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La ballata del Michè

Fabrizio De André
Language: Italian


Fabrizio De André

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Fabrizio de André, La ballata del Michè


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Un giudice
(Fabrizio De André)
Michè
(Nobraino)
AldroVive
(Matteo Pedrini)


fabfuma
[1961]
Testo di Clelia Petracchi
Musica di Fabrizio De André
Lyrics by Clelia Petracchi
Music by Fabrizio De André
Single originale: Karim KN103 (La ballata del Michè/La ballata dell'eroe)
First single issue: Karim KN103 (La ballata del Michè/La ballata dell'eroe)
In album: "Volume III" [1968]
Incisa anche da Silverio Pisu in "Ballate di ieri, ballate di oggi" (1964)

ballmichedter


«Questa canzone è del 1961. È la prima che ho scritto [il primo singolo, "Nuvole barocche/E fu la notte", non lo considera un "suo" prodotto, NdR] e mi ha salvato la pelle; se non l'avessi scritta, probabilmente, invece di diventare un discreto cantautore, sarei diventato un pessimo penalista.»
Fabrizio De André, 1993.
(it.wikipedia)

Come per la “Canzone di Marinella”, Fabrizio De André prese lo spunto per questa canzone da un reale fatto di cronaca. E’ la storia di Michele Aiello, giovane immigrato a Genova dal Sud (“Michè” era il suo diminutivo). Come spesso accade a chi si trasferisce in un altro ambiente, Michele non riuscì ad integrarsi e l’inquietudine per la sua emarginazione trovò uno spiraglio solo grazie all’amore di una donna. L’arrivo di un pretendente –probabilmente più ricco di lui- che cercò di portargli via la sua amata, lo sconvolse, per la paura di restare solo ancora una volta, fino ad uccidere il rivale in amore; Michele Aiello si prese vent’anni di galera.

ETTA KERE, BUTCH SENIA & SUN-VENTURI VI SPIEGANO (A MODO LORO) LA "BALLATA DEL MICHE' "
michLa ballata di Marì

Quando hanno suonato alla porta.....ho aperto e ho visto un secondino. Mi ha guardata senza parlare, ha teso il braccio verso di me. Reggeva una busta nella mano. Io l'ho presa. Lui ha accennato un piccolo inchino, si è girato sui tacchi e se n'è andato via. Sono rimasta un attimo, la porta spalancata, con la
busta in mano, fra le dita. L'ho guardato mentre finiva di scendere le scale, il secondino. Poi è uscito in strada, chiudendosi il portone alla spalle. Solo allora ho guardato la busta, rigirandomela in mano. Mi sono seduta al tavolo della cucina e l'ho aperta, quella busta. Ho cominciato a leggere.

"era già tardi perché con una corda sul collo freddo pendeva Michè"

Com'è fatta una lacrima asciutta? Me lo sto chiedendo in questo
momento! Non riesco a piangere per lui. Non ci riesco. Cazzo! Mi ha fatto già piangere tutte le lacrime che avevo. Ed ora è tardi. E' tardi per tutto. Anche per perdonare.

"s'è impiccato ad un chiodo perché non voleva restare vent'anni in prigione lontano da te"

Non credo che mi sarebbero bastati vent'anni. Saperlo lontano, SOLO vent'anni , da me. Questo non impediva che mi svegliassi, con la paura di vederlo tornare. Magari di notte, magari di soppiatto. Mi avrebbe rimesso sulla strada. A battere. Dicendo che gli altri uomini non contavano, non potevano sporcarmi, in fondo. Io ero solo sua. E solo lui poteva amarmi. Nessun altro!

"nel buio Michè se n'è andato sapendo che a te non poteva mai dire che aveva ammazzato soltanto per te"

E poi, un bel giorno (o dovrei dire un brutto giorno), arrivò lui. Lui. Voleva solo portarmi via. Ed io volevo solo essere portata via. Un illuso! Mi disse che era solo un illuso. E gli brillava una strana luce negli occhi, mentre lo diceva. "Quello è solo un idiota che non ha capito niente di te!" - continuava a ripetere, a ripetermi, a ripetersi.

Forse avrei fatto meglio a credergli. Sarebbe stato meglio per tutti.
Forse....

"io so che Michè ha voluto morire perché ti restasse il ricordo del bene profondo che aveva per te"

Il bene! Già! Strane cose si fanno in nome del bene. Ti prendono e ti svuotano dentro, fino a non lasciarti più niente. Lo fanno in nome del bene. Del tuo bene e del loro bene per te. Non ti rimane niente alla fine. Niente! Nemmeno la speranza. Solo quel loro bene. E non riesci nemmeno più a vomitare.

"vent'anni gli avevano dato la corte decise cosìperché un giorno aveva ammazzato chi voleva rubargli Marì"

Vent'anni! Vent'anni per aver difeso la sua proprietà. Era così che si spiegava la sua condanna. E non pensava, non ha mai pensato, alla mia, di condanne: vederlo mentre faceva a pezzi la mia unica speranza, con venti coltellate. Guardare quegli occhi morenti che mi chiedevano "perchè, perchè mi hai fatto questo?". Non ha mai pensato alle mie notti a venire.

"se pure Michè non ti ha scritto spiegando perché se n'è andato dal mondo tu sai che l'ha fatto soltanto per te"

E cosa avrebbe dovuto scrivermi? Era questa l'unica lettera che
aspettavo. Questa!

"domani Michè nella terra bagnata sarà e qualcuno una croce col nome la data su lui pianterà"

E adesso che marcisca pure all'inferno!

Francesco Senia, da it.fan.musica.de-andre. 27 novembre 2001.

Michè

"Non ho mai voluto pensare che Michè stesse dentro per un "delitto d'onore" e che fosse un gran bastardo, come qualcuno sostiene ;-). Sarà perché "l'onore" m'è sempre stato un po' sulle palle, quando lo si deve difendere, e sarà perché mi ci affeziono alle persone, anche a quelle che non sono persone, anche a quelle che sono solo parole in musica, e così mi crogiolo in interpretazioni totalmente campate in aria e palesemente prive di fondamento, senza il pudore di uno straccio di riscontro.

