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Vară, vară, primăvară

Anonymous
Language: Romanian


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[1943/44]
Rielaborazione di una doină (canto popolare rumeno)
forse del XVII secolo

La doină Vară, vară, primăvară (“Vera, vera, primavera”, anche se vară di per sé significa “estate”) è un canto popolare diffuso almeno fin dal XVII secolo in tutte le terre di lingua rumena; è, propriamente, un canto gioioso che parla della fine del lungo inverno, e del ritorno al lavoro nei campi. Per contrasto, durante i terribili anni della II guerra mondiale ne scaturì una versione in cui si descrive cosa accade in un villaggio contadino in tempo di guerra, con gli uomini al fronte russo. Un testo fu pubblicato sul giornale Unirea Poporului (“L'Unione del Popolo”) del 5 marzo 1944, da dove l'ho ripreso; in una brevissima nota finale si legge che il canto fu udito dal soldato Vasile Petean del distretto (judeţ) di Buzău, e raccolto da tale T. Seiceanu. Il distretto di Buzău si trova nella storica regione della Muntenia, nella Romania sudorientale e non lontana dalla Moldavia da dove, secondo altre fonti, il canto rielaborato sarebbe originario. [RV]
Vară, vară, primăvară,
Mult mi-e inima amară,
Primăvara a sosit
Şi timpul de plugarit

Nu mai vezi tineri la plug
Nice patru boi la jug,
Ies plugurile la arat
Fără de nici un bărbat

Ies cu plugul la ogor
Moşii cu nepoţii lor,
I e coarne ţine-un moşneag
Plugul două vaci îl trag

Şi o nevastă supărată
Strigă la vaci câte-odată,
Şi păşind peste ogor,
Gândind la bădiţa lor,

Şi aşteaptă să le scrie
De pe front, de bătălie.
Câţi copii din lumea toată
Nu ştiu cine le e tată?

Dar aşteaptă să le scrie
Tatăl lor din cătănie,
Cât e Rusia de mare
Numai două drumuri are

Şi-ale sunt nepietruite,
Dar de mine străbătute,
Lânga satul Anapskaia
Unde cad gloanţe ca ploaia.

Contributed by Riccardo Venturi - 2016/12/4 - 08:19



Language: Italian

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
4 dicembre 2016 08:32
VERA, VERA, PRIMAVERA

Vera, vera, primavera,
Il mio cuore è molto amaro,
E' arrivata primavera
E il tempo di lavorare i campi

Non vedi più giovani all'aratro
E né quattro buoi aggiogati,
Escono gli aratri a arare
Senza nemmeno un uomo.

Escon a arare nel campo [1]
I vecchi coi loro nipoti,
Il manubrio [2] lo tiene un anziano
E l'aratro lo menano due vacche [3]

E una sposa rattristata
Urla a volte alle vacche,
E passa sul campo arato
Pensando a suo marito. [4]

E aspetta che le scriva
Dal fronte, dalla battaglia.
Quanti bimbi del mondo intero
Non sanno chi è il loro padre?

Ma aspettano che gli scriva
Il loro papà dalla guerra, [5]
Quant'è grande la Russia,
Ha solo due strade

E non sono lastricate,
Ma le ho tutte strabattute
Fino al paese di Anàpskaja [6]
Dove piovono pallottole.
[1] Il termine ogor (di origine slava) indica già di per sé il “campo arato”.

[2] Si tratta dell'impugnatura dell'aratro, simile a due corna (coarne è il plurale di corn “corno”); ma il termine indica tout court il “manubrio”.

[3] Il fatto che l'aratro sia tirato da due vacche invece che dalla quadriglia di buoi aggiogati intende ovviamente descrivere la povertà del tempo di guerra: in condizioni normali nessun contadino metterebbe delle vacche all'aratro.

[4] Bădiţă è il diminutivo di bade, propriamente “fidanzato, innamorato”; ma poiché si tratta di una nevastă “sposa, donna sposata” è giocoforza rendere con “marito”. Da notare che nel testo si ha bădiţa lor, ovvero “il loro marito”, grammaticalmente incongruente: ma la singola sposa rappresenta collettivamente tutte le donne del villaggio che hanno i mariti al fronte.

[5] Il termine cătănie indica propriamente il “servizio militare”, ma è chiaro che date le circostanze il servizio militare è in guerra.

[6] La cittadina di Anàpskaja si trova in Russia nel distretto di Krasnodar', a brevissima distanza dalla Crimea. Rispetto alla presunta zona di provenienza del canto si trova, quindi, sulla costa opposta del Mar Nero. Da notare che in russo l'accentazione è Anàpskaja, ma che nel testo rumeno deve essere per forza Anapskàia per fare rima con ploàia (“la pioggia”).

2016/12/4 - 08:34




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