Sym ja serb sym ja němc
Ja njewěm ja njewěm ja njewěm
Sym ja němc sym ja serb
Ja njewěm ja njewěm ja njewěm
Ja njewěm ja njewěm ja njewěm ja njewěm
Ja njewěm ja njewěm ja njewěm
Sym ja němc sym ja serb
Ja njewěm ja njewěm ja njewěm
Ja njewěm ja njewěm ja njewěm ja njewěm
Contributed by Riccardo Venturi - 2016/11/24 - 23:25
Traduzione trilingue (italiano, inglese, tedesco)
Trilingual translation (Italian, English, German)
Dreisprächige Übersetzung (italienisch, englisch, deutsch)
Da qualche parte in Lusazia. L'angolo tra la Wendenstraße / Serbska Droga ("Via dei Vendi" o "dei Sorabi") e la Berliner Straße / Barlinska Droga ("Via Berlino"). Le diciture sono in basso sorabo; in alto sorabo sarebbe esattamente Berlinska Dróha, che poi è il nome del gruppo di questa pagina.
Trilingual translation (Italian, English, German)
Dreisprächige Übersetzung (italienisch, englisch, deutsch)
Da qualche parte in Lusazia. L'angolo tra la Wendenstraße / Serbska Droga ("Via dei Vendi" o "dei Sorabi") e la Berliner Straße / Barlinska Droga ("Via Berlino"). Le diciture sono in basso sorabo; in alto sorabo sarebbe esattamente Berlinska Dróha, che poi è il nome del gruppo di questa pagina.
NON LO SO
Se sono sorabo, se sono tedesco
Non lo so non lo so non lo so
Se sono tedesco, se sono sorabo
Non lo so non lo so non lo so
Non lo so non lo so non lo so non lo so
I DON'T KNOW
Am I a Sorb, am I a German
I don't know I don't know I don't know
Am I a German, am I a Sorb
I don't know I don't know I don't know
I don't know I don't know I don't know I don't know
ICH WEIß NICHT
Bin ich ein Sorbe, bin ich ein Deutscher
Ich weiß nicht ich weiß nicht ich weiß nicht
Bin ich ein Deutscher, bin ich ein Sorbe
Ich weiß nicht ich weiß nicht ich weiß nicht
Ich weiß nicht ich weiß nicht ich weiß nicht ich weiß nicht
Se sono sorabo, se sono tedesco
Non lo so non lo so non lo so
Se sono tedesco, se sono sorabo
Non lo so non lo so non lo so
Non lo so non lo so non lo so non lo so
I DON'T KNOW
Am I a Sorb, am I a German
I don't know I don't know I don't know
Am I a German, am I a Sorb
I don't know I don't know I don't know
I don't know I don't know I don't know I don't know
ICH WEIß NICHT
Bin ich ein Sorbe, bin ich ein Deutscher
Ich weiß nicht ich weiß nicht ich weiß nicht
Bin ich ein Deutscher, bin ich ein Sorbe
Ich weiß nicht ich weiß nicht ich weiß nicht
Ich weiß nicht ich weiß nicht ich weiß nicht ich weiß nicht
Contributed by Riccardo Venturi - 2016/11/25 - 02:20
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Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
Uta Šwejdźic / Paul Nagel (Berlinska Dróha)
Album: Berlinska Dróha
Il più piccolo dei popoli slavi (se si escludono i Croati del Molise) è anche quello, probabilmente, che ha più nomi. Storicamente si chiamano “Vendi”, il nome con cui erano noti nel Medioevo; pare che tale denominazione debba essere ricondotta a quella di Veneti, onnipresente nell'antichità e di origine celtica (come il Gwened di Vannes in Bretagna, e come anche i Veneti di casa nostra). Insomma, un popolo celtico poi slavizzato stanziato in quella plaga dell'Europa orientale che è stata interamente slava nell'Alto Medioevo e che poi è stata germanizzata con le buone e con le cattive (più con le cattive). Accanto a altri popoli slavi dai nomi fantasmagorici (Slovinzi, Obodriti, Polabi...), formarono un tempo dei temibili popoli guerrieri che, verso il IX secolo, prima di essere schiacciati e ridotti pressoché in schiavitù, giunsero ad avere notevole importanza specialmente nelle alleanze. Schiavitù, dicevamo; dopo un po', infatti, li ritroviamo con la denominazione di “serbi”, proprio come i serbi del sud. Non bisogna scordare che la denominazione di “serbi” deriva dal latino servi, vale a dire “schiavi”; denominazione che, nella cultura popolare, si confuse facilmente con quella di “slavi” (che significa propriamente “gloriosi”) -come si evince ad esempio dalla “Riva degli Schiavoni” di Venezia (“schiavoni” = “slavoni”) o dal Vocabolario Italiano e Schiavo del frate Gregorio Alasia da Sommaripa, il primo dizionario della lingua slovena. E insomma, i Vendi, o “Serbi”, ebbero bisogno di un'ulteriore specificazione: i “Serbi di Lusazia”, dalla regione (detta in lingua locale Łužica e in tedesco Lausitz) in cui si erano radicati circondati oramai dalla marea tedesca. Ma non bastava, perché attualmente (con vocalismo slavo orientale non dissimile dal russo) sono più noti come “Sorbi” o “Sòrabi”. Un caos totale, come si vede, a cui si deve aggiungere il fatto che i Vendi/Serbi di Lusazia/Lusaziani/Sorbi/Sòrabi, rimasti isolati dal resto dei popoli slavi in una sorta di precaria “isola”, hanno sviluppato nel tempo due lingue letterarie piuttosto diverse l'una dall'altra: l' Alto Sòrabo (o hornjoserbšćina, Obersorbisch in tedesco), parlato attualmente ancora da circa 13.000 persone nella zona di Bautzen/Budyšin, e il Basso Sòrabo (dolnoserbšćina, Niedersorbisch), parlato ancora da circa 7000 persone nella zona di Cottbus/Choćebuz. In questa pagina, per la prima volta in questo sito, abbiamo a che fare con l'Alto Sorabo, o col Vendico Superiore, o con l'Alto Serbo di Lusazia, o come lo volete chiamare tanto, almeno per ora, manco ha un codice specifico tra le lingue inseribili nel sito. Ma mi correggo: ora ce l'ha, a tempo di record, grazie al Webmaster.