Così per me, come ho tetto già tempo addietro da queste parti,Marì è diventata l'Idea. L' Idea di Michè, l'Idea che qualcuno voleva portargli via, l'Idea che Michè si è rifiutato di abbandonare o di tradire in nome di una libertà troppo sporca per poter essere accettata. Meglio la morte allora, meglio che la libertà non sapesse di cosa volevano vestirla.

Non so se è giusto o sbagliato quello che ha fatto Michè e a dire il vero non so neppure se Michè ha davvero fatto qualcosa. Non l'ha voluto dire, non ha emesso un fiato difronte a chi si aspettava le urla e le sguaiate dichiarazioni di un'innocenza che per lui era inaccettabile. Non meritava risposte chi gli poneva quella domanda, era in malafede; quelle urla sarebbero state coltellate nel fianco di tutti gli altri Michè. Perché non importava quale dei tanti Michè avesse "fatto". Quel qualcosa prima o poi sarebbe stato fatto, sarebbe stato fatto da uno dei tanti che non potevano più sopportare.

La malafede era ovunque. Era in chi accusava, certo, ma anche in chi difendeva. In chi avrebbe voluto difendere lui, per accusare altri, per difendere se stesso. Si era rifiutato Michè, si era rifiutato di fare il loro gioco, di proclamarsi innocente e di rendere colpevole chi prima e dopo di lui aveva e avrebbe "agito".

Così si è impiccato Michè, è fuggito al martirio e alla santità che volevano cucirgli addosso. E' rimasto coinvolto.

Eleonora L., da it.fan .musica.de-andre, 3 agosto 2002


dsan

L'evasione del Michè

Quando hanno aperto la cella...era già tardi. Perché alla parete, impiccato ad un chiodo, pendeva una specie di fantoccio fatto con un po' di paglia, degli stracci e il polistirolo delle cassette in cui venivano portati i pasti. Lo stesso fantoccio che, la sera prima, Michè aveva infilato nel letto per far credere al primo secondino, Baffi di Sego, che dormisse. Appoggiato alla parete, quella col chiodo, aveva imitato il respiro tranquillo di un dormiente mentre la guardia controllava dallo spioncino della porta di ferro; poi se n'era andata, e lui aveva semplicemente rimosso quelle sbarre pazientemente segate per quattro mesi con un manico di cucchiaio.

Tutte le volte che un gallo sento cantar, penserò a quella notte in prigione quando Michè li prese tutti per il culo.
La mattina, il secondo secondino entrò nella cella per portare la colazione e cacciò un urlo; urlo che si trasformo' in bestemmie quando si accorse che, con una corda sul collo, freddo pendeva un pupazzo di paglia e polistirolo e che le sbarre non c'erano più. Erano scattate immediatamente le ricerche. Nessuna traccia.

E pensare che era tutto già pronto; il prete gia' pronto a rifiutare la messa, la fossa comune, la croce col nome e la data e persino un cantautore semisconosciuto già all'opera con una ballata, falsando un po' la realtà storica e finanche il nome. Perché Miché, non tutti lo sanno, si chiamava in realtà Mike ed era in galera per avere sforacchiato con un fucile automatico un tizio che si era avvicinato un po' troppo non tanto alla sua donna e complice, Mary (chissà perché, poi, e' diventata "Marì", con quel buffo accento finale). Si era avvicinato un po' troppo a quella vecchia chiesa sconsacrata dove il Mike aveva nascosto quattrocentotrentottomila dollari, frutto di una rapina a mano armata alla First National Bank di Des Moines.

E menomale che, in quello stato, allora non era in vigore la pena di morte; ma altro che vent'anni, gli avevano dato. A marcire in prigione ci sarebbe dovuto restare per tutta la vita.

E nel buio Michè se n'e' andato...calandosi con una corda di lenzuola dalla finestra della cella. Un salto nel cortile, agile come un gatto e pronto a sfruttare ogni nicchia per nascondersi ai fasci di luce delle fotoelettriche. Un vecchio, dimenticato cunicolo di scolo visto per caso durante un'ora di libertà cui non aveva rinunciato; il cucchiaio rubato in cucina, pazientemente affilato sfregandolo al pavimento. E quell'ultima lettera a Marì...non era un addio. Era un appuntamento!

Lei lo aspettava in un campo, all'alba; con una vecchia Panhard rubata ad un commesso viaggiatore. Come sarebbe stato possibile passare tutta la vita senza di lei? Avevano voglia di baciarsi, di stringersi, di fare l'amore fino a sfinirsi; ma dovevano scappare. Scappare via. Un amico li aspettava con una barca...

...e c'e' chi li vide qualche tempo dopo, in Bolivia, dentro ad una banca. Una ben strana rapina. Il Michè non sapeva una parola di spagnolo, cazzo. Lei e l'amico, Butch, tenevano le pistole spianate sul personale della banca e sui clienti, mentre lui, incerto, balbettava:

"Eso...eso...eso es un robo!"

Riccardo Venturi, da it.fan.musica.de-andre, 29 novembre 2001


alk

E Marì... diventa Etta Place :-))), la maestrina che segue i suoi due uomini fino in Bolivia.

A questo punto, mi verrebbe da chiedere: ma se Mike è il Sundance (quello che spara bene solo quando si muove) e Marì è Etta, a chi tocca il ruolo di Butch? E, inseguendo il demone dell'analogia, a me viene fuori che, alla fine, Mike (il Sundance) spara in testa a Cassidy che vorrebbe rubarle Etta! Ma dai! :-))))) Te lo immagini? Paul Newman e Katharine Ross sulla bicicletta che amoreggiano, arriva Robert Redford, spiana le pistole e fa secco il suo amico dal sorriso inimitabile? Manco se lo vedo, ci credo!

Preferisco riguardarlo, mentre esce di casa, ancora in mutandoni, lancia un occhiata a Etta che procede abbracciata a Butch, per chiedere all'amico -"cosa diavolo fai?". E quell'altro - "ti rubo la donna". E la risposta puntale e secca, accompagnata da quel movimento della mano - "bah! fai pure!".

