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Aguaviva: Apocalipsis

Los Aguaviva
Language: Spanish


Los Aguaviva


[1971]
Apocalipsis
Realizzazione di Manolo Díaz.
Edizione italiana dell'album Apocalipsis

Avvertenza. Alcune canzoni erano già presenti nel sito, sia nell'interpretazione di Aguaviva, sia di altri. Poiché la seguente pagina è dedicata coralmente all'album, abbiamo deciso di lasciare le pagine già esistenti linkandole nell'elenco seguente. [CCG/AWS Staff]
Lato 1
1. Y NACE EL SOL (J.A. Muñoz - M. Diaz)
2. LOS JINETES (J.A. Muñoz - M. Diaz)
3. EL HAMBRE (J.A. Muñoz - M. Diaz)
4. LA CIUDAD ES DE GOMA (G. Celaya - M. Diaz)
5. EL NINO HA MUERTO (M. Diaz)
6. LA GUERRA (J.A. Muñoz - M. Diaz)
7. LA GUERRA QUE VENDRÁ (B. Brecht - M. Diaz)
8. CUANDO MI HIJO NACIÓ (N. Hikmet - M. Diaz)

LATO 2
1. LA MUERTE (J.A. Muñoz - M. Diaz)
2. ME QUEDA LA PALABRA (B. de Otero - M. Diaz)
3. NO NOS DEJAN CANTAR (N. Hikmet - M. Diaz)
4. LA PESTE (J.A. Muñoz - M. Diaz)
5. LA NINA DE HIROSHIMA (N. Hikmet - M. Diaz)
6. MASA (C. Vallejo - Pepe Nieto)
7. HIMNO (M. Diaz)
Dopo il primo LP, in cui Aguaviva ha cantato poesie spagnole della generazione del '27 su musiche di Manolo Diaz, in questo secondo LP, intitolato al biblico tema dell’«Apocalisse», le liriche, sempre musicate da Manolo Diaz, sono di poeti di varie nazionalità. Il tema dell'Apocalisse è affrontato in chiave moderna: dei quattro cavalieri biblici, mentre la Guerra mantiene il suo significato tradizionale, la Fame è vista come frustrazione, la Morte come oppressione, come negazione dei valori della libertà, e la Peste come effetto della radioattività dopo una guerra nucleare.

Il disco si apre con una lirica di Alfredo Mañas che serve da introduzione e che pretende solo di dire che la vita in sé è bella (per poi entrare per contrasto nel pieno della trattazione dei quattro cavalieri). Essa esprime il lato normale, biologico della vita. Si intitola «E nasce il sole»:


01 - Y NACE EL SOL



Desde que el mundo es mundo,
todas las tardes expira la vida.
La muerte firma un pacto con la noche,
y el corazon del mundo se aletarga ya
bajo el espectro de la luna tria.

Pero también desde que el mundo es mundo
alla en el horizonte resucitan
los ejércitos rosa que levantan las ardientres banderas de la vida.

Y nace el sol.
Y da muerte a la muerte.
Y de nuevo comienza un nuevo dia.

Da che il mondo e mondo, tutte le sere si spegne la vita. La morte firma un patto con la notte, e il cuore del mondo cade già in letargo sotto lo spettro della fredda luna. Ma anche, da che il mondo è mondo, là, all'orizzonte, resuscitano gli eserciti rosa che levano alte le ardenti bandiere della vita. E nasce il sole. E da morte alla morte. E di nuovo comincia un nuovo giorno.

Manolo Diaz ha cercato di dare alla musica un tono "spaziale ", quasi a descrivere il pianeta Terra senza la presenza visibile dell’uomo. Ma con l’arrivo dell’uomo appaiono i quattro cavalieri (Jinetes) dell’Apocalisse e con essi la oppressione, la radioattività, la frustrazione...




02 - LOS JINETES



Y cuando salga el sol,
el mundo verà con horror
correr sobre sus campos
cuatro jinetes enemigos del hombre.

"E quando sale il sole, il mondo vedrà con orrore correre sopra i suoi campi quattro cavalieri nemici dell’uomo"

e poi un giullare, su una musica di sapore medievale:


Ya sus malignos caballos
relinchan con la impaciencia
en sus ijares prendida,
con sus hocicos de fiera.

Y los pérfidos jinetes
se entrecruzan y conciertan
palabras de odio y desgracia
cabalgando a la jineta.

