V zahradě za cihlovou zídkou,
popsanou v slavných výročích,
sedává na podzim na trávě před besídkou
děvčátko s páskou na očích.
Pohádku o mluvícím ptáku
nechá si přečíst z notesu,
pak pošle polibek po chmýří na bodláku
na vymyšlenou adresu.
Prosím vás, nechte ji, ach, nechte ji,
tu nevidomou dívku,
prosím vás, nechte ji si hrát,
vždyť možná hraje si na slunce s nebesy,
jež nikdy neuvidí, ač ji bude hřát.
Pohádku o mluvícím ptáku
a o třech zlatejch jabloních,
a taky o lásce, již v černých květech máku
přivezou jezdci na koních.
Pohádku o kouzelném slůvku,
jež vzbudí všechny zakleté,
pohádku o duze, jež spává na ostrůvku,
na kterém poklad najdete.
Prosím vás, nechte ji, ach, nechte ji,
tu nevidomou dívku,
prosím vás, nechte ji si hrát,
vždyť možná hraje si na slunce s nebesy,
jež nikdy neuvidí, ač ji bude hřát.
Recitál:
V zahradě za cihlovou zídkou,
popsanou v slavných výročích,
sedává na podzim na trávě před besídkou
děvčátko s páskou na očích.
Rukama dotýká se květů
a neruší ji motýli,
jen trochu hraje si s řetízkem amuletu,
jen na chvíli.
Prosím vás, nechte ji, ach, nechte ji,
tu nevidomou dívku,
prosím vás, nechte ji si hrát,
vždyť možná hraje si na slunce s nebesy,
jež nikdy neuvidí, ač ji bude hřát.
popsanou v slavných výročích,
sedává na podzim na trávě před besídkou
děvčátko s páskou na očích.
Pohádku o mluvícím ptáku
nechá si přečíst z notesu,
pak pošle polibek po chmýří na bodláku
na vymyšlenou adresu.
Prosím vás, nechte ji, ach, nechte ji,
tu nevidomou dívku,
prosím vás, nechte ji si hrát,
vždyť možná hraje si na slunce s nebesy,
jež nikdy neuvidí, ač ji bude hřát.
Pohádku o mluvícím ptáku
a o třech zlatejch jabloních,
a taky o lásce, již v černých květech máku
přivezou jezdci na koních.
Pohádku o kouzelném slůvku,
jež vzbudí všechny zakleté,
pohádku o duze, jež spává na ostrůvku,
na kterém poklad najdete.
Prosím vás, nechte ji, ach, nechte ji,
tu nevidomou dívku,
prosím vás, nechte ji si hrát,
vždyť možná hraje si na slunce s nebesy,
jež nikdy neuvidí, ač ji bude hřát.
Recitál:
V zahradě za cihlovou zídkou,
popsanou v slavných výročích,
sedává na podzim na trávě před besídkou
děvčátko s páskou na očích.
Rukama dotýká se květů
a neruší ji motýli,
jen trochu hraje si s řetízkem amuletu,
jen na chvíli.
Prosím vás, nechte ji, ach, nechte ji,
tu nevidomou dívku,
prosím vás, nechte ji si hrát,
vždyť možná hraje si na slunce s nebesy,
jež nikdy neuvidí, ač ji bude hřát.
envoyé par Riccardo Venturi - 3/9/2018 - 08:08
Langue: italien
Traduzione italiana / Italský překlad / Italian translation / Traduction italienne / Italiankielinen käännös : Riccardo Venturi
03.09.2018 08.15
Interpretata da Aneta Langerová
Due parole del traduttore. La traduzione che segue non tenta neppure di striscio di essere "in versi" o qualcosa che pur di lontano gli rassomigli: è semplicemente un'interpretazione. Le note presenti esprimono, in massima parte, incertezze, dubbi e ipotesi.
03.09.2018 08.15
Interpretata da Aneta Langerová
Due parole del traduttore. La traduzione che segue non tenta neppure di striscio di essere "in versi" o qualcosa che pur di lontano gli rassomigli: è semplicemente un'interpretazione. Le note presenti esprimono, in massima parte, incertezze, dubbi e ipotesi.
LA BAMBINA CIECA
In un giardino, dietro un muretto ammattonato
dove ci hanno scritto sopra, come si suol dire, per secoli, [1]
sta seduta sull'erba, in autunno, vicino a un'aiola
una bambina con gli occhi bendati.
Da un libriccino si sta facendo leggere
una fiaba su un uccello parlante,
poi manda un bacetto a mo' di soffio su un cardo [2]
all'indirizzo di non si sa chi. [3]
Vi prego, lasciatela, sí, lasciatela,
quella bambina cieca,
vi prego, lasciatela giocare
ché forse, ecco, sta giocando al sole che sta in cielo,
che seguiterà a riscaldarla anche se lei non lo vedrà mai.
Una fiaba su un uccello parlante
e su tre alberi di mele d'oro,
e anche sull'amore che, nei neri fiori di giusquiamo [4]
recano i cavalieri a cavallo.
Una fiaba su una paroletta magica,
che scioglie ogni incantesimo,
una fiaba su un arcobaleno che dorme su un'isoletta,
sulla quale troverete un tesoro.
Vi prego, lasciatela, sí, lasciatela,
quella bambina cieca,
vi prego, lasciatela giocare
ché forse, ecco, sta giocando al sole che sta in cielo,
che seguiterà a riscaldarla anche se lei non lo vedrà mai.
Recitato:
In un giardino, dietro un muretto ammattonato
dove ci hanno scritto sopra, come si suol dire, per secoli,
sta seduta sull'erba, in autunno, vicino a un'aiola
una bambina con gli occhi bendati.
Con le mani sta toccando un fiore
e le farfalle non la disturbano,
sta solo un po' giocando col laccetto d'un amuleto,
solo per un momento.
Vi prego, lasciatela, sí, lasciatela,
quella bambina cieca,
vi prego, lasciatela giocare
ché forse, ecco, sta giocando al sole che sta in cielo,
che seguiterà a riscaldarla anche se lei non lo vedrà mai.
