Pedro, Cassio e poi me, quella mattina
Sotto una neve che imbiancava tutto
Dovevamo incontrare su in collina
L’altro compagno, figlio al Biondo, il Brutto
Il vento era ghiacciato e per la schiena
Sentivamo un gran gelo da tremare
C’era un freddo compagni su in collina
Che non riuscivi neanche a respirare
Andavamo via piano, “E te cammina!”
Perché veloci non potevamo andare
Ma in mano tenevam la carabina
Ci fossero dei togni a cui sparare
Era della brigata il Brutto, e su in collina
Ad un incrocio forse c’era già
E insieme all’altra stampa clandestina
Doveva consegnarci “l’Unità”
Ma Pedro ci ha fermati e stralunato
Gridò “Compagni mi si gela il cuore
Legato a tutto quel filo spinato
Guardate là che c’è il Brutto, è la che muore”
Non capimmo più niente e di volata
Tutti corremmo su a quella stradina
Là c’era il Brutto tutto sfigurato
Dai pugni e i calci di quegli assassini
Era scalzo, né giacca né camicia
Nudo fino alla vita e tra le mani
Teneva un’asse di legno e con la scritta
“Questa è la fine di tutti i partigiani”
Dopo avere maledetto e avere pianto
L’abbiamo tolto dal filo spinato
Sotto la neve, compagni, abbiam giurato,
Che avrebbero pagato tutto quanto.
L’abbiam sepolto là sulla collina
E sulla fossa ci ho messo un bastone
Cassio ha sparato con la carabina
Un saluto da tutto il battaglione
Col cuore stretto siam tornati indietro
Sotto la neve andando piano piano
Piano sul ghiaccio che sembrava vetro
Piano tenendo stretta l’asse in mano
Quando siamo arrivati giù al comando
Ci hanno chiesto la stampa clandestina
Cassio mostra il cartello in una mano
E Pedro indica un punto su in collina
Il cartello passò di mano in mano
Sotto la neve che cadeva fina
In gran silenzio ogni partigiano
Guardava quel bastone su in collina
Sotto una neve che imbiancava tutto
Dovevamo incontrare su in collina
L’altro compagno, figlio al Biondo, il Brutto
Il vento era ghiacciato e per la schiena
Sentivamo un gran gelo da tremare
C’era un freddo compagni su in collina
Che non riuscivi neanche a respirare
Andavamo via piano, “E te cammina!”
Perché veloci non potevamo andare
Ma in mano tenevam la carabina
Ci fossero dei togni a cui sparare
Era della brigata il Brutto, e su in collina
Ad un incrocio forse c’era già
E insieme all’altra stampa clandestina
Doveva consegnarci “l’Unità”
Ma Pedro ci ha fermati e stralunato
Gridò “Compagni mi si gela il cuore
Legato a tutto quel filo spinato
Guardate là che c’è il Brutto, è la che muore”
Non capimmo più niente e di volata
Tutti corremmo su a quella stradina
Là c’era il Brutto tutto sfigurato
Dai pugni e i calci di quegli assassini
Era scalzo, né giacca né camicia
Nudo fino alla vita e tra le mani
Teneva un’asse di legno e con la scritta
“Questa è la fine di tutti i partigiani”
Dopo avere maledetto e avere pianto
L’abbiamo tolto dal filo spinato
Sotto la neve, compagni, abbiam giurato,
Che avrebbero pagato tutto quanto.
L’abbiam sepolto là sulla collina
E sulla fossa ci ho messo un bastone
Cassio ha sparato con la carabina
Un saluto da tutto il battaglione
Col cuore stretto siam tornati indietro
Sotto la neve andando piano piano
Piano sul ghiaccio che sembrava vetro
Piano tenendo stretta l’asse in mano
Quando siamo arrivati giù al comando
Ci hanno chiesto la stampa clandestina
Cassio mostra il cartello in una mano
E Pedro indica un punto su in collina
Il cartello passò di mano in mano
Sotto la neve che cadeva fina
In gran silenzio ogni partigiano
Guardava quel bastone su in collina
Contributed by Riccardo Venturi - 2007/3/25 - 20:50
Language: Italian (Emiliano Bolognese)
La poesia originale bolognese di Gastone Vandelli inviataci da Luigi Lepri che ringraziamo.
Qui il file PDF originale con la poesia di Gastone Vandelli. Il testo è stato finalmente riprodotto in ortografia bolognese corretta. [CCG/AGS Staff]
Gastone Vandelli (Rażż, ai 14.11.1921 - Bulåggna, ai 23.2.2003) - L é stè ón di poêta pió inpurtànt dla poeṡî dialetèl bulgnaiṡa. Rafinè e pén ed dêrma par dimónndi rigésster difarént, Vandèl al vinzé socuànt prèmi ed poeṡî e, dal 1979, al publiché al sô prémm lîber, “Apanna l èter dé”, che pò ai tgné drî "I séggn di ân", dal 1994. I sû argumént i van dala sâtira ala descriziån quèṡi metafîṡica dla Natûra. A publicän qué socuanti poeṡî, e un arcôrd ed sô fiôl Dagnêl.
È stato uno degli autori più importanti della poesia dialettale bolognese. Raffinato e versatilissimo, Vandelli vinse numerosi premi di poesia. Nel 1979 pubblicò il primo libro, intitolato “Soltanto l’altro giorno”, seguito nel 1994 da "I segni degli anni". I suoi temi vanno dalla satira alla descrizione quasi metafisica della Natura. Pubblichiamo qui alcune poesie e un ricordo di suo figlio Daniele.
Gastone Vandelli nasce nel 1921 a Reggio Emilia dove rimane fino all'età di 8 anni quando, alla morte del padre, si trasferisce a Bologna con la madre e il fratello. Le difficoltà che la famiglia deve affrontare alla perdita del capofamiglia lo costringono a interrompere gli studi e ad iniziare a lavorare all'età di 12 anni. Nonostante ciò è un infaticabile lettore, e sviluppa forti interessi letterari che frequenta per tutta la vita. Inizia in gioventù a scrivere versi e poesie in dialetto bolognese, esplorando diverse tematiche (impegno civile e politico, amore, comico e grottesco). Nel 1949 vince il premio "Unità" con Môrt in culéṅna, che racconta un episodio della guerra di liberazione partigiana; questo testo nel 2006 ha ispirato Francesco Guccini nella composizione della canzone "In collina", che presenta in concerto nella tournée di quell'anno. La passione per la scrittura lo accompagna negli anni, e la produzione letteraria e poetica trova spazio in due libri: Apanna l èter dé del 1979 e I séggn di ân del 1994. Entrambe le pubblicazioni (ormai esaurite) sono raccolte di componimenti che raccontano momenti di vita, ricordi, opere di impegno politico e storie comiche scritte nel corso degli anni. Vandelli continua a scrivere, e a frequentare con grande piacere l'ambiente del dialetto bolognese, popolato di amici ed autori ai quali resta legato da profonda amicizia e stima per tutta la vita. Lascia un archivio di inediti che la famiglia spera, con l'aiuto dei tanti cari amici di Gastone, di raccogliere in un futuro libro per ricordare e rileggere insieme dû o trî scarabûc' ed Vandèl.