Non mi dispiace affatto, questo Mike dalla faccia cangiante, ad ogni modo! Ci ho visto diversi Clint Eastwood(s). Da quello di "Una calibro venti per lo specialista" a quello di "Fuga da Alcatraz", ovviamente. Qualche traccia dello Steve McQueen di "Getaway" e, forse, una breve comparsata dell'ultimo degli indipendenti, immortalato in "Chi ucciderà Charlie Warrick?". La barca, non so perchè, mi ha ricordato quella (fatale) di "Carlito's Way".

Mi hai ricordato tutte queste "fughe per la libertà".
E anche molte altre.
Ma niente Michè. Sono cocciuto! Michè continuo a leggermelo a modo mio. Fra via del Campo e un destino ridicolo.
Per il tuo "robo" filmico preferisco un'altra colonna sonora. Quella che parla di tutto "quello che non ho"!

Francesco Senia, da it.fan.musica.de-andre, 29 novembre 2001
Quando hanno aperto la cella
era già tardi perché
con una corda al collo
freddo pendeva Michè

Tutte le volte che un gallo
sento cantar penserò
a quella notte in prigione
quando Michè s'impiccò

Stanotte Michè
s'è impiccato ad un chiodo perché
non poteva restare vent'anni in prigione
lontano da te

Nel buio Michè
se n'è andato sapendo che a te
non poteva mai dire che aveva ammazzato
perché amava te

Io so che Michè
ha voluto morire perché
ti restasse il ricordo del bene profondo
che aveva per te

Vent'anni gli avevano dato
la corte decise così
perché un giorno aveva ammazzato
chi voleva rubargli Marì

L'avevan perciò condannato
vent'anni in prigione a marcir
però adesso che lui s'è impiccato
la porta gli devono aprir

Se pure Michè
non ti ha scritto spiegando perché
se n'è andato dal mondo tu sai che l' ha fatto
soltanto per te

Domani alle tre
nella fossa comune cadrà
senza il prete e la messa perché d'un suicida
non hanno pietà

Domani Michè
nella terra bagnata sarà
e qualcuno una croce col nome la data
su lui pianterà

E qualcuno una croce col nome e la data
su lui pianterà.

Contributed by Riccardo Venturi e adriana - 2007/4/6 - 08:48




Language: Italian

Il testo nella versione pubblicata in Volume III.

Riascoltando questa canzone oggi mi sono accorto che esistono due versioni differenti. Quella riportata nel testo principale è la prima versione incisa su 45 giri nel 1961 e che si può ascoltare nell'ultimo video dalla compilation "La canzone di Marinella" che è poi la riedizione della raccolta "Tutto Fabrizio De André" (album con tutti i singoli dalla Karim).

La versione incisa in Volume III del 1968 differisce per l'ordine delle strofe ma è quella generalmente più conosciuta.
LA BALLATA DEL MICHÉ

Quando hanno aperto la cella
era già tardi perché
con una corda sul collo
freddo, pendeva Miché.

Tutte le volte che un gallo
sento cantar, penserò
a quella notte in prigione
quando Miché s'impiccò.

Stanotte Miché
s'è impiccato ad un chiodo perché
non poteva restare vent'anni in prigione
lontano da te.

Io so che Miché
ha voluto morire perché
ti restasse il ricordo del bene profondo
che aveva per te.

Se pure Miché
non ti ha scritto spiegando perché
se n'è andato dal mondo tu sai che l'ha fatto
soltanto per te.

Vent'anni gli avevano dato
la Corte decise così
perché un giorno aveva ammazzato
chi voleva rubargli Marì.

Lo avevan perciò condannato
vent'anni in prigione a marcir
però adesso che lui s'è impiccato
la porta gli devono aprir.

Nel buio Miché
se n'è andato sapendo che a te
non poteva mai dire che aveva ammazzato
perché amava te.

Domani alle tre
nella fossa comune cadrà
senza il prete e la messa perché di un suicida
non hanno pietà.

Domani Miché
nella terra bagnata sarà
e qualcuno una croce col nome e la data
su lui pianterà.

E qualcuno una croce col nome e la data
su lui pianterà.

2024/1/12 - 00:06




Language: English

English (singable) version by Riccardo Venturi
April 6th, 2007

BALLAD OF MIKE

They open'd wide the cell door
but, alas! it was too late.
With a rope 'round his neck
Mike was hangin' so cold.

Anytime I hear a cock
crowin', I'm gonna think of
that night in the county jail
when Mike went hanged himsel'.

Tonite Mike went
hanged himself to a nail in his cell
didn't want to stay twenty years in jail
without you.

So Mike in the dark
stretch'd his legs for he knew he could not
tell you that he'd become a murderer
only 'cause of you

I know that Mike
wanted to die, so that you
keep the memory of the love true an' deep
he had for you.

He was sentenced twenty years,
the judge and the court decided so
for one day he had bumped off
one who wanted to steal his Mary

So he was sentenced this long term,
twenty years to rot in a cell,
but now that he went hanged himsel',
well, they gonna open him the door

Well even if Mike
didn't write you a word to explain why
he passed away from this world, you know he did it
only 'cause of you.

Tomorrow at three o'clock
gonna lower Mike in a pauper's grave
with no priest an' no mass, for a suicide
is given no mercy.

So tomorrow Mike
gonna be lower'd in the wet clay
an' someone a cross bearin' the name and date
on his dead body will lay

An' someone a cross bearin' the name and date
on his dead body will lay.

2007/4/6 - 12:29




Language: English

La versione inglese di Dennis Criteser [2014]
Dal blog Fabrizio De André in English

michball

"La ballata del Michè," released in 1961, was the first song De Andrè claimed as his own (the first two De Andrè songs released by Karim he wrote off as "abortions" and "sins of youth"). He often said that the success of the song was enough to prevent him from giving up on his songwriting career and instead becoming a criminal lawyer. The song was inspired by an actual news event, and includes a number of elements common to De Andrè songs: a tolerance, understanding and respect of the common man and his circumstances, along with a critique of both the law and the church for certain of their hard-line and merciless principles." - Dennis Criteser
THE BALLAD OF MIKE

When they opened the cell
it was already late because
with a cord ‘round his neck
there hung Mike, all cold.

Every time I hear a rooster
crowing, I’ll think
of that night in prison
when Mike hanged himself.

Tonight Mike
hanged himself from a nail because
he couldn't remain twenty years in prison
far away from you.

