From the plantation
To the penitentiary
From the yassuh boss (1)
To the ghetto minstrelsy (2)
In the heart of freedom
In chains
In the heart of freedom
Insane
In the heart of freedom
Insane
In the heart of freedom
In chains
From the field-hand cry (3)
To the ten to twenty-five (4)
From the 'sold-off' men
To the raised by next-of kin (5)
In the cause of freedom
And shame
In the cause of freedom
And game
From the 'no book' rules (6)
To the raggly public schools (7)
From the coon and shine (8)
To the unemployment line
In the land of freedom
In chains
In the land of freedom
Insane
From the work long days
To the dope and drinking craze (9)
From the stock in slaves
To the booming prison trade (10)
In the name of freedom
Insane
In the name of freedom
And shame
In the heart of freedom
In chains
In the heart of freedom
Insane
To the penitentiary
From the yassuh boss (1)
To the ghetto minstrelsy (2)
In the heart of freedom
In chains
In the heart of freedom
Insane
In the heart of freedom
Insane
In the heart of freedom
In chains
From the field-hand cry (3)
To the ten to twenty-five (4)
From the 'sold-off' men
To the raised by next-of kin (5)
In the cause of freedom
And shame
In the cause of freedom
And game
From the 'no book' rules (6)
To the raggly public schools (7)
From the coon and shine (8)
To the unemployment line
In the land of freedom
In chains
In the land of freedom
Insane
From the work long days
To the dope and drinking craze (9)
From the stock in slaves
To the booming prison trade (10)
In the name of freedom
Insane
In the name of freedom
And shame
In the heart of freedom
In chains
In the heart of freedom
Insane
(1) yassuh: “yes sir”, in African American Vernacular English (AAVE), o Ebonics, il dialetto dei neri negli Stati rurali del sud.
(2) Ministrelsy: o “minstrel show”, spettacolo di varietà, in voga nell'800, in cui attori bianchi truccati da neri si producevano in sketch comici accompagnati da musica e danza, improntati ai più classici e retrivi stereotipi dei bianchi sui neri.
(3) Field-hand: letteralmente “mano da campo”, una delle espressioni che designano il lavoratore della terra, quello povero, negli USA lo schiavo, prima, il sharecropper, dopo.
(4) ten to twenty-five: credo che qui l'autore si riferisca agli acri di terra che ogni schiavo era costretto a lavorare, da 10 (4 ettari ca) a 25 (10 ettari circa). Se si pensa che 1 ettaro sono 10.000 mq, cioè un appezzamento di 100x100 metri...
(5) raised by next-of kin: credo che qui l'autore intenda riferisrsi al fatto che gli schiavi neri potevano essere venduti e comprati in qualsiasi momento, e spesso in nessun conto venivano tenuti i loro legami familiari. Un maschio o una femmina giovani, nel pieno del lor vigore, potevano essere facilmente padre e madre di bambini ancora piccoli che, perduti i genitori perchè ceduti ad altro proprietario, venivano allevati dai parenti più prossimi restanti...
(6) 'no book' rules: le regole feroci e sanguinarie dello schiavismo non erano di certo regole scritte o, meglio, erano scritte col sangue delle sue vittime...
(7) raggly public schools: prima – ma anche dopo – la fine del segregazionismo, tra anni 50 e 60, ai neri venne riservato un sistema d'istruzione che certo non contava su fondi pari a quelli destinati alle scuole per bianchi.
(8) coon and shine: un'espressione interessante, che mi pare abbia molteplici sfaccettature. “Coon” è espressione dispregiativa dell'afroamericano, al pari di “nigger” e tante altre. “Coon songs” erano le canzonette tipiche dei “minstrel show” di cui sopra. “Shine” significa splendente, lucido. Siccome nel verso successivo si parla della disoccupazione, piaga storica della popolazione nera americana, l'espressione potrebbe qui designare il lucida scarpe, il lustrascarpe, storico mestiere riservato ai più poveri, e ai ragazzini negri in particolare...
Ma “coon shine” in slang designa anche una bevanda alcolica, prodotto della fermentazione della canna, che i neri producevano per il proprio consumo nelle piantagioni... Più tardi passò ad indicare una birra ad alta gradazione, come la Colt45 per esempio, particolarmente gradita alla popolazione nera... E poi le birre di bassa qualità, quelle più economiche, predilette dai poveri, come barboni e senzatetto, sono spesso a più alta gradazione... Anche questa interpretazione ci starebbe, alla luce per di più di un verso che segue in cui si accenna a droga ed alcolismo, pure questi vere e proprie piaghe nei ghetti di colore...
Benvenute altre interpretazioni.
(9) dope and drinking craze: “droga e moda del bere”, vedi al punto che precede.
(10) booming prison trade: il brano si chiude sul titolo, mettendo in relazione il vecchio schiavismo con il successivo, anche attuale, sistema di detenzione, dove la popolazione carceraria era (ai tempi delle prison farms e delle chain gangs) ed è (in quello delle prigioni in appalto alle società private) sempre in stragande maggioranza nera.
envoyé par Bernart Bartleby - 21/2/2017 - 21:20
Nel 1997 Wynton Marsalis ricevette il Premi Pulitzer per la musica per la scrittura e la composizione di "Blood on the Fields", un oratorio jazz della durata di tre ore e mezza che racconta il cammino di una coppia di schiavi verso la liberazione.
Sarà necessario contribuirne il testo (il libretto integrale è reperibile sul sito dell'autore), ma mi ci vorrà più di un attimo...
Sarà necessario contribuirne il testo (il libretto integrale è reperibile sul sito dell'autore), ma mi ci vorrà più di un attimo...
B.B. - 21/2/2017 - 21:31
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Parole e musica di Wynton Learson Marsalis (1961-), trombettista, compositore e docente di musica jazz afroamericano.
Title track dell'album del 2007, con Carlos Henriquez (contrabbasso), Ali Jackson (batteria), Dan Nimmer (pianoforte), Walter Blanding (sax tenore e soprano) e Jennifer Sanon (voce)
“Why I say from the plantation to the penitentiary is because I see a lot of similarities between the incarceration, the style of it now and the way of enslavement. Is it the same? No it is not exactly the same, but it is the same result in many ways, it generates a lot of income, and it reduces people to less than what they are.”
(Wynton Marsalis in un'intervista citata da Li Onesto su Revolution #82, March 18, 2007)