È stato uno degli autori più importanti della poesia dialettale bolognese. Raffinato e versatilissimo, Vandelli vinse numerosi premi di poesia. Nel 1979 pubblicò il primo libro, intitolato “Soltanto l’altro giorno”, seguito nel 1994 da "I segni degli anni". I suoi temi vanno dalla satira alla descrizione quasi metafisica della Natura. Pubblichiamo qui alcune poesie e un ricordo di suo figlio Daniele.
Gastone Vandelli nasce nel 1921 a Reggio Emilia dove rimane fino all'età di 8 anni quando, alla morte del padre, si trasferisce a Bologna con la madre e il fratello. Le difficoltà che la famiglia deve affrontare alla perdita del capofamiglia lo costringono a interrompere gli studi e ad iniziare a lavorare all'età di 12 anni. Nonostante ciò è un infaticabile lettore, e sviluppa forti interessi letterari che frequenta per tutta la vita. Inizia in gioventù a scrivere versi e poesie in dialetto bolognese, esplorando diverse tematiche (impegno civile e politico, amore, comico e grottesco). Nel 1949 vince il premio "Unità" con Môrt in culéṅna, che racconta un episodio della guerra di liberazione partigiana; questo testo nel 2006 ha ispirato Francesco Guccini nella composizione della canzone "In collina", che presenta in concerto nella tournée di quell'anno. La passione per la scrittura lo accompagna negli anni, e la produzione letteraria e poetica trova spazio in due libri: Apanna l èter dé del 1979 e I séggn di ân del 1994. Entrambe le pubblicazioni (ormai esaurite) sono raccolte di componimenti che raccontano momenti di vita, ricordi, opere di impegno politico e storie comiche scritte nel corso degli anni. Vandelli continua a scrivere, e a frequentare con grande piacere l'ambiente del dialetto bolognese, popolato di amici ed autori ai quali resta legato da profonda amicizia e stima per tutta la vita. Lascia un archivio di inediti che la famiglia spera, con l'aiuto dei tanti cari amici di Gastone, di raccogliere in un futuro libro per ricordare e rileggere insieme dû o trî scarabûc' ed Vandèl.
MÔRT IN CULÉṄNA
Mé, Cassio, Pêdro al Mòro, cla matéṅna,
såtta una naiv ch’la s inbianchèva tótt,
avèven da incuntrèr só la culéṅna
al fiôl dal Biånnd, ciamè da tótt “al Brótt”.
Al vänt l êra giazè e par la schéṅna
a sintèven di brévvid da tarmèr,
ai êra un fradd cunpâgn, só la culéṅna,
ch’al s tulèva la fôrza ed respirèr.
E caméṅna pian pian, che té caméṅna,
parché andèr fôrt an s psèva par cal żêl,
con nó avèven tôlt la carabéṅna
ch’l’êra cåntr ai tudéssc al nòster fêl.
Arivénn al incråuṡ d una stradléṅna
pr incuntrères con quall ed la Brighè
che insàmm a cl’ètra stanpa clandestéṅna
l avèva da cunsgnères l’Unitè.
Quand Pêdro al s farmé ed bòt, tótt agitè
«Cunpâgn – al déss – am sént giazèr al côr,
a n vdî là in fånnd, lighè a cla ramè?
Par Dío, l é ló, l é al Brótt ch’l é là ch’al môr!».
Nó a n capénn pió gnént e żå, d vulè,
tótt quant fén a cal pónt, in cal stradlén
dóvv a i êra al Brótt che l êra sfigurè
dal bòt ch’i i avèven dè chi asasén.
L êra dschèlz, sänza giâca, né capèl,
nûd fén ala zintûra e lighè al man
l avèva un’âsa ed laggn fâta a cartèl
con scrétt Quassta l’é la fén pr i partigiàn!.
Dîr quall che nó a pruvénn in cal mumänt
a n s pôl, cunpâgn, a n s pôl, cardîm a mé;
ai êren tótt quant fòra ed sentimänt
davanti a cal cunpâgn ardótt acsé.
Dåpp avair maledàtt e avair zighè,
a dstachénn cal dṡgraziè dala ramè
e só la naiv, cunpâgn, avän żurè
ch’i arénn paghè cla môrt, ch’i arénn paghè!
E pò a suplénn al Brótt só la culéṅna
e só la bûṡa mé a i mité un bastån.
Cassio al tiré dû cûlp ed carabéṅna,
ûltum salût ed tótt al batagliån.
Col côr asrè a s aviénn par cla stradléṅna
che la purtèva al cmand dal batagliån,
pian pian, såtta ala naiv, in cla matéṅna,
turnànd só i nûster pâs con cl’âsa in man.
Quand a fónn arivè ala puṡiziån
i se dmandénn la stanpa clandestéṅna;
Cassio al mustré al cartèl con una man
e Pêdro al sgné cal pónt só la culéṅna.
Al cartèl al pasé da man a man,
la naiv la caschèva féṅna féṅna,
in gran silänzi, tótti i partigiàn
i guardénn cal bastån só la culéṅna.
Mé, Cassio, Pêdro al Mòro, cla matéṅna,
såtta una naiv ch’la s inbianchèva tótt,
avèven da incuntrèr só la culéṅna
al fiôl dal Biånnd, ciamè da tótt “al Brótt”.
Al vänt l êra giazè e par la schéṅna
a sintèven di brévvid da tarmèr,
ai êra un fradd cunpâgn, só la culéṅna,
ch’al s tulèva la fôrza ed respirèr.
E caméṅna pian pian, che té caméṅna,
parché andèr fôrt an s psèva par cal żêl,
con nó avèven tôlt la carabéṅna
ch’l’êra cåntr ai tudéssc al nòster fêl.
Arivénn al incråuṡ d una stradléṅna
pr incuntrères con quall ed la Brighè
che insàmm a cl’ètra stanpa clandestéṅna
l avèva da cunsgnères l’Unitè.
Quand Pêdro al s farmé ed bòt, tótt agitè
«Cunpâgn – al déss – am sént giazèr al côr,
a n vdî là in fånnd, lighè a cla ramè?
Par Dío, l é ló, l é al Brótt ch’l é là ch’al môr!».
Nó a n capénn pió gnént e żå, d vulè,
tótt quant fén a cal pónt, in cal stradlén
dóvv a i êra al Brótt che l êra sfigurè
dal bòt ch’i i avèven dè chi asasén.
L êra dschèlz, sänza giâca, né capèl,
nûd fén ala zintûra e lighè al man
l avèva un’âsa ed laggn fâta a cartèl
con scrétt Quassta l’é la fén pr i partigiàn!.