In the darkness Mike
went off knowing
he could never tell you that he had murdered
because he loved you.

I know that Mike
wanted to die so that
the memory of the deep feeling he had for you
would remain behind with you.

Twenty years they had given him.
The court decided it so
because one day he’d killed
someone who wanted to steal his Marie.

They had him condemned therefore,
twenty years in prison to rot away.
But now that he hanged himself
they have to open the door for him.

Even if Mike
didn’t write you explaining why
he left this world, you know that he did it
only for you.

Tomorrow at three o’clock
he'll fall into the common grave,
without a priest and the mass, because for a suicide
they have no pity.

Tomorrow at three o'clock
he'll be in the wet ground
and someone will plant a cross over him
with the name and the date.

And someone will plant a cross over him
with the name and the date.

Contributed by Riccardo Venturi - 2016/2/11 - 07:51




Language: French

Version française – La Ballade de Michel – Marco Valdo M.I. – 2008.
Fabrizio De Andrè – La Ballata di Michè – Fabrizio De André – 1961
LA BALLADE DE MICHEL

Quand ils ont ouvert sa cellule
Il était déjà trop tard car
Avec une corde au cou
Michel pendait froid.

Toutes les fois que j'entends
Chanter un coq, je pense
à cette nuit en prison
Où Michel se pendit.

Cette nuit-là, Michel
s'est pendu à un clou, car il ne voulait pas
rester vingt ans en prison
loin de toi

Michel s'en est allé dans l'obscurité
Sachant qu'il ne pourrait jamais te dire
qu'il avait tué
Seulement pour toi.

Moi, je sais que Michel
A voulu mourir pour que
Te reste le souvenir de l'amour profond
Qu'il avait pour toi.

Ils lui avaient mis vingt ans.
La cour décida ainsi
Car un jour il avait tué
Celui qui voulait lui prendre Marì

Ils l'avaient pour cela condamné
à vingt ans en prison à moisir
mais maintenant qu'il s'est pendu
Ils devront le laisser sortir.

Si toutefois Michel
Ne t'a pas écrit expliquant pourquoi
Il s'en est allé du monde, tu sais qu'il l'a fait
Seulement pour toi.

Demain à trois heures,
Il sera dans la fosse commune
Sans messe et sans curé
Car ils n'ont aucune pitié d'un suicidé.

Demain Michel
Sera dans la terre détrempée
Et quelqu'un plantera au-dessus de lui
Une croix avec son nom et la date

Et quelqu'un plantera au-dessus de lui
Une croix avec son nom et la date

Contributed by Marco Valdo M.I. - 2008/11/28 - 19:14




Language: Catalan

Versione in catalano di Héctor:
LA BALADA D'EN MICHÈ

Quan obriren la cel·la
era tard ja perquè
amb una corda al coll
fred, penjava Michè.

Totes les vegades que un gall
senti cantar, pensaré
en aquella nit a la presó
quan Michè es penjà.

Aquesta nit Michè
s’ha penjat d’un clau perquè
no podia restar vint anys a la presó
lluny de tu.

En la foscor Michè
s’ha marxat sabent que
no podria mai dir que havia matat
perquè t’estimava.

Si tanmateix Michè
no t’ha escrit explicant per què
s’ha anat del món tu saps que ho ha fet
només per tu.

A vint anys el condemnaren
el tribunal decidí així
perquè un dia havia matat
a qui volia robar-li Marí

L’havien condemnat per això
a podrir-se vint anys a la presó
però ara que ell s’ha penjat
la porta li hauran d’obrir.

Jo sé que Michè
ha volgut morir perquè
et quedés el record de l’amor profund
que sentia per tu.

Demà a les tres
a la fossa comuna caurà
sense el capellà i la missa perquè d’un suïcida
no tenen pietat.

Demà Michè
en la terra molla estarà
i algú una creu amb el nom i la data
sobre ell plantarà.

i algú una creu amb el nom i la data
sobre ell plantarà.

Contributed by héctor - 2007/11/12 - 15:33




Language: Spanish

Versione spagnola di Santiago
LA BALADA DE MICHÈ

Cuando abrieron la celda
ya era tarde porque
con una cuerda en el cuello
frío colgaba Michè.

Todas las veces que un gallo,
escuche cantar, pensaré
en esa noche en prisión
cuando Michè se colgó.

Esta noche Michè,
se colgó de un clavo porque
no quería quedarse veinte años en prisión
lejos de ti.

En la oscuridad Michè,
se ha ido sabiendo que a ti
no podría haberte dicho que había matado
sólo por ti.

Yo sé que Michè
se quería morir para que
te quedara el recuerdo del amor profundo
que tenía por ti.

Veinte años le habían dado,
la corte lo decidió
porque un día él mató
a los que querían robarle a Marì.

Por eso lo habían condenado
a pudrirse veinte años en prisión,
pero ahora que se ha ahorcado
la puerta le tienen que abrir.

Incluso si Michè
no te ha escrito explicando por qué
se ha ido de este mundo, tú sabe que lo hizo
sólo pot ti.

Mañana a las tres
en la fosa común estará
sin cura ni misa porque de un suicida
no tienen piedad.

Mañana Michè
en la tierra mojada estará
y alguien una cruz con el nombre y fecha
sobre él plantará.

Y alguien una cruz con el nombre y fecha
sobre él plantará.

