Dos generaciones menos
dos generaciones más
Fechas, tan sólo fechas
Yo estoy aquí, tu estabas allá
El pico y la pala, el hielo en los dedos
te estás jugando las manos...
El mundo se muere y tu sigues vivo
porque recuerdas tu piano
Compás por compás, en el frío del gueto
vas repasando el nocturno en Do Sostenido Menor
de Chopin en tu memoria
Si fueras tu nieto y yo fuera mi abuelo
quizás, tú contarías mi historia
Yo tengo tus mismas manos
Yo tengo tu misma historia
Yo pude haber sido el pianista del gueto de Varsovia
Dos generaciones menos,
dos generaciones más
Fechas, tan sólo fechas
Yo estoy aquí, tu estabas allá
Y el mundo no aprende nada, es analfabeto
y hoy suena tu piano, solo que en otros guetos
Si yo estoy afuera y tu estabas adentro
fue sólo cuestión de lugar y de momento
Yo tengo tus mismas manos
Yo tengo tu misma historia
Yo pude haber sido el pianista del gueto de Varsovia
Dos generaciones menos
dos generaciones más
Fechas, tan sólo fechas
Yo estoy aquí, tu estabas allá.
dos generaciones más
Fechas, tan sólo fechas
Yo estoy aquí, tu estabas allá
El pico y la pala, el hielo en los dedos
te estás jugando las manos...
El mundo se muere y tu sigues vivo
porque recuerdas tu piano
Compás por compás, en el frío del gueto
vas repasando el nocturno en Do Sostenido Menor
de Chopin en tu memoria
Si fueras tu nieto y yo fuera mi abuelo
quizás, tú contarías mi historia
Yo tengo tus mismas manos
Yo tengo tu misma historia
Yo pude haber sido el pianista del gueto de Varsovia
Dos generaciones menos,
dos generaciones más
Fechas, tan sólo fechas
Yo estoy aquí, tu estabas allá
Y el mundo no aprende nada, es analfabeto
y hoy suena tu piano, solo que en otros guetos
Si yo estoy afuera y tu estabas adentro
fue sólo cuestión de lugar y de momento
Yo tengo tus mismas manos
Yo tengo tu misma historia
Yo pude haber sido el pianista del gueto de Varsovia
Dos generaciones menos
dos generaciones más
Fechas, tan sólo fechas
Yo estoy aquí, tu estabas allá.
Contributed by Riccardo Venturi - 2007/1/9 - 21:46
Language: Italian
Versione italiana di Leo.
Vedo che non c'è traduzione di quest'altro pezzo meraviglioso di Drexler, ecco la mia versione.
Non ho capito se con lingua di arrivo devo mettere la lingua in cui traduco il testo o la lingua in cui è scritto il testo originale...
Vedo che non c'è traduzione di quest'altro pezzo meraviglioso di Drexler, ecco la mia versione.
Non ho capito se con lingua di arrivo devo mettere la lingua in cui traduco il testo o la lingua in cui è scritto il testo originale...
La lingua di arrivo è sempre quella in cui si traduce (a proposito: attento agli spagnolismi, in italiano si traduce in mentre in spagnolo si traduce a). Grazie per questo tuo prezioso contributo...con la speranza di averne altri!
PS. In ogni traduzione deve essere messo il titolo tradotto, in maiuscole; qui l'ho aggiunto io. [RV]
PS. In ogni traduzione deve essere messo il titolo tradotto, in maiuscole; qui l'ho aggiunto io. [RV]
IL PIANISTA DEL GHETTO DI VARSAVIA
Due generazioni in meno
Due generazioni in più
Date, semplicemente date
io sono qui, te eri là
La pala e il piccone, il ghiaccio nei diti
ti stai giocando le mani...
Il mondo sta morendo e te ancora vivo
perché ricordi il tuo piano
tempo dopo tempo, nel freddo ghetto
ripassi il notturno in do diesis minore
di Chopin nella tua memoria
Se tu fossi tuo nipote ed io fossi mio nonno
chissà, racconteresti tu la mia storia
Io ho le tue stesse mani
io ho la tua stessa storia
Potrei essere stato il pianista del ghetto di Varsavia
Due generazioni in meno
Due generazioni in più
Date, semplicemente date
io sono qui, te eri là
Il mondo non impara niente, è analfabeta
suona oggi il tuo piano, solo che in altri ghetti
Se io son fuori e te, te eri dentro
è stata solo una questione di posto, e di momento
Io ho le tue stesse mani
io ho la tua stessa storia
Potrei essere stato il pianista del ghetto di Varsavia
Due generazioni in meno
Due generazioni in più
Date, semplicemente date
io sono qui, te eri là.