Dîr quall che nó a pruvénn in cal mumänt
a n s pôl, cunpâgn, a n s pôl, cardîm a mé;
ai êren tótt quant fòra ed sentimänt
davanti a cal cunpâgn ardótt acsé.
Dåpp avair maledàtt e avair zighè,
a dstachénn cal dṡgraziè dala ramè
e só la naiv, cunpâgn, avän żurè
ch’i arénn paghè cla môrt, ch’i arénn paghè!
E pò a suplénn al Brótt só la culéṅna
e só la bûṡa mé a i mité un bastån.
Cassio al tiré dû cûlp ed carabéṅna,
ûltum salût ed tótt al batagliån.
Col côr asrè a s aviénn par cla stradléṅna
che la purtèva al cmand dal batagliån,
pian pian, såtta ala naiv, in cla matéṅna,
turnànd só i nûster pâs con cl’âsa in man.
Quand a fónn arivè ala puṡiziån
i se dmandénn la stanpa clandestéṅna;
Cassio al mustré al cartèl con una man
e Pêdro al sgné cal pónt só la culéṅna.
Al cartèl al pasé da man a man,
la naiv la caschèva féṅna féṅna,
in gran silänzi, tótti i partigiàn
i guardénn cal bastån só la culéṅna.
Language: French
Version française – Là-haut sur la colline – Marco Valdo M.I. – 2008
« Parfois il m'arrive d'écrire une nouvelle chanson, et j'ai écrit une nouvelle chanson. Ou mieux, j'ai trouvé un poème écrit en dialecte bolognais et je l'ai traduit en italien. Flaco a mis en musique ce poème de façon très très émouvante; Flaco a mis en musique ces très beau vers et c'est un poème qui parlait de la guerre partisane, avec des personnages qui s'appelaient par des noms de bataille : « Pedro », « Cassio », « il figlio del Biondò », « il Brutto »... Nous sommes dans une curieuse période de révisionnisme et nous sommes dans une période où ils cherchent... où quelqu'un cherche à mettre sur le même plan les combattants de la république de Salò et les partisans. Moi, je dis que avec tous les distinguos, avec toute la rhétorique, laissons la Résistance, laissons tranquille la Résistance. La chanson s'appelle « Su in collina » et parle justement de « Pedro », « Cassio », « il figlio del Biondò », « il Brutto »... »
(Francesco Guccini, présentation en concert de cette chanson)
Juste un commentaire sur le révisionnisme : On se demande parfois pourquoi certains tentent de réécrire l'histoire et essayent, comme c'est le cas aussi et spécialement en Italie (mais pas seulement, c'est vrai en France, en Allemagne...) de mettre sur le même pied les combattants de la république de Salò (curieux comme le nom de ce village sonne bien en ce cas... pour un locuteur de langue française), c'est-à-dire en clair les fascistes ralliés aux nazis et à l'armée allemande qui occupait le nord de l'Italie et la Résistance, celle des partisans qui luttait pour chasser les fascistes, les nazis et l'armée allemande de leur pays. Il n'est pas juste de vouloir réhabiliter les assassins et les salauds, y compris ceux de Salò; c'est une évidence.
Mais alors se pose la question pourquoi certains veulent-ils le faire, absolument. La chose là aussi est claire: réhabiliter ceux-là, c'est donner au fascisme (comme idéologie, comme mouvement, comme parti, comme association de malfaiteurs, comme fauteur de guerre) une virginité, c'est effacer purement et simplement ses crimes et ses assassinats, ses massacres et l'immense tort qu'il a fait et fait encore à l'Italie et – ça donne le droit à tout le monde d'intervenir directement dans ce débat – le tort immense qu'il a fait et continue à faire à l'humanité entière.
Ainsi parlait Marco Valdo M.I.
(Francesco Guccini, présentation en concert de cette chanson)
Juste un commentaire sur le révisionnisme : On se demande parfois pourquoi certains tentent de réécrire l'histoire et essayent, comme c'est le cas aussi et spécialement en Italie (mais pas seulement, c'est vrai en France, en Allemagne...) de mettre sur le même pied les combattants de la république de Salò (curieux comme le nom de ce village sonne bien en ce cas... pour un locuteur de langue française), c'est-à-dire en clair les fascistes ralliés aux nazis et à l'armée allemande qui occupait le nord de l'Italie et la Résistance, celle des partisans qui luttait pour chasser les fascistes, les nazis et l'armée allemande de leur pays. Il n'est pas juste de vouloir réhabiliter les assassins et les salauds, y compris ceux de Salò; c'est une évidence.
Mais alors se pose la question pourquoi certains veulent-ils le faire, absolument. La chose là aussi est claire: réhabiliter ceux-là, c'est donner au fascisme (comme idéologie, comme mouvement, comme parti, comme association de malfaiteurs, comme fauteur de guerre) une virginité, c'est effacer purement et simplement ses crimes et ses assassinats, ses massacres et l'immense tort qu'il a fait et fait encore à l'Italie et – ça donne le droit à tout le monde d'intervenir directement dans ce débat – le tort immense qu'il a fait et continue à faire à l'humanité entière.
Ainsi parlait Marco Valdo M.I.
LÀ-HAUT SUR LA COLLINE
Pedro, Cassio et moi, ce matin-là
Sous une neige qui blanchissait tout
Nous devions rencontrer là-haut sur la colline
Notre camarade, Figl’ del Biondò, il Brutto
Le vent était glacé et dans notre dos
Un grand gel nous faisait trembler.
Il y avait, camarades, sur la colline un de ces froids tels
Que je ne réussissais même pas à respirer.
Nous avancions doucement, “Eh, toi, marche !”
Car on ne pouvait aller plus vite
En main, nous tenions notre carabine
Au cas où il y aurait des Boches sur qui tirer.
Là-haut sur la colline, il y avait la brigade Il Brutto
Elle était peut-être déjà à un carrefour
Et avec le reste de la presse clandestine
Elle devait nous remettre “l'Unità”.
Mais Pedro s'est arrêté et hagard
Il cria : “Camarades, mon cœur se glace
Lié à ce fil barbelé
Regardez là, c'est il Brutto, il est là qui meurt”.
Nous ne comprîmes rien et en courant
Nous motions tous par la petite route
Là, il y avait il Brutto tout défiguré
Par les coups de poings et pieds de ces assassins.
Il était déchaussé, palus de veste ni de chemise
Un long fil à la taille et dans les mains
Il tenait un bout de bois où il était écrit
“Voilà la fin de tous les partisans”.
Après avoir maudit et avoir pleuré
Nous l'avons détaché de ce barbelé
Sous la neige, camarade, nous avons juré
Qu'ils le payeraient très cher.
Nous l'avons enseveli là sur la colline
Et sur sa fosse, j'ai mis un bâton.
Cassio a tiré à la carabine.
Un salut de tout le bataillon.
Avec le cœur serré, nous sommes revenus en arrière
Marchant sous la neige, lentement doucement
Doucement sur la glace qui semblait du verre
Lentement en tenant serré le bout de bois en main.
