Romperá la tarde mi voz
hasta el eco de ayer.
Voy quedándome solo al final
muerto de sed, harto de andar
pero sigo creciendo en el sol, vivo.
Era el tiempo viejo, la flor,
la madera frutal,
luego el hacha se puso a golpear,
verse caer, sólo rodar
pero el árbol reverdecerá, nuevo.
Al quemarse en el cielo la luz del día, me voy
con el cuero asombrado me iré
ronco al gritar que volveré
repartido en el aire a cantar, siempre.
Mi razón no pide piedad
se dispone a partir.
No me asusta la muerte ritual
sólo dormir, verme borrar
una historia me recordará, vivo.
Veo el campo, el fruto, la miel
y estas ganas de amar.
No me puede el olvido vencer
hoy como ayer, siempre llegar
en el hijo se puede volver, nuevo.
hasta el eco de ayer.
Voy quedándome solo al final
muerto de sed, harto de andar
pero sigo creciendo en el sol, vivo.
Era el tiempo viejo, la flor,
la madera frutal,
luego el hacha se puso a golpear,
verse caer, sólo rodar
pero el árbol reverdecerá, nuevo.
Al quemarse en el cielo la luz del día, me voy
con el cuero asombrado me iré
ronco al gritar que volveré
repartido en el aire a cantar, siempre.
Mi razón no pide piedad
se dispone a partir.
No me asusta la muerte ritual
sólo dormir, verme borrar
una historia me recordará, vivo.
Veo el campo, el fruto, la miel
y estas ganas de amar.
No me puede el olvido vencer
hoy como ayer, siempre llegar
en el hijo se puede volver, nuevo.
envoyé par Bernart Bartleby - 17/11/2018 - 22:07
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Scritta da Alfredo Rosales, Hamlet Lima Quintana e Norberto Ambrós.
Una canzone divenuta popolarissima nella versione de La Negra Sosa, ad iniziare dal suo disco "Yo no canto por cantar" del 1966, un titolo che, non a caso, è anche l'incipit di Manifiesto, la celeberrima canzone di Víctor Jara che dà il titolo al suo album incompiuto – che doveva intitolarsi "Tiempos que cambian" – realizzato a Londra l'anno seguente al suo assassinio, grazie ad un giornalista svedese, Jan Sandquist, che si era prestato a salvare i nastri che sarebbero stati certamente distrutti dai militari di Pinochet.
Questa splendida canzone – finora incredibilmente assente, seppur più volte citata, sulle CCG/AWS – varrebbe forse di per se stessa l'inserimento, ma a maggior ragione perchè nel canto dei prigionieri politici cileni assunse una valenza particolare: "era il tempo dei fiori e dei frutti, ma l'ascia si mise ad abbattere l'albero, che però un giorno tornerà verde, di nuovo..."
Su Cantos Cautivos è riportata la testimonianza di Ana María Jiménez, che tra il 1975 ed il 1976 fu prigioniera a Villa Grimaldi, famigerato centro di detenzione della DINA di Pinochet, alla periferia di Santiago, e poi anche a Tres Álamos.
Una sera di aprile del 1975, una carceriera di Villa Grimaldi ordinò alla Jiménez di cantare. Lei voleva rifiutarsi, rischiando peraltro d'incorrere nell'ira delle guardie, ma una sua compagna - Gladys Díaz, militante del MIR, oggi giornalista – la incoraggiò: "Canta, ragazza, che nella torre sta agonizzando il "Yugoslavo", non passerà la notte, e lo aiuterà sentir cantare.".
Infatti proprio in quel momento la DINA stava torturando uno dei prigionieri, Cedomil Lausic Glasinovic, di professione agronomo, dirigente del MIR... Sarebbe morto a causa delle sevizie dopo qualche giorno di agonia, privato di ogni assistenza medica... Così Ana María Jiménez intonò "Zamba para no morir", prima con voce flebile, poi sempre più sicura. Era diventato un atto politico. La carceriera la fece subito smettere e fece rientrare tutte le prigioniere nelle celle, salvo la Jiménez, che fu lasciata nel patio, sola, al freddo, terrorizzata...
Una canzone che, come altre – e penso soprattutto a Rasguña las piedras degli argentini Sui Generis – non è nata forse come canzone politica contro l'oppressione, contro la dittatura, contro la guerra, ma che lo è diventata in pieno in un certo preciso momento storico, grazie al coraggio di una vittima che attraverso le sue strofe ha proposto un vero e proprio atto di resistenza contro l'abominio.