là che lôr mi àn soterât,
al è un splaz plen di stelutis;
dal miò sanc l’è stât bagnât.
Par segnâl, une crosute
je scolpide lì tal cret,
fra chês stelis nas l'arbute,
sot di lôr, jo duâr cujet.
Cjôl sù, cjôl une stelute:
jê 'a ricuarde il nestri ben.
Tu j darâs 'ne bussadute
e po' plàtile tal sen.
Quant che a cjase tu sês sole
e di cûr tu préis par me,
il miò spirt atôr ti svole:
jo e la stele sin cun te.
La traduzione è una libera interpretazione del poeta friulano Chino Ermacora così come la scrisse nella rivista “PICCOLA PATRIA” nel 1928
dal sito del Coro Marmolada
Se tu verrai quassù fra le rocce,
dove fui sotterrato,
troverai uno spiazzo di stelle alpine
bagnate del mio sangue.
Una piccola croce è scolpita nel masso;
in mezzo alle stelle ora cresce l'erba;
sotto l'erba io dormo tranquillo.
Cogli, cogli una stella alpina:
essa ti ricorderà il nostro amore.
E baciala, e nascondila poi nel seno.
E quando sarai sola in casa,
e pregherai di cuore per me,
il mio spirito ti aleggerà intorno:
io e la stella saremo con te.
(dall'album "Prendere e lasciare")
Se un mattino tu verrai
fino in cima alle montagne
troverai una stella alpina
che è fiorita sul mio sangue.
Per segnarla c'è una croce,
chi l'ha messa non lo so.
Ma è lassù che dormo in pace
e per sempre dormirò.
Ma è lassù che dormo in pace
e per sempre dormirò.
Tu raccogli quella stella
che sa tutto del tuo amore,
sarai l'unica a vederla
e a nasconderla sul cuore.
Quando a sera sarai sola
non piangere perchè
nel ricordo vedrai ancora
tu e la stella insieme a me.
Tu e la stella insieme a me.
Se vieni quassù sui monti
dove loro mi hanno sotterrato
c'è uno spiazzo pieno di stelle alpine
che dal mio sangue è stato bagnato...
Come segnale, una piccola croce
è scolpità lì sulla roccia
fra quelle stelle nasce l'erba
sotto di loro riposo tranquillo.
Raccogli, raccogli, una stella
che ricordi il nostro amore
le darai un bacio
e poi nascondila nel seno.
Quando a casa sei sola
e preghi di cuore per me
il mio spirito attorno aleggia
io e la stella siamo con te.
Ma quando la guerra
sarà un lontano ricordo
nel tuo cuore, dove c'erano
la stella e l'amore, tutto sarà morto.
Resterà per me quella stella
a cui il mio sangue ha dato nutrimento
perchè splenda sempre bella
sull'Italia per sempre.
Contributed by R.
Tentando una traduzione che cerca di rispettare la semplicità dell'orignale e specialmente mantenere il ritmo metrico che permetta di "cantarla" in italiano.
Da S Paolo del Brasile il 9 luglio del 2006
dies niveo signanda lapillo
L'Italia é Campione del Mondo per la quarta volta.
Viva l'azzurra.
Emilio M. Boria
S.Paolo del Brasile 9 luglio 2006
Se verrai qui fra le rocce
Dove lor mi han sotterrato
C'è uno spiazzo pien di stelle
Dal mio sangue fu bagnato.
Come segno una crocetta
È scolpita nelle roccie.
Fra le stelle c'é l'erbetta
Sotto loro dormo in pace.
Prendi su, prendi una stella
Che ricorda il nostro amore.
Dalle un bacio, é cosí bella.
Poi nascondila sul cuore.
Quando a casa tu sei sola
E di cuor tu pensi a me
Il mio spirito a te vola
Io e la stella siam con te.
Ma un bel dí quando la guerra
Farà parte dei ricordi
Nel tuo cuore là dov'eran
Stella e amore saran morti.
