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Phil Ochs: The Floods of Florence

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Langue: anglais


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William Moore
(Phil Ochs)
There But For Fortune
(Phil Ochs)
I Ain't Marching Anymore
(Phil Ochs)


[1968]
Lyrics and Music by Phil Ochs
Testo e musica di Phil Ochs
Album: Tape from California

Firenze, 4 novembre 1966 (Fotografia di Balthazar Korab).
Firenze, 4 novembre 1966 (Fotografia di Balthazar Korab).


Come forse saprete, questo sito è gestito anche da un paio di fiorentini. Uno è il webmaster, Lorenzo Masetti; l'altro, sono io. Però a me spetta, per questioni anagrafiche, il non graditissimo privilegio di essere un autentico superstite dell'Alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, di cui oggi ricorre il cinquantesimo anniversario. Superstite lo sono però a tutti gli effetti, anche se quel giorno avevo poco più di tre anni (sono nato il 25 settembre 1963) e, fortunatamente, abitavo allora con la mia famiglia in un quartiere che fu solo sfiorato dal cataclisma: l'acqua si fermò a cinquecento metri. Più che ricordi, ho quindi una specie di nebbiosi “flash”, di melassa cerebrale infantile: la corrente e il telefono che non c'erano, le urla che venivano dalle case vicine ("Arriva! Arriva!"), robaccia marrone che usciva dai rubinetti, mio padre che ritornò a casa, quella mattina, ridotto a una crosta di fango puzzolente dopo che aveva salvato da morte certa una vecchia, di nome Zaira, assieme alla sua gatta Lucrezia mentre la loro casa andava sott'acqua in via Aretina. Questo è il ricordo più nitido che ho di quel giorno; e, incidentalmente, è probabilmente anche uno dei primissimi della mia vita. Per anni e anni, finché non morì, io e la mia famiglia andammo a trovare regolarmente quella vecchia; per salvarla, mio padre si era munito di un tubo di gomma che si era messo in bocca per respirare, assieme a degli sconosciuti che passavano di lì.

Ieri, io e l'altro fiorentino del sito, vale a dire il webmaster, ci eravamo chiesti se “mettere qualcosa” per l'occasione; ovviamente, ci era venuta in mente la famosa “Alluvione” di Riccardo Marasco, lo chansonnier e folklorista fiorentino recentemente scomparso. Se nel resto d'Italia e del mondo quella canzonetta è pressoché sconosciuta, a Firenze la conoscono praticamente tutti, e non parlo soltanto del webmaster che il 4 novembre 1966 era, beato lui, ancora ben lungi dal venire al mondo; la conoscono tuttora anche i ragazzini della generazione di Whatsapp. E magari, anche quella canzonetta un suo qualche spazio lo avrà in questa pagina del tutto speciale e “in fieri”. Se ne avrà a riparlare; però, quella che si vorrebbe presentare qui è una cosa del tutto particolare, e che testimonia dell'eco planetario che ebbe Firenze quando corse il serio rischio di scomparire.

philoccius“The Floods of Florence” (L'Alluvione di Firenze) è una canzone scritta da Phil Ochs nel 1968. Proprio lui, Phil Ochs: uno dei maggiori artisti di questo sito, un'icona della canzone d'autore americana impegnata e antimilitarista, l'autore di There But For Fortune che è la canzone numero 4 dell'intero sito, di I Ain't Marching Anymore (che è la n° 20...) e di tante altre. Insomma, ben pochi, in Italia e altrove, sanno o immaginerebbero che Phil Ochs ha scritto una canzone sull'Alluvione di Firenze; ritengo quindi opportuno presentarla proprio in questa data. Ignoro se all'Alluvione di Firenze siano state dedicate altre canzoni; quelle che mi sono note sono dunque praticamente agli antipodi. Una canzonetta locale, satirica e sboccata, e un adattamento metaforico di un famosissimo autore d'Oltreoceano.

Non è semplicissimo interpretare il reale significato della canzone di Phil Ochs; scritta due anni dopo gli eventi, è però anch'essa una testimonianza precisa dell'impressione che l'Alluvione di Firenze ebbe a suscitare in tutto il mondo e che dà certamente un senso all'espressione, forse abusata, di “Patrimonio dell'umanità”. Eppure su Firenze sono passate, oltre a non si sa quant'altre alluvioni, anche le guerre. Eppure solo 22 anni prima del 1966, le mine tedesche e i bombardamenti avevano provocato ben più vittime, ben più distruzioni e ben più danni all'immenso patrimonio artistico della città di quanti non ne avesse poi provocato la piena dell'Arno. Ma nell'Alluvione del 1966 ebbe probabilmente ad operare un'immagine catastrofica di atavismo umano, quella del Diluvio che cancella la Storia e l'Ingegno, oltre che la Vita stessa. Nella canzone di Phil Ochs se ne avvertono gli echi: tutto il mondo sta, sgomento, a guardare mentre ogni cosa scompare sotto le acque. Scompaiono le “sante parole di amore e rispetto”, scompaiono le vanità, scompare la quotidiana banalità così come scompare lo Straordinario. In questo senso, l'Alluvione di Firenze è vista come la parabola dell'umanità stessa, che viene inghiottita in tutte le sue manifestazioni da un evento incalcolabile che assume, peraltro, i caratteri di uno spettacolo babelico (che, per certi versi, ricorda quello di Desolation Row di Bob Dylan).

