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Kostas Virvos / Κώστας Βίρβος
Langue: grec moderne


Kostas Virvos / Κώστας Βίρβος

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(Kostas Virvos / Κώστας Βίρβος)


Scholeió ellinikó
[1977]
Στίχοι: Κώστας Βίρβος
Μουσική: Κώστας Βίρβος
Ερμηνεία: Χαράλαμπος Γαργανουράκης
'Αλμπουμ: Οι ξερριζωμένοι

Testo e musica di Kostas Virvos
Interprete: Charalambos Garganourakis
Album: Οι ξερριζωμένοι ("Gli sradicati")

ellineswpolsce


Nella primavera del 1949, i comunisti perdono la guerra civile in Grecia; un gruppo di andartes si rifugia con le loro famiglie in un villaggio poco fuori la cittadina di Grevenà, nella Macedonia ellenica; comincia così una storia di emigrazione, perlopiù sconosciuta anche agli stessi greci. Nella Grecia del 1949, quel che attende gli sconfitti è la fucilazione o l'internamento in qualche isola come Makronissos; nel gruppo si trova Evangelia Chondroyannis assieme alla madre e ai cinque fratelli, che ha raccontato questa storia alla rivista Themata in un articolo pubblicato il 1° dicembre 2013 con un sottotitolo piuttosto significativo: In questi giorni la Grecia accoglie profughi da paesi dove infuriano guerre. Sessant'anni fa molti greci abbandonarono la loro patria per la lontana Polonia. Una storia sconosciuta della Grecia post-guerra civile.

La lontana Polonia? Mi alzo dalla sedia e prendo un libro che ho da non so quanti anni, un corso di greco moderno scritto, appunto, in polacco. Intensywny kurs języka nowogreckiego, redatto da Małgorzata Borowska e pubblicato nel 1991 dal Wydawnictwo Naukowe PWN di Varsavia. C'è addirittura ancora attaccato il prezzo, 90.000 złoty di allora. Forse, ora, capisco un po' meglio il remoto perché di quel libro, a parte naturalmente il normale desiderio che ogni polacco può avere di imparare il greco moderno. Dei greci che scapparono dal loro paese come profughi politici per rifugiarsi in Polonia; o meglio, nella Polska Rzeczpospolita Ludowa di quei tempi. Dice Evangelia Chondroyannis: “Prima passammo in Jugoslavia, ma poi andammo in Albania [l'Albania di Enver Hoxha, ndr]. Passammo circa quattro mesi a Tirana, ma si trattava solo di una tappa. La destinazione finale era la Polonia.”

Dall'Albania, una nave portò i profughi greci a Gibilterra, e da lì in Gran Bretagna. Qui devo avvertire che il racconto avrà una particolarità: l'articolo greco da cui lo riprendo riporta i nomi delle località polacche traslitterate nell'alfabeto greco. Risalire all'esatta forma polacca sarebbe un'impresa improba; ma, forse, Christoforos Voronas potrà dare una mano... Riporto dunque questi nomi traslitterandoli dal greco così come appaiono nell'articolo, a parte quelli facilmente individuabili.

Evangelia Chondroyannis aveva nove anni. Si ricorda che, dalla Gran Bretagna, attraverso il Mar Baltico i greci arrivarono nella cittadina polacca di Tzívnof. Un viaggio lunghissimo, ma tranquillo e sicuro date le condizioni. In tutto, dicono le statistiche, arrivarono in Polonia 14.500 rifugiati politici comunisti greci, comprese donne, bambini, anziani e feriti. Per loro, a Tzívnof, che si trova sulla costa baltica, fu aperto un ospedale apposito. I profughi speravano di poter tornare in Grecia dopo la guarigione, ma non accadde mai. Rimasero in Polonia.

Come spiega Mietsisláf Vogiéfski (credo sia un Mieczysław Wojewski), insegnante di economia nonché presidente dell'Associazione di Amicizia Polacco-Greca (o Greco-Polacca), “Si era nella guerra fredda e il mondo non doveva sapere che la Polonia aveva aiutato il movimento della sinistra greca”. I greci scappati in Polonia erano considerati come dei traditori dalle autorità greche, ed erano stati privati della cittadinanza.