Quand nous sommes arrivé au commandement
Ils nous ont demandé : “La presse clandestine !”.
Cassio montra l'écriteau d'une main
Et Pedro indiqua un point sur la colline.
L'écriteau passa de main en main
Sous la neige qui tombait fine
Dans un grand silence, chaque partisan
Regardait ce bâton là-haut sur la colline.
Pedro, Cassio et moi, ce matin-là
Sous une neige qui blanchissait tout
Nous devions rencontrer là-haut sur la colline
Notre camarade, Figl’ del Biondò, il Brutto
Le vent était glacé et dans notre dos
Un grand gel nous faisait trembler.
Il y avait, camarades, sur la colline un de ces froids tels
Que je ne réussissais même pas à respirer.
Nous avancions doucement, “Eh, toi, marche !”
Car on ne pouvait aller plus vite
En main, nous tenions notre carabine
Au cas où il y aurait des Boches sur qui tirer.
Là-haut sur la colline, il y avait la brigade Il Brutto
Elle était peut-être déjà à un carrefour
Et avec le reste de la presse clandestine
Elle devait nous remettre “l'Unità”.
Mais Pedro s'est arrêté et hagard
Il cria : “Camarades, mon cœur se glace
Lié à ce fil barbelé
Regardez là, c'est il Brutto, il est là qui meurt”.
Nous ne comprîmes rien et en courant
Nous motions tous par la petite route
Là, il y avait il Brutto tout défiguré
Par les coups de poings et pieds de ces assassins.
Il était déchaussé, palus de veste ni de chemise
Un long fil à la taille et dans les mains
Il tenait un bout de bois où il était écrit
“Voilà la fin de tous les partisans”.
Après avoir maudit et avoir pleuré
Nous l'avons détaché de ce barbelé
Sous la neige, camarade, nous avons juré
Qu'ils le payeraient très cher.
Nous l'avons enseveli là sur la colline
Et sur sa fosse, j'ai mis un bâton.
Cassio a tiré à la carabine.
Un salut de tout le bataillon.
Avec le cœur serré, nous sommes revenus en arrière
Marchant sous la neige, lentement doucement
Doucement sur la glace qui semblait du verre
Lentement en tenant serré le bout de bois en main.
Quand nous sommes arrivé au commandement
Ils nous ont demandé : “La presse clandestine !”.
Cassio montra l'écriteau d'une main
Et Pedro indiqua un point sur la colline.
L'écriteau passa de main en main
Sous la neige qui tombait fine
Dans un grand silence, chaque partisan
Regardait ce bâton là-haut sur la colline.
Contributed by Marco Valdo M.I. - 2008/12/12 - 12:24
Language: Greek (Modern)
Μετέφρασε στα Ελληνικά ο Ρικάρδος Βεντούρης
14.11.2012
14.11.2012
'Ενα ποίημα για το θάνατο ενός ιταλικού αντάρτη, γραμμένο στη διάλεκτο Μπολόνιας από τον Γκαστόνε Βαντέλλι (1921-2003).
ΘΑΝΑΤΟΣ ΣΤΟΥΣ ΛΟΦΟΥΣ
Ο Πέντρο, ο Κάσσιος κι εγώ, το πρωί εκείνο
κάτω απ' το χιόνι που τα άσπριζε όλα,
πάνω στους λόφους είχαμε να συναντήσουμε
άλλον σύντροφο, τον γιο του Ξανθού, τον 'Ασχημο
Μας πάγωνε ο άνεμος και στην πλάτη
αισθανόμαστε παγωμένοι και τρέμαμε.
Τόσο ήταν κρύο, σύντροφοι, στους λόφους
ώστε δε μπορούσες ν' αναπνεύσεις
Πηγαίναμε αργά, “Κάνε γρήγορα!”,
μα πιο γρήγορα δε μπορούσαμε να πάμε.
Στα χέρια κρατούσαμε τις καραμπίνες
αν τυχόν δούμε Γερμανούς εκεί γύρω
Ο 'Ασχημος ήταν αντάρτης στους λόφους,
ίσως ήδ' ήταν σ'ένα σταυροδρόμι
και μαζί με άλλον παράνομο τύπο
είχε να μας παραδώσει την “ 'Ενωση”
Αλλ'ο Πέντρο σταμάτησε και φώνασε
σαν τρελό, “Σύντροφοι, μου παγών' η καρδια!
Κοιτάξτε 'δω τον 'Ασχημο δεμένο
στο αγκαθωτό σύρμα να πεθάνει!”
Δεν καταλάβαμε πια τίποτα και γρήγορα
τρέξαμε σα μανιακούς στο μονοπάτι
ο 'Ασχημος ήταν εδώ, τον είχαν σφάξει
με γροθιές και κλοτσιές, οι δολοφόνοι.
Χυπόλητο χωρίς σακάκι ούτε πουκάμισο
τον είχαν δέσει στο σύρμα και στα χέρια
του είχαν βάλει ξυλοσανίδα με γραμμένο
“ 'Ετσι τελειώνουν όλοι οι αντάρτες”
Αφού καταραστούμε και κλάψουμε
τον βγάλαμε από το αγκαθωτό σύρμα.
Κάναμε όρκο, σύντροφοι, κάτω απ' το χιόνι
ότι θα είχαν πληρώσει γι' όλα αυτά.
Τον θάψαμε εδώ πάνω στο λόφο
και στον τάφο του έμπηξα έμα μπαστούνι.
'Εριξ' ο Κάσσιος με την καραμπίνα,
όλο το τάγμα τον αποχαιρετά.
Πίσω γυρίσαμε με πικρή καρδιά
πηγαίνοντας στο χιόνι αργά αργά,
αργά στον πάγο που μοίαζε γυαλί
αργά κρατούντας στα χέρια τη σανίδα
'Οταν φτάσαμε στη Διοίκηση μας
μας ζήτησαν: “Tον παράνομο τύπο!”
Ο Κάσσιος δείχνει τη σανίδα που κρατά
κι ο Πέντρο δείχνει σημείο στους λόφους
Πέρασ' η σανίδα αυτή σε όλα τα χέρια
κάτω απ' το χιόνι που έπεφτε λεπτά.
Στη μεγάλη σιγή, όλοι οι αντάρτες
κοιτάζανε προς μπαστούνι πάνω στους λόφους.
Ο Πέντρο, ο Κάσσιος κι εγώ, το πρωί εκείνο
κάτω απ' το χιόνι που τα άσπριζε όλα,
πάνω στους λόφους είχαμε να συναντήσουμε
άλλον σύντροφο, τον γιο του Ξανθού, τον 'Ασχημο
Μας πάγωνε ο άνεμος και στην πλάτη
αισθανόμαστε παγωμένοι και τρέμαμε.
Τόσο ήταν κρύο, σύντροφοι, στους λόφους
ώστε δε μπορούσες ν' αναπνεύσεις
Πηγαίναμε αργά, “Κάνε γρήγορα!”,
μα πιο γρήγορα δε μπορούσαμε να πάμε.