Contributed by Santiago - 2016/9/6 - 03:32




Language: Hebrew

La versione ebraica di Eli Tomer
Hebrew version by Eli Tomer
הבלדה של מִיקֶה מאת פבריציו דה-אנדרה
תרגום מאיטלקית: אלי תומר

הֵם פָּתְחוּ אֶת הַתָּא אַךְ הָיָה מְאוּחָר
כִּי עִם חֶבֶל קָשׁוּר מִסָּבִיב לַצַּוָּאר
מִיקֶה הִתְנַדְנֵד לוֹ תָּלוּי
וְגוּפוֹ הָיָה קָשֶׁה וְגַם קַר

מֵעַתָּה כָּל פַּעַם שֶׁיִּקְרָא תַּרְנְגוֹל
אֲנִי תָּמִיד אֶזָּכֵר בְּלֵיל אֶתְמוֹל
כַּאֲשֶׁר בַּכֶּלֶא, בַּחוֹשֶׁךְ, לְבַד
מִיקֶה הִתְאַבֵּד לְלא קוֹל

הוּא תָּלָה אֶת עַצְמוֹ עַל מַסְמֵר
כֵּיוָן שֶׁלּא יָכוֹל הָיָה לְהִישָּׁאֵר
עֶשְׂרִים שָׁנָה בּוֹדֵד בַּכֶּלֶא
וְאוֹתָךְ לא לִרְאוֹת יוֹתֵר

וְכָךְ לְתוֹךְ הָאֲפֵלָה הוּא הָלַךְ
וְהוּא לְבַדּוֹ יָדַע מַדּוּעַ זֶה כָּךְ
אַךְ מֵעוֹלָם לא סִיפֵּר שֶהַרַג
בִּגְלַל אַהֲבָתוֹ אוֹתָךְ

אַךְ אֲנִי יוֹדֵעַ כִּי מִיקֶה הֶחְלִיט
אֶת עַצְמוֹ בְּמוֹ יָדָיו לְהָמִית
כִּי אַהֲבָתוֹ שֶׁלּוֹ אֵלַיִךְ
הָיְיתָה כָּל כָּךְ גּוֹרָלִית

עֶשְׂרִים שָׁנָה - לא מְעַט
בְּבֵית הַמִּשְׁפָּט כָּךְ הוּחְלַט
כֵּיוָן שֶׁהָרַג אֶת זֶה שֶׁפָּגַע בָּךְ
וְלא נָתַן לוֹ מִפְלָט

וְכָךְ הוּא הוּרשַׁע עַל אִיוֶּולֶת
וְנֶאֱסַר בְּלִי תִּקְוָוה וְתוֹחֶלֶת
אֲבָל עַכְשָׁיו אֵין בְּרֵירָה
הֵם חַיָּיבִים לִפְתוֹחַ הַדֶּלֶת

אֲפִילּוּ אִם מִיקֶה לא כְּתָב
מַדּוּעַ בְּדֶרֶךְ זוֹ הוּא עָזַב
אַתְּ יוֹדַעַת שֶׁרַק לְמַעֲנֵךְ
הוּא שִׁילֵּם בְּחַיָּיו

כְּמוֹ כָּל מִתְאַבֵּד הוּא יטמֵן
בְּלִי הֶסְפֵּד תְּפִילָּה ואַמֵן
לְקֶבֶר אַחִים הוּא יוּשְׁלַך
וְאִישׁ אֶת קִיבְרוֹ לא יְסַמֵּן

מָחָר הוּא יִקָּבֵר בְּתוֹךְ הַבּוֹץ
אַךְ אוּלַי מִישֶׁהוּ יַחְפּוֹץ
בְּרַחֲמָיו יָבִיא אִיתּוֹ צְלָב
עַל קִיבְרוֹ לִנְעוֹץ

וּבְרַחֲמָיו הוּא יָבִיא אִיתּוֹ צְלָב
עִם שֵׁם וְתַאֲרִיךְ
עַל קִיבְרוֹ לִנְעוֹץ

Contributed by CCG/AWS Staff - 2009/9/9 - 17:27




Language: Italian (Pugliese Altamurano)

Versione di CARL nel dialetto pugliese di Altamura (BA)
CARL's translation into Altamura dialect (Apulia, Italy)
LA SUNEJTE DE MECHEJLE

Quanne la porte japrerne
jerre gè tarde pecchè
'mbise che nu cuanepe 'nganne
avaje sfriddesciùte Mechejle

Tutte li volte ca sende
nu jadde candè è gghià penzè
a chedda notte 'ngalere
quanne Mechejle se 'mbecò

Stenotte Mechejle
a na cendre s'è 'mbise pecchè
pe 20 anne 'ngalere lundejne da taje
na putaje stè

A l'ascure Mechejle
se n'è ggiute lundejne pecchè
nan te putaje disce ca l'avaje accise
pecchè vulaje a tà

Jeje ù secce ca Mechejle
jè vulute allassarne pecchè
ì rumuanaje ù rucuerde du buene assè forte
ca tenaje pe tà

20 anne 'nge derne da scundeje
la legge wolse acchessì
peccè na dì spedì all'altu munne
ce 'nge wulaje fotte a Marìe

L'avajne acchessì cundannejte
20 anne 'ngalejre a muquè
però mò ca s'è 'mbechejte
la porte 'nge awonne a japrì

E ammoure ca Mechejle
nan t'è scritte pile pe pile pecchè
se n'è ggiute do munne tu ù sè ca l'ha fatte
sckitte pe tà

Cremejne à li tre
jinde a na fosse l'awonne à pruquè
senze u prevete e la messe ca de ce s'accite
nan'honne pietè

Cremejne Mechejle
sottaterre inde à 'mboste s'acchiè
e angonune na crousce ch'ù noume e la dejte
'nge à và ggì à chiandè

e angonune na crousce ch'ù noume e la dejte
'nge à và ggì a chiandè.

Contributed by CARL - 2012/5/16 - 15:02




Language: Finnish

Traduzione finlandese di Juha Rämö
Finnish translation by Juha Rämö
Suomennos Juha Rämö
BALLADI MICHÈSTÄ

Kun sellin ovi avattiin
oli jo liian myöhäistä, sillä
kylmänä jo roikkui Michèn ruumis
köysi kaulallaan.

Joka kerta, kun kuulen kukon
laulavan, ajattelen
sitä yötä vankilassa,
kun Michè hirtti itsensä.

Viime yönä Michè
ripusti itsensä naulaan, koska
ei olisi kestänyt kahtakymmentä vuotta vankilassa
erossa sinusta.

Yön pimeyteen Michè lähti tietäen, ettei koskaan
olisi voinut kertoa sinulle tappaneensa,
koska rakasti sinua.

Tiedän, että Michè
halusi kuolla säilyttääkseen muiston
niistä syvistä tunteista,
joita hänellä oli sinua kohtaan.

Kaksikymmentä vuotta vankisellissä,
niin oli oikeus päättänyt,
koska hän eräänä päivänä oli ottanut hengiltä sen,
joka aikoi viedä häneltä Marìn.