Già i loro malvagi cavalli nitriscono d'impazienza, con i loro fianchi contratti, con i loro musi di belva. E i perfidi cavalieri si scambiano e concertano parole di odio e di maledizione cavalcando a spron battuto

Ed ecco il primo cavaliere, che viene presentato, come gli altri, dal giullare:




03 - EL HAMBRE



Sobre negro caballo, aparece un jinete descarnado y viejo. En su mano Ileva una balanza para pesar el alimento de los hombres, 'excaso sustento que alcanzará el valor del oro... Es el HAMBRE.

Su un nero cavallo appare un cavaliere scarno e vecchio. Nella mano porta una bilancia per pesare il cibo degli uomini, scarso sostentamento che raggiungerà il valore dell'oro... E' la FAME».

A questa sezione del disco appartengono due poesia, la prima di Gabriel Celaya, intitolata "Aviso" (Annunzio):


04 -LA CIUDAD ES DE GOMA



La ciudad es de goma lisa y negra.
Yo me alquilo por horas;
rio y lloro con todos.
La ciudad es de goma lisa y negra.
Pero con boquetes de olor a vaqueria.

La ciudad es de goma lisa y negra.
Olor a guarnicioneria y achicoria y a esparto.
a ciudad es de goma lisa y negra.

Hay chirridos que muerden, hay ruidos inhumanos.

Hay bruscos bocinazos que deshinchan
mi absurdo corazòn hipertrofiado.
Yo me alquilo por horas; rio y lloro con todos.

Pero escribiría un poema perfecto
si no fuera indecente hacerlo en estos tiempos.

La ciudad es de goma lisa y negra.
La ciudad es de goma negra.

«La città è di gomma liscia e nera. Io mi noleggio ad ore; rido e piango con tutti. La città è di gomma liscia e nera. Ma con buchi di odore di stalla. La città è di gomma liscia e nera. Odore di cuoio e cicoria e di corda. La città è di gomma liscia e nera. Ci sono stridii che mordono, ci sono rumori inumani. Ci sono violenti clacson che sgonfiano il mio assurdo cuore ipertrofizzato. lo mi noleggio ad ore; rido e piango con tutti. Ma scriverei un poema perfetto se non fosse indecente farlo di questi tempi. La città è di gomma liscia e nera. La città è di gomma nera.

Segue una poesia di anonimo africano della tribù Azande, "Muerte Azande"




05 - EL NINO HA MUERTO



El niño ha muerto.
El niño ha muerto.
Cubrámonos Ias caras con tierra blanca.
Cuatro hijos he parido
en la choza de mi esposo.
Solamente el cuarto vive.
Quisiera llorar,
pero en esta aldea
está prohibida la tristeza.

Il bambino è morto. !! bambino è morto. Copriamoci la faccia di terra bianca. Quattro figli ho partorito nella capanna del mio sposo. Solamente il quarto vive. Vorrei piangere, ma in questo villaggio è proibita la tristezza

La lirica di Celaya ci descrive la frustrazione dell'uomo nella società materialistica che egli si è costruito su misura e che non gli serve, perchè cessa di essere se stesso e si converte in un oggetto da noIeggiare. Nella poesia africana particolarmente significante è l’ultima frase, presa a simbolo della frustrazione che esiste nel mondo, della "fame " di esprimersi, di comunicare.

E’ la volta del secondo cavaliere:




06 - LA GUERRA



El segundo caballo es rojo como el fuego. Su jinete, joven todavia, de fiero entrecejo, y labios contraidos, enarbola airoso una espada. Y la tranquilidad huye del mundo ante su presencia. Ante Ia infernal presencia de la GUERRA.

II secondo cavallo e rosso come il fuoco. Il suo _cavaIiere, ancora giovane, le sopracciglia aggrottate, Ie labbra contratte, ina/bera fieramente una spada. E la tranquillità fugge per il mondo davanti alla sua presenza. Davanti alla infernale presenza della GUERRA

La prima delle due canzoni che illustrano la Guerra è costruita su " La guerra che verrà " di Bertolt Brecht:




07 - LA GUERRA QUE VENDRÁ



Hubo otras, muchas mas.
La guerra que vendrá
no es la primera.

La guerra que vendrá
no es la primera.
Hubo otras guerras.

Al final de la ultima
quedaron vencedores y vencidos.
Entre los vencidos, el pueblo llano
pasaba hambre. Entre los vencedores
el pueblo llano la pasó también.