I polacchi, sembra, trattarono benissimo i profughi greci nonostante la Polonia fosse appena venuta fuori dalla II Guerra Mondiale e mancasse più o meno di ogni cosa. I greci, a loro volta -ricorda Evangelia Chondroyannis- erano letteralmente assetati di istruzione; e qui fa tutta una lunga digressione sulla sua storia personale e su tutto il suo corso di studi in Polonia, particolarmente a Cracovia. Si sposò mutando il suo nome in Loútsko, ma afferma che nessuno dei greci credeva ancora che la loro permanenza in Polonia sarebbe durata ancora a lungo. Evangelia tornò per la prima volta nel suo paese in Grecia dopo 28 anni passati in Polonia; e racconta quanto segue: “Quando tornai nel mio paese in Grecia dopo ventotto anni, allora capii quali e quante cose avevano fatto i polacchi per noi. I greci del mio paese sapevano a malapena leggere e scrivere in greco; io parlavo indifferentemente il polacco e il greco, avevo studiato, mi ero laureata; avevo 37 anni, e i miei coetanei e coetanee al paese ne dimostravano sessanta.”

Pare che i quattordicimila greci emigrati alla fine degli anni '40 nella perfida Polonia comunista si siano trovati molto bene; sono cittadini polacchi, hanno prosperato, si son fatti le loro famiglie e dicono di essere stati trattati molto meglio di quanto non lo siano stati i greci nella libera e democratica Germania Occidentale del dopoguerra, dov'erano stati messi a fare i Gastarbeiter nelle fabbriche.

La maggior parte dei profughi greci in Polonia era stata sistemata nella città di Zgorléts, al confine con l'allora DDR. Furono poi trasferiti a Polítse, vicino a Stettino, dove fu pure aperto un grande centro pediatrico riservato ai bambini greci, e fu riservato ai profughi un intero quartiere costruito dai tedeschi durante la guerra per i loro “lavoratori”. In tutto, nel centro pediatrico furono curati circa 2500 bambini greci. A Polítse furono costruiti per i greci un teatro, una mensa e un edificio culturale per la comunità. Si formò una compagnia teatrale greca e tante altre cose. Solo che nel resto della Polonia non se ne sapeva generalmente nulla, ricorda un altro profugo, Thanasis Alexiou, 76 anni. Laddove i greci erano presenti, però, dice Alexiou, i polacchi dimostravano una grande simpatia verso di loro. Non passò molto tempo che, come è logico che sia, la maggior parte dei greci divenne polacca a pieno titolo, dissolvendosi nella realtà del nuovo paese. Cioè integrandosi pienamente, come si dice adesso. Numerosissimi furono i matrimoni misti.

E' andata a finire che i discendenti di quei profughi comunisti / stalinisti / eccetera, sono diventati e rimasti polacchi. I più, polacchi e basta. Finito il comunismo, adieu alla Polska Rzeczpospolita Ludowa, Solidarność, Lech Wałęsa (anzi, Leh Vaouénsa, Λεχ Βαουένσα), il boom economico, i gemelli Kaczyński. E' cambiato tutto in Polonia e è cambiato tutto in Grecia, per il meglio o per il peggio che sia; ma fatto sta che i greci, in Polonia, ci sono rimasti eccome. Non moltissimi, a quanto sembra, sentono ancora molto le famose “radici”; ma qualcuno sì, ancora. Né la Polonia di adesso sembra essersene dimenticata. Ad esempio, al 21° Ginnasio di Stettino, si insegna il greco moderno (e chissà che non venga utilizzato quel Kurs che non mi ricordo nemmeno più come mi sia capitato in mano col suo prezzo ancora attaccato, visto che in Polonia non l'ho comprato di certo). Il 23 ottobre, il medesimo Ginnasio stettinese (o stettiniano?) organizza la “Giornata Greca”, alla quale partecipano pure gli adesso anzianissimi profughi della prima ora, quelli rimasti. A Polítse ogni anno viene festeggiato il 25 marzo, che è la festa nazionale ellenica. Il sindaco polacco di Polítse, vale a dire Vládislaf Diakoún, dice di non riuscire neppure a immaginarsi la sua città senza i greci. Strano posto l'Europa, no?