Στα χέρια κρατούσαμε τις καραμπίνες
αν τυχόν δούμε Γερμανούς εκεί γύρω
Ο 'Ασχημος ήταν αντάρτης στους λόφους,
ίσως ήδ' ήταν σ'ένα σταυροδρόμι
και μαζί με άλλον παράνομο τύπο
είχε να μας παραδώσει την “ 'Ενωση”
Αλλ'ο Πέντρο σταμάτησε και φώνασε
σαν τρελό, “Σύντροφοι, μου παγών' η καρδια!
Κοιτάξτε 'δω τον 'Ασχημο δεμένο
στο αγκαθωτό σύρμα να πεθάνει!”
Δεν καταλάβαμε πια τίποτα και γρήγορα
τρέξαμε σα μανιακούς στο μονοπάτι
ο 'Ασχημος ήταν εδώ, τον είχαν σφάξει
με γροθιές και κλοτσιές, οι δολοφόνοι.
Χυπόλητο χωρίς σακάκι ούτε πουκάμισο
τον είχαν δέσει στο σύρμα και στα χέρια
του είχαν βάλει ξυλοσανίδα με γραμμένο
“ 'Ετσι τελειώνουν όλοι οι αντάρτες”
Αφού καταραστούμε και κλάψουμε
τον βγάλαμε από το αγκαθωτό σύρμα.
Κάναμε όρκο, σύντροφοι, κάτω απ' το χιόνι
ότι θα είχαν πληρώσει γι' όλα αυτά.
Τον θάψαμε εδώ πάνω στο λόφο
και στον τάφο του έμπηξα έμα μπαστούνι.
'Εριξ' ο Κάσσιος με την καραμπίνα,
όλο το τάγμα τον αποχαιρετά.
Πίσω γυρίσαμε με πικρή καρδιά
πηγαίνοντας στο χιόνι αργά αργά,
αργά στον πάγο που μοίαζε γυαλί
αργά κρατούντας στα χέρια τη σανίδα
'Οταν φτάσαμε στη Διοίκηση μας
μας ζήτησαν: “Tον παράνομο τύπο!”
Ο Κάσσιος δείχνει τη σανίδα που κρατά
κι ο Πέντρο δείχνει σημείο στους λόφους
Πέρασ' η σανίδα αυτή σε όλα τα χέρια
κάτω απ' το χιόνι που έπεφτε λεπτά.
Στη μεγάλη σιγή, όλοι οι αντάρτες
κοιτάζανε προς μπαστούνι πάνω στους λόφους.
Language: Italian
Il testo cantato dai Gang
Presenta qualche differenza con quello inciso da Guccini (ricordiamo che i Gang l'hanno incisa prima dell'autore!). Non sono molto sicuro dell'ultimo verso della prima strofa dove sembra che ripeta due volte "il Biondo".
Presenta qualche differenza con quello inciso da Guccini (ricordiamo che i Gang l'hanno incisa prima dell'autore!). Non sono molto sicuro dell'ultimo verso della prima strofa dove sembra che ripeta due volte "il Biondo".
SU IN COLLINA
Pedro, Cassio e anche me, quella mattina
Sotto una neve che imbiancava tutto
Dovevamo incontrare su in collina
L’altro compagno, il Biondo il Biondo, il Brutto
Il vento era ghiacciato e per la schiena
Sentivamo un gran gelo da tremare
C’era un freddo compagni su in collina
Che non riuscivi neanche a respirare
E andavamo via piano, “E te cammina!”
Perché veloci non si poteva andare
Ma in mano tenevam la carabina
Ci fossero dei crucchi a cui sparare
Era della brigata il Brutto, e su in collina
Ad un incrocio forse c’era già
E insieme all’altra stampa clandestina
Doveva consegnarci “l’Unità”
Ma Pedro si è fermato e stralunato
Gridò “Compagni mi si gela il cuore
Legato a tutto quel filo spinato
Guardate là che c’è il Brutto, è la che muore”
E non capimmo niente e di volata
Tutti corremmo su per la stradina
Là c’era il Brutto tutto sfigurato
Dai pugni e i calci di quegli assassini
Era scalzo, né giacca né camicia
Lungo un filo alla vita e tra le mani
Teneva un’asse di legno con la scritta
“Questa è la fine di tutti i partigiani”
Dopo avere maledetto e avere pianto
L’abbiamo tolto dal filo spinato
Sotto la neve, compagni, abbiam giurato,
Che avrebbero pagato tutto quanto.
L’abbiam sepolto là sulla collina
E sulla fossa c'ho messo un bastone
Cassio ha sparato con la carabina
Un saluto da tutto il battaglione
Col cuore stretto siam tornati indietro
Sotto la neve andando piano piano
Piano sul ghiaccio che sembrava vetro
Piano tenendo stretta l’asse in mano
Quando siamo arrivati su al comando
Ci hanno chiesto la stampa clandestina
Cassio mostra il cartello in una mano
E Pedro indica un punto su in collina
Il cartello passò di mano in mano
Sotto la neve che cadeva fina
In gran silenzio ogni partigiano
Guardava quel bastone su in collina
Pedro, Cassio e anche me, quella mattina
Sotto una neve che imbiancava tutto
Dovevamo incontrare su in collina
L’altro compagno, il Biondo il Biondo, il Brutto
Il vento era ghiacciato e per la schiena
Sentivamo un gran gelo da tremare
C’era un freddo compagni su in collina
Che non riuscivi neanche a respirare
E andavamo via piano, “E te cammina!”
Perché veloci non si poteva andare
Ma in mano tenevam la carabina
Ci fossero dei crucchi a cui sparare
Era della brigata il Brutto, e su in collina
Ad un incrocio forse c’era già
E insieme all’altra stampa clandestina
Doveva consegnarci “l’Unità”
Ma Pedro si è fermato e stralunato
Gridò “Compagni mi si gela il cuore
Legato a tutto quel filo spinato
Guardate là che c’è il Brutto, è la che muore”
E non capimmo niente e di volata
Tutti corremmo su per la stradina
Là c’era il Brutto tutto sfigurato
Dai pugni e i calci di quegli assassini
Era scalzo, né giacca né camicia
Lungo un filo alla vita e tra le mani
Teneva un’asse di legno con la scritta
“Questa è la fine di tutti i partigiani”
Dopo avere maledetto e avere pianto
L’abbiamo tolto dal filo spinato
Sotto la neve, compagni, abbiam giurato,
Che avrebbero pagato tutto quanto.
