Ojciec się kiwa nad gemarą,
Ciągle zaczyna na nowo.
Wielką ma pewność, silną ma wiarę
Że cud jakiś zrobi Jehowa.
Matka się krząta koło jedzenia:
To tylko zupa jest wodna.
Nikt nie zrozumie głębi cierpienia
Matki, co dzieci jej głodne.
Siostra ceruje pończochę starą,
Braciszek spogląda w rycinę, [1]
Wszyscy wdychamy zupy parę
I połykamy [2] ślinę. [3]
Wysoko, na szafie schowany, kusi
Mały bochenek chleba,
Dla całej rodziny starczyć musi:
Dla wygłodzonych ust siedem.
Dwa lichtarze i modlitewnik
I święte biblie, tak drogie,
Stoją na półce ściennej [4], drzewnej,
Każą się modlić do Boga.
Siedzę przy oknie z szybą złamaną
I patrzę na [5] błotną ulicę.
Marzę o kraju słońcem skąpanym,
O złotym polu pszenicy.
Wiem, że gdzieś, daleko na morzem,
Jest kraj, gdzie Żydem być wolno.
Gdzie chłop żydowski ziemię orze,
Orkę, drogą gna polną.
Dzieci żydowskie zdrowe, wesołe,
Na obiad wołają matki.
Palmy słaniają cień dookoła,
W ogrodach pachną kwiatki.
Fale Jordanu rytmem płyną,
Tam, w dalekiej krainie.
A tutaj naród cały ginie
Marząc o Palestynie.
Tu, w getcie, giną ostatnie już
Potomki Jehudy Makabi.
Za drutem stoi niemiecki stróż
Gotowy strzelać i zabić.
Śnieg pada z deszczem zmieszany,
Niebo ołowiem grozi.
Wiatr miota oknem złamanym
Oddech i koście mrozi.
Tato wciąż jeszcze siedzi nad gemarą,
Mama przytula swe dzieci.
Siostra ceruje pończochę starą,
Jeszcze inny dzień minął w getcie.
Ciągle zaczyna na nowo.
Wielką ma pewność, silną ma wiarę
Że cud jakiś zrobi Jehowa.
Matka się krząta koło jedzenia:
To tylko zupa jest wodna.
Nikt nie zrozumie głębi cierpienia
Matki, co dzieci jej głodne.
Siostra ceruje pończochę starą,
Braciszek spogląda w rycinę, [1]
Wszyscy wdychamy zupy parę
I połykamy [2] ślinę. [3]
Wysoko, na szafie schowany, kusi
Mały bochenek chleba,
Dla całej rodziny starczyć musi:
Dla wygłodzonych ust siedem.
Dwa lichtarze i modlitewnik
I święte biblie, tak drogie,
Stoją na półce ściennej [4], drzewnej,
Każą się modlić do Boga.
Siedzę przy oknie z szybą złamaną
I patrzę na [5] błotną ulicę.
Marzę o kraju słońcem skąpanym,
O złotym polu pszenicy.
Wiem, że gdzieś, daleko na morzem,
Jest kraj, gdzie Żydem być wolno.
Gdzie chłop żydowski ziemię orze,
Orkę, drogą gna polną.
Dzieci żydowskie zdrowe, wesołe,
Na obiad wołają matki.
Palmy słaniają cień dookoła,
W ogrodach pachną kwiatki.
Fale Jordanu rytmem płyną,
Tam, w dalekiej krainie.
A tutaj naród cały ginie
Marząc o Palestynie.
Tu, w getcie, giną ostatnie już
Potomki Jehudy Makabi.
Za drutem stoi niemiecki stróż
Gotowy strzelać i zabić.
Śnieg pada z deszczem zmieszany,
Niebo ołowiem grozi.
Wiatr miota oknem złamanym
Oddech i koście mrozi.
Tato wciąż jeszcze siedzi nad gemarą,
Mama przytula swe dzieci.
Siostra ceruje pończochę starą,
Jeszcze inny dzień minął w getcie.
[1] rycine nel volume di Gila Flam (refuso)
[2] połykany nel volume di Gila Flam (refuso)
[3] slinę nel volume di Gila Flam (refuso).
[4] sciennej nel volume di Gila Flam (refuso)
[5] nav nel volume di Gila Flam (refuso).
