I think we’re just out of time
Said the officer to the kid
Ahmed was almost fifteen and handcuffed.
He was just building his own sense of time
He was just building time (one of many)
But comfort says we’re fine
And Angela said to open the door
Money, it seems, needs its working class
Money, it seems, needs its working class.
We are just waiting for the old folks to die
We are just waiting
For the old thoughts to die
Just killing time
Just killing time
Just killing time
Just killing time
Just killing time
Just killing time
Just killing time
Said the officer to the kid
Ahmed was almost fifteen and handcuffed.
He was just building his own sense of time
He was just building time (one of many)
But comfort says we’re fine
And Angela said to open the door
Money, it seems, needs its working class
Money, it seems, needs its working class.
We are just waiting for the old folks to die
We are just waiting
For the old thoughts to die
Just killing time
Just killing time
Just killing time
Just killing time
Just killing time
Just killing time
Just killing time
Contributed by Bernart Bartleby - 2017/1/13 - 23:30
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Parole e musica di Nicolas Jaar (1990-), musicista e compositore di musica elettronica e sperimentale, newyorkese ma di origine cilena.
Testo trovato su Genius
Nicolas Jaar è nato a New York nel 1990. I suoi genitori si erano lì trasferiti nel 1982, provenienti dal Cile. Suo padre è Alfredo Jaar (1956-), importante artista cileno, cresciuto anche artisticamente nel pieno del regime di Pinochet e divenuto oppositore della dittatura. “Sono nato in Cile sessanta anni fa: ho visto la dittatura di Pinochet e il golpe contro Allende; per fare arte, ho imparato a parlare fra le righe. Era l’arte della Resistenza”, racconta Alfredo Jaar.
Tra le sue installazioni - esposte alle biennali di Venezia, São Paulo e Istanbul nei maggiori musei d'arte contemporanea in tutto il mondo – c'è “Infinite Cell” (2004), ricostruzione della cella in cui fu rinchiuso Antonio Gramsci. Il visitatore è invitato ad entrarvi e a chiudersi dentro, per sperimentare cosa significa la prigionia, ma all'interno un gioco di specchi rimanda all'infinito l'immagine del recluso, come metafora delle idee che non possono essere imprigionate.
Nicolas Jaar ha esordito come compositore di musiche da club, ma ben presto la sua attenzione si è spostata sulla sperimentazione musicale. Ha fondato un'etichetta e ha prodotto lavori di artisti come Lydia Lunch e William Basinski. Ha composto la colonna sonora di “Dheepan”, un film sui profughi tamil, diretto dal francese Jacques Audiard , che nel 2015 ha vinto la Palma d'Oro al Festival del cinema di Cannes...
Killing Time è un brano senza tempo, in quanto - pur descrivendo una visione personale del proprio passato vissuto in costante pericolo - parla della condizione comune di milioni di uomini, di generazioni passate, presenti e future; quello che è successo alla famiglia di Jaar è già accaduto infinite volte, si ripete oggi tutti i giorni e si ripeterà in futuro. Il canto diventa sempre più etereo e sussurrato, quasi inconsistente e in contraddizione con la rabbia e la paura che avrebbe potuto produrre urla e violenza. La denuncia di Jaar non è rabbiosa, non è un inutile urlo nel deserto; è una riflessione sincera e matura sull'animo umano che supera i confini nazionali e personali.
(Valerio D'Onofrio su ondarock)
(Edoardo Bridda su Sentireascoltare)
La riflessione di Jaar in Killing Time prende spunto dalla vicenda di Ahmed Mohamed, uno studente quattordicenne, musulmano, che nel settembre del 2015 venne arrestato come terrorista perchè in classe, nella scuola in Texas che frequentava, aveva costruito un orologio digitale che il professore aveva preso per una bomba ad orologeria. Poi Jaar passa ai casi di casa nostra, descrivendo la politica della cancelliera Merkel di apertura ad immigrati e profughi come opportunista, perchè rivolta soltanto ad acquisire manodopera fresca a basso costo per l'inarrestabile panzer tedesco. Chiude con la speranza che al più presto il vecchio muoia, i vecchi uomini con le loro vecchie idee.