L’abbiam sepolto là sulla collina
E sulla fossa c'ho messo un bastone
Cassio ha sparato con la carabina
Un saluto da tutto il battaglione
Col cuore stretto siam tornati indietro
Sotto la neve andando piano piano
Piano sul ghiaccio che sembrava vetro
Piano tenendo stretta l’asse in mano
Quando siamo arrivati su al comando
Ci hanno chiesto la stampa clandestina
Cassio mostra il cartello in una mano
E Pedro indica un punto su in collina
Il cartello passò di mano in mano
Sotto la neve che cadeva fina
In gran silenzio ogni partigiano
Guardava quel bastone su in collina
Language: Italian (Piemontese)
Versione piemontese di autore anonimo (Torino 1954) da Youtube
SU' 'N CULIN-A
Johnny, Milton e cò mì, 'n cul matìn
suta na fioca che 'mbiancava tutt
a l'avìu da 'ncuntré, sù 'n culin-a
'l fioeul dl Biund, ch'aij disì-u "'l Brutt"
'l vent l'era giasà e lung la schin-a
a sentì-u 'n gel da tremulé
a ij'era na frèid, cumpagn, sù 'n culin-a
che 's riusì-a gnanca a respiré
'ndasìu sù pian, per la muntà
'n presa 's pudì-a nen 'ndé
e tenìu lo sten bin puntà
prunt, cuntra i crucc, a sparé
'l Brutt a l'é dla brigà dla culin-a
sù a ij'é 'n bivio, a sarà già là
prunt per dese la stampa clandestina
poeul ese che l'abbia cò l'Unità
ma Milton a l'é fermase, sbaruà
'n criand "cumpagn m'a sa s-ciapa 'l coeur
'nlupà 'n drinta tut cul fil spinà
a ij'é 'l Brutt, a l'é chiel e a moeur"
l'uma capì pì gnent e 'n presa
suma muntà per cul toc da strà
fin-a 'ndua a ij'era 'l Brutt masà
che cuij bastard a l'avi-u masacrà
a l'avi-u fin-a lasalu d-scàus
e l'avì-u butaije tra le man
'n ass 'd bosc cun sù scritt
"l'é custa la fin ch'a fan i partigian"
prima l'uma cristunà e cò piurà
poeui l'uma gavàie cul fil spinà
e lì, 'n sla fioca, cumpagn, l'uma giurà
che cuij sasìn di crucc l'avrì-u pagà
l'uma sutràlu là, 'n sla culin-a
e cuatà la tampa, l'hai piantà 'n bastùn
cun sò sten Johnny a l'ha sparà
'l salut 'd tutt 'l nost bataiùn
cun 'l coeur giasà suma turnà 'ndaré
sempre 'nt la fioca, dasiòt dasiòt,
'n sghiànt, quasi sensa mai parlé
'n mie man tenì-u cul ass 'd bosc
poeui sumà rivà al nost cumànd
e l'han ciamase dla stampa clandestina
Johnny l'ha mustrà l'ass 'd bosc
e Milton a l'ha fait segn vers la culin-a
cull'ass 'd bosc a l'han tucalu tute 'l man
e 'ntant calava na fioca fin-a
sensa parlé tuti nuij partigian
a vardavu vers cul bastùn, là sù 'n culin-a
Johnny, Milton e cò mì, 'n cul matìn
suta na fioca che 'mbiancava tutt
a l'avìu da 'ncuntré, sù 'n culin-a
'l fioeul dl Biund, ch'aij disì-u "'l Brutt"
'l vent l'era giasà e lung la schin-a
a sentì-u 'n gel da tremulé
a ij'era na frèid, cumpagn, sù 'n culin-a
che 's riusì-a gnanca a respiré
'ndasìu sù pian, per la muntà
'n presa 's pudì-a nen 'ndé
e tenìu lo sten bin puntà
prunt, cuntra i crucc, a sparé
'l Brutt a l'é dla brigà dla culin-a
sù a ij'é 'n bivio, a sarà già là
prunt per dese la stampa clandestina
poeul ese che l'abbia cò l'Unità
ma Milton a l'é fermase, sbaruà
'n criand "cumpagn m'a sa s-ciapa 'l coeur
'nlupà 'n drinta tut cul fil spinà
a ij'é 'l Brutt, a l'é chiel e a moeur"
l'uma capì pì gnent e 'n presa
suma muntà per cul toc da strà
fin-a 'ndua a ij'era 'l Brutt masà
che cuij bastard a l'avi-u masacrà
a l'avi-u fin-a lasalu d-scàus
e l'avì-u butaije tra le man
'n ass 'd bosc cun sù scritt
"l'é custa la fin ch'a fan i partigian"
prima l'uma cristunà e cò piurà
poeui l'uma gavàie cul fil spinà
e lì, 'n sla fioca, cumpagn, l'uma giurà
che cuij sasìn di crucc l'avrì-u pagà
l'uma sutràlu là, 'n sla culin-a
e cuatà la tampa, l'hai piantà 'n bastùn
cun sò sten Johnny a l'ha sparà
'l salut 'd tutt 'l nost bataiùn
cun 'l coeur giasà suma turnà 'ndaré
sempre 'nt la fioca, dasiòt dasiòt,
'n sghiànt, quasi sensa mai parlé
'n mie man tenì-u cul ass 'd bosc
poeui sumà rivà al nost cumànd
e l'han ciamase dla stampa clandestina
Johnny l'ha mustrà l'ass 'd bosc
e Milton a l'ha fait segn vers la culin-a
cull'ass 'd bosc a l'han tucalu tute 'l man
e 'ntant calava na fioca fin-a
sensa parlé tuti nuij partigian
a vardavu vers cul bastùn, là sù 'n culin-a
Contributed by Dq82 - 2017/8/29 - 15:17
Francesco ci regala con questa canzone l'ennesima emozione.. che altro dirgli, se non GRAZIE..
chiara - 2008/3/9 - 20:39
Ho sentito dal vivo questa canzone al concerto del 18.09.2008 a Spoleto:insieme al freddo della serata,come sottolineato piu' volte da Francesco,ho sentito un brivido nel ricordare i tanti morti Partigiani morti per regalare a noi un po' di democrazia!
Grazie ancora Francesco di esistere.
Giorgio da Genova
Grazie ancora Francesco di esistere.
Giorgio da Genova
GIORGIO PINNA - 2008/9/30 - 07:09
La poesia in bolognese di Gastone Vandelli dalla quale è tratta questa canzone si chiama Môrt in culéṅna; purtroppo, finora, ogni tentativo di reperirne il testo in rete si è rivelato vano. Facciamo appello a tutti gli amici e frequentatori bolognesi di questo sito per reperirlo e inserirlo nel sito.
Gastone Vandelli, nato nel 1921, è un importante poeta in bolognese. E' autore, tra l'altro, di un poemetto del 1998 (dedicato a Dario Fo), su un curioso episodio della storia bolognese, accaduto nel 1334, Al Tumûlt ed Bulåggna dal 1334, che è possibile leggere su La stòria d Bulåggna/La storia di Bologna:
"Nel 1334 Bologna fu teatro di un evento bellico unico nella storia del mondo, praticamente ignorato dagli storici. È descritto nel volume “Vita di Cola Di Rienzo”, di anonimo romano, e ne fu protagonista il popolo bolognese. Si tratta di un episodio degno di Rabelais, che Dario Fo inserì nello spettacolo “Fabulazzo osceno”, recitato nello stesso straordinario linguaggio grammelot del suo “Mistero Buffo”.