Due generazioni in meno
Due generazioni in più
Date, semplicemente date
io sono qui, te eri là
La pala e il piccone, il ghiaccio nei diti
ti stai giocando le mani...
Il mondo sta morendo e te ancora vivo
perché ricordi il tuo piano
tempo dopo tempo, nel freddo ghetto
ripassi il notturno in do diesis minore
di Chopin nella tua memoria
Se tu fossi tuo nipote ed io fossi mio nonno
chissà, racconteresti tu la mia storia
Io ho le tue stesse mani
io ho la tua stessa storia
Potrei essere stato il pianista del ghetto di Varsavia
Due generazioni in meno
Due generazioni in più
Date, semplicemente date
io sono qui, te eri là
Il mondo non impara niente, è analfabeta
suona oggi il tuo piano, solo che in altri ghetti
Se io son fuori e te, te eri dentro
è stata solo una questione di posto, e di momento
Io ho le tue stesse mani
io ho la tua stessa storia
Potrei essere stato il pianista del ghetto di Varsavia
Due generazioni in meno
Due generazioni in più
Date, semplicemente date
io sono qui, te eri là.
Contributed by http://Justleoo.blogspot.com - 2009/4/10 - 02:15
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Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
Testo e musica: Jorge Drexler
Basato sul racconto autobiografico "Il pianista del ghetto di Varsavia" di Władysław Szpilman. Dal libro è stato, come noto, tratto un pluripremiato film di Roman Polański.
Il pianista
di Roman Polański
Durata: 148'
Wladyslaw Szpilman: Adrien Brody
Capitano Wilm Hosenfeld: Thomas Kretschman
Padre: Frank Finlay
Madre: Maureen Lipman
Dorota: Emilia Fox
Il punto di vista particolare di Szpilman, che resiste agli incubi e alle privazioni più terribili , anche con la forza della sua arte, deve aver richiamato al regista assonanze e memorie della propria biografia. La scrittura essenziale, asciutta, priva di una qualsiasi compiacenza sentimentalista ha vinto poi definitivamente la reticenza del regista, che in passato aveva rifiutato la direzione di Schindler’s List.
Nella prima parte la pellicola costruisce mirabilmente la nascita dell’orrore, mostrando i piccoli cambiamenti quotidiani imposti alla vita della comunità ebrea di Varsavia.
Questa parte è la migliore della pellicola. Procedendo per episodi, mostra diversi aspetti non ancora analizzati dai film sull’olocausto. Pone l’accento sulla sottovalutazione del pericolo da parte della popolazione polacca, ed ebrea in particolare, che credeva fermamente in una più pronta risposta del mondo civile, e non poteva prevedere l’escalation di mostruosità inumane alle quali sarebbero arrivati gli occupanti tedeschi.
Il bravissimo protagonista Adrien Brody, con una perenne espressione attonita, vaga per le strade di una Varsavia mirabilmente ricostruita e ottimamente fotografata dalla luce livida dell’operatore Pawel Edelman. Assiste come spettatore alla costruzione dei muri e degli steccati che rinchiuderanno la popolazione ebrea nel ghetto. L’umiliazione delle persone è costruita giorno per giorno, privandole delle necessità fondamentali.
Gli inumani pestaggi, le esecuzioni casuali, imprevedibili, hanno il potere di cambiare la natura di Szpilman. L’agiato borghese dovrà attraversare l’assuefazione al dolore, la perdita dei propri cari e della propria dignità, lasciandosi guidare dall’istinto animale della pura sopravvivenza. La forma della narrazione, sobria, chirurgica, riesce a far percorrere allo spettatore lo stesso percorso esistenziale del protagonista. Il regista è molto attento a non compiacersi della propria abilità narrativa, allontana il proprio punto di vista dal racconto, rinunciando a qualsiasi sottolineatura retorica. L’occhio della macchina da presa coincide con quello del protagonista, sopraffatto, inerme davanti ad un orrore inimmaginabile, assurdo.
Poi la pellicola si perde, si sfilaccia. Polański chiude il protagonista, come un insetto di memoria kafkiana, dentro le rovine di Varsavia.
Nonostante questi momenti di grande cinema, la pellicola non convince appieno, pone dubbi sul comportamento di una giuria (quella del Festival di Cannes che lo ha premiato con la Palma d’oro) miope nella sua voglia di riscoperta del racconto tradizionale, di un cinema, di fine fattura artigianale, ma conservatore e rassicurante.
Paolo Bronzetti
Centraldocinema