Nelle sue due varianti, la lingua sòraba ha riflettuto il destino del suo popolo: l'isolamento e l'oppressione. E' da un lato, come c'è da attendersi, letteralmente infarcita di parole e tournures lessicali e sintattiche tedesche; dall'altro, nella sua struttura è rimasta tra le più arcaiche lingue slave. Assieme allo sloveno, ad esempio, è l'unica che ha mantenuto sia nel sostantivo che nel verbo l'antico numero duale; solo col bulgaro ha in comune invece l'uso normale, nel verbo, dell'imperfetto e dell'aoristo (nel serbo e nel croato esistono ancora solo come arcaismi disusati). A vederlo scritto, l'Alto Sorabo sembra qualcosa a metà tra il polacco e il ceco, ed in fondo è questa in soldoni la sua situazione; un polacco può capirlo agevolmente (chiedo conferma a Krz. Wr.), ma un ceco vi riconosce le sue “h” al posto delle “g”. Forse, naturalmente, vi chiederete perché stia insistendo tanto sulle questioni linguistiche: il fatto è che, nella loro storia, ai Sorabi non è rimasto praticamente altro. E lo hanno difeso con le unghie e con i denti in una situazione storica, sociale e geografica che non raccomanderei a nessun popolo. Il fatto che ancora esistano semplicemente dei Sorabi ha pressoché del miracoloso: un popolo vicino analogo già qui nominato, i Pòlabi (da Po Labe “Sull' Elba”), verso il XVII secolo era già stato eliminato, non senza qualche residuo documento in cui si vede la fine che aveva fatto la sua lingua, tedeschizzata fin nel midollo (“diventare” si diceva wardôt, ovvero il tedesco werden!). I tedeschi, va detto, hanno coscienziosamente tentato di sradicare i Sorabi proibendo loro praticamente tutto, a parte di biascicare ancora un po' la loro lingua “sdoppiata” nelle chiese, nelle preghiere e sugli inginocchiatoi. Non c'è quindi da stupirsi se la lingua Soraba sia, dal XVII secolo, testimoniata quasi esclusivamente da messali, evangeliari e libri di canti da chiesa. Protestanti, naturalmente, perché i Sorabi sono l'unico popolo slavo interamente Luterano. E dalle ballate popolari dei tempi eroici, che si tramandavano oralmente. Fu solo verso la fine del XVIII secolo che alcuni folkloristi e studiosi si occuparono, per quanto loro possibile, di sistemare questo materiale dando così una sorta di norma e iniziando un embrione di letteratura.