Siksi ne olivat tuominneet hänet
mätänemään vankilassa kaksikymmentä vuotta.
Mutta nyt, kun hän on hirttänyt itsensä,
niiden on avattava hänelle sellin ovi.

Ja vaikka Michè
ei kirjoittanut kertoakseen, miksi
hän halusi lähteä tästä maailmasta,
sinä tiedät, että hän teki sen vain sinun vuoksesi.

Huomenna kolmelta
hänet lasketaan joukkohautaan
ilman pappia ja siunauksia,
sillä itsemurhan tekijöille ei armoa suoda.

Huomenna kolmelta
hänen ruumiinsa lepää kosteassa mullassa,
ja joku pistää häneen ristin,
jossa on hänen nimensä ja kuolinpäivänsä.

Contributed by Juha Rämö - 2015/4/14 - 12:41




Language: Italian (Veneto)

Traduzione veneta: Viola Ortes
EA BAEADA DE MICHÈ

Co i ga verto ea chèba
Gèra xa tardi parché
co na corda al coeo
giassà, picandoeava Michè.

Ogni 'olta che un gaeo
sento cantàr, pensarò
a chea nòte in presòn
quando Michè se ga picà.

Stanòte Michè
Se ga picà a un ciodo parché
No podeva restar vinti ani in presón
distante da ti.

Al scuro Michè
El xe 'ndà savendo che a ti
No'l podeva mai dir che el gaveva copà
parché te voeva ben a ti.

Mi so che Michè
ga voesto morir parché
Te restasse el ricordo del grando ben
che provava par ti.

Vinti ani i ghe gaveva dà
ea Corte ga deciso cussì
parché un dì eo el gaveva copà
chi voeva ciavarghe Marì.

Per cui i o gaveva condanà
Vinti ani in cheba a marcir
Ma dèsso che el se ga picà
I ga da verxerghe ea porta.

Anca se Michè
No te ga scrito spiegando parché
xe scampà dal mondo, ti o sa che el lo ga fato
soeo che par ti.

Domàn ae tre
Soa fossa comune el cascarà
Sensa el prete, né messa parché de un suicida
No i ga pietà.

Domàn Michè
Soea tèra bagnada el sarà
E qualchedun,'na croxe col nome e ea data
so de eo el piantarà.

E qualchedun,'na croxe col nome e ea data
so de eo el piantarà.

2024/1/11 - 23:55


Quando hanno aperto la cella

"Quando hanno aperto la cella", scritto da Luigi Manconi e Valentina Calderone, Il Saggiatore 2011.
"Quando hanno aperto la cella", scritto da Luigi Manconi e Valentina Calderone, Il Saggiatore 2011.



Le foto di Stefano Cucchi. Quel corpo prosciugato, quella maschera di ematomi sul viso, un occhio aperto, quasi fuori dall'orbita. Quella morte di Federico Aldrovandi, quel giovane riverso a terra, le mani ammanettate dietro la schiena, esanime. Quelle urla di Giuseppe Uva, dentro la caserma dei carabinieri di Varese. Quelle sue foto col pannolone da adulto incontinente, imbrattato di sangue. Quelle facce gonfie, viola, i rivoli di sangue. E tutte le altre storie, rimaste ignote, oppure richiamate da un trafiletto di giornale, e già dimenticate. Giovanni Lorusso, Marcello Lonzi, Eyasu Habteab, Mija Djordjevic, Francesco Mastrogiovanni. E molti altri. In Italia in carcere si muore. Alcuni sono suicidi, alcuni no. E si muore durante un arresto, una manifestazione di piazza, un trattamento sanitario obbligatorio. Dietro le informazioni istituzionali spesso c'è un'altra storia. Un uomo che muore in carcere è il massimo scandalo dello Stato di diritto.

«Quando hanno aperto la cella» ce lo racconta. Luigi Manconi e Valentina Calderone ascoltano, raccolgono e portano alla luce storie di persone - spesso giovani - che entrano nelle carceri, nelle caserme e nei reparti psichiatrici e ne escono morte. In ognuna di queste morti, la morte dello Stato di diritto. Luigi Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici presso l'università Iulm di Milano. È stato senatore della Repubblica, sottosegretario di Stato alla Giustizia e garante dei diritti delle persone private della libertà per il Comune di Roma. È presidente dell'associazione «A buon diritto». Valentina Calderone, laureata in Economia, svolge attività di ricerca presso la stessa associazione e coordina i siti internet innocentievasioni.net e italiarazzismo.it.

****

Quelle vite di serie B spezzate dal carcere

di Carlo Bonini, da La Repubblica del 26 maggio 2011

Il libro di Luigi Manconi e Valentina Calderone dedicato a storie come quella di Cucchi. Il testo raccoglie tredici vicende dolorose che si sono concluse tutte nello stesso modo tragico. Vicende che abbiamo rimosso e che invece è doveroso ricordare e raccontare.