A quel tempo il papa stava ad Avignone e Bologna era governata dal cardinale Bertrando Del Poggetto. Dopo un rovinoso assalto a Ferrara e alla Repubblica Veneziana, il cardinale, i nobili e il clero si rifugiarono nella possente rocca di Porta Galliera per sfuggire all’ira dei bolognesi che in quella battaglia avevano subito migliaia di morti. Ovviamente, prima di asserragliarsi nella rocca, gli armigeri francesi al servizio del cardinale razziarono ogni genere di vettovaglie con l’intenzione di resistere il più a lungo possibile.
Così i bolognesi si trovarono a dover risolvere un difficilissimo problema tattico: come fare per entrare nella rocca inespugnabile, cacciare il cardinale e riprendersi il governo della città? Quella fortezza avrebbe resistito ad ogni arma allora conosciuta. Non esisteva scala tanto lunga per raggiungerne la sommità, non c’era ariete tanto ciclopico da sfondarne la porta.
Fu a questo punto che gli assedianti, cioè i popolani bolognesi, ebbero il colpo di genio: perché non battere l’odiato tiranno con proiettili mai usati prima d’allora (e forse nemmeno dopo)? Non era certo l’atomica, il napalm, o brutture del genere. Era semplicemente Merda. La sana, genuina, schietta e puzzolente merda. Un’arma nuova e irresistibile da catapultare a tonnellate nella fortezza, riempiendone ogni locale, ogni anfratto, ogni cortile, dopo aver saggiamente deviato le condutture dell’acqua.
Tutto il popolo di Bologna, dal neonato al centenario, partecipò in massa al rifornimento delle munizioni necessarie agli assedianti. Così il cardinale e i suoi furono letteralmente sommersi da quell’arma totale, e, dopo una breve resistenza, si arresero fuggendo mesti e puzzolenti.
Dove poteva nascere, se non a Bologna, un’idea tanto vincente quanto incruenta? Nemmeno un morto, nemmeno un ferito. Soltanto un tiranno e la sua corte, vinti, scornati, umiliati e... fetenti. Eh, sì, se nel 1334 fosse esistito il Nobel per la pace, sarebbe stato certamente dei bolognesi.
Come dicevamo, Dario Fo trasse dalla vicenda un indimenticabile brano teatrale e anche la fantasia del poeta dialettale Gastone Vandelli è stata solleticata dall’eccezionalità di quella battaglia. Vandelli, usando naturalmente il dialetto bolognese, ha così creato questo poemetto a rima baciata che la descrive con minuzia di particolari, con l’estro che gli è solito, senza farsi opprimere da falsi pudori ma, anzi, con lo stesso gusto dell’osceno che animava lo spettacolo di Fo, al quale l’opera è dedicata.
Non scurrile o triviale, dunque, ma giustamente osceno per descrivere un episodio scatologico incredibile ma vero, una pagina stupenda della nostra storia. Chissà perché gli storici tengono nascosto un fatto di questo genere? Certo, raccontare una battaglia senza morti, dove non c’è il supremo ed eroico sacrificio per la patria, deve essere dura. O forse potrebbe essere giusta l’immagine dei francesi: “se mostri la luna con un braccio teso e il dito puntato in aria, lo storico non scruta il cielo ma ti piomba sul dito e comincia ad analizzarlo”.
Per fortuna, oltre agli storici, ci sono poeti come Fo e, senza voler essere irriverenti, come Gastone Vandelli. Il quale, in questo dialettale Tumûlt ed Bulåggna, offre momenti di grande efficacia descrittiva e di satira penetrante, insieme a un’ampia serie di espressioni e vocaboli, coloriti ed efficaci, sempre meno usati nel dialetto colloquiale contemporaneo.
Allora onore al merito per questa ennesima divertente fatica del poeta Vandelli, il quale - ne siamo sicuri - regalerà presto al pubblico bolognese altre creazioni, altre opere partorite dal suo inesauribile estro poetico. Ma poiché ci è parso di cogliere nell’autore qualche incertezza sull’opportunità di far conoscere il suo Tumûlt, vorremmo rassicurarlo con una domanda retorica: cosa vieta di dire la verità ridendo? E se Dario Fo sostiene che gli storici sono stitici, a lui, che il Nobel lo ha preso davvero anche dicendo verità scomode, bisognerà pur credere."
Gastone Vandelli, nato nel 1921, è un importante poeta in bolognese. E' autore, tra l'altro, di un poemetto del 1998 (dedicato a Dario Fo), su un curioso episodio della storia bolognese, accaduto nel 1334, Al Tumûlt ed Bulåggna dal 1334, che è possibile leggere su La stòria d Bulåggna/La storia di Bologna:
"Nel 1334 Bologna fu teatro di un evento bellico unico nella storia del mondo, praticamente ignorato dagli storici. È descritto nel volume “Vita di Cola Di Rienzo”, di anonimo romano, e ne fu protagonista il popolo bolognese. Si tratta di un episodio degno di Rabelais, che Dario Fo inserì nello spettacolo “Fabulazzo osceno”, recitato nello stesso straordinario linguaggio grammelot del suo “Mistero Buffo”.
A quel tempo il papa stava ad Avignone e Bologna era governata dal cardinale Bertrando Del Poggetto. Dopo un rovinoso assalto a Ferrara e alla Repubblica Veneziana, il cardinale, i nobili e il clero si rifugiarono nella possente rocca di Porta Galliera per sfuggire all’ira dei bolognesi che in quella battaglia avevano subito migliaia di morti. Ovviamente, prima di asserragliarsi nella rocca, gli armigeri francesi al servizio del cardinale razziarono ogni genere di vettovaglie con l’intenzione di resistere il più a lungo possibile.
Così i bolognesi si trovarono a dover risolvere un difficilissimo problema tattico: come fare per entrare nella rocca inespugnabile, cacciare il cardinale e riprendersi il governo della città? Quella fortezza avrebbe resistito ad ogni arma allora conosciuta. Non esisteva scala tanto lunga per raggiungerne la sommità, non c’era ariete tanto ciclopico da sfondarne la porta.
Fu a questo punto che gli assedianti, cioè i popolani bolognesi, ebbero il colpo di genio: perché non battere l’odiato tiranno con proiettili mai usati prima d’allora (e forse nemmeno dopo)? Non era certo l’atomica, il napalm, o brutture del genere. Era semplicemente Merda. La sana, genuina, schietta e puzzolente merda. Un’arma nuova e irresistibile da catapultare a tonnellate nella fortezza, riempiendone ogni locale, ogni anfratto, ogni cortile, dopo aver saggiamente deviato le condutture dell’acqua.
Tutto il popolo di Bologna, dal neonato al centenario, partecipò in massa al rifornimento delle munizioni necessarie agli assedianti. Così il cardinale e i suoi furono letteralmente sommersi da quell’arma totale, e, dopo una breve resistenza, si arresero fuggendo mesti e puzzolenti.