In un giardino, dietro un muretto ammattonato
dove ci hanno scritto sopra, come si suol dire, per secoli, [1]
sta seduta sull'erba, in autunno, vicino a un'aiola
una bambina con gli occhi bendati.
Da un libriccino si sta facendo leggere
una fiaba su un uccello parlante,
poi manda un bacetto a mo' di soffio su un cardo [2]
all'indirizzo di non si sa chi. [3]
Vi prego, lasciatela, sí, lasciatela,
quella bambina cieca,
vi prego, lasciatela giocare
ché forse, ecco, sta giocando al sole che sta in cielo,
che seguiterà a riscaldarla anche se lei non lo vedrà mai.
Una fiaba su un uccello parlante
e su tre alberi di mele d'oro,
e anche sull'amore che, nei neri fiori di giusquiamo [4]
recano i cavalieri a cavallo.
Una fiaba su una paroletta magica,
che scioglie ogni incantesimo,
una fiaba su un arcobaleno che dorme su un'isoletta,
sulla quale troverete un tesoro.
Vi prego, lasciatela, sí, lasciatela,
quella bambina cieca,
vi prego, lasciatela giocare
ché forse, ecco, sta giocando al sole che sta in cielo,
che seguiterà a riscaldarla anche se lei non lo vedrà mai.
Recitato:
In un giardino, dietro un muretto ammattonato
dove ci hanno scritto sopra, come si suol dire, per secoli,
sta seduta sull'erba, in autunno, vicino a un'aiola
una bambina con gli occhi bendati.
Con le mani sta toccando un fiore
e le farfalle non la disturbano,
sta solo un po' giocando col laccetto d'un amuleto,
solo per un momento.
Vi prego, lasciatela, sí, lasciatela,
quella bambina cieca,
vi prego, lasciatela giocare
ché forse, ecco, sta giocando al sole che sta in cielo,
che seguiterà a riscaldarla anche se lei non lo vedrà mai.
[1] Così mi è parso di interpretare parecchio “ad sensum”, intendendo il verbo popsat non come “descrivere”, ma proprio letteralmente come “scrivere sopra”, addirittura “scarabocchiare”. Výročí, alla lettera, vuol dire “anniversario, giubileo”; una traduzione letterale (“descritto nei famosi/gloriosi anniversari”) non ha molto senso, né lo ha qualcosa come “descritto nelle gloriose / antiche storie”. Mi è venuto quindi a mente lo scenario di un qualsiasi muretto cittadino a ridosso di un prato, pieno di scritte (“Katia ama Jonathan”, “Forza Viola”, “nervi tesi, fasci appesi”, “Katia ama Jonathan ma la dà a Samuel” ecc.), dove la bambina sta seduta. Lo “slavných výročích” l'ho trasformato nel modo presente nella traduzione (“famoso” nel senso italiano di “noto a tutti, come si suol dire”). Magari ho sbagliato tutto, però è quel che avevo davvero in mente.
[2] Il cardo selvatico (Carduus), in ceco bodlák, ha un fiore cosiddetto a “pappo” (in ceco: chmýří) che ricorda l'analogo pappo del dente di leone, o piscialletto (Taraxacum officinale). Entrambe le piante, del resto, fanno parte della medesima famiglia delle Asteracee. E' il gesto della bambina che soffia su un fiore: chi, da bambino, non ha mai soffiato su un “soffione” del piscialletto, umile pianta di periferia cittadina. E' esattamente il gesto che mi è venuto a mente per la bambina cieca della canzone.
[3] Alla lettera: “indirizzo inventato / immaginario”.
[4] Ammetto di essere fissato con le specificazioni botaniche, ma i “neri fiori di papavero” della canzone mi lasciavano un po' perplesso, sebbene effettivamente gli stami del papavero comune, o rosolaccio (Papaver rhoeas) siano di colore nero. Il papavero nero, peraltro, esiste sul serio: si chiama Papavero Evelina, ma si tratta di una ibridazione ottenuta in Italia nel 1997. Ho poi scoperto che, in ceco, si chiama černý mák (alla lettera proprio “papavero nero”) quello che più comunemente è detto Blín černý, vale a dire il Giùsquiamo nero (Hyoscyamus niger), che per inciso è una delle piante più mortalmente velenose che esistano sulla faccia della terra (naturalmente una solanacea!) e con la quale viene avvelenato a morte il padre di Amleto, nella tragedia shakespeariana, versandogliene delle gocce nell'orecchio mentre dorme (in inglese la pianta reca il curioso ma eloquente nome di henbane “ammazzagalline”). C'è un leggero problema, però: i fiori del giusquiamo nero non sono affatto neri, ma di color giallo pallido. La pianta, poi, non cresce affatto nei prati cittadini, ed anzi la sua coltivazione a scopo medicinale è strettamente regolata ed è generalmente proibita ai comuni cittadini: figurarsi se lo si trova in un'aiola. Però, all'immagine dei cavalieri che “recano l'amore” in una pianta velenosa (la quale deve il suo appellativo di “nero”, probabilmente, alla sua letale tossicità), non ho resistito sia per l'antica passione che ho per le piante velenose, sia per l'amore recato in una pianta che ammazza. E' naturalmente possibile che i “neri fiori di papavero” di Karel Kryl siano da intendere nel senso che, per una bambina cieca, ogni cosa è nera...
[2] Il cardo selvatico (Carduus), in ceco bodlák, ha un fiore cosiddetto a “pappo” (in ceco: chmýří) che ricorda l'analogo pappo del dente di leone, o piscialletto (Taraxacum officinale). Entrambe le piante, del resto, fanno parte della medesima famiglia delle Asteracee. E' il gesto della bambina che soffia su un fiore: chi, da bambino, non ha mai soffiato su un “soffione” del piscialletto, umile pianta di periferia cittadina. E' esattamente il gesto che mi è venuto a mente per la bambina cieca della canzone.