Ce ne furono altre, molte di più. La guerra che verrà non è la prima. La guerra che verra non è la prima. Ci furono altre guerre. Al termine dell’ultima rimasero vincitori e vinti. Tra i vinti la gente qualunque soffriva la fame. Tra i vincitori la gente qualunque soffrì la fame

Viene quindi una lirica del turco Nazim Hikmet intitolata "La nascita"




09 - CUANDO Ml HIJO NACIÓ



Su madre me dio un hijo.
Un niño rubio, sin cejas.
Una bola de luz hundida
en sus pañales aZules.
Tres kilos pesa solamente.

Nació.
Un niño rubio, una bola de luz.

Cuando mi hijo nació,
otros hijos nacieron en Corea.
Eran semejantes a los girasoles.
Mac Arthur los ha segado.
Se fueron hambrientos aún de leche materna.
Nació.
Un niño rubio, una bola de luz.

Cuando mi hijo nació,
otros hijos vinieron al mundo
en las cárceles de Grecia.
Sus padres fueron fusilados,
y, como si fuera lo primero
que se ha de contemplar en la tierra,
vieron rejas. Nació.
Un niño rubio, una bola de luz.

Cuando mi hijo nació,
otros hijos nacieron en Anatolia.
Eran niños de ojos negros, azules castaños.
Niños aún, estaban llenos de piojos.
Quién sabe cuántos de ellos,
milagrosamente, sobrevivirán.

Nació.
Un niño rubio, una bola de luz.

Cuando mi hijo nació,
otros hijos nacieron
en los paises más grandes del mundo.
En seguida fueron felices.
Cuando mi hijo tenga mi edad,
ya no estaré yo en este mundo.

Pero ese mundo habrá de ser
como una cuna soberbia.
Una cuna que mecerá
en sus pañales de seda azul
a todos los niños, negros, amarillos, blancos.

«Sua madre mi diede un figlio, un bimbo biondo, senza sopracciglia. Una palla di luce avvolta nei suoi pannolini azzurri. Pesa soltanto tre chili. Nacque. Un bimbo biondo, una palla di luce. Quando mio figlio nacque, altri figli nacquero in Corea. Erano simili ai girasoli. Mac Arthur li ha falciati. Se ne andarono ancora affamati di latte materno. Nacque. Un bimbo biondo, una palla di luce. Quando mio figlio nacque, altri figli vennero al mondo nelle carceri di Grecia. I loro padri furono fucilati, e, come se fosse la prima cosa da contemplare sulla terra, videro inferriate. Nacque. Un bimbo biondo, una palla di luce. Quando mio figlio nacque, altri figli nacquero in Anatolia. Erano bimbi dagli occhi neri, azzurri, castani. Bambini ancora, erano pieni di pidocchi. Chissà quanti di loro, miracolosamente, sopravviveranno. Nacque. Un bimbo biondo, una palla di luce. Quando mio figlio nacque, altri figli nacquero nei paesi più grandi del mondo. In seguito furono felici. Quando mio figlio avrà la mia età, io non sarò più in questo mondo. Ma questo mondo dovrà essere come una culla superba. Una culla che cullerà nei loro pannolini di seta azzurra tutti i bimbi, neri, gialli, bianchi».

E' una poesia molto cruda, molto chiara, forse un po' troppo diretta. Manolo Diaz di proposito e per amore di contrasto vi ha costruito attorno una musica da ballata americana, un po’ "country", quasi a sottolineare come cose serie e gravi avvengano in un mondo terribilmente frivolo.





10 - LA MUERTE



El que monta el caballo pálido, se llama la MUERTE y un poder le ha sido dado para hacer perecer a los hombres de enfermedad, carcel, dolor, opresión... Su faz de calavera se contrae en carcajada sardónica y de sus frios hombros pende un sudario.

Quello che monta il cavallo pallido, si chiama la MORTE e un potere gli è stato dato di fare perire gli uomini di malattia, carcere, dolore, oppressione... La sua faccia di teschio si contrae in un ghigno sardonico e dai suoi freddi émeri pende un sudario.

Così il narratore introduce la Morte.
Segue un poema di Blas de Otero, già altre volte da altri musicato, " En el principio " dal quale è qui tratta una canzone intitolata, dal verso più significativo, " Mi resta la parola




11 - ME QUEDA LA PALABRA



Si he perdido la vida, el tiempo, todo
lo que tiré, como un anillo, al agua,
si he perdido la voz en la maleza,
me queda la palabra.

Me queda la palabra.
Si he perdido la vida,
si he perdido la voz,
me queda la palabra.

Si he sufrido la sed, el hambre, todo
lo que era mio y resultó ser nada,
si he segado las sombras en silencio, me queda la palabra.