Opprì-opprimendo, mentre i Sorabi si ingegnavano come potevano fondando persino un'istituzione culturale che ebbe risonanza europea, la Maćica Serbska (“Matrice Soraba” o roba del genere), si arrivò prima all'Impero Prussiano (la Lusazia ha sempre fatto parte della Prussia) e poi al nazismo. Durante il nazismo, la parola d'ordine fu: sterminio. Figuriamoci se, all'interno del IV Reich, poteva esistere un popolino di subumani slavi. Non mi si chieda come, ma i Sorabi riuscirono a sopravvivere, seppur decimati, anche al nazismo; e si ritrovarono, alla fine della guerra, indovinate dove. Nella DDR. Stasi, Ulbricht, Muro di Berlino, Honecker e cetrioli, perché siamo proprio nello Spreewald, la “Foresta della Sprea” famosa per i cetrioli ufficiali della Repubblica Democratica Tedesca, immortalati nel film Goodbye Lenin. Eppure, i Sorabi, alti e bassi, nella DDR hanno vissuto forse il loro periodo più tranquillo e durante il quale hanno potuto esercitare finalmente in modo libero (e persino protetto) la loro lingua e la loro cultura. Il fatto non è casuale: mamma URSS si era presa sotto le alucce quel piccolo popolo “fratello”, e aveva imposto alle autorità tedesche orientali di fare le brave con loro, pena tante e dolorose sculacciate. I Sorabi, così, poterono per la prima volta firmarsi coi loro nomi veri che poi erano a loro volta la sorabizzazione di nomi tedeschi (tipo Hinc Šewc al posto di Heinz Schutz, o Handrij Zejler al posto di Andreas Seiler), poterono avere i cartelli stradali bilingui e dir messa luterana in sorabo. Diciamo che se ne approfittarono un po', e come non capirli, giurando una fedeltà incrollabile alla DDR. Ho a casa un dizionario alto sorabo-russo e due grammatiche della lingua, una interamente in alto sorabo e una in russo: in tutte e tre le pubblicazioni, le prefazioni si aprono con ringraziamenti, sviolinate e panegirici dell'URSS e della DDR, con considerazioni sulla nationalsozialistische Rassenwahn che avevano sperimentato sulla loro pelle. Poi è arrivato il 1989. E' crollato il Muro di Berlino, la Germania si è riunificata, e il risultato ve lo vado a dire. Le due città principali dei Sorabi, Bautzen e Cottbus, hanno ancora i cartelli bilingui, ma si sono riempite di neonazisti come tutta l'ex DDR. Sui muri si leggono scritte tipo: Scheißkommunisten = Scheißsorben o Sorben raus. Nei cartelli bilingui, la dicitura in sorabo viene ricoperta spesso di adesivi con svastiche o con la dicitura “Hier ist Deutschland” o roba del genere. Aggressioni neonaziste a sorabi. E così via. Finita la ricreazione.
Di converso, e qui si arriva finalmente a questa piccola spěwa (canzoncina), bisognerebbe andare un po' a vedere come “la vivono” i sorabi, o serbi di Lusazia, tutta questa situazione adesso. La prima parola che viene a mente è “rassegnati”. Teoricamente e ufficialmente sono ancora una minoranza etnica e linguistica protetta all'interno della Krante Cermania, ma il loro destino è tornato ad essere piuttosto gramo. In tutto non arrivano a ventimila, alla Russia di Putin non jene po' frega' de meno e l'unica che se li è presi un po' a cuore, va detto, è la Polonia. Ma non è questa, neppure, la questione: parecchi sorabi si sono semplicemente stufati di tutta la storia. Continuano finché possono, e finché esisterà, ad usare la loro lingua dimenticata da Cristo e da Lenin, ma cercano di spingerla al di fuori dai nazionalismi: impresa quantomeno ardua, ora come ora. E poiché si sono ritrovati “comunisti” sui muri, qualcuno di loro si è dato persino all'Anarchia, dichiarando di sbattersene dell' “origine etnica” e compagnia bella, e sia quel che sia. C'è una fioritura di canzoni in alto e basso sorabo, naturalmente: ma si sa bene (vedansi la Bretagna e l'Irlanda) che quando una lingua morente arriva nelle canzoni, è più o meno all'ultima spiaggia. Le canzoni hanno una funzione, per così dire, museale, come i cartelli bilingui.
Il duo dei “Berlinska Dróha” (il link rimanda alla Wikipedia in alto sorabo, così magari vedete come è fatto) è formato da un giovanotto (Paul Nagel) e da una giovanotta (Uta Šwejdźic, vale a dire Uta Schweidschitz) che sono nati entrambi a Berlino (toponimo slavo, al pari di Dresda, di Lipsia, di Potsdam, di Chemnitz eccetera). Però sono di origine soraba, si dichiarano anarchici, cantano indifferentemente in alto sorabo, in tedesco e in inglese (e anche in russo, con una pronuncia atroce), e hanno deciso di fregarsene di “che cosa sono”. O, forse, semplicemente non lo sanno davvero. O, forse, loro patria è il mondo intero. A volte li si vede per le strade con un violino (lui) e una tastieraccia elettrica (lei). A volte stanno su una palafitta nel bosco con una bottiglia d'acqua e mezzo cocomero sul tavolo. Ne avremo a riparlare, sempre di trovare i loro testi (non sanno e sicuramente neppure immaginano che, a Firenze nel quartiere dell'Isolotto, c'è un pazzo scatenato che sarebbe anche capace di intendere abbastanza benino l'alto sorabo per iscritto, ma non quello basso nonostante il capitoletto finale inserito nel suo manuale scritto in russo). Nel frattempo, ecco questa elementare canzoncina che sarebbe capace di intendere anche un bambino, ed alla quale è stato premesso un pippone d'introduzione che non vi dico. E' una canzoncina dove si dice di non sapere qualcosa. [RV]