جيفارا مات
Ahmed Fouad Negm / احمد فؤاد نجمLanguage: Arabic ('Aammeya [Arabo egiziano colloquiale / Egyptian Colloquial Arabic])
جيفارا مات
جيفارا مات
اخر خبر فى الراديوهات
وفى الكنايس
والجوامع
وفى الحواري
والشوارع
وع القهاوي وع البارات
جيفارا مات
واتمد حبل الدردشه
والتعليقات
مات المناضل المثال
ياميت خسارة على الرجال
مات الجدع فوق مدفعة جوه الغابات
جسد نضالة بمصرعه
ومن سكات
لا طبالين يفرقعوا
ولا اعلانات
ما رايكم دام عزكم
ياانتيكات
يا غرقانين فى المأكولات
والملبوسات
يا دافيانين
ومولعين الدفايات
يا محفلطين يا ملمعين
ياجيمسنات
يا بتوع نضال اخر زمن
فى العوامات
ما رايكم دام عزكم
جيفارا مات
لاطنطنة
ولا شنشنه
ولا اعلامات واستعلامات
عينى عليه ساعه القضا
من غير رفاقه تودعه
يطلع انينه للفضا
يزعق
ولا مين يسمعه
يمكن صرخ من الالم
من لسعه النار ف الحشا
يمكن ضحك
او ابتسم
او ارتعش
او انتشى
يمكن لفظ اخر نفس
كلمه وادع
لجل الجياع
يمكن وصيه
للى حاضنين القضيه
فى الصراع
صور كتير
ملو الخيال
والف مليون احتمال
لكن اكيد
اكيد اكيد
ولاجدال
جيفارا مات
موتة رجال
ياشغالين ومحرومين
يا مسلسلين رجلين وراس
خلاص خلاص
مالكوش خلاص
غير بالبنادق والرصاص
دا منطق العصر السعيد
عصر الزنوج والامريكان
الكلمه للنار والحديد
والعدل اخرس او جبان
صرخه جيفار يا عبيد
في اى موطن او مكان
مافيش بديل
مافيش مناص
يا تجهزوا جيش الخلاص
يا تقولوا على العالم خلاص
جيفارا مات
اخر خبر فى الراديوهات
وفى الكنايس
والجوامع
وفى الحواري
والشوارع
وع القهاوي وع البارات
جيفارا مات
واتمد حبل الدردشه
والتعليقات
مات المناضل المثال
ياميت خسارة على الرجال
مات الجدع فوق مدفعة جوه الغابات
جسد نضالة بمصرعه
ومن سكات
لا طبالين يفرقعوا
ولا اعلانات
ما رايكم دام عزكم
ياانتيكات
يا غرقانين فى المأكولات
والملبوسات
يا دافيانين
ومولعين الدفايات
يا محفلطين يا ملمعين
ياجيمسنات
يا بتوع نضال اخر زمن
فى العوامات
ما رايكم دام عزكم
جيفارا مات
لاطنطنة
ولا شنشنه
ولا اعلامات واستعلامات
عينى عليه ساعه القضا
من غير رفاقه تودعه
يطلع انينه للفضا
يزعق
ولا مين يسمعه
يمكن صرخ من الالم
من لسعه النار ف الحشا
يمكن ضحك
او ابتسم
او ارتعش
او انتشى
يمكن لفظ اخر نفس
كلمه وادع
لجل الجياع
يمكن وصيه
للى حاضنين القضيه
فى الصراع
صور كتير
ملو الخيال
والف مليون احتمال
لكن اكيد
اكيد اكيد
ولاجدال
جيفارا مات
موتة رجال
ياشغالين ومحرومين
يا مسلسلين رجلين وراس
خلاص خلاص
مالكوش خلاص
غير بالبنادق والرصاص
دا منطق العصر السعيد
عصر الزنوج والامريكان
الكلمه للنار والحديد
والعدل اخرس او جبان
صرخه جيفار يا عبيد
في اى موطن او مكان
مافيش بديل
مافيش مناص
يا تجهزوا جيش الخلاص
يا تقولوا على العالم خلاص
Contributed by Riccardo Venturi - 2017/10/8 - 13:08
Language: Italian
Traduzione a cura di un gruppo di compagni arabi e sardi tratta da Il Deposito
Nota. Il titolo dato alla traduzione, "L'urlo di Guevara", non è propriamente quello della canzone originale ma è ripreso da un suo verso. [RV]
Nota. Il titolo dato alla traduzione, "L'urlo di Guevara", non è propriamente quello della canzone originale ma è ripreso da un suo verso. [RV]
L'URLO DI GUEVARA
Guevara è morto
Guevara è morto
L'ultima notizia nelle radio
Nelle chiese, nelle moschee
Nei quartieri e nelle piazze
Nei caffè e nei bar
Guevara è morto
Si è diffusa la voce
e i commenti
È morto il combattente modello
Cento disgrazie per gli uomini.