L'articolo di Themata è firmato in coppia, da una signora polacca, Elżbieta Biś, e da una signora greca, Dimitra Kyranoudi. Forse sarebbe finita qui, questa storia di profughi una volta tanto finita bene. Però, certo, dimenticavo questa canzone qua, quella di questa pagina.

ellwpolLa storia dei profughi polacci in Grecia sarà stata anche e pressoché ignota sia in Polonia che in Grecia; però, sicuramente, nel 1977 era nota a Kostas Virvos, il quale è morto a 89 anni il 6 agosto 2015 nella sua casa di Paleò Fàliro. Era nato a Trikala il 29 marzo 1926; era stato, in gioventù, membro della Resistenza e poi dell'EAM/ELAS e aveva passato i suoi bravi anni di guai, senza però emigrare né in Polonia, né altrove. Dal 1954 al 1985 aveva fatto l'impiegato statale, il poeta e il cantautore. La prima canzone la aveva scritta nel 1948, annataccia senz'altro, e gliela aveva cantata nientepopodimeno che Markos Vamvakaris.

Come Kostas Virvos conoscesse la storia dei profughi greci in Polonia, sinceramente non lo so. Questa canzone del 1977 gliela cantò però un altro mostro sacro della canzone greca, Charàlambos Garganourakis. La canzone si trova in un album che si chiama, toh, "Gli sradicati". Parla di un profugo greco in Polonia, appunto, che vede dissolversi la Grecia in suo figlio che non gli parla in greco, dice niema (“no” in polacco, o meglio, “non c'è”), ha sposato una polacca che era stata rinchiusa a Auschwitz e che riconosce quanto fatto dalla Polonia: le case, i giardini. Solo che c'è un problema: la Scuola Greca (sì, perché ci dovevano essere pure quelle) è lontana miglia. E suo figlio è diventato polacco. Succede sempre così, ed è il sugo di tutta la storia. Ora vado a rimettere a posto il corso di greco scritto in polacco, che per la cronaca, sullo scaffale sta infilato tra la Gramàtica catalana di Pompeu Fabra, esule antifranchista, e un corso di lingua feroese, An Introduction to Modern Faroese, scritto in inglese da un tizio, William B. Lockwood, che lo ha dedicato a suo fratello 21 enne scomparso in guerra nelle acque dell'Atlantico settentrionale. [RV]
Όταν ο γιος μου λέει "νιέμα"
κι ελληνικά δε μου μιλά,
παγώνει μέσα μου το αίμα
κι αργοκυλάνε μαύρα δάκρυα πικρά.

Μία φούχτα Έλληνες είμαστ’ όλοι κι όλοι
στο χωριό ετούτο δω το πολωνικό.
Έχουμε τα σπίτια μας, έχουμε περβόλι,
μα είναι μίλια μακριά σχολειό ελληνικό.

Όταν ο γιος μου λέει "νιέμα",
αναστενάζω και πονώ.

Από του Άουσβιτς τον κάμπο
είν’ η γυναίκα μου η καλή,
μάνα γλυκιά σαν τη δική μου
αλλά δεν ξέρει ούτε λέξη ελληνική.

Μία φούχτα Έλληνες είμαστ’ όλοι κι όλοι
στο χωριό ετούτο δω το πολωνικό.
Έχουμε τα σπίτια μας, έχουμε περβόλι,
μα είναι μίλια μακριά σχολειό ελληνικό.

Όταν ο γιος μου λέει "νιέμα",
αναστενάζω και πονώ.

envoyé par Riccardo Venturi, Ελληνικό Τμήμα των ΑΠΤ "Gian Piero Testa" - 15/3/2017 - 13:15



Langue: italien

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
15-3-2017 13:22

LA SCUOLA GRECA

Quando mio figlio mi dice nie ma
e non mi parla in greco,
mi si gela il sangue dentro
e lente scendono nere lacrime amare.

In tutto siamo una manciata di greci
in questo paese qui in Polonia.
Abbiamo le nostre case, abbiamo un giardino,
ma la scuola greca è miglia lontana.

Quando mio figlio dice nie ma
tiro un sospiro, e soffro.