Resterà per me la stella
Che il mio sangue ha già nutrito
Perché splenda sempre bella
Sull'Italia all'infinito.
Contributed by Emilio Maria Boria - 2006/7/10 - 02:01
If you come up in the mountains
to the place in which i'm layed,
edelweiss adorn a clearing;
by my own blood they were stained.
As a sign there is a carving
of a small cross cut in stone,
grass it grows amongst the flowers,
i beneath quietly repose.
Pick, o pick one of those flowers:
and remember good times blessed.
Then you'll kiss it oh so gently
and then hide it near your breast.
When at home no-one around you
and your heart does pray for me,
then my spirit will soon surround you:
i and the edelweiss are both with thee.
Contributed by jeff e vigj - 2020/10/31 - 16:59
Anch'io, che con il Friuli condivido la mia esperienza alpina a Tarvisio, ho il cuore trafitto da queste parole.
Da queste e molte altre che si possono ascoltare in tutti quei canti che riportano alla memoria i dolori ed i sacrifici vissuti da nostri coetanei 60, 90 o chissà quanti anni fa.
Un grazie all'autore, Arturo Zardini e soprattutto un grazie a Dio per tutti coloro che questa canzone l'hanno ispirata col sangue.
Paolo - 2006/5/8 - 13:28
Elisabeth Girard 38150 La Chapelle de Surieu (France)
girard637@laposte.net - 2007/1/6 - 08:07
Le ultime due quartine sono:
Ma une dì quant che la uere
a sarà un lontan ricuart,
nel to cûr dulà che al ere
stele e amôr, dut sarà muart.
Pensarà par mè che stele
che il gno sanc al à nudrît,
par che lusi, simpri biele,
su l’Italie, acl infinît.
Ne esistono inoltre altre due, che non riporto, e sono sempre del Bierti.
Quanto sopra per doverosa informazione. Il nipote di Arturo Zardini : G. Rui
Giuliano Rui - 2008/12/7 - 21:33
merlo alessio - 2010/6/29 - 04:13
E' canto d'autore, ma di immediata a generale diffusione da poter essere definito, e non in senso riduttivo, "canto popolare": un po' ciò che oggi capita a "Signore delle Cime" di De Marzi, che in molte occasioni, soprattutto fuori dal Friuli, ne ha preso il posto nelle cerimonie commemorative.
L'alpino si rivolge alla donna che ha amato (forse la moglie, una figlia, la mamma) e gli indica la strada per arrivare alla sua tomba, tra le rocce, in quel prato di stelle alpine, dove lui dorme tranquillo.
Parte da un fatto di guerra, ma non grida, non urla, non impreca, ma invita a scordare il passato e spinge alla pace.
Giorgio Della Puppa - 2011/3/3 - 16:31
Questa versione non può rispettare la metrica né, tanto meno, la rima del testo originale: cerca soltanto di riproporne il significato in italiano (forse è solo quello che sento io).
dove mi hanno sotterrato,
c'è uno spiazzo pieno di stelle alpine:
è il mio sangue che l'ha bagnato!
Per segnale hanno inciso una croce,
piccola, su una roccia;
tra le stelle alpine cresce l'erba,
sotto di loro io dormo, tranquillo.
Raccogli, prendi un stella alpina:
sarà il pegno del nostro amore.
Tu la bacerai, dolcemente,
e la porrai nel tuo seno.
E quando, nel silenzio della casa,
tu penserai a me e pregherai per me,
non sarai sola, perché io e la piccola stella alpina
saremo con te.
Contributed by Giorgio - 2011/3/3 - 16:53
Marcello - 2013/1/19 - 15:39
Ernesto Sattaneo - 2014/7/17 - 21:22
Ed io, ancora oggi ogni volta che l'ascolto, sento in gola quel famoso "grop".
Provo anch'io una "traduzione" delle ultime due strofe.
Prendi su, prendi una stellina:
è il ricordo del nostro amore.
Tu gli darai un piccolo bacio
e poi nascondila nel seno.