Morto col fucile nella foresta.
Finisce la sua lotta con la morte
Silenzio
I suonatori di tamburo non suonano più,
niente annunci.
Che ne dite gentili signori?
Vecchiume, affogati nel vostro mangiare,
nel vostro vestire,
nelle vostre calde case con le stufe accese,
James Bond tirati a lucido,
voi rivoluzionari dell'ultim'ora,
nelle vostre barche,
che ne dite gentili signori?
Guevara è morto,
senza tam tam,
senza fanfare,
senza proclami.
Morire senza lo sguardo dei compagni,
il suo destino.
Rantola verso il cielo,
grida e nessuno lo ascolta.
Forse urla dal dolore,
dal fuoco che brucia dentro di se.
Forse ha riso, forse sorriso,
forse tremato o goduto,
forse il suo ultimo sospiro
è una parola di saluto
per la generazione degli affamati,
forse un testamento
per chi abbraccia la causa,
nella lotta.
Molte immagini,
da riempire l'immaginazione.
Mille milioni di possibilità.
Però di sicuro,
non si discute,
Guevara è morto, una morte da uomo.
Operai e dannati della terra,
legati i piedi e il cervello.
Basta, basta, non avete salvezza
senza il fucile e il piombo.
Questa è la logica di questi "bei tempi",
dei servi e degli americani.
La parola al ferro e al fuoco.
La giustizia è muta o vigliacca.
L'urlo di Guevara,
schiavi di ogni paese e di ogni luogo:
non c'è alternativa,
non resta altra strada.
O preparate gli eserciti di liberazione.
O dite al mondo che è finita.
Guevara è morto
Guevara è morto
L'ultima notizia nelle radio
Nelle chiese, nelle moschee
Nei quartieri e nelle piazze
Nei caffè e nei bar
Guevara è morto
Si è diffusa la voce
e i commenti
È morto il combattente modello
Cento disgrazie per gli uomini.
Morto col fucile nella foresta.
Finisce la sua lotta con la morte
Silenzio
I suonatori di tamburo non suonano più,
niente annunci.
Che ne dite gentili signori?
Vecchiume, affogati nel vostro mangiare,
nel vostro vestire,
nelle vostre calde case con le stufe accese,
James Bond tirati a lucido,
voi rivoluzionari dell'ultim'ora,
nelle vostre barche,
che ne dite gentili signori?
Guevara è morto,
senza tam tam,
senza fanfare,
senza proclami.
Morire senza lo sguardo dei compagni,
il suo destino.
Rantola verso il cielo,
grida e nessuno lo ascolta.
Forse urla dal dolore,
dal fuoco che brucia dentro di se.
Forse ha riso, forse sorriso,
forse tremato o goduto,
forse il suo ultimo sospiro
è una parola di saluto
per la generazione degli affamati,
forse un testamento
per chi abbraccia la causa,
nella lotta.
Molte immagini,
da riempire l'immaginazione.
Mille milioni di possibilità.
Però di sicuro,
non si discute,
Guevara è morto, una morte da uomo.
Operai e dannati della terra,
legati i piedi e il cervello.
Basta, basta, non avete salvezza
senza il fucile e il piombo.
Questa è la logica di questi "bei tempi",
dei servi e degli americani.
La parola al ferro e al fuoco.
La giustizia è muta o vigliacca.
L'urlo di Guevara,
schiavi di ogni paese e di ogni luogo:
non c'è alternativa,
non resta altra strada.
O preparate gli eserciti di liberazione.
O dite al mondo che è finita.
Language: Italian
Traduzione italiana di Giorgio Banti
La traduzione è ripresa dal volume di Meri Lao, Al Che - Poesie e canzoni dal mondo, edizioni Erre Emme, Roma 1995, pp. 203/205. Il prof. Giorgio Banti è docente di linguistica generale e glottologia presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli, dove tiene anche la cattedra di lingua e letteratura somala. [RV]
GUEVARA È MORTO
Guevara è morto.
