uccidere ebrei senza processo e di saccheggiare le loro case. Le bolle papali ebbero effetto solo ad Avignone, mentre altrove contribuirono ben poco alla salvezza degli ebrei. Lo stesso vale per la regina Giovanna I di Napoli che, nel maggio 1348, aveva diminuito i tributi dovutile dagli ebrei che vivevano nei suoi possedimenti provenzali, per compensare le perdite dovute ai saccheggi subiti. Nel giugno dello stesso anno i funzionari reali vennero cacciati dalle città della Provenza, fatto che illustra la debolezza della tutela degli ebrei causata dalla perdita di autorità dei monarchi.
Molte cose vennero dalla Peste Nera, molte e che ancora oggi hanno la loro influenza. L'Europa medievale ne ebbe un mutamento profondo; dopo il 1348 i modelli culturali del XIII secolo (e dell'intero Medioevo) ebbero termine. Le incalcolabili perdite di vite umane causarono una ristrutturazione della società che, a lungo termine, ebbero effetti positivi. Il drammatico crollo demografico rese disponibili terreni agricoli e posti di lavoro remunerativi, con il contemporaneo abbandono dei terreni meno redditizi (e di un enorme numero di villaggi). Crollarono i fitti agricoli e aumentarono le retribuzioni nelle città, facendo sì che un gran numero di persone iniziassero a godere di un benessere in precedenza irraggiungibile.
La manodopera superstite era carissima, e questo favorì la meccanizzazione del lavoro; il tardo Medioevo divenne un'epoca di notevoli innovazioni tecniche. Ne saranno citate due su tutte: la stampa e le armi da fuoco. Fin quando i compensi degli amanuensi erano rimasti bassi, la copia a mano era stata una soluzione soddisfacente per la riproduzione delle opere; ma quando l'aumento del costo del lavoro si fece sentire, si diede il via a una serie di esperimenti che portano all'invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg. La guerra medievale aveva bisogno di un gran numero di soldati per maneggiare le armi bianche; ma quando il numero di soldati diminuì drasticamente per la peste, si rese necessaria l'evoluzione della tecnica delle armi da fuoco (dalla guerra nacque la pestilenza, e alla guerra tornò). In generale, la Peste Nera causò una crisi profonda delle concezioni medievali di uomo e di universo, scuotendo le certezze della fede che avevano dominato fino ad allora; ci sarebbe quindi un rapporto causale diretto tra quella catastrofe e l'avvio del Rinascimento.
Tutto questo, però, è materia storica dei secoli successivi. Che cosa sia stata la Peste Nera lo si può leggere bene nel celebre e bellissimo capitolo introduttivo del Decamerone di Giovanni Boccaccio, che si svolge proprio attorno al 1348 in una Firenze dove morirono i tre quarti della popolazione:
Era il più da' vicini una medesima maniera servata, mossi non meno da tema che la corruzione de' morti non gli offendesse, che da carità la quale avessero a' trapassati. Essi, e per sé medesimi e con l'aiuto d'alcuni portatori, quando aver ne potevano, traevano dalle lor case li corpi de' già passati, e quegli davanti alli loro usci ponevano, dove, la mattina spezialmente, n'avrebbe potuti veder senza numero chi fosse attorno andato: e quindi fatte venir bare, (e tali furono, che, per difetto di quelle, sopra alcuna tavole) ne portavano. Né fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente, né avvenne pure una volta, ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che la moglie e 'l marito, di due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o così fattamente ne contenieno.»
Grazie alla bella pensata degli assedianti di Caffa (la stupidità umana non ha né confini né tempo), l'Europa intera ebbe a patire tutto questo. Può essere comunque che la pestilenza, in un modo o nell'altro, avrebbe comunque raggiunto l'Europa; non era certamente la prima, anche se non di queste dimensioni (tra l'altro, il bacillo della Yersinia era quasi sicuramente mutato in modo ancor più micidiale), e non fu l'ultima. Si ritiene che, fino al XVIII secolo, tutte le epidemie di peste scoppiate in Europa quasi ad ogni generazione siano state causate dal medesimo agente patogeno della Peste Nera del 1348; tra queste, quella del 1576-77 (la “Peste di San Carlo”) e la terribile peste del 1630 abbattutasi sul Nord Italia, quella dei Promessi Sposi del Manzoni. Così pure la Peste di Londra del 1665-1666 e quella di Vienna del 1679. La Peste di Marsiglia del 1720-22 è invece considerata proveniente da un ceppo del vicino Oriente.
Così oggi, cercando canzoni sull'antico flagello, mi sono accorto che quasi tutte quelle che ne parlano provengono dall'heavy metal in tutte le sue varie declinazioni. Non me ne sono stupito affatto. L'argomento “si confà” a quel tipo di genere musicale; senza contare che considero, forse arditamente ma secondo me con qualche fondamento, l'heavy metal come la “Musica classica del rock”. Tra tutti i brani “appestati”, ho scelto quindi questo degli australiani The Slow Death che mi sembra molto bello sia per la musica, sia per il testo non solo solenne e dolente, ma anche segnato da un linguaggio ricercato (arcaico in alcuni punti) e elevato. Si tratta di una lunga suite di diciotto minuti che accentua il suo valore “classico”. Naturalmente, è possibile che i The Slow Death non fossero interessati alla pestilenza come diretta derivazione della guerra; ma il loro brano la evoca comunque in modo perfetto, tragicamente e splendidamente cupo. [RV]