Quando a casa Tu sei sola
e con il Cuore preghi per me,
Il mio spirito Ti vola attorno,
io e la stella
siamo lì con Te.
Trovo Molto Bella anche la "versione" di De Gregori.
Luigi Girardi - 2015/4/27 - 12:20
come fosse la mia natale. Ma per piacere non imbastardite Stelutis.
Vincenzo Giudice di 90 anni e vecchio alpino. - 2020/3/28 - 17:21
Anna Perucchetti - 2020/8/20 - 16:44
I liked the words, but the tune is actually that of a mawkish English music-hall song from the 1890s with many rude parodies. It is called She Was Poor But She Was Honest.
The writer may have heard such a version sung by British soldiers.
Sadly, it is difficult for British people to appreciate the Italian song.
rgcogan - 2022/11/11 - 21:19
Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
(Il testo proposto è quello originale e corretto dall'autore, con la grafia friulana esatta; da questa pagina.)
Questa famosissima canzone friulana, pur avendo un autore, è entrata nel repertorio popolare, tanto che anche in questo sito non era indicato l'autore (grazie a Claudia per la segnalazione).
di Sergio Piovesan, dalla pagina del "Coro Marmolada".
Da pochi giorni mi trovavo presso la caserma “Chiarle” della Scuola Militare Alpina di Aosta per la seconda parte del 27° Corso AUC. Era una domenica mattina del luglio 1961 e le due compagnie di allievi si trovavano schierate nel cortile della caserma dove era celebrata la Santa Messa; all’elevazione, dopo l’usuale squillo di tromba, un gracidio, classico dei dischi a 78 giri, proveniente dall’altoparlante anticipò un improvviso “Se tu vens cassù ta’ cretis … ”, il primo verso di un canto che io, fin da bambino, avevo appreso da mia madre.
Era “Stelutis alpinis” il canto che, tradizionalmente, viene eseguito durante le Messe delle truppe alpine e che mi accompagnò per il resto della “naja”. Subito dopo quella Messa ci fu chi lanciò l’idea di formare un coro, soprattutto per l’accompagnamento della liturgia. Naturalmente anch’io vi partecipai e, dopo 15 giorni il coro del 27° Corso AUC della Scuola Militare Alpina sostituì il disco ormai consunto.
Da allora “Stelutis alpinis” ha continuato ad accompagnarmi anche, e soprattutto, nei miei ultimi quarant’anni come corista del “Marmolada”.
“Stelutis alpinis” fu scritto e composto da Arturo Zardini (1869-1923) nel periodo della Prima Guerra Mondiale, quando l’autore, un maestro di Pontebba, paese che allora si trovava sul confine italo-austriaco (l’abitato dall’altra parte del fiume che segnava la linea di demarcazione si chiamava Pontafel), era profugo a Firenze.
Forse proprio in Piazza della Signoria, leggendo sul giornale le notizie delle stragi che avvenivano al fronte, lo Zardini, commosso e rattristato da quelle vicende, trasse l’ispirazione del testo e della musica.
È quindi un canto d’autore ma che, da molti è ritenuto di origine popolare, caratteristica questa dei canti che, nel testo e nella musica, raggiungono livelli di alta poesia e che, per questo motivo, diventano patrimonio di tutto il popolo.
Da subito fu fatto proprio dagli Alpini sia friulani sia di altre regioni ed ancora oggi, all’età di quasi novant’anni, rimane il canto simbolo delle truppe alpine, ma anche di tutto il popolo friulano.
Con questa composizione la poesia e la forza dell’autore si sono manifestate nella loro pienezza raggiungendo l’apice, in un commovente sincretismo e tutte le umane sofferenze si sono compendiate con toccante espressività. Non sono necessarie molte parole: ci basta pensare al brivido che ci percorre nel cantare e nell’ascoltare «..Se tu vens cassù ta' cretis...», brivido che si trasforma in emozione violenta, da serrarci la gola.