[2] połykany nel volume di Gila Flam (refuso)
[3] slinę nel volume di Gila Flam (refuso).
[4] sciennej nel volume di Gila Flam (refuso)
[5] nav nel volume di Gila Flam (refuso).
envoyé par Riccardo Venturi - 22/8/2016 - 17:13
Langue: italien
Traduzione italiana di Riccardo Venturi
22 agosto 2016
22 agosto 2016
UN GIORNO NEL GHETTO
Il babbo è chino sulla sua Gemara
E sempre ricomincia daccapo.
Ha grande fiducia, una possente fede
Che Iddio farà qualche miracolo.
La mamma è affaccendata a far da mangiare:
Solo che la zuppa è tutta acqua.
Nessuno capisce quanto la mamma
Soffra profondamente che i suoi figli abbian fame.
Una sorella sta cucendo una vecchia calza,
Un fratellino guarda un'illustrazione,
Tutti annusiamo il vapore della zuppa
E ci viene l'acquolina in bocca.
Nascosta in alto nell'armadio
Sta, tentatrice, una pagnottella,
Deve bastare per tutta la famiglia:
Per sette bocche affamate.
Due candelabri, un libro di preghiere
E le sacre Bibbie, così care,
Stanno sulla mensola a muro di legno,
Comandano di pregare Dio.
Mi siedo alla finestra con un vetro rotto
E guardo sulla strada fangosa.
Sogno di una terra bagnata dal sole,
Di un campo di grano dorato.
So che da qualche parte, lontano sul mare,
C'è una terra dov'è si può essere ebrei liberamente.
Dove un contadino ebreo ara la terra
E arando apre una pista carraia.
Bambini ebrei sani e felici
Son chiamati a pranzo dalle mamme.
Le palme diffondono ombra tutt'attorno,
Nei giardini profumano i fiori.
Le onde del Giordano fluttuano a ritmo
Là, in quella terra lontana.
E qui invece tutta la gente muore
Sognando della Palestina.
Qua, nel ghetto, stanno morendo
Gli ultimi discendenti di Giuda Maccabeo.
Dietro un reticolato sta una guardia tedesca
Pronta a sparare e ad uccidere.
La neve cade mista a pioggia,
Il cielo è plumbeo e minaccioso.
Il vento scuote una finestra rotta,
Il respiro e le ossa si gelano.
Il babbo è ancora chino sulla sua Gemara,
La mamma abbraccia i suoi figli.
Una sorella sta cucendo una vecchia calza,
Un altro giorno è passato nel ghetto.
Il babbo è chino sulla sua Gemara
E sempre ricomincia daccapo.
Ha grande fiducia, una possente fede
Che Iddio farà qualche miracolo.
La mamma è affaccendata a far da mangiare:
Solo che la zuppa è tutta acqua.
Nessuno capisce quanto la mamma
Soffra profondamente che i suoi figli abbian fame.
Una sorella sta cucendo una vecchia calza,
Un fratellino guarda un'illustrazione,
Tutti annusiamo il vapore della zuppa
E ci viene l'acquolina in bocca.
Nascosta in alto nell'armadio
Sta, tentatrice, una pagnottella,
Deve bastare per tutta la famiglia:
Per sette bocche affamate.
Due candelabri, un libro di preghiere
E le sacre Bibbie, così care,
Stanno sulla mensola a muro di legno,
Comandano di pregare Dio.
Mi siedo alla finestra con un vetro rotto
E guardo sulla strada fangosa.
Sogno di una terra bagnata dal sole,
Di un campo di grano dorato.
So che da qualche parte, lontano sul mare,
C'è una terra dov'è si può essere ebrei liberamente.
Dove un contadino ebreo ara la terra
E arando apre una pista carraia.
Bambini ebrei sani e felici
Son chiamati a pranzo dalle mamme.
Le palme diffondono ombra tutt'attorno,
Nei giardini profumano i fiori.
Le onde del Giordano fluttuano a ritmo
Là, in quella terra lontana.
E qui invece tutta la gente muore
Sognando della Palestina.
Qua, nel ghetto, stanno morendo
Gli ultimi discendenti di Giuda Maccabeo.
Dietro un reticolato sta una guardia tedesca
Pronta a sparare e ad uccidere.
La neve cade mista a pioggia,
Il cielo è plumbeo e minaccioso.
Il vento scuote una finestra rotta,
Il respiro e le ossa si gelano.