L'ultima notizia alla radio,
nelle chiese e nelle moschee,
nei vicoli e nelle strade,
nei caffè e nei bar;
Guevara è morto,
morto.
Si sentono le chiacchiere e i commenti.
Guevara è morto.
È morto il combattente esemplare,
che terribile perdita per gli uomini!
Il giovane è morto sul suo fucile nella giungla.
La sua lotta si è realizzata nella sua morte
e in silenzio, senza colpi a salve né annunci.
Guevara è morto.
Che ne pensate voi signori, voi vecchi,
voi affogati nei vestiti e nei cibi,
voi che state al caldo e accendete le stufe,
voi dandy, voi Johnson,
voi che siete arroganti e saccenti sui casinò galleggianti?
Che ne pensate, signori?
Niente celebrazioni né annunci.
Che pena l'ora del destino senza che i compagni lo salutino!
Guevara è morto.
Il suo lamento sale nello spazio, grida
e non c'è nessuno che lo senta.
Che pena l'ora del destino!
Forse ha gridato per il dolore
del morso del fucile tra le viscere;
forse ha riso
o ha sorriso
o ha tremato
o si è sentito soddisfatto;
forse ha emesso il suo ultimo respiro,
una parola di addio.
Per gli affamati, la sua testimonianza rafforza
coloro che promuovono la causa e la lotta.
Molte immagini piene di fantasia,
mille milioni di possibilità.
Ma è certo, è certo
e non ci può essere dubbio:
Guevara è morto lottando.
Guevara è morto.
Operai e diseredati, incatenati, correte alla lotta!
Liberazione, liberazione,
non c'è liberazione per voi,
se non con le bombe o le pallottole.
Questo è il discorso dell'era felice,
l'era dei negri e degli americani.
La parola spetta al fuoco e all'acciaio
quando la giustizia è muta o vigliacca.
Il grido di Guevara è: avanti, schiavi!
In qualsiasi condizione o luogo
non c'è alternativa, non c'è scampo:
o preparate l'esercito della liberazione
o mentite al mondo della liberazione.
Liberazione!
Guevara è morto.
L'ultima notizia alla radio,
nelle chiese e nelle moschee,
nei vicoli e nelle strade,
nei caffè e nei bar;
Guevara è morto,
morto.
Si sentono le chiacchiere e i commenti.
Guevara è morto.
È morto il combattente esemplare,
che terribile perdita per gli uomini!
Il giovane è morto sul suo fucile nella giungla.
La sua lotta si è realizzata nella sua morte
e in silenzio, senza colpi a salve né annunci.
Guevara è morto.
Che ne pensate voi signori, voi vecchi,
voi affogati nei vestiti e nei cibi,
voi che state al caldo e accendete le stufe,
voi dandy, voi Johnson,
voi che siete arroganti e saccenti sui casinò galleggianti?
Che ne pensate, signori?
Niente celebrazioni né annunci.
Che pena l'ora del destino senza che i compagni lo salutino!
Guevara è morto.
Il suo lamento sale nello spazio, grida
e non c'è nessuno che lo senta.
Che pena l'ora del destino!
Forse ha gridato per il dolore
del morso del fucile tra le viscere;
forse ha riso
o ha sorriso
o ha tremato
o si è sentito soddisfatto;
forse ha emesso il suo ultimo respiro,
una parola di addio.
Per gli affamati, la sua testimonianza rafforza
coloro che promuovono la causa e la lotta.
Molte immagini piene di fantasia,
mille milioni di possibilità.
Ma è certo, è certo
e non ci può essere dubbio:
Guevara è morto lottando.
Guevara è morto.
Operai e diseredati, incatenati, correte alla lotta!
Liberazione, liberazione,
non c'è liberazione per voi,
se non con le bombe o le pallottole.
Questo è il discorso dell'era felice,
l'era dei negri e degli americani.
La parola spetta al fuoco e all'acciaio
quando la giustizia è muta o vigliacca.
Il grido di Guevara è: avanti, schiavi!
In qualsiasi condizione o luogo
non c'è alternativa, non c'è scampo:
o preparate l'esercito della liberazione
o mentite al mondo della liberazione.
Liberazione!