È un compendio di sofferenze, di dedizioni, di intimità, di affetti, di certezze. Non più canto, non villotta, ma preghiera profonda e, nello stesso tempo, semplice ed umana, come semplice ed umano era ed è lo spirito di Zardini.
Per i friulani “Stelutis alpinis” è sì il canto dell’Alpino morto, ma è anche considerato quasi un inno, un inno al Friuli, un inno per quella terra che ha vissuto altre sofferenze: un’altra guerra, invasioni straniere, lotte fratricide e dolorose emigrazioni.
Esaminando il testo non si può far a meno di notare il largo uso dei diminutivi, o meglio dei vezzeggiativi, caratteristica abituale nel linguaggio scritto e parlato dei friulani; “stelutis”, “crosute”, “arbute” e “bussadute” non vanno tradotti con i relativi diminutivi in italiano anche perché, oltre a ridicolizzare il testo, non hanno proprio quel significato. È una forma che si può definire affettuosa nella descrizione di oggetti ed azioni e, forse, è meglio tradurli con una perifrasi.
“Stelùte” (al plurale “stelùtis”) viene indicato nel Vocabolario Friulano (Pirona) come diminutivo, spesso come espressione affettiva, di “stele” (stella); lo stesso lemma manda a vedere “stèle alpine” che fra i sinonimi prevede anche “stele” soltanto; inoltre è citato come esempio il verso dello Zardini. La parola “crosute” è il diminutivo, sempre in forma affettiva, di “crôs”, croce, mentre “arbute” lo è di “arbe”, cioè erba, che però ha una forma più usata in “jarbe” col relativo diminutivo in “jarbute.
Infine, per concludere con i diminutivi, o come meglio indicato, con i vezzeggiativi o espressioni affettive, “bussadùte” si collega a “bussàde” (sostantivo femminile), bacio, che può anche essere tradotto con il sostantivo maschile “bùs”, in realtà poco usato.
Un altro termine interessante da esaminare è “cretis”; è il plurale di “crète” che vuol dire rupe, ma anche roccia, macigno, pendio roccioso, cresta o cima nuda di montagna. Se “crète” è un sostantivo femminile troviamo anche “crèt”, sostantivo maschile, con lo stesso significato. Sinonimo di “crète” è anche “cròde” che si avvicina al significato di croda cioè cima rocciosa appuntita tipica delle Dolomiti.
Un termine che nel verso prende un significato esteso è “duàr”. Letteralmente significa “dormo” (in questo caso si tratta di sonno eterno) e la forma infinita è “duarmî”, ma anche “durmî”.
Altri potrebbero essere i termini da esaminare ma, per non annoiare il lettore, penso che quelli sopra citati siano sufficienti ed i più interessanti soprattutto per una maggiore comprensione del testo poetico, che invito a leggere con attenzione sia in friulano e sia nelle due traduzioni.
Purtroppo, come accade per i canti che diventano famosi, c’è sempre qualcuno che vuole aggiungere qualcosa, pensando, con una discreta dose di superbia, di migliorare l’opera; nel nostro caso c’è stato chi ha pensato che il bellissimo testo di Zardini avesse bisogno di strofe in più ed ecco quindi un’aggiunta apocrifa che riporto per sola documentazione.
a' sara un lontan ricùard
tal to cûr, dulà ch'al jere
stele e amôr, dut sara muart.
Restarà par me che stele
che 'l miò sanc a là nudrit
par che lusi simpri biele
su l'Italie a l'infinit.
(Ma un giorno quando la guerra sarà un ricordo lontano, nel tuo cuore, dove c’erano la stella alpina e l’amore, tutto sarà morto. Per me resterà quella stella, che il mio sangue ha nutrito, perché luccichi sempre bella sull’Italia all’infinito.)
Molti credono quest’ultime strofe originali e questo si può riscontrare anche su siti internet fra i quali alcuni addirittura di Sezioni dell’A.N.A. (Associazione Nazionale Alpini).