Me queda la palabra.
Si he sufrido la sed,
si he segado las sombras,
si he perdido la vida,
si he perdido la voz,
me queda la palabra.

Si abrí los ojos para ver el rostro
puro y terrible de mi patria.
Si abrí los labios hasta desgarrarmelos,
me queda la ..palabra.

Me queda la palabra.
Si los labios abri,
si me los desgarré,
si he sufrido la sed.
si he segado las sombras,
si he perdido la vida,
si he perdido la voz,
me queda la palabra.

Se ho perduto la vita, il tempo, tutto quello che gettai, come un anello, nell’acqua; se ho perduto la voce nella sterpaglie, mi resta la parola. Mi resta la parola. Se ho perduto la vita, se ho perduto la voce, mi resta la parola. Se ho sofferto la sete, la fame, tutto quello che. era mio e risultò esser niente, se ho falciato le ombre in silenzio, mi resta la parola. Mi resta la parola. Se ho sofferto la sete, se ho falciato le ombre, se ho perduto la vita, se ho perduto la voce, mi resta la parola. Se aprii gli occhi per vedere il volto puro e terribile della mia patria. Se aprii le labbra fino a laoerarmele, mi resta la parola. Mi resta la parola. Se le labbra aprii, se me le lacerai, se ho sofferto la sete, se ho talciato Ie ombre, se ho perduto la vita, se ho perduto la voce, mi resta la parola

Manolo Diaz ha costruito la canzone in modo da dare la sensazione di un balbettio, del tentativo di parlare, sottolineando però chiaramente la frase "Me queda la palabra". Ancora una volta il senso dei versi è espresso alla perfezione dal punto di vista musicale.

Segue un'altra lirica del turco Hikmet, "Non ci lasciano cantare", dedicata dall'autore al celebre baritono negro Paul Robeson. La frase del titolo si ripete frequentemente, come a dare alla canzone un tono di tristezza, di rassegnazione.




NO NOS DEJAN CANTAR



No nos dejan cantar, Robeson;
mi canario con aias de águila,
mi hermano con dientes de perla..
No nos dejan gritar nuestras canciones.

Tienen miedo, Robeson,
tienen miedo del alba,
miedo de ver, miedo de oir,
miedo de tocar.

Tienen miedo de amar,
miedo de amar como Ferhat, apasionadamente.
Segueramente, también vosotros, hermanos negros,
habéis de tener un Ferhat, còmo le llamas, Robeson?
No nos dejan cantar, Robeson;
mi canario con alas de águila,
mi hermano con dientes de perla.
No nos dejan gritar nuestras canciones.

Tienen miedo del grano y de la tierra,
del agua que corre y del recuerdo.

La mano de un amigo, que no pide
ni descuento, ni comisión, ni plazo;
(como un pájaro tibio)
nunca les estrecho la mano.

Le tienen miedo a la esperanza.
Robeson, miedo a la esperanza.
Tienen miedo, canario mío, con alas de águila.
Tienen miedo de nuestros cantos, Robeson...

Non ci lasciano cantare, Robeson; mio canarino dalle ali d’aquila, mio fratello dai denti di perla. Non ci lasciano gridare le nostre canzoni. Hanno paura, Robeson, hanno paura dell'alba, paura di vedere, paura di udire, paura di toccare.
Hanno paura di amare, paura di amare come Ferhat, appassionatamente. Sicuramente, anche voi, fratelli negri, dovete avere un Ferhat. Come lo chiami, Robeson? Non ci lasciano cantare, Robeson; mio canarino dalle ali d’aquila, mio fratello dai denti di perla. Non ci lasciano cantare le nostre canzoni. Hanno paura del grano e della terra, dell'acqua che corre e del ricordo. La mano di un amico, che non chiede né sconto, né provvigione, né proroga; (come un passero tiepido) mai strinse loro la mano. Hanno paura della speranza. Robeson, paura della speranza. Hanno paura, canarino mio, dalle ali d’aquila. Hanno paura dei nostri canti, Robeson...

E la canzone termina con la melodia gridata senza parole, quasi una sfida.

Siamo al quarto e ultimo cavaliere, più terribile della morte, poichè la radioattività permane oltre la morte e continua a generare la morte:


13 - LA PESTE



El cuarto jinete galopa airoso sobre su caballo blanco. Lleva en su espalda un carcaj de bronche lleno de flechas ponzoñosas. Es la tan temida PESTE. Siempre fué vencida por la muerte, pero hoy en dia posee un germen fatal capaz de destuir mas allá de la muerte, y que probó por vez primera en Hiroshima...