Contributed by Riccardo Venturi - 2017/10/10 - 23:38
×
Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
[1967]
Testo di Ahmed Fouad Negm
Interpretazione di Imam Mohammad Ahmad Eissa, o Sheikh Imam / إمام محمد أحمد عيسى
Il 9 ottobre sono 50 anni esatti dall'assassinio di Ernesto “Che” Guevara (La Higuera, Ñancahuazú, Bolivia). Abbastanza notoriamente, non sono mai stato troppo propenso ad inserire nel sito canzoni sul Che, e sì che ne esistono, letteralmente, a centinaia; probabilmente, uno dei motivi principali è che la riduzione del Che ad un' “icona pop”, o “rivoluzionaria”, non mi è mai andata molto a genio -e questo comunque la si voglia vedere sulla figura storica e sugli atti della sua vita. A volte, è pur, vero, ho fatto delle eccezioni, come per la bellissima e disperata Α ρε Σύντροφε e per altre; Hasta siempre di Carlos Puebla, la canción de las canciones sul Che, sì, certo, c'è pure lei sebbene tra gli “Extra” (dove rimarrà). Comunque sia, in un sito come questo, che principalmente ha un carattere storico, tenere del tutto fuori il Che è semplicemente improponibile anche se un po' di moderazione si impone per evitare categoricamente la vuota agiografia.
Eppure, in bagno (!), tengo praticamente come reliquie un berretto e un gagliardetto col Che che mi sono stati regalati direttamente da sua figlia, Aleida Guevara March, quando alcuni anni fa venne dalle mie parti. Eppure, quand'ero ai primi vagiti della mia presenza sull'allora costosissima Rete, sono stato autore di un piccolo “Canzoniere sul Che Guevara”. Eppure, pochi giorni fa, ero a aiutare a preparare piatti cubani per una “Cena guevarista” in un dato posto (arroz con cerdo, congrí oriental, tostones, canchánchara...). Eppure tante cose. Ivi compresa, sempre quella sera, portarmi dietro un “canzoniere del Che”, ma di quelli seri: il volume che Meri Lao, scomparsa da pochi mesi, pubblicò nel 1995. “Al Che – Poesie e canzoni dal mondo”, Collana “Parole e musica”, edizioni Erre Emme, Roma. 152 canzoni e un Che solo, ivi compresa quella di Loredana Bertè, Il Comandante Che (Let's Face It), che avevo inserito nel vecchissimo e piccolo “canzoniere” della mia preistoria internettara, e dal quale Bernart Bartleby (allora “Dead End”) la aveva ripresa per inserirla quasi ignaro in questo sito.
E così sono cinquant'anni da ”quel giorno d'ottobre in terra boliviana”, lo stesso giorno in cui Ivan Della Mea aveva ambientato una sua storia di periferia urbana, da La Higuera a via Montemartini. Si capisce che, più delle canzoni sul “Comandante” e sul rivoluzionario, siano particolarmente interessanti e “proprie” quelle che provengono, in tutto il mondo, da un'immagine e da un significato, da una presenza e da una speranza, da un “dov'ero io quando...?” a un adattamento alla situazione vissuta, personale e collettiva. E così, in questi giorni a cinquant'anni di distanza (dov'ero io non me lo ricordo: avevo quattro anni...), per ricordare comunque quell'evento non vado né a Cuba, né in Bolivia, né in America Latina. Vado in giro per il mondo, laddove l'oppressione non è mai finita.
In questi giorni di “cinquantenario”, non sono mancate naturalmente le “rievocazioni”, più o meno storiche, a cura dei media. Dico “naturalmente”, perché questo 2017 sembra essere fatto apposta per la facile ondata revisionista. Cinquant'anni dalla morte del Che, cento dalla rivoluzione russa; entrambe le cose hanno, perdipiù, a che fare col mese di ottobre. Si vedono girare in televisione, lasciando pur perdere i “giornali”, faccione belle curate, cravattone inamidate, opinionisti di punta e persino studentelli 2.0 (o siamo già al 3.0?); oggi stesso mi è capitato di vedere, a parlare del Che Guevara e della sua vicenda umana e storica, gente come Paolo Mieli e Ernesto Galli della Loggia, coadiuvati da giovani neolaureati in storia uno dei quali, con una faccina che definirei agevolmente “da movimento cinquestelle”, concludeva che “del Che non resta niente, la rivoluzione si fa dentro se stessi, ora la rivoluzione si fa con un click sui social media”. La mia povera TV ha rischiato seriamente di terminare la sua esistenza con una poderosa ciabattata. Nel frattempo, Paolo Mieli, che -come tanti- da giovincello faceva l' “estremista” in Lotta Continua e firmava i manifesti contro il commissario Calabresi, ironizzava qua e là sulle “canzoncine” che sono state dedicate a centinaia al Che Guevara e non a Lenin; sembrava averci proprio una fissazione, forse ignorando che a Lenin sono state dedicate anche più canzoni che al Che. Sono questi gli “intellettuali” e gli storici che abbiamo e che, ohimé, forse ci meritiamo; ma poiché al Mieli e al Della Loggia piace tanto ironizzare sulle “canzoncine” (mentre, ovviamente, passava Hasta siempre, una a caso...), se ha un qualche senso inserire qua dentro qualche canzone sul Che (perdipiù, da ieri, con un apposito percorso, istituito “motu proprio” dal Webmaster), lo ha proprio per fare vedere che cosa dicevano queste “canzoncine” provenienti da tutto il mondo e scritte in tutte le lingue, e vedere soprattutto se esse esprimono istanze “passate di moda” o ancora ben attuali.
