Il ne viendra jamais le temps
de sonner le glas de notre histoire
mon pays n'est pas mort
vous n'êtes pas vainqueurs
ils viennent sur les ailes du vent
en besace toutes les mémoires
d'un peuple en danger qui veut vivre encore.
Et nous garderons nos mirages d'été
pour draper le temps des gélivures
et nous bouterons nos fêtes levées
en dehors le champ d'outre-clôture.
Il ne viendra jamais le temps
d'émonder le chêne de beau lignage
nous rêvons encore
et vous manquez d'honneur
ils tiennent maunoir taille d'arrêt
cloche douce sonnant au village
ils vivent ici et se gardent de dehors.
Et nous tonneront nos chansons d'été
pour brouiller le chant des citadelles
et nous mèneront nos chasses gardées
au pied des remparts de vos tourelles.
Il ne viendra jamais le temps
de baisser l'orgueil de nos manières
mon pays vit encore
vous ne serez vainqueurs
nous sommes d'usine et de labour
en besace toutes les misères
d'un peuple vagabond aux heures du retour.
Nous avons gardé vives ou mortes saisons
nos âtres chauffés nos souvenances
nous avons brodé sur chaque haillon
en rouge sang : merde à la France!
de sonner le glas de notre histoire
mon pays n'est pas mort
vous n'êtes pas vainqueurs
ils viennent sur les ailes du vent
en besace toutes les mémoires
d'un peuple en danger qui veut vivre encore.
Et nous garderons nos mirages d'été
pour draper le temps des gélivures
et nous bouterons nos fêtes levées
en dehors le champ d'outre-clôture.
Il ne viendra jamais le temps
d'émonder le chêne de beau lignage
nous rêvons encore
et vous manquez d'honneur
ils tiennent maunoir taille d'arrêt
cloche douce sonnant au village
ils vivent ici et se gardent de dehors.
Et nous tonneront nos chansons d'été
pour brouiller le chant des citadelles
et nous mèneront nos chasses gardées
au pied des remparts de vos tourelles.
Il ne viendra jamais le temps
de baisser l'orgueil de nos manières
mon pays vit encore
vous ne serez vainqueurs
nous sommes d'usine et de labour
en besace toutes les misères
d'un peuple vagabond aux heures du retour.
Nous avons gardé vives ou mortes saisons
nos âtres chauffés nos souvenances
nous avons brodé sur chaque haillon
en rouge sang : merde à la France!
Contributed by Richard Gwenndour - 2017/7/14 - 07:26
Language: Italian
Traduzione italiana di Richard Gwenndour
(Eseguita il 12.7.2017, inserita il 14.7.2017 07:32)
(Eseguita il 12.7.2017, inserita il 14.7.2017 07:32)
LA CONTROMARSIGLIESE
Non arriverà mai il momento
della campana a morto per la nostra storia
il mio paese non è morto
voi non avete vinto
e vengono sulle ali del vento
in bisaccia tutti i ricordi
d'un popolo in pericolo che vuol vivere ancora.
E noi serberemo i miraggi dell'estate
per ricoprirne il tempo delle gelate
e innalzeremo grida di festa
fuori dai campi, oltre i recinti.
Non arriverà mai il tempo
di sfrondare la quercia di bel lignaggio
noi sogniamo ancora
e voi mancate d'onore
loro, da un maniero, emetton taglia d'arresto
facendo suonar piano la campana al villaggio,
loro vivono qui, ma restano al di fuori.
E noi faremo tuonar i nostri canti dell'estate
per offuscare il canto delle cittadelle
e ci condurran le nostre bandite di caccia
sotto alle mura delle vostre torrette.
Non arriverà mai il tempo
di sminuir l'orgoglio della nostra cultura
il mio paese vive ancora
e voi non vincerete
siamo gente di fabbrica e di campi arati
in bisaccia tutte le miserie
d'un popolo vagabondo all'ora del ritorno.
Le stagioni vive o morte abbiam serbato,
i focolari caldi, ché la memoria non si perda.
E su ogni straccio abbiam ricamato
in rosso sangue: Francia di merda!