In carcere si muore. Dicono le statistiche del Dipartimento dell´Amministrazione Penitenziaria, 1736 donne e uomini nel primo decennio del 2000. Non sempre da suicidi (66 nel solo 2010). «E un uomo che muore in carcere è il più evidente degli scandali di uno Stato di diritto». Soprattutto se le responsabilità di quella morte, le sue circostanze, sono soffocate dall´omertà degli apparati (penitenziari e di polizia), dall´inazione colpevole della magistratura (cane non morde cane), dalla pigrizia, talvolta vile, dell´informazione, da un crudele senso comune per cui il destino infausto di chi è dietro le sbarre e in genere del diverso è tutto e soltanto sulle spalle di chi, per propria responsabilità, nel carcere o nella "diversità" è stato relegato.
Nel loro “Quando hanno aperto la cella. Stefano Cucchi e gli altri” (Il Saggiatore, pagg. 243, euro 19), Luigi Manconi, sociologo e presidente dell´associazione "A buon diritto", e Valentina Calderone, ricercatrice dell´associazione e coordinatrice dei siti innocentievasioni.net e italiarazzismo.it, raccontano tutto questo nell´unico modo che consente di afferrare e non dimenticare mai più cosa significhi «entrare in un carcere per non uscirne vivi». Scoperchiando, con la crudezza, l´asciuttezza e il dettaglio della migliore cronaca, il nostro sarcofago della rimozione, documentando «tredici storie come tante» che custodisce.
Un albo funebre della Repubblica. Di cui una Repubblica dovrebbe provare vergogna, senso di colpa. «Un mosaico doloroso - scrive Gustavo Zagrebelsky, che del volume firma la prefazione - che testimonia di ciò che non fa opinione pubblica. Un libro altamente politico». Che documenta, appunto, cosa accade quando «uno Stato di diritto, che rivendica a sé il potere di impadronirsi della libertà altrui per salvaguardare la sicurezza di tutti, per superare la condizione primordiale dell´homo homini lupus», non riesce ad astenersi dall´esercizio della violenza e della sopraffazione su chi ha costretto in catene.
Le donne e gli uomini vittime di questa violenza di Stato, i fantasmi che popolano le 13 storie del lavoro di Manconi e Calderone, hanno dei nomi e cognomi, delle vite ancora giovani da vivere, fulminate all´improvviso da burocrazie della sicurezza e della contenzione ora ottuse ora crudeli. All´anagrafe sono cittadini uguali agli altri, ma di un´uguaglianza solo formale, perché con loro, cittadini di serie b (operai, falegnami, maestri elementari, fotografi, tossici, extracomunitari), privi di costosissimi principi del Foro al loro fianco nel momento del giudizio (almeno per quei pochi per cui un processo si è celebrato), nudi di fronte alla legge perché soggetti, loro sì, soltanto alla legge, la giustizia penale, le forze dell´ordine, la polizia penitenziaria, non mostrano né lentezza, né inefficienza. Sono spietate. Impermeabili all´ascolto, al buon senso, persino alle grida di dolore, al rantolo che annuncia la morte. In una cella di sicurezza di una caserma, sul letto di contenzione di un ospedale psichiatrico, in un pronto soccorso dopo un pestaggio.
Si chiamano - è bene ancora una volta ricordarne il nome - Marco Ciuffreda (37 anni, carcere di Regina Coeli, 2 novembre 1999), Marcello Lonzi (29 anni, carcere delle Sughere, 11 luglio 2003), Katiuscia Favero (30 anni, ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, 16 novembre 2005), Eyasu Habteab (37 anni, eritreo, carcere di Civitavecchia, 14 maggio 2006) e Mija Djordjevic (rom, carcere di Regina Coeli, 29 gennaio 2008), Aldo Bianzino (44 anni, carcere di Capanne, 14 ottobre 2007), Niki Aprile Gatti (26 anni, carcere di Sollicciano, 24 giugno 2008), Giuseppe Uva (43 anni, ospedale di Circolo, 14 giugno 2008), Manuel Eliantonio (22 anni, carcere di Marassi, 25 luglio 2008), Carmelo Castro (20 anni, ospedale Garibaldi, 29 marzo 2009), Francesco Mastrogiovanni (4 agosto 2009, reparto psichiatrico ospedale san Luca), Giovanni Lo Russo (41 anni, carcere di Palmi, 17 novembre 2009), Stefano Cucchi (31 anni, ospedale Pertini, 22 ottobre 2009).
Ciascuno di loro ha storie uniche, peculiari, come sono state le vite troppo brevi che hanno vissuto. Ma, per tutti loro, la morte di Stato presenta identiche stimmate. «Il riprodursi di una volontà di sopraffazione - scrivono Manconi e Calderone - La propensione dei governi ad assicurare alle forze dell´ordine una condizione di autonomia, tale da risultare, in determinate condizioni, molto simile a uno stato di intangibilità e, dunque, di impunità». Dunque, per ciascuno di noi, per la polis, esiste un solo dovere: «Contrastare quelle illegalità e qualunque abuso e qualunque comportamento irregolare, chiunque ne sia il destinatario». E intanto non dimenticare. Non volgere lo sguardo altrove.

Bartleby - 2011/8/11 - 10:10


Il testo della canzone è di Clelia Petracchi, non di DeAndre'

Fabrizio - 2013/2/22 - 17:46


La canzone ebbe una cover molto presto: fu infatti incisa nel 1964 anche da Silverio Pisu (figlio dell'attore Mario Pisu e nipote dell'altro attore Raffaele Pisu) (1937-2004) nell'album Ballate di ieri, ballate di oggi, che includeva altre canzoni di De André.

silpisu

Riccardo Venturi - 2016/2/11 - 07:29


Non vorrei smontarvi un mito, ma il fatto di cronaca che ispirò questa storia è molto diverso da come lo avete raccontato voi. Avvenne a Sanremo nel 1955: Michele Di Censo ("Miché") ammazzò a coltellate la giovanissima moglie Addolorata Aiello, sospettando che volesse lasciarlo o che lo tradisse. Un femminicidio, quando ancora non si usava questa parola. Clelia Petracchi, per ovvie ragioni, trasfigurò la storia e immaginò che Miché non avesse ammazzato la moglie, ma l'amante della moglie. Era la moglie a chiamarsi Aiello, il "Michele Aiello" menzionato da voi non c'entra nulla con questa storia, è un mafioso dei nostri giorni

Francesco - 2021/9/22 - 19:41


@ Francesco

Carissimo Francesco, non solo non smonti alcun mito ma, anzi, con il tuo intervento contribuisci alla storia di questa canzone (il che è, tra le altre cose, lo scopo dichiarato di questo sito). Nei limiti del possibile, non siamo qui per alimentare miti ma per ricostruire la vera storia di ogni singola canzone che forma il sito. Al tuo intervento viene quindi dato il giusto risalto, ma con una necessaria precisazione: a parte il tuo intervento e un analogo intervento su una pagina Facebook a firma di Francesco Valentino, non si trova in rete assolutamente niente riguardo all'episodio che hai segnalato (inoltre, nella pagina Facebook si afferma che i fatti del 1955 avvennero a Genova, non a Sanremo). Nessun'altra notizia (ed è comprensibile, visto che si tratta di un fatto di cronaca avvenuto 66 anni fa) e, disgraziatamente, impostando “Michele di Censo” su Google non viene fuori altro che il nome di un esponente pescarese di Casapound (sic). Occorrerebbe quindi che tu specificassi le fonti di tale notizia, da dove la hai ripresa, se esistono reali collegamenti con Fabrizio De André e Clelia Petracchi ecc. ecc. La storia di Michele Aiello, peraltro, proviene dallo stesso Fabrizio De André, ed il fatto che “Michele Aiello” sia un mafioso dei nostri giorni significa assai poco: saranno esistiti ed esisteranno decine di Michele Aiello che nulla hanno a che fare con la mafia, tra i quali, ad esempio, uno stimato dirigente manutenzioni del Comune di Pisa, o un regista di documentari. Se quindi hai ulteriori notizie, ti preghiamo di comunicarcele. Saluti carissimi e grazie.