[3] Alla lettera: “indirizzo inventato / immaginario”.
[4] Ammetto di essere fissato con le specificazioni botaniche, ma i “neri fiori di papavero” della canzone mi lasciavano un po' perplesso, sebbene effettivamente gli stami del papavero comune, o rosolaccio (Papaver rhoeas) siano di colore nero. Il papavero nero, peraltro, esiste sul serio: si chiama Papavero Evelina, ma si tratta di una ibridazione ottenuta in Italia nel 1997. Ho poi scoperto che, in ceco, si chiama černý mák (alla lettera proprio “papavero nero”) quello che più comunemente è detto Blín černý, vale a dire il Giùsquiamo nero (Hyoscyamus niger), che per inciso è una delle piante più mortalmente velenose che esistano sulla faccia della terra (naturalmente una solanacea!) e con la quale viene avvelenato a morte il padre di Amleto, nella tragedia shakespeariana, versandogliene delle gocce nell'orecchio mentre dorme (in inglese la pianta reca il curioso ma eloquente nome di henbane “ammazzagalline”). C'è un leggero problema, però: i fiori del giusquiamo nero non sono affatto neri, ma di color giallo pallido. La pianta, poi, non cresce affatto nei prati cittadini, ed anzi la sua coltivazione a scopo medicinale è strettamente regolata ed è generalmente proibita ai comuni cittadini: figurarsi se lo si trova in un'aiola. Però, all'immagine dei cavalieri che “recano l'amore” in una pianta velenosa (la quale deve il suo appellativo di “nero”, probabilmente, alla sua letale tossicità), non ho resistito sia per l'antica passione che ho per le piante velenose, sia per l'amore recato in una pianta che ammazza. E' naturalmente possibile che i “neri fiori di papavero” di Karel Kryl siano da intendere nel senso che, per una bambina cieca, ogni cosa è nera...
Langue: français
Version française – LA FILLE AVEUGLE – Marco Valdo M.I. – 2018
d’après la version italienne de Riccardo Venturi – LA BAMBINA CIECA – 2018
d’une chanson tchèque – Nevidomá dívka – Karel Kryl – 1969
Album : Bratříčku, zavírej vrátka
1969, LP, Panton, ČSSR
De l’album et de la chanson « Bratříčku, zavírej vrátka », on a déjà beaucoup parlé : c’est le premier album publié par Karel Kryl, en 1969, peu après l’invasion d’août 1968, très peu après le geste de Jan Palach, et juste avant que l’auteur-compositeur ne fuie en Allemagne. Il y était allé pour participer à un festival à Dommershausen, en Rhénanie, mais il savait que, s’il rentrait en Tchécoslovaquie, il serait arrêté. Je suis convaincu que, sans « La Fille aveugle », on ne peut pas avoir une idée complète de cet album, d’autant plus si on accepte mon impression personnelle : à savoir que, derrière l’image, ou le tableau, de la fille aveugle qui joue calmement dans le pré, se cache une délicate métaphore sur la Tchécoslovaquie d’alors. Une « fille aveugle » qui ne verra jamais le soleil et qui joue avec fantaisie, malgré tout, dans un climat oppressant et sombre. Je ne sais pas naturellement si mon hypothèse est juste, et c’est pour ça que j’insère cette chanson dans les « Extras », en m’en tenant à l’histoire simple qui vous est racontée, une histoire qu’on pourrait définir « andersenienne ». Et une chanson stupéfiante, comme plus ou moins toutes celles écrites par Karel Kryl. Tant que pour en donner une idée, j’ai tenté une traduction italienne, aussi parfaitement conscient de mon tchèque euphémiquement imparfait et en me confrontant en outre face à la langue de Karel Kryl, que je ne crois même pas très simple pour les Tchèques de langue maternelle. J’élèverai naturellement une prière à Sainte Stanislava pour qu’elle veuille satisfaire mes souhaits et me fasse tôt ou tard apprendre le tchèque « comme il faut ». [RV]
d’après la version italienne de Riccardo Venturi – LA BAMBINA CIECA – 2018
d’une chanson tchèque – Nevidomá dívka – Karel Kryl – 1969
Album : Bratříčku, zavírej vrátka
1969, LP, Panton, ČSSR
De l’album et de la chanson « Bratříčku, zavírej vrátka », on a déjà beaucoup parlé : c’est le premier album publié par Karel Kryl, en 1969, peu après l’invasion d’août 1968, très peu après le geste de Jan Palach, et juste avant que l’auteur-compositeur ne fuie en Allemagne. Il y était allé pour participer à un festival à Dommershausen, en Rhénanie, mais il savait que, s’il rentrait en Tchécoslovaquie, il serait arrêté. Je suis convaincu que, sans « La Fille aveugle », on ne peut pas avoir une idée complète de cet album, d’autant plus si on accepte mon impression personnelle : à savoir que, derrière l’image, ou le tableau, de la fille aveugle qui joue calmement dans le pré, se cache une délicate métaphore sur la Tchécoslovaquie d’alors. Une « fille aveugle » qui ne verra jamais le soleil et qui joue avec fantaisie, malgré tout, dans un climat oppressant et sombre. Je ne sais pas naturellement si mon hypothèse est juste, et c’est pour ça que j’insère cette chanson dans les « Extras », en m’en tenant à l’histoire simple qui vous est racontée, une histoire qu’on pourrait définir « andersenienne ». Et une chanson stupéfiante, comme plus ou moins toutes celles écrites par Karel Kryl. Tant que pour en donner une idée, j’ai tenté une traduction italienne, aussi parfaitement conscient de mon tchèque euphémiquement imparfait et en me confrontant en outre face à la langue de Karel Kryl, que je ne crois même pas très simple pour les Tchèques de langue maternelle. J’élèverai naturellement une prière à Sainte Stanislava pour qu’elle veuille satisfaire mes souhaits et me fasse tôt ou tard apprendre le tchèque « comme il faut ». [RV]
Dialogue maïeutique
Ah, Lucien l’âne mon ami, voici une chanson de Karel Kryl, qui est un chanteur tchèque qui était né dans la foulée de la « libération » de son pays par les Ivans, ces grands frères depuis tant aimés par l’immense majorité des habitants du pays, à l’exception notable des nouveaux notables du Parti, qui eux, dans l’ensemble, les appréciaient vraiment ; ils leur devaient leur pouvoir.