Viene dal lager di Auschwitz
la mia bella moglie,
una madre dolce come la mia,
ma non sa una parola di greco.

In tutto siamo una manciata di greci
in questo paese qui in Polonia.
Abbiamo le nostre case, abbiamo un giardino,
ma la scuola greca è miglia lontana.

Quando mio figlio dice nie ma
tiro un sospiro, e soffro.

15/3/2017 - 13:22


Per Krzysztof Wrona / Χριστόφορος Βορώνας

Vai a vedere questa pagina; secondo me ti interessa. Salud!

Riccardo Venturi - 15/3/2017 - 13:24


Grazie Rick

Prima di tutto, mi permetti, "Intensywny kurs języka nowogreckiego". No "intensiwny". Se no, annamo a "siwy" che tutt'altra cosa :)
Si scrive (e si dice) "nie ma", una risposta spesso sentita ai negozi nei tempi di PRL ;)
Sì, conosco in grosse linee la storia dei greci polacchi. Ce l'ho anche degli amici a Zgorzelec, ma non ho mai indagato sulla loro storia familiare :) Sono amici delle poche medie che ho fatto da giovane.
Ho incontrato personalmente alcuni greci anche a Breslavia e ti posso confermare che, come scrivi, si sono assimilati completamente qua da noi. Ti puoi accorgere solo dal cognome e qualche tratto meridionale nel viso che parli con uno che ha le discendenze greche. All'Academia delle Belle Arti breslaviana insegnava un professore di scultura greco, forse lavora ancora la, era abbastanza giovane (forse nato già in Polonia?).
Il porto dove, a sua tempo, ha sbarcato la signora Evangelia Chondroyannis potrebbe essere Dziwnów che, come Police (sic! come quelli di Sting) si trova vicino a Stettino.

- Mieczysław Wojecki

- Władysław Diakun

A Police per due anni abitava una cantante polacca di origine greca Eleni Tzoka.

Salud

Krzysiek - 15/3/2017 - 15:48


Carissimo, prima di tutto grazie a te per avere...sciolto i nomi polacchi traslitterati in greco. L'altro giorno si parlava dei nomi polacchi in giapponese, però anche vederli nell'alfabeto greco fa una certa impressione anche a me, che pure sono abituato a vedere le circonvoluzioni del greco (Σαίξπηρ “Shakespeare”, Γκαριμπάλντι “Garibaldi” ecc.). Tant'è vero che, oramai, in Grecia molti preferiscono riportare i nomi stranieri nell'alfabeto latino.

La cantante Eleni Tzoka (che nel video che hai messo, se non erro, canta una canzone intitolata “L'amore come vino”?...) è nominata anche nell'articolo di Themata dal quale ho ripreso l'introduzione. Certo che un posto che si chiama “Police” è spettacolare, e non solo per Sting & co. Immagino un francese o un inglese che vi si recano, sicuramente si sentiranno al sicuro... :-) Se invece vogliono dedicarsi ad altro, andranno sicuramente a Condom, nella Francia meridionale, oppure a Orgia, in provincia di Siena...

Una curiosità: i nostri bravi greci ce li abbiamo anche qui a Firenze, in un quartiere intero. Sono “storici”: è la comunità greca (o italo-greca) che proviene dalle isole del Dodecaneso (Rodi ecc.) che dal 1911 al 1943/45 appartennero all'Italia, “conquistate” con la guerra italo-turca del 1911, vale a dire la prima guerra di Libia (quella in cui gli italiani-brava-gente effettuarono il primo bombardamento aereo della storia). E' il quartiere attorno a via Benedetto Dei, al Ponte di Mezzo, che a Firenze spesso viene detto tout court “I Greci”, o “Dai Greci”. Il bello è che, dopo settanta o ottant'anni, qualche discendente il greco lo parla ancora; sentito coi miei orecchi una volta che ci andai per un intervento con l'ambulanza, quando ci lavoravo.

Un'ultima cosa: non è mica che prima o poi potresti mettere questa canzone in polacco...? Direi che ci “starebbe bene”...

Salud!