Il babbo è ancora chino sulla sua Gemara,
La mamma abbraccia i suoi figli.
Una sorella sta cucendo una vecchia calza,
Un altro giorno è passato nel ghetto.
Bellissima, grazie Riccardo.
Peccato solo che poi gli ebrei in Palestina non abbiano avuto alcun riguardo per gli abitanti della terra che li ha accolti e, anzi, abbiano spesso riservato loro lo stesso trattamento ricevuto dai nazisti e dagli altri antisemiti europei.
Chissà se c'entra la psicoanalisi, intendo dire la sindrome dei bambini abusati che spesso da adulti riproducono su altri gli orrori subiti... Ma forse, più semplicemente, la risposta è che il fine giustifica i mezzi, come sempre. Tanto più "alto" è il fine, tanto più bassi sono i mezzi... Valeva per i nazisti - sul tema sto leggendo adesso "La legge del sangue - Pensare e agire da nazisti" di Johann Chapoutot - vale oggi per gli israeliani.
Saluti
Peccato solo che poi gli ebrei in Palestina non abbiano avuto alcun riguardo per gli abitanti della terra che li ha accolti e, anzi, abbiano spesso riservato loro lo stesso trattamento ricevuto dai nazisti e dagli altri antisemiti europei.
Chissà se c'entra la psicoanalisi, intendo dire la sindrome dei bambini abusati che spesso da adulti riproducono su altri gli orrori subiti... Ma forse, più semplicemente, la risposta è che il fine giustifica i mezzi, come sempre. Tanto più "alto" è il fine, tanto più bassi sono i mezzi... Valeva per i nazisti - sul tema sto leggendo adesso "La legge del sangue - Pensare e agire da nazisti" di Johann Chapoutot - vale oggi per gli israeliani.
Saluti
Bernart Bartleby - 22/8/2016 - 20:24
X RV
Qualche altro refuso scovato, verso:
- 10 - rycinĘ
- 12 - połykaMy
- 19 - Ściennej
- 22 - la seconda nota: opterei per "na" (su) che il "nad" (sopra)
Il testo presenta degli errori gramaticali e un verso (28) che mi è poco chiaro, ma lasciamoli così, possono passare per licentia poetica :)
Grazie
Salud alejkum
Qualche altro refuso scovato, verso:
- 10 - rycinĘ
- 12 - połykaMy
- 19 - Ściennej
- 22 - la seconda nota: opterei per "na" (su) che il "nad" (sopra)
Il testo presenta degli errori gramaticali e un verso (28) che mi è poco chiaro, ma lasciamoli così, possono passare per licentia poetica :)
Grazie
Salud alejkum
Krzysiek - 22/8/2016 - 21:17
Grazie Krzysiek, ho indicato anche gli altri refusi nel testo polacco. A pensarci bene, fa un po' impressione che in un'opera pure dal valore elevato come quella di Gila Flam, ci siano così tante inesattezze testuali (e capisco quindi meglio anche certe trascrizioni dallo yiddish un po' approssimative). Comunque, a proposito di refusi, nella mia traduzione avevo scritto "Giornato" al posto di "Giordano"...mah! Quanto alle "licenze poetiche", penso comunque che questa cosa è stata scritta da una sedicenne che campava in un ghetto sotto occupazione nazista, e per la quale il polacco poteva essere stata lingua di uso quotidiano e nella scuola, ma non lo era certamente più nel ghetto...czescium alejchem!
Riccardo Venturi - 23/8/2016 - 02:39
Non ci crederai, Bernart, ma era la stessa cosa che pensavo mentre traducevo questa cosa. Tanto più che la Goldberg è sempre stata sionista fin dalla prima giovinezza (v. introduzione), e che poi se n'è andata a fare la sionista in Israele. Pensare e agire da nazisti, appunto; ed è una cosa di cui è sempre necessario tenere conto. In questi ultimi tempi ho consuetudine con un ragazzo di 28 anni scappato da Gaza, la quale Gaza è un gigantesco ghetto di due o tre milioni di abitanti. E non dico altro. Può essere che una delle motivazioni, e tra le principali, per le quali è bene conoscere le canzoni dei ghetti dell'Europa orientale, sia proprio questa; nonostante tutte le "giornate della memoria", non mi sembra che questa "memoria" sia poi così tanto coltivata, oppure lo è in modo semplicemente strumentale. Salud!