Oh, j’imagine assez bien l’ambiance dans laquelle, comme je suppose, la jeune fille aveugle, il a grandi. En somme, on peut être certain que Karel Kryl chante d’expérience. Ce serait donc l’histoire des enfants de ce pays aveuglé, aux yeux bandés derrière un rideau de fer.
Cette fille aveugle de la chanson de Karel Kryl est assurément une métaphore de la Tchécoslovaquie de son temps et probablement, d’autres temps encore ; ce pays a, comme tu le sais, subit depuis des siècles les invasions étrangères et sauf peut-être la période Masaryk, il ne pouvait être qu’une « fille aveugle », par force. C’était la seule manière d’échapper au réel. Il me paraît que tout comme Karel Čapek, Jaroslav Hašek (La chanson de Chveik le soldat), Franz Kafka, Josef Škvorecký, Jiří Šotola (Marengo) et tant d’autres – j’arrête là, je ne fais pas un cours de littérature tchèque, le poète et chanteur Kryl s’engageait souvent sur la voie mystérieuse de la métaphore. Et c’est nécessairement le cas ici ; les tankistes venaient à peine de s’installer. Pour qu’ils repartent, disait le rabbin, il faudra un miracle.
Il me semble aussi, dit Lucien l’âne. C’est à la fois une tradition de ce pays où tout le peuple est littéralement entraîné à comprendre à demi-mot, à penser en images anodines, en contes de village, en récits nébuleux une réalité indicible, sous peine de sanctions diverses de la prison à la pendaison, en passant par les baignoires de la torture, les camps de « méditation » ou les travaux éducatifs. Dès lors, il faut regarder cette chanson comme une ballade qui racontait l’histoire de ceux qui l’écoutaient.
Certes, Lucien l’âne mon ami. Quant aux cavaliers rêveurs d’avoir consommé les fleurs de jusquiame, la fleur des sorcières – une opiacée en quelque sorte, qui ont la tête tournée par l’amour, est-ce une allusion à ces jeunes femmes et jeunes filles tchécoslovaques qui mini-jupes au vent et poitrines triomphantes se précipitèrent en août 1968 au-devant des tankistes étrangers, stupéfaits face à une telle armée ? « Idite domoï rouskje faschisty ! » (« Allez à la maison, fascistes russes !), disaient ces jolies demoiselles. Traduction : Laissez-nous jouer au soleil, même si (à cause de vous) on ne le voit pas. Enfin, c’est ainsi que je sens cette chanson, mais comme il se doit s’agissant d’un univers de métaphores, ce qui est dit, est dit pour ceux qui peuvent l’entendre.
Arrêtons ici ces supputations, Marco Valdo M.I. mon ami, et reprenons notre tâche et tissons le linceul de ce vieux monde envahisseur, dominateur, avide, arrogant et cacochyme.
Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
Ah, Lucien l’âne mon ami, voici une chanson de Karel Kryl, qui est un chanteur tchèque qui était né dans la foulée de la « libération » de son pays par les Ivans, ces grands frères depuis tant aimés par l’immense majorité des habitants du pays, à l’exception notable des nouveaux notables du Parti, qui eux, dans l’ensemble, les appréciaient vraiment ; ils leur devaient leur pouvoir.
Oh, j’imagine assez bien l’ambiance dans laquelle, comme je suppose, la jeune fille aveugle, il a grandi. En somme, on peut être certain que Karel Kryl chante d’expérience. Ce serait donc l’histoire des enfants de ce pays aveuglé, aux yeux bandés derrière un rideau de fer.
Cette fille aveugle de la chanson de Karel Kryl est assurément une métaphore de la Tchécoslovaquie de son temps et probablement, d’autres temps encore ; ce pays a, comme tu le sais, subit depuis des siècles les invasions étrangères et sauf peut-être la période Masaryk, il ne pouvait être qu’une « fille aveugle », par force. C’était la seule manière d’échapper au réel. Il me paraît que tout comme Karel Čapek, Jaroslav Hašek (La chanson de Chveik le soldat), Franz Kafka, Josef Škvorecký, Jiří Šotola (Marengo) et tant d’autres – j’arrête là, je ne fais pas un cours de littérature tchèque, le poète et chanteur Kryl s’engageait souvent sur la voie mystérieuse de la métaphore. Et c’est nécessairement le cas ici ; les tankistes venaient à peine de s’installer. Pour qu’ils repartent, disait le rabbin, il faudra un miracle.
Il me semble aussi, dit Lucien l’âne. C’est à la fois une tradition de ce pays où tout le peuple est littéralement entraîné à comprendre à demi-mot, à penser en images anodines, en contes de village, en récits nébuleux une réalité indicible, sous peine de sanctions diverses de la prison à la pendaison, en passant par les baignoires de la torture, les camps de « méditation » ou les travaux éducatifs. Dès lors, il faut regarder cette chanson comme une ballade qui racontait l’histoire de ceux qui l’écoutaient.
Certes, Lucien l’âne mon ami. Quant aux cavaliers rêveurs d’avoir consommé les fleurs de jusquiame, la fleur des sorcières – une opiacée en quelque sorte, qui ont la tête tournée par l’amour, est-ce une allusion à ces jeunes femmes et jeunes filles tchécoslovaques qui mini-jupes au vent et poitrines triomphantes se précipitèrent en août 1968 au-devant des tankistes étrangers, stupéfaits face à une telle armée ? « Idite domoï rouskje faschisty ! » (« Allez à la maison, fascistes russes !), disaient ces jolies demoiselles. Traduction : Laissez-nous jouer au soleil, même si (à cause de vous) on ne le voit pas. Enfin, c’est ainsi que je sens cette chanson, mais comme il se doit s’agissant d’un univers de métaphores, ce qui est dit, est dit pour ceux qui peuvent l’entendre.