Il Che Guevara, è chiaro, sta subendo da un lato la già nominata trasformazione in “icona pop” buona per tutti (in questo senso è stata persino adoperata dai fascisti di Casapound...) e, dall'altro, un'opera di “storicizzazione”. Tale “storicizzazione”, assieme all'agiografia, riescono come per miracolo a andare d'accordissimo: il loro risultato è, grosso modo, il medesimo. Quello di cancellare il significato reale, la portata delle azioni del Che Guevara, e come tutto questo fu percepito in tutto il mondo. La “mitizzazione” del Che Guevara ha avuto principalmente questo scopo, riducendolo probabilmente ad una “morte eroica” senza la quale non ci sarebbe stato nessun “mito”. Forse, chi opera questo tentativo si scorda che per milioni di poveri e di diseredati in ogni parte del pianeta il Che non era affatto un “mito”, bensì un esempio e una speranza, ben prima del suo assassinio in Bolivia. Soprattutto si scorda, anzi si vuole scordare, che le condizioni che in altri tempi crearono il Che Guevara (e non solo lui, certamente) sono disperatamente ancor più presenti. La “storicizzazione”, l' “icona pop” e la “mitizzazione”, viene logicamente da dire, nascondono tuttora una grande paura; tutto questo nonostante la generale insonnia delle coscienze (“Non il sonno, ma l'insonnia della ragione genera mostri”, diceva Gesualdo Bufalino). Non dormono mai, infatti, questi qua; sono sempre a inventarne di nuove, persino a cinquant'anni dalla morte di un uomo la cui guerriglia, attualmente, è proprio quella contro il suo strumentale svilimento che dovrebbe servire a esorcizzarlo, e far sí che non ne spunti mai un altro pari. Potrebbe spuntare? E chi lo sa. Ma, forse, spunta in tutti coloro che, cinquant'anni dopo, ancora non si sono convinti a “starci”, a contribuire al bla bla bla, a fare i click sui “social” e a non desiderare di superare l'esistente.
Qualche “canzoncina”, magari tra le meno note e provenienti da paesi, per così dire, “improbabili”, potrà pur servire a ricordarlo nel mondo d'oggi. Ricordare, in particolare, di come il cosiddetto “simbolo” non era affatto vuoto, non era affatto un' “icona” e non era le chiacchiere di qualche storico, giornalista, studentello o servo d'oggi. Nada más, per dirla con il grande Atahualpa Yupanqui, e che poi è un'altra canzone sul Che. Vedere così come veniva presa la morte del Che in un paese arabo, l'Egitto, e ricollegarlo magari a piazza Tahrir, alle rivoluzioni arabe tradite, a confrontare l'ieri e l'oggi traendone le necessarie conclusioni. E a constatare che, in un mondo che dà allegramente di “relitti della storia” a un Che Guevara e ad altri, i relitti sono proprio coloro che si servono abitualmente di tale espressione. Sono i relitti del niente, gli starnazzatori al servizio del sor padrone. Non hanno nessun bisogno di essere “storicizzati”, dato che esistono da sempre. Tra i fascismi, i razzismi, le oche di regime, i “moderatismi”, le revisioni, le ironie, le magliette e i cervelli all'ammasso sui “click rivoluzionari”, potrebbe pur sempre annidarsi un Che Guevara, e potrebbero addirittura annidarsene più di uno. E' questo il terrore che hanno, un terrore che non passa mai. Chissà, magari ci hanno paura che, in questo momento, sia su un barcone in mezzo al mare. [RV]