Riccardo Venturi - 15/3/2017 - 20:03


“L'amore come vino” – si, esatto. Ma è una canzoncina d'amour... ma se vuoi. E poi se vai a leggere biografia di Eleni, scoprirai che tra i nostri greci e noi le cose non sempre si mettevano così bene, non erano sempre "fiori e rose". Lei ha subito anche una grande tragedia qua, perdendo la sua unica figlia, diciassettenne Afrodita.

Personalmente, più che le sdolcinate canzoni pop di Eleni, mi ha attirato da sempre la produzione di artisti polacchi (ma greci:), quali Jorgos Skolias e Apostolis "Lakis" Anthimos. Qua sotto nel un brano di gruppo "Krzak" intitolato: "Kim jesteś – listonoszem?"(Chi sei – un postino?).



Trio di Apostolis



E poi come cantata Jorgos sono proprio pochi ovunque, non solo in Polonia. Mi fa ricordare sempre Demetrio Stratos, il più bravo di tutti i tempi.



Salud

ps

L'unica cosa che non sono riuscito a chiarire nel tuo articolo è la scrittura corretta del nome nuovo, polacco, della signora Evangelia Chondroyannis. E va be', pazienza, la cosa secondaria.

Ciau

Krzysiek - 16/3/2017 - 19:20


@Riccardo Venturi
Se capisco bene, quelli della canzone sono greci "comunisti" che, persa la guerra civile, si rifugiano in un altro paese del blocco comunista, la Polonia. Quelli di Firenze, che stavano in via Dei, al contrario, erano italiani fuggiti o espulsi qualche anno prima ('44, '45) perché gli si imputava da parte dei greci liberati l'occupazione fascista.

Alessandro - 12/2/2018 - 17:50


In linea di massima penso tu abbia ragione, Alessandro. I "greci" di via Benedetto Dei e dintorni (via Rosellini, via del Ponte di Mezzo ecc.) -zona a Firenze detta da molti "dai Greci"- provenivano, almeno a quanto ne so, in gran parte dalle isole del Dodecaneso che erano state annesse all'Italia dopo la guerra italo-turca del 1911/12. Nel 1944/'45, come giustamente hai detto, gli italiani del Dodecaneso erano fuggiti o erano stati espulsi proprio in conseguenza dell'occupazione nazifascista; in moltissimi casi però avevano mantenuto l'uso della lingua greca. Io stesso mi ricordo, non molti anni fa (una quindicina circa) di essere intervenuto con l'ambulanza in una casa di quella zona, e la famiglia parlava in blocco il greco tra di sé, giovani compresi. Segno che se lo erano tramandato arrivando a tempi molto recenti. Ma penso sia possibile che questa situazione sia esistita non solo a Firenze; ancora pescando dai ricordi personali, addirittura a Marina di Campo, all'Isola d'Elba, quand'ero ragazzo c'era un pescatore chiamato da tutti "Il Grechino" (perché era di piccola corporatura) dato che era nativo del Dodecaneso. Il caso dei greci di Polonia è diverso: lì si trattava di greci veri e propri fuggiti dopo la fine della guerra civile. Saluti!