Arrêtons ici ces supputations, Marco Valdo M.I. mon ami, et reprenons notre tâche et tissons le linceul de ce vieux monde envahisseur, dominateur, avide, arrogant et cacochyme.
Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
LA FILLE AVEUGLE
Dans un jardin, derrière un muret de briques,
Où ils ont écrit, dit-on, pour des siècles,
Est assise sur l’herbe, en automne, près d’un bosquet
Une enfant aux yeux bandés.
D’un petit livre, elle se fait lire
Une fable sur un oiseau parlant,
Puis, elle souffle les plumes de cirses
À l’adresse d’on ne sait quel néant.
Laissez-la, je vous prie, laissez-la,
Cette enfant aveugle, laissez-la,
Je vous prie, laissez-la jouer au soleil
Qui se tient haut dans le ciel,
Et qui la réchauffe, même si jamais elle ne le voit.
C’est le conte d’un oiseau parlant
Et de trois pommiers fringants,
Et de l’amour auquel, grâce aux fleurs de jusquiame,
Les cavaliers à cheval se pâment.
Un conte sur un petit mot magique,
Qui désactive tous les sorts,
Un conte sur un arc-en-ciel qui dort sur une île,
Où vous trouverez un trésor.
Laissez-la, je vous prie, laissez-la,
Cette enfant aveugle, laissez-la,
Je vous prie, laissez-la jouer au soleil
Qui se tient haut dans le ciel,
Et qui la réchauffe, même si jamais elle ne le voit.
Récité :
Dans un jardin, derrière un muret de briques
Où ils ont écrit, dit-on, pour des siècles,
Est assise sur l’herbe, en automne, près d’un bosquet
Une enfant aux yeux bandés.
Des mains, elle touche une fleurette,
Les papillons ne sont pas dérangeants ;
Seule, elle joue avec le lacet d’une amulette,
Seule, pour un moment.
Laissez-la, je vous prie, laissez-la,
Cette enfant aveugle, laissez-la,
Je vous prie, laissez-la jouer au soleil
Qui se tient haut dans le ciel,
Et qui la réchauffe, même si jamais elle ne le voit.
Dans un jardin, derrière un muret de briques,
Où ils ont écrit, dit-on, pour des siècles,
Est assise sur l’herbe, en automne, près d’un bosquet
Une enfant aux yeux bandés.
D’un petit livre, elle se fait lire
Une fable sur un oiseau parlant,
Puis, elle souffle les plumes de cirses
À l’adresse d’on ne sait quel néant.
Laissez-la, je vous prie, laissez-la,
Cette enfant aveugle, laissez-la,
Je vous prie, laissez-la jouer au soleil
Qui se tient haut dans le ciel,
Et qui la réchauffe, même si jamais elle ne le voit.
C’est le conte d’un oiseau parlant
Et de trois pommiers fringants,
Et de l’amour auquel, grâce aux fleurs de jusquiame,
Les cavaliers à cheval se pâment.
Un conte sur un petit mot magique,
Qui désactive tous les sorts,
Un conte sur un arc-en-ciel qui dort sur une île,
Où vous trouverez un trésor.
Laissez-la, je vous prie, laissez-la,
Cette enfant aveugle, laissez-la,
Je vous prie, laissez-la jouer au soleil
Qui se tient haut dans le ciel,
Et qui la réchauffe, même si jamais elle ne le voit.
Récité :
Dans un jardin, derrière un muret de briques
Où ils ont écrit, dit-on, pour des siècles,
Est assise sur l’herbe, en automne, près d’un bosquet
Une enfant aux yeux bandés.
Des mains, elle touche une fleurette,
Les papillons ne sont pas dérangeants ;
Seule, elle joue avec le lacet d’une amulette,
Seule, pour un moment.
Laissez-la, je vous prie, laissez-la,
Cette enfant aveugle, laissez-la,
Je vous prie, laissez-la jouer au soleil
Qui se tient haut dans le ciel,
Et qui la réchauffe, même si jamais elle ne le voit.
envoyé par Marco Valdo M.I. - 4/9/2018 - 20:29
Grazie Rick,
ti faccio soltanto notare che secondo Internazionale questa canzone entra a pieno titolo nel filone delle canzoni legate alla primavera di Praga. Loro la propongono nell'esecuzione di Hana Ulrychová & The Bluesmen. Così, di consequenza, credo che la tua interpretazione in quel senso sia al cento per cento azzeccata.
Ahoj
ti faccio soltanto notare che secondo Internazionale questa canzone entra a pieno titolo nel filone delle canzoni legate alla primavera di Praga. Loro la propongono nell'esecuzione di Hana Ulrychová & The Bluesmen. Così, di consequenza, credo che la tua interpretazione in quel senso sia al cento per cento azzeccata.
Ahoj
Krzysiek - 3/9/2018 - 17:06
Stanislava (La Santa! :) lo saprebbe sicuramente meglio, ma secondo me la tua ipotesi su Giùsquiamo nero, per quanto attraente, sia però fuoriviante. Fai caso che interno di un fiore di papavero è nero e una bambina può pure immaginera che siano tanti cavalieri neri su cavalli neri circondati di grandi petali rossi. La cultura popolare ceca (e non solo) ha usato spesso il fiore di papavero come un simbolo nelle fiabe e racconti vari. Giùsquiamo nero, molto meno appariscente e meno comune non faceva parte della diffusa tradizione orale.
Anche se non è vero che sia così raro. È una pianta che cresce spesso in zone ruderali, vicino agli cantieri, per esempio, ma non la trovi mai nelle quantità di papavero campestre mezza i cereali. Solo pochi esemplari, ma un anno ci sono e un altro anno chi sa dove si spostano. E poi, certo, per una bambina bendata tutti i fiori sono neri.