Dove poteva nascere, se non a Bologna, un’idea tanto vincente quanto incruenta? Nemmeno un morto, nemmeno un ferito. Soltanto un tiranno e la sua corte, vinti, scornati, umiliati e... fetenti. Eh, sì, se nel 1334 fosse esistito il Nobel per la pace, sarebbe stato certamente dei bolognesi.
Come dicevamo, Dario Fo trasse dalla vicenda un indimenticabile brano teatrale e anche la fantasia del poeta dialettale Gastone Vandelli è stata solleticata dall’eccezionalità di quella battaglia. Vandelli, usando naturalmente il dialetto bolognese, ha così creato questo poemetto a rima baciata che la descrive con minuzia di particolari, con l’estro che gli è solito, senza farsi opprimere da falsi pudori ma, anzi, con lo stesso gusto dell’osceno che animava lo spettacolo di Fo, al quale l’opera è dedicata.
Non scurrile o triviale, dunque, ma giustamente osceno per descrivere un episodio scatologico incredibile ma vero, una pagina stupenda della nostra storia. Chissà perché gli storici tengono nascosto un fatto di questo genere? Certo, raccontare una battaglia senza morti, dove non c’è il supremo ed eroico sacrificio per la patria, deve essere dura. O forse potrebbe essere giusta l’immagine dei francesi: “se mostri la luna con un braccio teso e il dito puntato in aria, lo storico non scruta il cielo ma ti piomba sul dito e comincia ad analizzarlo”.
Per fortuna, oltre agli storici, ci sono poeti come Fo e, senza voler essere irriverenti, come Gastone Vandelli. Il quale, in questo dialettale Tumûlt ed Bulåggna, offre momenti di grande efficacia descrittiva e di satira penetrante, insieme a un’ampia serie di espressioni e vocaboli, coloriti ed efficaci, sempre meno usati nel dialetto colloquiale contemporaneo.
Allora onore al merito per questa ennesima divertente fatica del poeta Vandelli, il quale - ne siamo sicuri - regalerà presto al pubblico bolognese altre creazioni, altre opere partorite dal suo inesauribile estro poetico. Ma poiché ci è parso di cogliere nell’autore qualche incertezza sull’opportunità di far conoscere il suo Tumûlt, vorremmo rassicurarlo con una domanda retorica: cosa vieta di dire la verità ridendo? E se Dario Fo sostiene che gli storici sono stitici, a lui, che il Nobel lo ha preso davvero anche dicendo verità scomode, bisognerà pur credere."
Riccardo Venturi - 2008/9/30 - 11:55
Grazie Francesco per le emozioni che mi regali attraverso le tue canzoni.
Daniele Farzetti (Agliana -Pistoia) - 2010/2/6 - 22:49
Ho assistito venerdi 26 febbraio 2010,ad un magnifico concerto di Francesco a Perugia,canzone bellissima.Non dobbiamo dimenticare quello che hanno fatto i partigiani per noi,anche questo è un modo per trasmettere ai nostri giovani(che affollano peraltro i concerti di Francesco)i valori della resistenza.
Dania,1964.
Dania,1964.
Dania - 2010/3/2 - 22:06
Sono in grado di fornire il testo originale in dialetto bolognese di Vandelli "Môrt in culénna" (morte in collina).
Se interessa, fatemi conoscere le modalità d'invio.
Luigi Lepri (curatore del suo libro di poesie " I séggn di ân").
Se interessa, fatemi conoscere le modalità d'invio.
Luigi Lepri (curatore del suo libro di poesie " I séggn di ân").
Luigi Lepri - 2011/10/21 - 12:19
La poesia originale bolognese di Gastone Vandelli è stata finalmente resa in grafia corretta; in realtà il font Arial Unicode, così come suggerito dalla "bibbia" in rete del bolognese, bulgnais.com, contiene già i caratteri speciali tipici (nella sezione "Latino esteso addizionale"). Da notare che il medesimo sito contiene una speciale sezione dedicata a Gastone Vandelli, nella quale è riportata anche la poesia Môrt in culéṅna; dalla pagina apprendiamo che la poesia è del 1949 e che vinse il "premio Unità" (probabilmente messo in palio dall'allora organo del PCI, del resto nominato espressamente nel testo).
Riccardo Venturi - 2012/11/14 - 00:25
×
Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
[2007]
Dalla poesia in bolognese Môrt in culéṅna di Gastone Vandelli
Traduzione di Francesco Guccini
Musica di Juan Carlos "Flaco" Biondini
incisa nell'album "L'ultima Thule" (2012) e dai Gang in "La Rossa Primavera" (2011)
Alla ghironda Paolo Simonazzi
"Ogni tanto capita di scrivere una canzone nuova, e ho scritto una canzone nuova. O meglio, ho trovato una poesia scritta in dialetto bolognese e l'ho tradotta in italiano. Flaco ha musicato questa poesia in modo molto emozionante; Flaco ha musicato questi bellissimi versi, ed è una poesia che parlava della guerra partigiana, con dei personaggi che si chiamavano con dei nomi di battaglia: 'Pedro', 'Cassio', 'il figlio del Biondo', 'il Brutto'…siamo in un curioso periodo di revisionismo, e siamo in un periodo in cui cercano…in qui qualcuno cerca di equiparare i combattenti della repubblica di Salò ai partigiani. Io dico che, con tutti i distinguo, con tutta la retorica che c'è stata, lasciamo stare, lasciatemi stare la Resistenza. La canzone si chiama 'Su in collina', e parla appunto di Pedro, di Cassio, il figlio del Biondo, il Brutto […]"
(Francesco Guccini, presentazione dal vivo della canzone)
Gang
La rossa primavera
2011
La rossa primavera
2011
“La Rossa Primavera”, il 13° album dei Gang, è un Cammino lungo i canti della Resistenza. Un Cammino che ripercorre le tracce piu’ significative e passa per la migliore canzone d’autore italiana ispirata dalla lotta contro il nazi-fascismo. Non potevano mancare le canzoni dei Gang. Ospiti i Ned Ludd, e dall’incontro con il loro spirito folkeggiante nasce un nuovo episodio che testimonia e ribadisce la scelta di stare ancora oggi dalla parte giusta, quella della Resistenza contro i nuovi e i vecchi fascismi.
Fischia il vento (tradizionale) - Dante Di Nanni (Stormy Six) - La Brigata Garibaldi (tradizionale) - Su in collina (Francesco Guccini) - Poco di buono (Claudio Lolli) - La pianura dei sette fratelli (Gang) - Pane, giustizia e libertà (Massimo Priviero) - Tredici (Yo Yo Mundi) – E quei briganti neri (tradizionale) – Festa d'aprile (Franco Antonicelli) – 4 maggio 1944 - In memoria (Gang) - Eurialo e Niso (Gang e Massimo Bubola) - Pietà l'è morta (Nuto Revelli) - Aprile (Gang) - Le storie di ieri (Francesco De Gregori)