Riccardo Venturi - 2021/9/23 - 07:47


dq82 - 2021/9/23 - 18:15


Nell'Archivio de La Stampa ci sono informazioni su Michele Di Censo, citato da Francesco, e la cui moglie faceva di cognome Ajello; ci sono anche altri articoli in merito. Nulla si trova invece su Michele Ajello, almeno in tutti i quotidiani e riviste dell'epoca che ho consultato. Clelia Petracchi peraltro è stata un'autrice di testi anche per altri artisti, non solo per De André.

La Stampa

Vito Vita - 2023/2/7 - 14:52


Scusatemi se non vi ho risposto, ma vedo che lo ha fatto bene Vito per me: basta cercare negli archivi dei giornali con attenzione e pazienza e si scoprono moltissime cose. Quando parlavo di miti da smontare mi riferivo a Fabrizio De André. Non credete mai alle cose che raccontava De André nelle sue interviste. Che parlasse delle sue canzoni o della sua vita privata, il cantante genovese inventava sempre di sana pianta. Un esempio? Marinella non era una prostituta e non fu assassinata, come raccontava sempre lui. Si chiamava Franca Zangirolami, era una ragazzina di 14 anni che nel 1961 si suicidò buttandosi nel fiume Tanaro. Per una delusione d'amore. Ciao!

Francesco Valentino - 2023/6/8 - 23:20


Questa notizia di Marinella che in realtà era tale Franca Zangirolami, 14enne suicida per amore nel Tanaro, per me è una novità assoluta!!
Francesco Valentino potresti cortesemente illuminarmi in merito? Sono molto interessato alle tue ricerche a riguardo. Grazie mille.

Flavio Poltronieri

Flavio Poltronieri - 2023/6/9 - 20:24


Ti faccio il copia-incolla del titolo di un articolo pubblicato su "La Stampa" del 1° dicembre 1961. Se vai sul sito www.archiviolastampa.it trovi questo e altri articoli dei giorni e mesi successivi, con molte altre informazioni:

Trovata cadavere nel Tanaro una ragazza scomparsa da Alessandria da quasi un mese.

Indagini sulla misteriosa morte di una quattordicenne

Trovata cadavere nel Tanaro una ragazza scomparsa da Alessandria da quasi un mese Era emigrata dal Veneto e viveva con una sorella sposata - Forse si tratta di suicidio, ma non si escludono altre ipotesi - Aveva una relazione con un giovane ma negli ultimi tempi appariva triste e turbata - La scoperta fatta da due pescatori


De André raccontava che l'ispirazione per la Canzone di Marinella gli era venuta da un fatto di cronaca di cui aveva letto in gioventù (e nel 1961 lui aveva 21 anni). La storia, appunto, di una ragazza giovanissima, poco più che una bambina, trovata morta nel Tanaro. E fin qui ci siamo. Ma siccome il fatto non gli sembrava abbastanza "noir" lo modificava con particolari inventati da lui. Diceva che la ragazzina era scappata di casa, che era costretta a prostituirsi per vivere, che era stata rapinata e uccisa da un delinquente...Spero di esserti stato utile. Ciao!

Francesco Valentino - 2023/6/10 - 05:30


Ti ringrazio.

Premesso che nessuno a tutt'oggi nessuno può affermare di conoscere la verità assoluta e provata sulla faccenda "Marinella/De André", a quello che risulta, Fabrizio (in più di una occasione) ha affermato di avere letto il fatto di cronaca "ispiratore" quando aveva 15 anni, quindi risulterebbe riferirsi a un episodio precedente a quello di Franca Zangirolami.

Nel 2010, Walter Pistarini, fine conoscitore dell'opera di De André, nel suo "Il Libro del Mondo" (a cui ho contribuito anche se non a questo specifico punto) a pagina 30, lo collega a un articolo d'archivio pubblicato da "La Stampa" il 30 gennaio 1953 e riguardante l'assassinio di Maria Boccuzzi, prostituta ritrovata nel fiume Olona.

Nel 1953 De André aveva in realtà 13 anni ma potrebbe averlo letto negli anni seguenti.

Il 13 gennaio 2007 sempre il quotidiano "La Stampa" ha pubblicato un articolo dello psicologo astigiano Roberto Argenta che ripercorre i passaggi di una sua appassionata e meticolosa ricerca d'epoca in merito.

Flavio Poltronieri - 2023/6/10 - 18:02


Grazie Flavio. Conoscevo la storia di Maria Boccuzzi, ma mi pare proprio impossibile identificarla con Marinella. Tanto per cominciare la Boccuzzi era una donna di 33 anni e non una ragazzina, come ha sempre specificato De André. Inoltre De André ha sempre detto "nel fiume Tanaro" e, per quanto avesse una cattiva memoria, non credo proprio che potesse confondere il Tanaro con l'Olona. Infine specificava di avere letto quella notizia "su un giornale locale". Ora, Fabrizio viveva tra Genova e l'Astigiano: su quale "giornale locale" avrebbe potuto leggere di un fatto di cronaca nera avvenuto a Milano? É vero che disse di averlo letto "a 15 anni", ma sulle date la nostra memoria è molto oscillante, soprattutto a decenni di distanza...Grazie per il tuo contributo e buona giornata!

Francesco Valentino - 2023/6/11 - 08:54


Le due ipotesi contengono entrambe aspetti credibili e aspetti non credibili, la vera risposta al quesito, come diceva qualcuno, "soffia nel vento"...

Flavio Poltronieri - 2023/6/11 - 10:28




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