Anche se non è vero che sia così raro. È una pianta che cresce spesso in zone ruderali, vicino agli cantieri, per esempio, ma non la trovi mai nelle quantità di papavero campestre mezza i cereali. Solo pochi esemplari, ma un anno ci sono e un altro anno chi sa dove si spostano. E poi, certo, per una bambina bendata tutti i fiori sono neri.
Krzysiek - 3/9/2018 - 18:05
Dilectissime Christophore Corvine, per quanto riguarda i papaveri, neri o rossi che siano, hai certamente ragione; aggiungo che le metafore e gli usi del papavero nella cosiddetta "cultura popolare" sono diffusi un po' dappertutto, e non solo in quella ceca: il "fiore del sonno" sembra quasi fatto apposta per essere catturato dall'immaginazione e per diventare un simbolo (tanto è vero che lo è diventato, ad esempio, come "fiore contro la guerra" o come simbolo dei soldati morti in guerra, si veda l'apposito percorso di questo sito). Ciononostante, e con tutte le precisazioni del caso, nella mia traduzione, o qualunque cosa essa sia, mi tengo il giùsquiamo nero. Io, lo ribadisco, una pianta velenosa ce la devo infilare sempre, e sarei capace di preparare certe insalatine che te le raccomando, altro che "minestroni".
La conosci, ad esempio, questa? E' l' Aconitum napellus, una piantina molto bella e molto simpatica capace di ammazzare atrocemente un cristiano con una puntina di una sua fogliolina o di un suo petalo. In realtà, in natura l'ho vista una volta sola: ne era cresciuta una pianta, con mio grandissimo entusiasmo e commozione, sulla tomba di Emilio Canzi, il comandante partigiano anarchico piacentino che volle essere sepolto nel piccolo cimitero di Peli di Coli, in alto Appennino. Era morto a Piacenza in uno strano incidente stradale, investito da una camionetta inglese. E dalla sua tomba, almeno alcuni anni fa, era spuntata una pianta velenosissima e molto bella.
Perdona(te)mi quindi per il giùsquiamo, con il quale devo avere un po' violentato la cultura popolare ceca e la bellissima canzone di Karel Kryl. In effetti, la segnalazione sulla rivista "Internazionale" (non "L'Internazionale", sennò sembra il canto di Pottier e Degeyter...) era già stata fatta (dall'instancabile DQ82 nelle "chiacchiere", il ventre nascosto delle CCG); ma le "dieci canzoni" di "Internazionale" sono almeno in parte canzoni "di atmosfera", che vogliono dare un'idea del periodo della Primavera di Praga, e cosí via. Continuo comunque a pensare di non essere andato lontano dal vero con la mia ipotesi interpretativa "metaforica"; ma, per prudenza, lascio la canzone negli "Extra". Saluti velenosissimi!
La conosci, ad esempio, questa? E' l' Aconitum napellus, una piantina molto bella e molto simpatica capace di ammazzare atrocemente un cristiano con una puntina di una sua fogliolina o di un suo petalo. In realtà, in natura l'ho vista una volta sola: ne era cresciuta una pianta, con mio grandissimo entusiasmo e commozione, sulla tomba di Emilio Canzi, il comandante partigiano anarchico piacentino che volle essere sepolto nel piccolo cimitero di Peli di Coli, in alto Appennino. Era morto a Piacenza in uno strano incidente stradale, investito da una camionetta inglese. E dalla sua tomba, almeno alcuni anni fa, era spuntata una pianta velenosissima e molto bella.
Perdona(te)mi quindi per il giùsquiamo, con il quale devo avere un po' violentato la cultura popolare ceca e la bellissima canzone di Karel Kryl. In effetti, la segnalazione sulla rivista "Internazionale" (non "L'Internazionale", sennò sembra il canto di Pottier e Degeyter...) era già stata fatta (dall'instancabile DQ82 nelle "chiacchiere", il ventre nascosto delle CCG); ma le "dieci canzoni" di "Internazionale" sono almeno in parte canzoni "di atmosfera", che vogliono dare un'idea del periodo della Primavera di Praga, e cosí via. Continuo comunque a pensare di non essere andato lontano dal vero con la mia ipotesi interpretativa "metaforica"; ma, per prudenza, lascio la canzone negli "Extra". Saluti velenosissimi!
Riccardo Venturi - 5/9/2018 - 11:41
Ciao Riccardo, come sempre c’è poco da aggiungere alla tua traduzione. Sul primo punto sono d’accordo con te, anche per me “popsaná zídka” è un muretto con delle scritte sopra, non un muretto descritto da qualcuno, anche se dal punto di vista grammaticale non c’è differenza. Resta sempre un verso un po’ ambiguo, con questi “anniversari famosi”, ma potrebbe essere anche una trasformazione poetica della parola “výrok”, enunciato, tesi, espressione, che per fare la rima è andata a sovrapporsi alla parola výročí (cioè výročích invece di výrocích), e il “famoso” gli darebbe un tocco di ironia. Insomma anche per me l’immagine è quella di un muretto di mattoni su cui da sempre trovi le varie “notizie importanti”.