Resta naturalmente da vedere e cercare di capire come mai, tra tutte le migliaia e migliaia di eventi che avrebbero potuto suggerire a Phil Ochs delle considerazioni del genere, egli abbia scelto proprio l'Alluvione di Firenze. Purtroppo, non mi risulta che nessuno glielo abbia mai chiesto; né mi risulta che abbia mai messo piede a Firenze. Ma chissà che, nella sua sensibilità personale e collettiva, non gli siano giunte precise notizie di quel che stava avvenendo in quel periodo, con migliaia di giovani che arrivavano a Firenze da tutto il mondo per salvarla, come se la sentissero propria, come se la sentissero parte di sé e del proprio immaginario. Si dice, e con parecchi fondamenti, che la generazione del '68 abbia fatto proprio a Firenze le “prove generali”, e che quelli che furono chiamati “Angeli del Fango” siano stati gli stessi che, di lì a poco, avrebbero provato a cambiare il mondo dalle barbe; anche in questa direzione precisa potrebbe andare la serie di metafore di Phil Ochs. O, forse, sono soltanto mie elucubrazioni di cinquant'anni dopo; tutto ci sta. Certo che la babele di immagini del ragazzo di El Paso, Texas, non può fare a meno di riportare a quei momenti. Quali notizie o echi ne avrà ricevuti? Che cosa si diceva e pensava nel mondo intero, al di là della stessa portata reale degli eventi? Che cosa avrà ingenerato nella mente di tanti la possibile rovina di Firenze? E che cosa avrà spinto tanti ad agire, tanti che magari di Firenze sapevano soltanto dai libri e dalle immagini? Perché il mondo si muove per Firenze, e resta indifferente di fronte ad altre catastrofi? Alt.

cricimMeglio fermarsi, perché si tratta -naturalmente- di domande senza risposta. I fiorentini? Non si rendono quasi mai conto di vivere dove vivono. Nel 1966 pensarono a salvarsi la pelle, a salvare la bottega, a procurarsi acqua e cibo, a spalare le centinaia di migliaia di tonnellate di fango, nafta e merda che avevano ricoperto la città. A parte una sparuta minoranza, gliene importava un accidente del Cristo di Cimabue, la maggior vittima artistica del Diluvio che ha sorpassato la povera vecchia inferma inchiodata all'inferriata di casa sua e sommersa fino ad annegare, o la bambina di tre anni (una mia coetanea) strappata alle braccia del padre e portata via dalle acque assieme a tutti gli altri quaranta morti del disastro. L'acqua lurida non aveva ancora finito di ritirarsi, che i fiorentini erano già tutti lì a spalare, a smerdarsi fino al midollo delle ossa, a confrontarsi con puzzi infernali, a affiggere cartelli indimenticabili (su una vetrina di una trattoria sommersa completamente dall'acqua: “Oggi solo umido”; su quella di un negozio di scarpe, “Approfittatene, prezzi sott'acqua”). Arrivò in visita il presidente Saragat, dopo che i soccorsi non si erano visti per giorni perché quel 4 novembre era la “festa delle forze armate” (o della “vittoria”), e i medesimi fiorentini approfittarono del fatto che la sua jeep si era impantanata nel micidiale fango oleoso di Santa Croce per ricoprirlo prima di insulti e poi pure di fango, che gli tirarono addosso. La notte di Natale arrivò Paolo VI a dir messa; le case del centro rimasero puntellate per anni e anni, per evitare che crollassero. E quello me lo ricordo ben bene, ancora nei primi anni '70 quando la testa mi si era già snebbiata dai naturali vapori della prima infanzia.