«Il quarto cavaliere galoppa fieramente su un cavallo bianco. Porta sulla spalla una faretra di bronzo piena di frecce avvelenate. E' la tanto temuta PESTE. Sempre fu vinta dalla morte, ma oggi possiede un germe fatale capace di distruggere più in là della morte, e che provò per la prima volta ad Hiroshima.

Abbiamo qui la terza e più terribile poesia di Nazim Hikmet, "Canzone" ovvero "La bambina di Hiroshima". La musica di Manolo Diaz e l’arrangiamento di Pepe Nieto la trasformano in una agghiacciante cantilena infantile che sembra venire dallo spazio.


14 - LA NINA DE HIROSHIMA



Soy yo, soy yo quien llama a vuestra puerta,
aqui como en otros lugares, a todas las puertas.
No os asustéis si permanezco invisible.
No es posible ver a una pequeña muerta.

Aqui estaba yo, hace diez años.
Encontré Ia muerte en Hiroshima.
Sólo soy una niña; tenía siete años,
pero los niños muertos no crecen.
Primero se incendiaron mis largos cabellos,
mis manos ardieron, al igual que mis ojos.
Mi cuerpo no fue más que un puñado de cenizas
mezcladas con el viento de un cielo nublado.

En verdad, nada quiero de vosotros,
a mi ya nadie puede mimarme.
La niña que ardió cual hoja de periódico,
nunca más probará vuestros bombones.

Sono io, sono io che chiama alla vostra porta, qui come in altri luoghi, a tutte le porte. Non vi spaventate se rimango invisibile. Non è possibile vedere una piccola morta. Qui stavo io, dieci anni fa. Incontrai la morte ad Hiroshima. Sono solo una bambina; avevo sette anni, ma i bambini morti non crescono. Prima si incendiarono i miei lunghi capelli, le mie mani arsero, così come i miei occhi. Il mio corpo non fu più che un pugno di ceneri mescolate nel vento di un cielo nuvoloso. In verità nulla voglio da voi, nulla ormai può viziarmi. La bambina che arse come un foglio di giornale non assaggerà mai più le vostre caramelle

Con questa canzone dovrebbe terminare il disco, perché con essa termina la trattazione del tema dei quattro cavalieri dell'Apocalisse. Tuttavia, così come si è premesso ad essa una sorta di prologo, ecco a mo' di epilogo un poema di César Vallejo intitolato Massa: un appello alla solidarietà che vuole offrire una soluzione, non pratica, ma utopistica. Il poema non e cantato ma recitato come se un vecchio raccontasse una storia ad un gruppo di bambini.




15 - MASA



Al fin de la batalla,
y muerto el combatiente, vino hacia él un hombre
y le dijo: "¡No mueras; te amo tanto!"
Pero el cadáver, ¡ay! siguió muriendo.

Se le acercaron dos y repitiéronle:
"¡No nos dejes! ¡Valor! ¡Vuelve a la vida!"
Pero el cadáver, ¡ay! siguió muriendo.

Acudieron a él veinte, cien, mil, quinientos mil
clamando: "¡Tanto amor, y no poder nada contra la muerte!"
Pero el cadáver, ¡ay! siguió muriendo.

Le rodearon millones de individuos,
con un ruego común: "¡Quédate, hermano!"
Pero el cadáver, ¡ay! siguió muriendo.

Entonces todos los hombres de la tierra
le rodearon; les vio el cadáver, triste, emocionado;
incorporose lentamente,
abrazó al primer hombre; echose a andar.

Alla fine della battaglia, e morto il combattente, venne verso di lui un uomo e gli disse: «Non morire! Ti amo tanto!». Ma il cadavere, ahimè! continuò a morire. Gli si avvicinarono due e gli ripeterono: « Non ci lasciare! Coraggio! Torna alla vita!». Ma il cadavere, ahimè! continuò a morire. Accorsero a lui in venti, in cento, mille, cinquecentomila, esclamando: « Tanto amore e nessun potere contro Ia morte! ». Ma il cadavere, ahimè! seguito a morire. Lo circondarono milioni di individui con una preghiera comune: « Rimani, fratello!». Ma il cadavere, ahimè! seguito a morire. Infine tutti gli uomini della terra lo circondarono: li vide il cadavere triste, emozionato: abbracciò il primo uomo, cominciò a camminare.

E il disco termina con un inno, che è la fusione di vari inni nazionali, a significare la auspicata solidarietà tra tutti gli uomini della terra.




16 - HIMNO

Contributed by dq82 - 2017/9/11 - 17:14




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