Poi c’è tutta quella storia dei papaveri neri o giusquiami che siano. Non lo so ma qualcosa mi dice che è proprio questo il verso chiave per l’interpretazione della canzone. Ho letto la tua spiegazione e tutta la discussione appassionata sui fiori velenosi che ne è venuta fuori, e non riesco a togliermi di testa un’ipotesi: ma se quest’immagine fosse usata da Kryl come un’ennesima metafora dell’occupazione della Cecoslovacchia? Se stesse proprio qui il riferimento nascosto? I cavalieri a cavallo al posto dei soldati con i carri armati, che ufficialmente hanno portato anch’essi l’amore fraterno, la protezione, l’aiuto amichevole e quant’altro. Perché questa era la “fiaba” che veniva raccontata. Ora, mi rendo conto che può essere una lettura un po’ ovvia e molto influenzata dal contesto storico, quasi a volercelo trovare per forza un riferimento a quei fatti. Però visto il periodo in cui uscì la canzone e il disco su cui si trovava, forse non ci s’ha neanche tutti i torti a pensarlo. Ad ogni modo, quell’immagine all’interno del testo secondo me non c’è stata messa a caso, ed è l’unica che chiaramente stride in tutto il racconto della bambina cieca. Se anche volessimo attenerci a un’interpretazione meramente letterale del testo, cioè le emozioni e immaginazioni interiori di una bambina cieca che gioca da sola in un giardino, questi due versi lascerebbero comunque perplessi, perché secondo me da come sono scritti, non possono essere intesi come un sogno d’amore di una bambina-ragazzina, intanto per il colore nero dei fiori (lasciamo per un attimo da parte la loro classificazione botanica) che mette tutto in un’atmosfera cupa, e poi anche per il plurale usato. Chi sono questi cavalieri sui cavalli che portano l’amore? Non si parla di un principe azzurro (che poi perché azzurro?) che potrebbe sognare una bambina che ascolta le fiabe, ma di tanti cavalieri con i fiori neri. Si intuisce che l’immagine è tutt’altra. E com’è da intendere questo “amore” che portano? Che poi non sono sicura se “recano l’amore” riesce a rendere tutte le sfumature del verbo “přivézt”. Il verbo “přivézt” significa alla lettera “portare qualcosa in qua su un mezzo di trasporto” (che può essere anche un cavallo, mentre se si porta una cosa a piedi il verbo da usare è “přinést”). Poi ci si imbatte nel solito problema dei verbi (im-)perfettivi: in questo caso abbiamo un verbo perfettivo che delinea un’azione compiuta, qualcosa che è successo o succederà una sola volta, che ha qualcosa di fatale che nel tempo presente in italiano sfugge: il “recano l’amore” può significare anche che i cavalieri sono soliti a donare fiori neri in segno di amore, mentre l’espressione ceca fa pensare a un evento ben preciso. Se avessi letto il testo della canzone senza sapere chi l’ha scritta e in che periodo, probabilmente avrei interpretato questo verso come un'allusione a una violenza sulla bambina cieca o qualcosa del genere, è quello che mi evoca questa immagine. Sapendo invece il contesto, si propone la metafora di quell’altra violenza politica e militare. Poi ovviamente sono interpretazioni, non posso certamente dire di capire cosa aveva in mente Karel Kryl mentre scriveva la canzone, solo perché ci unisce la lingua madre. Credo poi che non esiste un’interpretazione “ufficiale”, ho provato anche a cercare qualcosa a riguardo sul web ma si trova abbastanza poco. E così possiamo ognuno lasciar parlare la canzone alla propria anima e ognuno ci troviamo qualche significato.
Per quanto riguarda la traduzione di “černý mák”, difficilmente troviamo una resa univoca. Non mi sembra così fuorviante l’ipotesi del giusquiamo, bisogna impiegarci una pianta con connotazioni negative per mantenere l’atmosfera del testo ceco, e blín, di nome popolare černý mák, è da quelle parti abbastanza conosciuto come pianta velenosa. Ad ogni modo, credo che Karel Kryl si sia preso una licenza poetica per far colorare questi fiori di nero, e dunque bisogna concederla anche al traduttore! E allora Riccardo, lasciaci pure il giusquiamo, se ti ci garba :)
Poi c’è tutta quella storia dei papaveri neri o giusquiami che siano. Non lo so ma qualcosa mi dice che è proprio questo il verso chiave per l’interpretazione della canzone. Ho letto la tua spiegazione e tutta la discussione appassionata sui fiori velenosi che ne è venuta fuori, e non riesco a togliermi di testa un’ipotesi: ma se quest’immagine fosse usata da Kryl come un’ennesima metafora dell’occupazione della Cecoslovacchia? Se stesse proprio qui il riferimento nascosto? I cavalieri a cavallo al posto dei soldati con i carri armati, che ufficialmente hanno portato anch’essi l’amore fraterno, la protezione, l’aiuto amichevole e quant’altro. Perché questa era la “fiaba” che veniva raccontata. Ora, mi rendo conto che può essere una lettura un po’ ovvia e molto influenzata dal contesto storico, quasi a volercelo trovare per forza un riferimento a quei fatti. Però visto il periodo in cui uscì la canzone e il disco su cui si trovava, forse non ci s’ha neanche tutti i torti a pensarlo. Ad ogni modo, quell’immagine all’interno del testo secondo me non c’è stata messa a caso, ed è l’unica che chiaramente stride in tutto il racconto della bambina cieca. Se anche volessimo attenerci a un’interpretazione meramente letterale del testo, cioè le emozioni e immaginazioni interiori di una bambina cieca che gioca da sola in un giardino, questi due versi lascerebbero comunque perplessi, perché secondo me da come sono scritti, non possono essere intesi come un sogno d’amore di una bambina-ragazzina, intanto per il colore nero dei fiori (lasciamo per un attimo da parte la loro classificazione botanica) che mette tutto in un’atmosfera cupa, e poi anche per il plurale usato. Chi sono questi cavalieri sui cavalli che portano l’amore? Non si parla di un principe azzurro (che poi perché azzurro?) che potrebbe sognare una bambina che ascolta le fiabe, ma di tanti cavalieri con i fiori neri. Si intuisce che l’immagine è tutt’altra. E com’è da intendere questo “amore” che portano? Che poi non sono sicura se “recano l’amore” riesce a rendere tutte le sfumature del verbo “přivézt”. Il verbo “přivézt” significa alla lettera “portare qualcosa in qua su un mezzo di trasporto” (che può essere anche un cavallo, mentre se si porta una cosa a piedi il verbo da usare è “přinést”). Poi ci si imbatte nel solito problema dei verbi (im-)perfettivi: in questo caso abbiamo un verbo perfettivo che delinea un’azione compiuta, qualcosa che è successo o succederà una sola volta, che ha qualcosa di fatale che nel tempo presente in italiano sfugge: il “recano l’amore” può significare anche che i cavalieri sono soliti a donare fiori neri in segno di amore, mentre l’espressione ceca fa pensare a un evento ben preciso. Se avessi letto il testo della canzone senza sapere chi l’ha scritta e in che periodo, probabilmente avrei interpretato questo verso come un'allusione a una violenza sulla bambina cieca o qualcosa del genere, è quello che mi evoca questa immagine. Sapendo invece il contesto, si propone la metafora di quell’altra violenza politica e militare. Poi ovviamente sono interpretazioni, non posso certamente dire di capire cosa aveva in mente Karel Kryl mentre scriveva la canzone, solo perché ci unisce la lingua madre. Credo poi che non esiste un’interpretazione “ufficiale”, ho provato anche a cercare qualcosa a riguardo sul web ma si trova abbastanza poco. E così possiamo ognuno lasciar parlare la canzone alla propria anima e ognuno ci troviamo qualche significato.