Così, mentre per Firenze cominciava una stagione forse irripetibile, di mutamenti, di fibrillazione e di lotte, chissà cosa passava per la testa di tanti e tanti per cui Firenze altro non poteva essere che un “simbolo” o qualcosa del genere. Tra questi, un cantautore americano che di lì a pochi anni si sarebbe preparato la sua personale, di alluvione, togliendosi la vita in preda a una depressione esistenziale, al male di vivere. Quelle che seguono sono le sue parole di allora, che invito comunque tutti non soltanto a leggere, ad ascoltare e ad interpretare come più desidera; più in profondità, inviterei a rapportarsi a che cosa possa suscitare un evento tra la realtà e l'immaginazione, tra la percezione e la sensazione, tra il fango e il sublime. Come il ragazzo della foto di Balthazar Korab (un famoso fotografo architettonico che si era trovato per caso a Firenze in quei giorni): per anni non si è saputo chi fosse, e ci si è chiesti se stesse maledicendo iddio urlando qualcosa alla provvidenza divina ed umana. In questi giorni, cinquant'anni dopo, si è saputo (grazie a Facebook!) che si chiama Stefano Londi, che all'epoca aveva quindici anni e che stava urlando a sua madre che aveva il canotto bucato in via Nazionale, a due passi dalla Stazione. Non era sceso in strada col canotto per salvare un'opera d'arte o una vita umana, ma per vedere che fine aveva fatto l'automobile di famiglia. Eppure mi è venuto a mente, ma non chiedetemene il perché, che quelle urla (probabilmente condite da qualche espressione irripetibile) siano arrivate, in qualche modo, dappertutto. Anche a Phil Ochs e alle sue metafore, alle sue immagini, alla realtà e al sogno. Eppure, anche nel marasma del suo testo, qualche riferimento reale a Firenze (la "nave in bottiglia") dev'essere letto: "Un colpetto al parapetto, affonda con tutta la vela, ma presto galleggia di nuovo". [RV]
Picasso leans out of the window, looks out on the ghetto
Changing the shapes he sees.
His old friend El Greco, soon is expected,
Now just an echo of Spanish seas.

And outside, the people stare;
Wondering what's going on in there!
Tossing the dice they pay the price,
So they can compare.

And the holy words of love and reverence
Fell beneath [1] the floods of Florence.

The shop girls go out to the galleries spending their salaries
To see if they catch a hold.
They meet an old master, like some unknown lover,
For some unknown reason he's never old.

And the auctioneer clears his throat,
What am I bid for this bottled boat?
A tap on the rail, sunk with a sail,
but soon she's afloat.

And the holy words of love and reverence
Fell beneath the floods of Florence.

Griffith pulls out his whiskey, the mad room is misty
Covered with yesterdays.
The girl is so pretty, she asks for a memory.
He touches her knee and she fades away.

But the box office line is long,
The spectacular show is on.
Thirsty for thrills, the fountain is filled
With dreams of the dawn.

And the holy words of love and reverence
Fell beneath the floods of Florence.

The troubador comes from the country, falls by the factory,
Sliding on simple strings.
Armed with his anger, he sings of the danger
He senses a stranger is in the wings.

But the fledgling has learned to fly;
All of the innocence leaves his eye.
Echoes explode, rolled from the road
The melody dies.

And the holy words of love and reverence
Fell beneath the floods of Florence.
[1] Var. before.

envoyé par CCG/AWS Staff - 4/11/2016 - 00:46



Langue: italien

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
4 novembre 2016 03:37

manichino.
L'ALLUVIONE DI FIRENZE

Picasso si sporge dalla finestra, si affaccia sul ghetto
Cambiando le forme che vede.
Presto si attende il suo vecchio amico, El Greco,
Ora soltanto un'eco di mari spagnoli.

Fuori la gente sta fissa a guardare
Chiedendosi che stia succedendo là!
Pagano il prezzo tirando a sorte coi dadi,
Così da fare un confronto.

E le sante parole d'amore e rispetto
Sono cadute nell'alluvione di Firenze. [1]

Le commesse vanno a spendere i loro stipendi nelle gallerie,
Per vedere se fanno qualche conoscenza.
Incontrano un vecchio maestro, come un amante sconosciuto,
Per qualche ignoto motivo, non è mai vecchio.

E il banditore d'asta si schiarisce la gola,
Che cosa mi offrite per questa nave in bottiglia?
Un colpetto al parapetto, affonda con tutta la vela,
Però presto galleggia di nuovo.

E le sante parole d'amore e rispetto
Sono cadute nell'alluvione di Firenze.

Griffith caccia fuori il whisky, c'è come una nebbia
In quel casino ricoperto di ieri.
La ragazza è tanto carina, chiede un ricordo,
Lui le tocca il ginocchio e lei svanisce.

Ma c'è una lunga fila alla biglietteria,
Lo straordinario spettacolo è cominciato.
Assetata di brividi, la fontana è piena
Di sogni dell'alba.

E le sante parole d'amore e rispetto
Sono cadute nell'alluvione di Firenze.

Il cantautore viene dalla campagna, cade vicino alla fabbrica
Scivolando su semplici corde.
Armato della sua rabbia, canta del pericolo
Sente come un estraneo svolazzare.

Ma l'uccellino ha imparato a volare,
Tutta l'innocenza gli va via dallo sguardo.
Esplodono echi rotolati via dalla strada,
La melodia muore.

E le sante parole d'amore e rispetto
Sono cadute nell'alluvione di Firenze.
[1] Alcune versioni hanno qui beneath ("sotto"), altre before ("davanti"). La traduzione le può contemperare entrambe.

4/11/2016 - 03:38


Carlo Monni, un angelo del fango particolare:

4/11/2016 - 10:22




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