Riccardo Venturi - 12/2/2018 - 20:34


Aggiungo che una cosa analoga è successa anche nella Cecoslovacchia del dopoguerra. Un po’ di tempo fa mia nonna mi ha raccontato come in quell’epoca aveva conosciuto delle ragazze greche “trapiantate” lì. Dovevano essere figlie dei partigiani perché una le ha raccontato come da bambina le infilavano dei fogliettini nelle trecce e la mandavano come messaggera dai partigiani in montagna. Wikipedia conferma a riguardo che dopo la guerra civile greca sono arrivati in Cecoslovacchia circa 12.000 rifugiati greci. Il regime comunista ha tutelato la loro accoglienza, dapprima in alcune strutture (molti erano bambini orfani o comunque non accompagnati dai genitori), poi ha messo a loro disposizione delle zone montuose spopolate (soprattutto quella dei Sudeti che aveva appena subito la deportazione della popolazione tedesca) per poter svolgere un’attività agricola, sebbene molti poi hanno preferito spostarsi nelle città e cercare fortuna nelle fabbriche dove gli stipendi erano più alti. C’è un bell’articolo sul giornale Dotyk (in ceco ovviamente…) che ripercorre la storia della comunità greca nelle terre ceche e troviamo un po’ gli stessi elementi già menzionati qui per la Polonia: accoglienza tutto sommato buona, condizioni di vita migliori, istruzione, scuole greche, ma anche nostalgia della Grecia, un isolamento iniziale ma poi assimilazione delle usanze ceche, soprattutto dalla seconda generazione. La maggioranza dei greci ha poi spontaneamente scelto di rimpatriare negli anni successivi al 1974, ma una parte è restata e si è radicata nel nuovo territorio. Le più famose a livello nazionale sono sicuramente le cantanti-sorelle Martha e Tena Elefteriadu, entrambe nate in Jugoslavia dove i loro genitori si erano rifugiati prima di giungere nella Cecoslovacchia. Cantano in entrambe le lingue e hanno fatto conoscere un po' della musica greca al pubblico locale. Qualcuno in Italia si ricorderà del calciatore ceco Marek Jankulovski che ha giocato diverse stagioni nella serie A: suo padre Pando Jankulovski (il cui vero nome è Jankulidis) è originario della Macedonia greca e in quanto orfano di guerra era stato trasportato dalla Croce Rossa in un orfanotrofio in Cecoslovacchia. Perché poi ha cambiato il nome in modo che sembri polacco (e non ceco), non sono riuscita a sapere…

Stanislava - 13/2/2018 - 15:03


Interessantissime le considerazioni di Stanislava: per un motivo o per l'altro, la diaspora greca dopo la guerra mondiale e la guerra civile...

Quanto a Jankulovski / Jankulidis, azzardo un'ipotesi. Secondo me quell' "-ovski" non è affatto polacco, ma macedone. Visto che si parla di calciatori, mi baso ad esempio su un altro giocatore: Aleksandar Trajkovski, di Skopje, che gioca nel Palermo e nella nazionale macedone. "-(o)vski" è un suffisso comune nei cognomi macedoni (e anche il semplice "-ski": una delle mie grammatiche macedoni, ad esempio, è stata scritta dal poeta e letterato Blaže Koneski, praticamente il codificatore della lingua macedone letteraria).

Se il padre di Jankulovski era originario della Macedonia greca, possibilissimo che le sue origini fossero slave e che, in realtà, il cognome "Jankulidis" sia stata la grecizzazione di Jankulovski. Fin da tempi antichissimi la Macedonia greca, la Tracia ecc. sono state abitate anche da consistenti popolazioni slave: gli stessi Cirillo e Metodio, di Salonicco, erano in realtà di origine slava e furono mandati ad evangelizzare la Boemia e la Moravia in quanto parlanti nativi di una lingua slava comprensibile (quella che poi diverrà l'antico slavo ecclesiastico, o antico bulgaro: l'attuale macedone è tra l'altro in sé una lingua molto affine al bulgaro). Gli stessi Cirillo e Metodio ricordarono che, ai loro tempi, già appena fuori Salonicco (Solun in slavo) la popolazione rurale parlasse solo lo slavo.

Secondo me è possibile, quindi, che il padre di Jankulovski, trovandosi in una terra slava, abbia voluto riassumere la forma slava del suo cognome: macedone, appunto. Me lo conferma un po' anche il fatto che "Jankulovski" è reale cognome macedone: si veda ad esempio il nome di questo politico dell'Unione Socialdemocratica di Macedonia. Saluti!

Riccardo Venturi - 13/2/2018 - 20:27


@Riccardo. Sì, grazie, è proprio così. Noto che per il giorno della memoria si ricordano gli italiani istriani e dalmati, ma non questi italiani "greci". Anche nel loro caso credo che ci fossero comunità ben prima dell'occupazione durante il fascismo. Risalgono fino alla Repubblica di Venezia. E' una storia poco nota.

Alessandro - 14/2/2018 - 09:56


Vedi, Riccardo, qui ho fatto un giudizio affrettato dovuto alla poca familiarità con il macedone. Hai perfettamente ragione sulla presenza dell’elemento slavo nella Macedonia greca, che si vede anche dalla toponomastica (attuale e antica). Grazie per le tue preziose delucidazioni linguistiche (come sempre) e un saluto!

Stanislava - 14/2/2018 - 12:42




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