Per quanto riguarda la traduzione di “černý mák”, difficilmente troviamo una resa univoca. Non mi sembra così fuorviante l’ipotesi del giusquiamo, bisogna impiegarci una pianta con connotazioni negative per mantenere l’atmosfera del testo ceco, e blín, di nome popolare černý mák, è da quelle parti abbastanza conosciuto come pianta velenosa. Ad ogni modo, credo che Karel Kryl si sia preso una licenza poetica per far colorare questi fiori di nero, e dunque bisogna concederla anche al traduttore! E allora Riccardo, lasciaci pure il giusquiamo, se ti ci garba :)
Stanislava (che di santa ha ben poco :)) - 5/9/2018 - 19:16
Ecco, lo dicevo io che Stanislava la saprà più lunga assai :)
Grazie per il tuo bell'intervento Stanislava.
Devo ammettere che per il giusquiamo proposto da Riccardo la mia critica era un po' frettolosa, ma sopratutto a sproposito. A ripensarci (e a rileggere le sue spiegazioni) il giusquiamo ci sta a pennello nella traduzione italiana. Con i suoi fiori colore bianco sporco venato e con la sua allucinante forza velenosa entra bene nell'immagine di un posto abbandonato e intriso di desolazione, di una zona di terre incolte con tanto di muretto a mattoni in un paesaggio grigio e cupo, creata da Kryl. Ha ragione Stanislava che questi versi centrali sono la chiave di tutta la canzone, con la strasuggestiva metafora di cavalieri a cavallo che con i fiori neri portano l'amore.
Comunque su principe azzurro gli spagnoli mi sembrano più convincenti: https://es.wikipedia.org/wiki/Príncipe_azul
Ho controllato anche come stiamo a sante Stanislave e ho scoperto che è un titolo vacante. C'è San Stanislao, ma per le donne la carica rimane non coperta :-)
Chissà?
Saluti a tutti
Grazie per il tuo bell'intervento Stanislava.
Devo ammettere che per il giusquiamo proposto da Riccardo la mia critica era un po' frettolosa, ma sopratutto a sproposito. A ripensarci (e a rileggere le sue spiegazioni) il giusquiamo ci sta a pennello nella traduzione italiana. Con i suoi fiori colore bianco sporco venato e con la sua allucinante forza velenosa entra bene nell'immagine di un posto abbandonato e intriso di desolazione, di una zona di terre incolte con tanto di muretto a mattoni in un paesaggio grigio e cupo, creata da Kryl. Ha ragione Stanislava che questi versi centrali sono la chiave di tutta la canzone, con la strasuggestiva metafora di cavalieri a cavallo che con i fiori neri portano l'amore.
Comunque su principe azzurro gli spagnoli mi sembrano più convincenti: https://es.wikipedia.org/wiki/Príncipe_azul
Ho controllato anche come stiamo a sante Stanislave e ho scoperto che è un titolo vacante. C'è San Stanislao, ma per le donne la carica rimane non coperta :-)
Chissà?
Saluti a tutti
Krzysiek - 7/9/2018 - 19:57
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Testo e musica: Karel Kryl
Slova a hudba: Karel Kryl
Lyrics and music: Karel Kryl
Paroles et musique: Karel Kryl
Lyrics and music: Karel Kryl
Album: Bratříčku, zavírej vrátka
1969, LP, Panton, ČSSR
Dell'album e della canzone Bratříčku, zavírej vrátka si è già parlato non poco: è stato il primo album pubblicato da Karel Kryl, nel 1969, poco dopo l'invasione dell'agosto del 1968, pochissimo dopo il gesto di Jan Palach, e subito prima che il cantautore fuggisse in Germania. Vi era andato per partecipare a un festival a Dommershausen, in Renania, ma sapeva che, se fosse tornato in Cecoslovacchia, sarebbe stato arrestato. Ho ritenuto che, senza la “Bambina cieca”, non si potesse avere un'idea completa di quell'album, anche con una mia personale impressione: vale a dire che, dietro l'immagine, o quadretto, della bambina cieca che gioca quieta nel prato, si celi una delicata metafora sulla Cecoslovacchia di allora. Una “bambina cieca” che non vedrà mai il sole e che gioca con la fantasia, nonostante tutto, in un'atmosfera oppressiva e cupa. Non so naturalmente se la mia ipotesi sia giusta, ed è per questo che inserisco e mantengo questa canzone negli “Extra”, attenendomi alla semplice storia che vi viene raccontata, una storia che si potrebbe definire “anderseniana”. E una canzone stupefacente, come più o meno tutte quelle scritte da Karel Kryl. Per darne un'idea ne ho anche tentato una traduzione italiana, pur perfettamente conscio del mio ceco eufemisticamente imperfetto e mettendomi per di più di fronte alla lingua di Karel Kryl, che non credo sia semplicissima neppure per i cechi di madrelingua. Eleverò naturalmente una preghiera a Santa Stanislava affinché voglia esaudire i miei desideri e mi faccia prima o poi imparare il ceco “comme il faut”. [RV]