Non parlare, non hanno più suono
le nostre parole nell’aria.
Dopo il crepitar dei mitra
lungo silenzio è sceso sul piazzale.
Fermi i cancelli chiusi sull’inverno
dura dorme la fabbrica deserta
non è che muri e macchine, fa freddo
sei morti sul piazzale, assassinati.
Ogni domanda è come una ferita
pur devi sapere andare in fondo.
Bisogna interrogare la miseria
scrutare i volti stupiti e contratti
e scavare nel ricordo ancora fresco
e strappare, scoprire la ferocia
di chi si muove solo sulla morte
di chi riposa solo sulla strage
i pugni sugli orecchi, ordine e calma.
Ma le risposte sono conosciute
sono quelle di sempre, vecchie e uguali
un delitto, sei morti a tradimento.
Erano nati nell’Emilia rossa
cresciuti nel sapore della lotta
fra la gente matura e taciturna
dal volto duro e dalla bocca dolce.
C’era il fascismo e non furon schiavi
venne il tedesco e gli andaron contro
fischiava il vento nelle scarpe rotte
non c’era più governo di ministri
a Roma, nei saloni pieni d’ombra,
era lì, nelle strade dell’Emilia
le strade larghe, lucide di nebbia
ognuno era il governo, anche quei sei.
Per questo venne allora la vittoria
sulle fabbriche salve e sui paesi
poi a poco a poco fu di nuovo il solco
di là ministri ancora nei palazzi
di qua la gente che lotta con ansia
senza un lavoro, e poi la morte.
Ma non sono soli i nostri morti.
Lunga è la strada e lunga è la colonna
lunga la lotta, antica nel ricordo
sparsa di morti come una battaglia
spunta dai solchi, nasce dagli attrezzi
sorge dai cuori oppressi di miseria
e dalla volontà fredda e allegra
come la brina all’alba nei frutteti
rossa, viva, felice come un grido
tagliente come il vento sulla bocca
rossa, viva, felice come un grido
e la violenza non la può fermare.
In questa lotta sono morti i sei
sono caduti senza una parola
ed ora in testa insieme a tutto gli altri
col sorriso dei primi sulle labbra
cantano a mezza voce nell’andare
col sorriso dei primi sulle labbra
cantano a mezza voce nell’andare.
Là sul piazzale sei macchie di sangue
ora sei macchie gremite di folla
dalle case alle strade alla campagna
tutta Modena è colma, c’è l’Italia.
Fermi nel mezzogiorno con le facce
brune di terre sono i contadini
fermi sulle scogliere i pescatori
con le reti nell’acqua e dietro il mare
fermi nella campagna all’orizzonte
i gloriosi braccianti della Bassa
e fermi i ferrovieri dentro i treni
bloccati nel silenzio alle stazioni
e fermi i minatori accanto ai pozzi
neri sgorgati dalla roccia viva
ferma è la gente, ferma nel dolore
giù nelle grotte scure di Matera
davanti ai cascinali di Toscana
e nelle case alte di Milano
anche i capi venuti da lontano
stretti ai compagni, stretti come un pugno
grave e diritta contro il cielo grigio
le mani grandi e gli occhi aperti e chiari
all’avanguardia è la classe operaia
e porta a spalla lenta le sei bare.
le nostre parole nell’aria.
Dopo il crepitar dei mitra
lungo silenzio è sceso sul piazzale.
Fermi i cancelli chiusi sull’inverno
dura dorme la fabbrica deserta
non è che muri e macchine, fa freddo
sei morti sul piazzale, assassinati.
Ogni domanda è come una ferita
pur devi sapere andare in fondo.
Bisogna interrogare la miseria
scrutare i volti stupiti e contratti
e scavare nel ricordo ancora fresco
e strappare, scoprire la ferocia
di chi si muove solo sulla morte
di chi riposa solo sulla strage
i pugni sugli orecchi, ordine e calma.
Ma le risposte sono conosciute
sono quelle di sempre, vecchie e uguali
un delitto, sei morti a tradimento.
Erano nati nell’Emilia rossa
cresciuti nel sapore della lotta
fra la gente matura e taciturna
dal volto duro e dalla bocca dolce.
C’era il fascismo e non furon schiavi
venne il tedesco e gli andaron contro
fischiava il vento nelle scarpe rotte
non c’era più governo di ministri
a Roma, nei saloni pieni d’ombra,
era lì, nelle strade dell’Emilia
le strade larghe, lucide di nebbia
ognuno era il governo, anche quei sei.
Per questo venne allora la vittoria
sulle fabbriche salve e sui paesi
poi a poco a poco fu di nuovo il solco
di là ministri ancora nei palazzi
di qua la gente che lotta con ansia
senza un lavoro, e poi la morte.
Ma non sono soli i nostri morti.
Lunga è la strada e lunga è la colonna
lunga la lotta, antica nel ricordo
sparsa di morti come una battaglia
spunta dai solchi, nasce dagli attrezzi
sorge dai cuori oppressi di miseria
e dalla volontà fredda e allegra
come la brina all’alba nei frutteti
rossa, viva, felice come un grido
tagliente come il vento sulla bocca
rossa, viva, felice come un grido
e la violenza non la può fermare.
In questa lotta sono morti i sei
sono caduti senza una parola
ed ora in testa insieme a tutto gli altri
col sorriso dei primi sulle labbra
cantano a mezza voce nell’andare
col sorriso dei primi sulle labbra
cantano a mezza voce nell’andare.
Là sul piazzale sei macchie di sangue
ora sei macchie gremite di folla
dalle case alle strade alla campagna
tutta Modena è colma, c’è l’Italia.
Fermi nel mezzogiorno con le facce
brune di terre sono i contadini
fermi sulle scogliere i pescatori
con le reti nell’acqua e dietro il mare
fermi nella campagna all’orizzonte
i gloriosi braccianti della Bassa
e fermi i ferrovieri dentro i treni
bloccati nel silenzio alle stazioni
e fermi i minatori accanto ai pozzi
neri sgorgati dalla roccia viva
ferma è la gente, ferma nel dolore
giù nelle grotte scure di Matera
davanti ai cascinali di Toscana
e nelle case alte di Milano
anche i capi venuti da lontano
stretti ai compagni, stretti come un pugno
grave e diritta contro il cielo grigio
le mani grandi e gli occhi aperti e chiari
all’avanguardia è la classe operaia
e porta a spalla lenta le sei bare.
envoyé par Riccardo Venturi - 25/9/2017 - 11:18
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Parole e musica: Canzoniere Il Contemporaneo (Modena)