Non arriverà mai il momento
della campana a morto per la nostra storia
il mio paese non è morto
voi non avete vinto
e vengono sulle ali del vento
in bisaccia tutti i ricordi
d'un popolo in pericolo che vuol vivere ancora.
E noi serberemo i miraggi dell'estate
per ricoprirne il tempo delle gelate
e innalzeremo grida di festa
fuori dai campi, oltre i recinti.
Non arriverà mai il tempo
di sfrondare la quercia di bel lignaggio
noi sogniamo ancora
e voi mancate d'onore
loro, da un maniero, emetton taglia d'arresto
facendo suonar piano la campana al villaggio,
loro vivono qui, ma restano al di fuori.
E noi faremo tuonar i nostri canti dell'estate
per offuscare il canto delle cittadelle
e ci condurran le nostre bandite di caccia
sotto alle mura delle vostre torrette.
Non arriverà mai il tempo
di sminuir l'orgoglio della nostra cultura
il mio paese vive ancora
e voi non vincerete
siamo gente di fabbrica e di campi arati
in bisaccia tutte le miserie
d'un popolo vagabondo all'ora del ritorno.
Le stagioni vive o morte abbiam serbato,
i focolari caldi, ché la memoria non si perda.
E su ogni straccio abbiam ricamato
in rosso sangue: Francia di merda!
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Paroles et musique: Milig ar Skañv [Glenmor]
Testo e musica: Milig ar Skañv [Glenmor]
Album: E dibenn miz Gwengolo
Non ce ne abbiamo molto di Glenmor, in questo sito. Con la sua barba e coi capelli lunghi, da antico contadino bretone, Glenmor non era e non è mai stato un “cantore di pace” o qualcosa del genere; e bisogna stare parecchio attenti, a mio parere, alla cosiddetta “pace”. La Storia dovrebbe avere insegnato che, non di rado, i più strenui assertori della “pace” sono proprio coloro che hanno prima conquistato mezzo mondo a suon di guerre, di oppressione, di stermini (“hanno fatto un deserto e l'hanno chiamato pace”). Dalla “pax Romana” fino all'ordine che regna a Varsavia, dalla pace del proprio guscio fino alla “pace sociale”tanto gradita ai padroni. Glenmor, fino alla sua fine, non è stato un “pacifista”, in nessun modo. Eì stato tra i fondatori ideali, tra i principali, di quella irripetibile Bretagna di lotta che intendeva coniugare le lotte per la sopravvivenza linguistica e culturale con le lotte sociali, l'asserzione di una precisa identità culturale sottoposta a sterminio con l'anarchismo e il libertarismo, con l'antimilitarismo e l'anticlericalismo. Non era una Bretagna imbalsamata, quella di Glenmor e degli altri di quel periodo; era un piccolo paese che voleva riaffermare la sua voglia di libertà e di vita senza catene, perché è inutile voltare la testa dall'altra parte e basarsi su troppe suggestioni di “libertà, uguaglianza e fraternità”. La Francia, come ogni altro paese, come ogni altro Stato, le ha fatte pagare care le sue libertà, le sue presupposte uguaglianze e le ancor più presupposte fraternità, e non ha certo smesso ora.
E così, ecco questa famosa “Contromarsigliese” di Glenmor, scritta nel 1977. Per fugare subito ogni dubbio: la inserisco di proposito proprio nella giornata del 14 luglio, una lontana data d'inizio di una delle tante rivoluzioni tradite (o sequestrate, per dirla con Davide Giromini). Sulla “Marsigliese” esiste da sempre un'ambiguità di fondo: canto di guerra e canto dei lavoratori, canto di libertà e canto di oppressione, canto di imperialismo e canto di liberazione...e, soprattutto, canto di uno Stato, e guai a chi si permette di toccarlo. Ne sapeva qualcosa Georges Brassens, che la giornata del 14 luglio se la passava a letto provocando scandalo. Oppure ne sapeva qualcosa Serge Gainsbourg, che si ritrovava i concerti invasi da paracadutisti, ex-combattenti e torturatori delle guerre d'Indocina e d'Algeria, tutti coi loro bei giorni di gloria e con le loro luminose uguaglianze e fraternità.