Riccardo Venturi - 23/8/2016 - 02:43
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Poesia di Miriam Goldberg Harel
Musica: [?]
A poem by Myriam Goldberg Harel
Music: [?]
In questo componimento, Myriam Goldberg descrive gli inizi della tragedia sua personale e collettiva nel ghetto, nel 1941. Leggendolo adesso, può sembrare forse un po' semplicistico e ingenuo; ma, all'epoca in cui lo scrisse, esso tentava di cogliere dei sentimenti complessi. Si trattava di una sorta di risposta all'arrivo dell'autunno, con la prospettiva di un duro inverno fatto di mancanza di cibo, e di una situazione che stava peggiorando giorno dopo giorno. Descrive la sofferenza della sua famiglia dal punto di vista di una ragazzina (Myriam Goldberg aveva allora 16 anni), ma una ragazzina che vedeva la debolezza dei suoi genitori e voleva proteggerli.
Nel componimento, un particolare risalto assume la figura del padre della Goldberg; in realtà, la giovane aveva una sorta di conflitto con suo padre, un ebreo rigorosamente osservante che credeva in Dio e nella Torah, e che rispettò scrupolosamente tutti e 613 i precetti della Torah, i taryag mitsvot, fino al momento della sua morte. Come tutti gli ebrei osservanti, il padre della Goldberg non era sionista e aveva una pessima opinione di Theodor Herzl; credeva infatti che soltanto a Dio spettasse la decisione di riportare gli ebrei in terra d'Israele. La figlia, invece, pur rispettando il padre, aveva aderito prestissimo al movimento sionista, un punto di vista che appare chiaramente anche in questo componimento. Il simbolo del padre della Goldberg è la Gemara, vale a dire il commento alla Mishnah che risale al III secolo d.C, sul quale egli sta continuamente chino. Si tratta del conflitto, sia pure espresso in termini di profondo affetto, tra la profonda fede religiosa che affida a Dio ogni aspetto della vita umana, e dell'uomo stesso che altro non deve fare che studiare e rispettare i suoi precetti anche in tempi di grande sofferenza, e un movimento come il sionismo, essenzialmente di natura laica e positivistica, con venature socialistiche. In tale chiave, ma inserendola nella situazione contingente della durissima vita nel ghetto, che deve essere inserito il “sogno della Terra Promessa” presente in questo componimento.
L'altra grande protagonista è, come è lecito attendersi, la fame. La fame nera del ghetto. Scrive la Goldberg: “Il nemico più grande di ognuno era la fame. La fame era l'assassino più grande, efficientissimo e rapido. Dopo poco tempo le persone dimagrivano, si ammalavano e perdevano ogni speranza. E, ancora una volta, i ricordi della Goldberg tornano a suo padre: “Una volta, quando mio padre era ancora vivo, tornando dalla sinagoga disse: 'C'è un uomo che sta morendo su una panca.' Chiese a mia madre di darmi una scodella di zuppa, e che andassi a portarla al morente. Era la zuppa per noialtri bambini. Andai in sinagoga, e vidi che l'uomo stava morendo per davvero. Cercai di dargli da mangiare, tenendogli la testa su con una mano e imboccandolo con l'altra; inghiottiva lentamente, ma mangiava, era veramente affamato. Il giorno dopo morì, e io fui l'ultima persona a vederlo. Mi disse che veniva da Varsavia, che aveva una famiglia e che era stato molto ricco. Quando tornai a casa, i miei genitori mi dissero che avevo fatto una grande mitsvah; dal punto di vista religioso avevo senz'altro fatto quel che dovevo fare, ma, credetemi, ero gelosa di ogni cucchiaiata che gli davo e che volevo mangiarmi io. Anch'io morivo di fame. In quel momento, vidi l'Angelo della Morte davanti agli occhi.”
Componimenti, si diceva, scritti originariamente in polacco. Potrà forse un po' stupire che non siano stati scritti in yiddish, che era la lingua materna e d'uso di tutti gli ebrei polacchi e dell'Europa orientale; ma il polacco e tutte le altre lingue dei paesi dove risiedevano non erano meno mame-loshn dello yiddish, specie per gli ebrei che si consideravano, nonostante tutto, pienamente cittadini e che avevano frequentato le scuole e le istituzioni del paese dove erano nati. [RV]