L'album di Glenmor dal quale proviene la “Contromarsigliese” s'intitola “E dibenn miz Gwengolo”, che in bretone significa: “Alla fine di settembre”. Nella notte del 30 settembre 1976, il giovane Yann-Kel Kernalegenn saltò in aria con la bomba che aveva confezionato e che intendeva far esplodere alla caserma in costruzione di Ti-Vougeret, vicino a Châteaulin. Al funerale del giovane, a Quimper, assistettero 1500 persone; nella Bretagna deposito di caserme e installazioni militari, i più importanti artisti bretoni resero omaggio al “terrorista” (perché è chiaro che così fu definito Kernalegenn), a cominciare da un Alan Stivell nel suo periodo di massimo impegno (“Levenez”), da uno Youenn Gwernig (“Gwerz Ti-Vougeret”) e, appunto, da un Glenmor che non aveva inciso più nessun album dal 1974. E dibenn miz Gwengolo è la canzone (in bretone) che apre l'album omonimo e che è dedicata specificamente a Yann-Kel Kernalegenn.
La “Contromarsigliese” è, invece, in francese. Come quasi tutte le canzoni di Glenmor, va detto, che pure il bretone lo parlava e lo scriveva alla perfezione e da madrelingua. Glenmor voleva farsi capire chiaramente dai francesi e dalla Francia, senza mezze parole; componendo, tra le altre cose, in un francese elegantissimo e poetico al massimo grado, addirittura dalle andature arcaiche come in questo testo (che, per la traduzione mi ha dato non poco da penare). Quel francese dal sapore di “Regno di Bretagna” che si ritroverà, poi, in Gilles Servat e nei Tri Yann. Ma Glenmor è altra cosa. La sua composizione è composizione militante a tutto tondo, è collera, è speranza, è opposizione. Per questo, l'elegantissima “Contromarsigliese” termina con uno scioccante “Merde à la France!”, che all'epoca fece fischiare le orecchie a non pochi, anche parecchio in alto.
Era una Bretagna che, con Glenmor, diceva a se stessa e agli altri che la libertà di un popolo è libertà per tutti, anche per il popolo degli oppressori. Una Bretagna per cui l' “identità” era strumento di liberazione universale, e non di localismo e di chiusura. Una Bretagna libertaria per la quale il nazionalismo voleva significare esser libera tra i liberi, francesi compresi. Un'utopia? Può darsi. Ma un'utopia senza un filo di razzismo e di fascismo. Fascista è lo stato, per definizione, e qualsiasi stato. Anche quello delle “Marsigliesi”, delle caserme, delle polizie, dei centralismi esasperati, degli stermini colonialisti. E, mi piacerebbe aggiungere proprio un Quattordici Luglio (anniversario della morte di Léo Ferré), anche dei bombardamenti sulla Libia, delle politiche neocoloniali in Africa, delle “Europe” bancarie, delle chiusure ai migranti, dei sans-papiers, delle retoriche nazionali di nuovo trionfanti, degli stati di emergenza proclamati da presidenti “socialisti”, degli atti di terrore che non vengono dal mondo della Luna e che sono abilmente sfruttati per compattare la gente al Potere.
Sì, certo, lo sappiamo che questo 14 luglio è anche il primo anniversario della strage di Nizza, quella del camion lanciato sulla folla che assisteva alla “Festa Nazionale” sul lungomare. Lo sappiamo che la decisione di inserire un bel “Francia di merda!” proprio oggi potrebbe essere vista come una sorta di “mancanza di rispetto per le vittime” o roba del genere; ma è un “Francia di merda!” al quale può essere tranquillamente sostituito quello di qualsiasi altro Stato, con le sue Marsigliesi, i suoi Fratelli d'Italia, le sue Germanie sopra ogni cosa, i suoi Dèi che salvano re e regine sulle cui teste saremmo nati per camminare (lo diceva un inglese), le sue “forze armate” e i suoi poliziotti anche se ora li bacia persino Renaud. Ne hanno rifatte a migliaia, di Bastiglie. Le stanno rifacendo anche adesso. [R. Gw.]